3.
L'impetuosità del Vento costrinse le barche a ritirarsi in cale riparate, cosicché il mare fosse sgombro per miglia.
La Sirena uscì dall'acqua nei pressi degli Scogli del Sacrificio e attese che il compare recuperasse la forza, che era dispersa intorno all'isola, si compattasse e la guidasse nei meandri delle mangrovie. Il North Sound era la Pozza, come la chiamava lei, dove si riunivano i raiformi. A volte, Connolly veniva in barca a contare gli esemplari e a prendersi i migliori per la riproduzione e lei lo lasciava fare; era stato così fin dal primo giorno in cui aveva visto quell'uomo ancora giovane che parlava agli indigeni attraverso la voce di un traduttore e spiegava loro il motivo per cui aveva lasciato la Marina.
Un uomo che voleva avviare un allevamento di pesci cartilaginei con il corpo appiattito, da cui la maggior parte dei marinai si teneva alla larga, era una stramberia. Gli abitanti di Grand Cayman non capivano, non condividevano la sua euforia e l'avevano avvertito: «Se fai qualcosa ai pesci e al mare, la Sirena ti troverà e ti ucciderà e di te non rimarrà nulla.» Nessuno aveva mai trovato i cadaveri o gli scheletri dei sacrificati.
La Sirena si immise nella corrente e si accorse di essere seguita da un corteo. Alle mante piaceva giocare e lei aveva una predilezione per loro, nonostante i maschi della specie fossero dotati di organi copulatori. Non aveva capito né perdonato Nettuno, che li aveva graziati di una peculiarità levata ai suoi figli e alle sue figlie. Pensare alla fecondazione fra tritoni e sirene la disgustava. Ne conosceva la meccanica, l'aveva visto succedere fra i pesci ovipari e non lo sopportava. Tuttavia, il signor Connolly allevava i raiformi per la riproduzione e lei non aveva niente in contrario a chi preservava specie che le erano care, soprattutto nella Pozza dove da anni gli abitanti dell'isola andavano a pescare e a pulire il bottino. Le pareva la giusta proporzione: per un assassino esisteva un salvatore, di modo che la bilancia fosse in pareggio. Lei era la bilancia di se stessa o almeno credeva di esserlo. Ma le mante, le razze e il signor Connolly le ricordavano, con immancabile brutalità, il capitano di cui si era invaghita. Per averlo si era trasformata in un giudice geloso e aveva condannato l'ultima sacrificata di una stagione già conclusa, un dono inutile.
«Mi spiace, non posso trattenermi» disse, e mosse l'appendice verdazzurra nell'acqua, il suo propulsore. Per andare veloce si aiutava con le braccia, una nuotatrice fluida, a differenza di quando vagava senza meta per ingannare un tempo interminabile.
«Sirena, per di qua» disse il Vento, ritoccando la rotta verso la sporgenza su cui si radunavano le sule.
«Devo trovare un punto profondo. Il fondale è basso e finirei incagliata nella sabbia.»
«Perdonami, Sirena, me n'ero scordato.»
Il Vento le suggerì di proseguire dove le aggradava e lei notò che dopo mezzo miglio l'acqua cambiava colore, si stingeva del blu intenso e assumeva una tonalità verdastra sporcata dal marciume delle radici delle mangrovie. Il sapore era diverso, adesso l'acqua aveva la dolcezza della bassa salinità.
Di fronte a lei si estendeva una foresta fitta di cui erano visibili le chiome brillanti della Rizophora mangle e qualche pollice di radici a trampolo non ancora sommerso dalla marea sigiziale. L'odore dell'acqua era mescolato all'effluvio terroso dei disseminuli, del limo organico, degli organismi abbarbicati che la Sirena udiva mordicchiare e mangiare nella penombra.
«È da tempo che non vengo più qui.»
«È un rifugio che piace agli uccelli.» Il Vento scostò per lei le foglie e le radici rosse cosparse di puntolini gialli.
La Sirena procedette smorzando la spinta sotto rami che formavano un cunicolo, braccia di ufficiali che reggevano fucili di legno durante una cerimonia. L'acqua aveva assunto il riflesso verde delle foglie lunghe e lucide di cristalli di sale, raggruppate a formare quasi un fiore. Dentro si muovevano i pesciolini che fuggivano dai grandi predatori e si erano radunati in ammassi lungo la coda della Sirena. Al loro passaggio, un'aragosta si rintanò nell'oscurità umida.
Il silenzio asfittico era spezzato dalle grida degli uccelli marini e delle gracule, consci della presenza della Sirena, accorsi a renderle i dovuti omaggi. Ogni specie abitava il tipo di mangrovia che le era stato affidato dall'evoluzione: rossa, bianca e nera. La Sirena trovava straordinaria la capacità di adattamento degli animali, un tratto che non possedeva.
«Doveva essere qui» disse il Vento, e si capovolse sotto la cupola che andava allargandosi e lasciava filtrare la luce che accendeva di bagliori le pietre nella retina sul capo della Sirena e attirava i ciuffolotti neri. Interpellò gli uccelli. «Sirena, la creatura si è spostata nell'entroterra dove vive lo Stagno degli uccelli migratori.»
«Non ti obbedisce, a quanto sento.»
«Deve aver notato degli umani oppure non riusciva a trovare cibo.»
«Non tornerò indietro, voglio vederla. Striscerò un poco dove mi dirai. Lo Stagno non è distante.»
«Ma se dovessimo incontrare qualcuno degli abitanti?»
«Confido che mi avvertirai, tu che puoi innalzarti sopra tutti.»
La Sirena si levò la retina, avvolse i capelli in una crocchia e la fermò con una ciocca. Nascose la retina appendendola a una radice della forma di braccio di maggiordomo. Le mangrovie le appartenevano, come ogni cosa nei dintorni: ne poteva disporre.
Il Vento la guidò dove i gomiti della Sirena incontrarono la lastra spessa della terraferma. Lei si graffiò le braccia con i sassi e i granuli di sale, lasciò un solco dove la mota era morbida; alla fine le si aprì davanti lo stagno circondato dai tre tipi di mangrovie, dai bottonwood e dai ciuffi spessi dei cumbungi, con i cavalieri collonero a lavarsi le ali e infilzare pesci.
«Vieni fuori, intruso!» gridò la Sirena.
Da un punto alla sua destra, nel verde profondo, venne un arruffare di rami e foglie.
«Chi mi desidera? Sei forse tu, Aliseo boreale?»
«Non distingui una voce femminea da una mascolina?» La Sirena coprì l'ultimo tratto e si immerse nell'acqua dello stagno. Socchiuse gli occhi per frugare nelle forme intricate e riuscì a scorgere una macula, che era una farfalla nel riposo pomeridiano.
Fu il gesto rapido, un'altra macchia scura e rossastra, a indirizzare lo sguardo nella giusta direzione. La Sirena vide una bocca vermiglia spalancarsi e inghiottire la macula che secondi prima era stata la farfalla. Il viso ovale, scheggiato dalle ombre delle foglie, scattò indietro, e il collo che si era allungato si ritrasse.
La rarità dello stupore della Sirena fece pensare al Vento che aveva avuto ragione.
La Sirena vide il volto di una donna dai capelli scuri acconciati in un covone sulla sommità della testa, onde e ricci trattenuti da un filo d'oro. Un volto indefinibile, secondo i canoni della bellezza che aveva osservato sui libri in suo possesso. Anche il corpo a cui apparteneva il viso era inusuale: il petto carenato era ricoperto di piume rossastre, con le ali ripiegate contro il corpo, sorretto da due zampe tozze di urubù.
Ha anche lei una coda, pensò la Sirena, una coda di uccello. «Che tipo di uccello sei?»
«Non sono un volgar uccello» rispose la creatura. Emise un gorgheggio melodioso che zittì ogni voce presente allo stagno.
«Che cosa sei, allora, se non vuoi essere chiamata uccello?»
«Sono una Sirena.»
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