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36. (PARTE PRIMA)

Avery, affacciato alla finestra della stanza dell'ospedale, fissava il porto con i navigli. L'aveva fatto centinaia di volte dalla camera da letto della sua infanzia e in bettole e taverne nella sua giovinezza.

Il dottor Patterson era sbarcato per operare un'ernia con Cobb; terminato l'intervento entrò nella stanza con addosso il grembiule di cuoio insanguinato, quasi gli piacesse mostrare la natura della professione.

Avery annusò l'odore di sangue e si voltò.

Il dottore sfregava le mani nell'acqua della bacinella di ceramica con un aspetto soddisfatto. «Una normalissima budella scoppiata.»

«Lieto di sentirlo.»

«Dopo una giusta convalescenza il nostro Tittensor non avrà strascichi.»

Un incidente, la fretta, il solito sforzo pur di non attendere un compagno lento. Avery aveva creduto che il viaggio avesse amalgamato gli uomini. Adesso, con l'esistenza di tutti in pericolo e privi delle attenzioni delle ragazze del bordello, vedeva la faglia che divideva i due grandi gruppi, i vecchi da una parte e i nuovi – terrazzani e marinai di altre navi – dall'altra. Le occhiate, la gestualità gli comunicavano, per esperienza, che lo scontento causava risse, fughe e in ultimo lo spauracchio di ogni navigatore, l'ammutinamento. Quando era giovane aveva vissuto gli effetti nefasti della perdita di fiducia nell'autorità da parte degli uomini. Non rammentava il nome del deposto, ma i sussurri, le voci di cambusa atte a confondere e fomentare, le alleanze gli erano rimasti dentro, pronti a resuscitare ogni volta che sentiva approssimarsi il momento.

«Dottore, vorrei parlarvi di Kozlov.»

Patterson finì di asciugarsi le mani, si tolse il grembiule, lo appallottolò, lo mise nella bacinella e chiese: «Spero non vi dispiacerà se mi siedo». Armeggiò con la pipa e rivolse uno sguardo al pomeriggio calmo e caldo fuori della finestra.

Cobb entrò seguito da due marinai che portavano Tittensor su un lenzuolo. L'addormentato ballonzolò ad ogni passo fino a che i compagni lo deposero nel letto a lui assegnato, lo coprirono rimboccandogli le coperte e si avvicinarono al capitano per ricevere ordini.

«Vi concedo di vagare fino alla fine della prima comandata, quando voi e io torneremo alla nave sobri e in ordine.»

I due evitarono di guardarsi e con le labbra frementi dissero: «Aye, signore.» Uscirono dalla porta a passo troppo svelto.

«Siete di umore lieto» osservò Patterson.

Cobb prese una sedia e si mise al capezzale di Tittensor per vegliarlo finché non si fosse svegliato dall'anestesia. Il chirurgo aveva la mano leggera quando si trattava di suturare e nella somministrazione delle medicine. Il ferito si era quasi riavuto durante l'operazione – lui se n'era accorto perché le gambe si erano mosse – e aveva dovuto premergli sul viso un fazzoletto imbevuto di narcotico.

«Prego» disse Patterson dopo aver buttato fuori il fumo da una fessura delle labbra, i denti che mordevano la pipa.

«Ho saputo che anche oggi Kozlov è andato in città e ieri, quando abbiamo avuto una conversazione, mi è sembrato disattento.»

«Cosa temete?»

«Che l'inattività provochi delle ossessioni. Stracci appesi paiono fantasmi nel buio.»

«Non diventerà pazzo. Non ho mai conosciuto qualcuno di più moderato.» Di nuovo la calma del pomeriggio venne sporcata dall'aroma di tabacco. «Però alcuni colleghi studiosi della mente sono concordi nel dire che gli individui insospettabili siano portatori di una tara che li espone alla follia. Il senso del dovere radicato e la soppressione delle pulsioni non rappresentano la normale abitudine di un corpo umano in salute. Voglio dire che la franchigia dei marinai, per quanto deprecabile, è necessaria al corretto funzionamento della mente. Forse non del corpo, con la filza di malattie che si portano dietro certi passatempi, ma annullare a lungo la natura di un uomo non ha mai portato benefici.»

«Io credo invece che averlo costretto all'immobilità ne abbia minato l'animo.»

Patterson fissò Avery e trovò che fosse egoista. D'altronde è umano pensare che gli altri non siano altro che noi fuori di noi.

«Volete che gli somministri un medicamento per l'umore?»

«Vorrei che mi consigliaste. MacMourrog ha detto di averlo visto uscire dalla bottega di un sarto.»

«E la cosa vi sconvolge.»

«Conoscete l'animo parsimonioso di Kozlov. Non butta il denaro per abiti che possiede. Non l'ho mai visto comprare niente per sé.»

«E per qualcun altro?»

Avery rimase con la bocca socchiusa.

Il dottore guardava Tittensor o, meglio, la schiena di Cobb che ne schermava il viso. Budella scoppiata. Si poteva scoppiare d'invidia e quando un animo era provato le piccolezze trascurabili assumevano un'importanza capitale.

«Pensate che possa intrattenersi con un sollazzo da marinaio?»

«So riconoscere un uomo stordito da bevande e pipe e altrettanto bene distinguo i segni del tormento amoroso, di cui un sintomo certo è la disattenzione con relativa perdita di interesse verso ciò che esula dal bersaglio, se così possiamo dire.»

Degli stivali da soldato percorsero il corridoio; Avery esaminava il viso del chirurgo per scorgervi, e l'avrebbe desiderato, un umorismo americano. Fuller arrivò, guardò oltre la soglia, individuò il dottore e il capitano e si mise sull'attenti.

«E voi?» domandò Patterson, conscio senza voltarsi della presenza del soldato in uniforme scarlatta.

«Mi rammarico del disturbo, vengo da parte del signor Lennox. Chiede se potete visitarlo in privato.»

«La ragione?»

«Non mi è stata riferita. Presumo che privato voglia dire una cosa sola.»

«Se non è il gergo della fanteria, allora un medico navale può presumere di capire. Devo recarmi al Forte o sarò graziato dalla sua visita?»

«Se poteste venire al Forte...»

«Lasciate che prenda la borsa.» Patterson abbandonò la sedia continuando a stringere la pipa fra i denti.

«Capitano Avery, stamattina ho visto il signor Kozlov a cavallo» disse Fuller.

«Cavallo? E dov'era diretto?»

«Verso la zona costiera. Arrivava, credo, dall'allevamento di cavalli del signor Underwood.»

«Avete notato qualche stranezza?»

«A parte il fatto che non indossava l'uniforme, no, signore. Ma non cavalcava molto bene e temo per la sua salute. I cavalli sono bizzosi e ancor peggio con questo clima. Non avete idea di quante cure abbiano bisogno per star bene. Le razze mandate dalla patria sono grosse e lente. Qui ci vogliono cavallini veloci, ma il signor Underwood e i suoi aiuti sono testardi, non gli si può parlare che è come innescare la miccia. Ci ho provato tante volte...»

«Sapreste dirmi a che ora l'avete visto?» l'interruppe Avery, che dai tempi di Lenore era allergico alle chiacchiere di circostanza, di disagio o come la gente volesse chiamarle.

«Non mancava molto a mezzogiorno.»

Avery guardò il vecchio pendolo, ritto in un angolo della stanza. La zona costiera brulicava di cespugli, scogliere, berte di Audubon e baracche di pescatori dove vivevano figlie di pescatori, indigene che raccoglievano bacche ed erbe.

«Signor Fuller, vi chiedo un favore. Quando tornerete al Forte col dottore, passate dalla pirocorvetta e mandatemi Patel, l'aiuto del fabbro. Dite che è un mio ordine se Blight dovesse contarvi su storie.»

Patel, come Abel, era stato in prigione per le sue mani svelte dentro e fuori dai vicoli. Sulla nave non esisteva nessuno con la sua capacità di seguire un uomo senza farsi scoprire.

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