34. (PARTE SESTA)
La serata si concluse in un clima in parte disteso. Sulla via del ritorno alla pirocorvetta, gli ufficiali non parlavano. Avery era contento di essersi sfogato, di aver estorto una verità che lo avvicinava a un'altra, ora meno intricata, e di aver ricevuto il permesso di usare le reti, l'arpone, il fuoco greco e i cannoni per uccidere il mostro o i mostri.
Le fiammelle nelle lanterne appese ai pali guizzarono, eppure il vento non era abbastanza forte per agitarle.
I sei passarono vicino al cimitero con le tombe a forma di casette e Lennox rabbrividì. Ospedali e cimiteri lo mettevano in ansia, pieno a suo modo delle leggende che gli amici amavano raccontare nei lunghi fine settimana di pioggia.
Casambus bisbigliava all'orecchio di un MacMourrog annebbiato, che si era tolto i tappi. Il primo ufficiale aveva i polpastrelli bianchi di belletto. Aveva sudato nell'abito disgustoso osservando i gesti di uomini impegnati in una discussione di cui udiva un brusio. Si era costretto a tenere un sorriso ebete sulle labbra, sordo, muto e cieco alle volte in cui il Governatore gli posava la mano sul braccio e stringeva.
«E così, signore» sussurrava Casambus, «l'abbiamo scampata.»
MacMourrog fece un passo, mise il piede sinistro avanti e scivolò. Cadde nella polvere con un botto fesso e fu talmente subitaneo lo sbilanciamento che Casambus ebbe solo il tempo di accorgersi che l'orecchio del primo ufficiale gli sfuggiva in avanti seguito dalla parrucca.
«Diavolo!» gridò Avery quando udì l'imprecazione di Fuller.
Fuller si chinò e raccattò una scarpa. «Si è rotta. L'abito è a nolo o l'avete comprato?»
Avery soccorse MacMourrog. «State bene? Infernali calzature da donna.»
«Signore, sono scivolato su qualcosa.»
Avery cercò con gli occhi l'oggetto incriminato e vide Fuller fare altrettanto. Il fante tastava le ruvidezze del terreno. Fu di nuovo un'esclamazione a tirare i lineamenti del capitano.
«È una borra!» Fuller la guardava nel modo in cui avrebbe fissato un proiettile inesploso.
Avery sollevò il viso al cielo, nero e trapuntato di astri tremolanti, e intravvide le sagome frastagliate delle palme e gli alberi da cui proveniva un profumo stordente di fiori e spezie. Sondò con la scarsa profondità di un campo visivo limitato. Sorreggeva ora MacMourrog con le braccia molli, la concentrazione tesa. Avvertiva, quant'era vero Iddio, la presenza incombente del nemico.
«Sono qui» disse la voce di donna che si era atteso di udire.
Avery si voltò.
La Sirena Alata stava dietro di lui, la forma piumosa appesa a testa in giù a un ramo, le ali chiuse. Allungò il collo di diversi centimetri e soffiò in viso al capitano un alito in cui la saliva mesceva il sangue con l'orchidea.
Kozlov non l'aveva ancora vista e s'irrigidì. Gli pareva di avvertire le suture muoversi, gli spazi fra un nodo di filo nero e l'altro borbottare come piccole bocche, e mise una mano a pararsi il ventre. Accanto a lui, Lennox fece scivolare le dita sull'elsa della spada.
«Se volessi potrei farvi danzare. I miei burattini addomesticati.» Kyriake studiò Avery e MacMourrog con un raspio degli artigli. «Lei si dà tanta pena e voi avete un trastullo. Vi piace intrattenervi con l'amore e la guerra. Dovrebbero castrarvi, farvi bei maiali mansueti. Non avreste più l'amore, che è un sollievo, ma la guerra, che è una condanna meritata.»
La voce non suscitava alcun incantesimo. Avery ricordò di avere i tappi per le orecchie nella tasca del panciotto. Se avesse frugato, la Sirena, che gli pareva un'arpia, gli avrebbe staccato una mano.
«Mi sento magnanima» disse lei con il bel volto immoto, al punto che gli uomini credevano di osservare la superficie levigata di un vaso. «Vi darò un vantaggio, ché non si dica che tratto gli uomini da bestie. Non canterò. Sarà una caccia di quelle che piacciono ai cacciatori di taglie. Di chi s'attarderà – l'ultimo – avrò il corpo e l'anima.»
Avery si rialzò trascinando con sé il primo ufficiale. MacMourrog non parlava e il capitano udiva il battere dei denti di Casambus nel costume da vecchia. Se avessero corso fino alla scialuppa non si sarebbero salvati. Nemmeno se fossero fuggiti a ritroso fino alla casa del Governatore. La Sirena Alata li aveva intercettati a metà strada e la distanza dalla morte si equivaleva con uno scarto di poche spanne. Ordinò, con la voce ferma, di seguirlo.
La strada era in piano e non aiutava. Il capitano rimpianse le discese a rompicollo di Gibilterra e di certi anfratti europei – lui e la ragazza spagnola erano ruzzolati da un declivio per giungere allo stagno delle anitre – mentre muoveva le gambe e pestava la terraferma, portandosi dietro per mano il primo ufficiale. Gridò a Fuller di fare altrettanto con il marinaio greco.
La Sirena Alata allungò il collo e lo fece passare fra le zampe; osservò il puerile tentativo dei britannici e delle donne che si trascinavano appresso. Ruotò la testa e avvertì la brezza agitarle le piume sul petto, un vento che non le parlava da quando era stato sigillato. Decise di contare usando la numerazione ionica – alfa, beta, gamma, fino ad arrivare alla xi, sessanta, il numero che rappresentava il crepuscolo.
Gli uomini sparirono alla vista in concomitanza con il numero stigma. Avery fuggiva senza badare alla strada, fissava davanti a sé un mare che anziché avvicinarsi pareva sfuggire lontano, con la pirocorvetta innestata nell'oscurità. Maledisse la terra che girava nel modo sbagliato e impediva la visione della luna, e maledisse gli astri che avevano il lucore della fiamma di un acciarino.
Si volse per verificare che gli altri lo seguissero: lo seguivano, ciascuno con l'andatura dimentica di anni di posture, eccettuato Kozlov che sarebbe stato un maratoneta elegante. Scorrevano alberi e arbusti uguali in forme traballanti e mostruose nella loro inutilità. Avery dovette scansare un'iguana che attraversava la strada dove si restringeva e la vegetazione trasbordava.
Adesso si trovavano al limitare di George Town, la cui periferia era immersa nella tenebra, nessun lampione che potesse condurli. Nell'urgenza era difficile fissare dei punti per recuperare la strada.
Arrivò il battito d'ali che Avery temeva; veniva da dietro con il vuoto che precede il passaggio di una palla di cannone, gli attimi in cui il tempo si addensa e il fiato si smarrisce in bocca senza arrivare alla trachea. Il capitano udì gli arbusti crepitare e condannò la mente che non gli aveva permesso di prendere una delle lanterne del Governatore.
Poi ricordò che aveva con sé una pistola e una rete. Si voltò e gettò MacMourrog dietro di sé. Appoggiò la mano sul calcio e vide Lennox, pareva lontano come la nave, fare un gesto ampio, snudare la spada che portava al fianco, portare avanti il piede destro, piegare il ginocchio e allungare il braccio destro, protendere il busto, distendere l'altra gamba, affondare nel nulla davanti a sé.
La Sirena Alata aveva esteso gli artigli sull'ultimo. L'acciaio della lama li toccò ripetutamente per tenere lontane le zampe: Lennox si muoveva avanti e indietro, uno spadaccino provetto che tentava di infilzare un mostro mitologico grande il doppio di lui.
Avery lasciò perdere la pistola e seguì la danza del Comandante dei fanti. S'accostò quando lei aveva già allungato il becco in una daga e cercava il varco per lacerare le carni, e le scagliò addosso la rete. Le maglie erano state asperse di acqua benedetta; quando la rete cadde su Kyriake lei sentì che veniva trascinata e schiacciata al suolo da un peso d'incudine.
«Lennox, aiutatemi! Afferrate la rete.»
Avery e Lennox si gettarono con le mani sul terreno e sfiorarono e afferrarono le maglie tirando la rete verso di loro, pescatori di uccelli, ma la Sirena Alata aveva abbastanza spazio per muovere le ali e, imprigionata, decollò, si scosse, urlò, si scosse di nuovo.
Lennox, che teneva la spada con una mano ed esercitava una presa sinistra debole, mollò la rete. Avery rimase legato alla sirena che lo sollevava, avvertì che le scarpe battevano con le punte sul terreno e non riusciva a poggiare la suola; il corpo si stendeva verso l'alto e continuava a correre in un'andatura da orso sulla palla del circo finché uno strappo lo scollò dalla strada. Guardando in basso, vide lo spazio vuoto allargarsi fra i piedi e la terra.
«Lasciate!» gridò Kozlov, da qualche parte, sotto.
MacMourrog si era gettato contro una baracca e bussava alla porta, scrollando le conchiglie appese dopo aver brancicato nel buio. «Abbiamo bisogno d'aiuto!» Sbraitava, e in fondo alla strada qualcuno accese una luce minuscola.
Kozlov sparò senza colpire niente. Il fatto di essere armato gli infondeva una sicurezza idiota. «Lasciate!», ripeté, e alle sue si aggiunsero le esortazioni di Lennox.
Fuller esplose un colpo con il fucile, una detonazione che li assordò.
Avery smise di essere un eroe nell'attimo in cui superò il telaio di una finestra al pianterreno. Gli uomini non erano fatti per volare e chi ci aveva provato, pensò ai pazzi francesi della mongolfiera, aveva pagato lo sforzo. Lasciò la rete e ricadde sollecitando le ginocchia; un dolore acuminato gli percorse le cosce, salì alla sciatica e su fino alla vecchia cicatrice bianca sul petto, che tremò. Chiuse gli occhi, sapeva di non potersi permettere una pausa per contemplare il dolore o aspettare che lo lasciasse. Che stesse dentro al corpo insieme all'altro, ormai era avvezzo. Si mise dritto, sentì che Kozlov lo afferrava per un braccio e lo trainava via.
La Sirena Alata strillava un grido osceno e sorvolava i tetti delle case per liberarsi dell'impiccio. Girava in circolo, accelerava e si fermava di botto a fare lo spirito santo.
«Venite via, MacMourrog, nessuno vi aprirà.»
Avery toccò il primo ufficiale sulla schiena. Si infilarono in una via ampia che era protetta da due filari di higuerón. Le cime formavano un tramaglio naturale.
Abel, che Blight aveva castigato impedendogli di recarsi a casa del Governatore a gozzovigliare con il suo amico del Forte, stava seduto sul bordo della lancia tirata in secco. Era infiacchito dal tirare sassi sulla superficie del mare e annoiato di osservare lo scavo di una tartaruga verde nella sabbia, il cui grattare sommesso gli teneva compagnia nel personale terrore notturno.
«Abel! In acqua, in acqua! Porta la scialuppa in acqua!»
Abituato ai comandi, il giovanotto si rizzò sulle gambe, si appoggiò alla prua e spinse, i piedi che ammucchiavano sabbia ai lati, sprofondando. La lancia era pesante, bisognava essere in due per smuoverla.
Avery giunse prima degli altri e Abel patì il contraccolpo di un secondo corpo che pressava. Sollevò la testa, vide al suo fianco il capitano con il tricorno storto e gli sorrise.
La barca cadde in mare con un tonfo e oscillò.
«Dentro, ai remi!»
Abel entrò senza capire quale fosse l'urgenza. Di solito i marinai lo sollecitavano quando erano inseguiti dai creditori o dai soldati. «Signore... vi cercano?»
«Sì. E voi, sbrigatevi! Dov'è Fuller?»
Uno dopo l'altro gli uomini saltarono nella lancia e costrinsero Abel a tenerla in assetto, una foga che con un altro timoniere meno esperto l'avrebbe fatta traversare.
«Scosta!» gridò Avery quando li ebbe contati.
Casambus soffiava la saliva che gli colava sul mento sciogliendogli la biacca. MacMourrog sedeva sull'abito gonfio e stazzonato e lottava contro il desiderio di levarsi la parrucca che gli ostacolava la visuale.
«Arriva!» gridò Fuller, l'ultimo a poppa a scrutare la riva buia.
La Sirena Alata li raggiunse in un volo ondulatorio e si gettò in picchiata sulla barca. Gli occupanti si scansarono, ammassandosi metà a prua e metà a poppa.
Il becco colpì il legno e formò un buco sul fondo. Quando la Sirena Alata lo levò, continuando ad agitare le ali che battevano sui corpi e sui visi dei presenti, l'acqua salì in un fiotto e si allargò verso le estremità.
Kyriake riuscì a decollare; Lennox tenne alta la spada benedetta per proteggerli dagli attacchi dal cielo, ma non poteva aiutarli contro la famelicità di un mare che si insinuava e bagnava le caviglie.
Kozlov mise una mano a tappare il buco. «Filaccia! Su questa dannata barca non c'è nulla per riparare il danno?»
Abel non poteva lasciare i remi, li muoveva in scatti per ridurre la distanza dalla pirocorvetta. Sentiva che la lancia si era abbassata, troppo pesante con l'acqua e gli occupanti. Non si azzardò a chiedere a qualcuno di nuotare, non con il mostro che schiamazzava in cielo.
Frugando, Avery trovò una gottazza con cui si mise a sgottare l'acqua.
«Forza!» li incitò MacMourrog, a prua con le braccia tese sui bordi della lancia. Fissava davanti a sé.
La Sirena Alata rinunciò a levarsi di dosso la rete. Tornò in picchiata, diretta verso Avery che gettava l'acqua fuoribordo. Lui si scansò; lei colpì di nuovo il fondo dello scafo, risalì e scorse il viso bianco e spettrale della Sirena con il mento sul pelo dell'acqua e una grossa conchiglia nella mano del braccio sollevato. Fuggì.
Fuller muoveva i piedi per coprire il nuovo buco, l'acqua sputava sotto gli stivali. «Affonderemo prima di arrivare!»
Avery pensò che il soldato, con quegli sbraiti in falsetto, fosse davvero un pederasta e lo maledisse. Fuller spostò i piedi, li sostituì con la mano imitando il secondo ufficiale, e sentì delle dita che lo toccavano da sotto. Riuscì a vedere del bianco che riempiva il buco, un ammasso che pareva essere vivo.
«Si-signor Lennox!»
La mano di Kozlov venne spinta via da un tessuto scivoloso che il russo riconobbe essere tela da vele bagnata.
«Guardate!» gridò Fuller.
Avery si chinò e vide i buchi bianchi sotto l'acqua che ne deformava la visione. Cercò fuori dallo scafo, fra le onde prodotte dalla lancia, per scorgerla nella tenebra.
La lancia aveva incrementato la velocità quasi avesse un motore: Abel non se ne accorse e la fece sbattere contro la murata della pirocorvetta. Gli occupanti si sbilanciarono, si mescolarono, teste contro mani, gambe contro schiene.
«Aiuto!» gridò MacMourrog verso l'alto, sbracciandosi.
Il signor Bolton e Blight si affacciarono con una lanterna. Seguirono attimi di concitazione, molti visi che guardavano dall'impavesata, mani che gettavano funi e la biscaglina.
Quando furono al sicuro sul ponte, gli scampati guardarono di sotto e videro che il mare si prendeva la lancia. Sparì al pari di una cassa da morto nel nero dell'acqua.
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