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39. (PARTE QUINTA)

La Sirena passò il pomeriggio a comandare all'acqua di sollevarsi. Il mare morse interi tratti di terraferma e scivolò in avanti per coprire le mangrovie e gli alberi assetati. Non fu una marea distruttiva e permise agli abitanti di capire cosa intendesse fare l'acqua.

Per essere sicura che nessuno seguisse lo stregone, la Sirena sommerse le passerelle dopo aver udito le campane che richiamavano i lavoratori alle proprie baracche.

La quieta inondazione, non supportata dalla pioggia e dal Vento, tendeva a tornare indietro. L'acqua voleva rituffarsi nel mare e la Sirena s'indebolì nel trattenerla, ostinata nel voler restituire una cortesia. Prima dell'incontro, si rifugiò sul letto a baldacchino e chiese perdono al Vento se non andava a leggere per lui. Dedicò qualche minuto del suo tempo a ricordare l'esperienza sulla terraferma e pensò al messaggio che le mante avevano portato.

Chiuse gli occhi e si abbandonò al viso del capitano per fantasticare di una sua venuta negli abissi con indosso lo scafandro. Quasi subito nel pensiero s'insinuò la minaccia di ucciderla e la Sirena aggrottò le sopracciglia scivolando indietro all'ultimo anno trascorso.

Ogni giorno emergeva per controllare l'arrivo dei mercantili, fino a che erano comparsi con la fregata a scortarli. Ma lui non c'era e lei aveva provato un risucchio al diaframma, seguito da un vuoto turbinante il cui movimento le impediva di ragionare. Aveva scorticato i coralli con le dita, si era rivoltolata nelle cavità più oscure, rivestita di granelli sulle spiagge desolate. Aveva vagato in tratti di mare dove non si spingeva mai, risvegliandosi senza sapere quando ci fosse arrivata, e sentiva il corpo e la mente come due entità separate che volevano squartarla tirando in direzioni opposte. Aveva cercato di ascoltare la saggezza del Vento e non l'aveva udita. I momenti in cui Nettuno veniva a farle visita le erano pesati al punto che sentiva il suo intero essere dentro una rete stretta che le attraversava la pelle e la carne e la riduceva in rombi. Aveva risposto con voce atona ai solleciti del padre.

«Che hai figlia? Cosa stai architettando? È venuta l'ora che tu ti riproduca. Il Tritone del Mare di Kara sarà un ottimo compagno, capace di sopportare le intemperanze di una moglie bislacca. Gli ho parlato della tua ossessione per le gambe.»

Era accaduto durante l'ultima visita, all'udire delle gambe, che il dolore della Sirena si era inasprito e il mare era diventato livido in una notte. E le sue urla, raccolte dal Vento, accompagnate dagli smottamenti del mare si erano compattate nell'uragano peggiore dal 1784.

Dopo la devastazione era rimasto il silenzio dell'ottundimento, lei al pari delle isole a muoversi fra i resti della barriera frantumata, fra gli aculei di legno e lo spavento dei pesci: cercava di approdare alla sé stessa di prima del capitano, una divinità al di sopra di tutte le cose.

La razza che dimorava nel chiosco da giardino la svegliò. La Sirena considerò che fosse facile addormentarsi quando si era provati. Raggiunse la superficie con il suo aspetto abituale, si portò agli Scogli del Sacrificio e attese sotto una luna piena, vecchia e funestata di crateri, quasi cicatrici da vaiolo. Si appoggiò a uno scoglio sommerso, pareva fluttuasse sull'acqua quando in realtà era seduta.

Nell'attesa le venne da pensare al fratello del Mar Mediterraneo che aveva perso la sua isola vulcanica. Quel territorio era una miserabile accozzaglia calda di rocce che stava scatenando una guerra fra italiani e inglesi, ma a suo fratello era cara e lui trovava sempre il modo di parlarne.

Le rare volte in cui i figli di Nettuno si incontravano nel Pacifico per volere del padre, il Tritone del Mar Mediterraneo prendeva da parte la Sirena e le voleva insegnare le lingue dell'Algeria, le parole rotolanti dell'Egitto, le sferzate turche, le divertenti espressioni siciliane o le fiabe maltesi, senza mai dimenticare di dolersi per l'isola. Lei gli ripeteva che non faceva differenza che stesse sopra o sotto il mare, anzi, era meglio se l'isola fosse destinata agli abissi, almeno lui poteva usarla come casa, ammesso di sopportarne le intemperanze vulcaniche. Ma lui scuoteva la testa e le rispondeva che amava guardare gli esseri umani e avrebbe voluto assistere allo sboccio della civiltà su Ferdinandea.

La caduta di un ciottolo staccatosi dalla scogliera le fece voltare lo sguardo in alto. La Sirena vide una figura nera senza definizione che si muoveva, indietreggiava e spariva. Ne seguì il percorso, abbassando la testa, e fermò lo sguardo sulla lingua di sabbia grigia e bluastra schermata dalle spine della scogliera dove non giungeva la luce della luna.

La figura ricomparve e avanzò, si liberò del mantello e attese.

La Sirena si immerse e raggiunse l'uomo che indossava la tunica e aveva l'aria di doverle dare una cattiva notizia. Lo stregone s'inginocchiò di fronte a lei e riferì, senza tralasciare alcuna parola, il dialogo avuto con lo Spirito.

La Sirena annuiva di quando in quando, senza cambiare espressione, il busto in vista e la coda celata dall'acqua. «Mi spiace che non si possa fare altrimenti» disse a voce appena udibile. «Vi ringrazio. La pioggia di oggi è stata un dono.»

Lo stregone avrebbe voluto chiedere alla Sirena del futuro delle isole, ma il suo antenato dentro di lui lo frenò dall'essere villano.

«Me ne occuperò io.»

«Signora, sono il vostro servo e potete usarmi quando lo volete.»

«Non mancherò di ricordarlo. Vi auguro di trascorrere una notte serena.» La Sirena sorrise e sparì dentro la lastra distesa che era il Mar dei Carabi.

Lo stregone rimase a fissare il punto dove l'acqua si era aperta e richiusa, lo stesso gesto che aveva visto fare ai pesci e alle mante. Pensò al missionario: tempo prima l'aveva incontrato al mercato, tutti e due dovevano acquistare della frutta. Il religioso l'aveva intrattenuto un'ora e mezza con dogmi e leggende. San Giorgio contro la Sirena.

«In principio non era come lo raccontano. Il santo sauroctono uccideva una figura antropomorfa, metà umana e metà qualcosa d'altro. Poi alla figura diedero il sembiante di un drago, non voglio dilungarmi, e si arrivò alla leggenda della figlia del re a cui era toccato essere una delle vittime scelte da offrire al mostro per placarne l'ira.»

Lo stregone ricordava la bocca che si muoveva e gli occhi grigi del missionario.

«Ma arrivò il santo, che è un simbolo, uno dei molti cari all'iconografia cristiana che li vuole rappresentanti di un concetto di conversione alla fede e abbandono dell'eresia, e ammansì il drago. Alcuni lo vogliono morto, io preferisco fidare in una speranza.»

Lo stregone l'aveva riportato alla Sirena nel modo in cui aveva ordinato lo Spirito, che pareva esser stato presente quel lontano giorno a origliare la conversazione fra lui e il missionario. Occorre l'oggetto santificato di un uomo di fede che trafigga il mostro e una forza soprannaturale che lo immobilizzi. Lo Spirito aveva indicato la tempesta nella forza soprannaturale, ma aveva lasciato spazio a un'interpretazione in cui si poteva tradurre un intervento umano. 

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