33. (PARTE TERZA)
Gli addetti tiravano i cavalli recalcitranti per le briglie. Il recinto si allargava dove era stato liberato uno spiazzo con il fuoco, anni addietro, e le palme restanti avevano assunto la tipica forma circolare. La spiaggia non era lontana e l'allevamento, con la stazione di posta e l'edificio dove si vendevano i cavalli, si trovava a ridosso della linea invisibile che divideva il distretto di George Town dal Seven Mile Beach.
Kozlov ci arrivò col fiatone. Non conosceva nessuno nello specifico a cui chiedere un favore, ma fidava nel fatto che gli uomini della pirocorvetta fossero tenuti in gran conto per il loro impegno di scorta. Avvicinandosi alla staccionata, si accorse che uno dei capitani dei mercantili osservava con interesse gli equini. Lo salutò quando fu a portata di voce.
«Mi piace stare in pace, lontano dall'acqua» disse il capitano Moffett senza che il russo gli avesse chiesto alcunché. «I cavalli mi ricordano l'Inghilterra.»
L'ultima immagine che Kozlov aveva di cavalli era delle povere bestie di cui parlavano i minatori. Lo colse la tristezza della convalescenza, del fratello morto il cui pensiero veniva innescato dai letti d'ospedale, della promessa fatta a una creatura che lo metteva nella posizione degli equini delle miniere che scendevano nel buio per non uscirne. Si scusò e camminò in parallelo alla staccionata, svoltò dove il legno svoltava, proseguì ed entrò nell'edificio con la porta lasciata aperta. Durante la stagione secca gli abitanti delle Cayman avevano l'abitudine di non chiudere nulla, nemmeno le questioni. Era l'influenza del tepore, dell'assennatezza abbandonata sulla spiaggia in un mucchio di abiti.
«Buongiorno.»
«Prego, prego. Vi conosco. Non di nome, ma vi ho già visto. Siete della fregata del capitano Avery.»
«Avrei bisogno di noleggiare un cavallo.»
L'uomo aveva un temperamento gioviale nel suo abito da lavoro con gli stivali da cavallerizzo. «Avete un'idea della razza? Vi sconsiglierei gli ultimi arrivati, sono stanchi per il viaggio e arrabbiati. Accidenti se lo sono, vi hanno rifilato degli stalloni e non tutti castrati. Dovremo farcene carico noi e non ci sono buoni veterinari sull'isola, a parte Johnny l'irlandese. Non per lamentarmi, ma insistete la prossima volta: almeno castroni e non puledri. Che siano maturi.» Fece un cenno a Kozlov perché lo seguisse. «Quelli dell'anno scorso, i miei ragazzi li hanno domati. A proposito, avete portato le sementi di avena e erba? Bisogna ripiantarle ogni anno, il caldo le ammazza come nient'altro. Nient'altro. A parte l'uragano, s'intende.»
Fuori, nel calore delle dieci e mezzo del mattino, l'uomo mostrò a Kozlov i tre che riteneva migliori, bei cavalli bai dal manto lucido che il signor Moffett non si stancava di guardare.
«Il primo sulla sinistra vi porterebbe in capo al mondo. Peccato sia uno degli ultimi di razza pura. Quelli nuovi, di quest'anno, sono incroci. Non si può imbrogliare uno che è nato dietro la coda di un cavallo.»
«È sufficiente che sia docile. Non sono un gran cavallerizzo.»
«Quasi nessun uomo di mare lo è. Vi suggerisco il secondo. Non lo spaventano né serpi né alligatori. Anzi, una volta ci siamo trovati uno dei serpenti dell'isola nel recinto e l'ha pestato fino a ucciderlo. Ce l'ho in un barattolo sotto spirito. Volete vederlo?»
«Potrei venire a ritirarlo domattina?»
«Quando volete.»
«Il prezzo?»
L'uomo agitò la mano in orizzontale. «Me li avete portati sani e salvi. Per chiunque di voi lo chieda, sono al vostro servizio. Se non volete trasformare le bestie in bistecche, s'intende.»
«Non ci ho pensato» disse Kozlov, e sorrise. Lasciò l'allevamento con la promessa che l'indomani l'addestratore gli avrebbe preparato il cavallo, con la sella e le redini, per essere montato e diretto verso qualsiasi destinazione.
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