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21.

Avery non aveva mai pensato a quanto tempo ci volesse a percorrere un braccio di mare circoscritto con una barca a remi. Nonostante ne dicesse, si era abituato alla velocità della pirocorvetta con l'elica in funzione e l'angustia per il secondo ufficiale gli faceva muovere le gambe sul fondo della scialuppa.

Abel aveva azzimato un racconto pieno di falle e si era tenuto alla larga dalla verità. Avery non aveva sprecato tempo a minacciarlo mentre correva verso la spiaggia, attraversando le pozze d'ombra che gli alberi proiettavano. Preferiva vedere coi suoi occhi.

«L'unica cosa che mi è chiara è che ha disobbedito.»

Abel remava in modo spasmodico. Avrebbe voluto replicare che il divieto riguardava le Azzorre, non i Caraibi. "La prossima volta" era un modo di dire che lasciava spazio all'interpretazione personale.

La scialuppa toccò l'opera morta, Avery si arrampicò sulla biscaglina e comparve sul ponte. Il nostromo, che aveva in bocca il fischietto, gonfiò le guance.

«Niente cerimonie» disse il capitano.

Blight sputò il fischietto. Sul ponte erano raggruppati i marinai di guardia con gli sguardi vacui e una reticenza che si muoveva fra loro come un'altra persona invisibile.

Avery li passò, scese per il boccaporto e si diresse a prua dove Fourcade, lasciato a discorrere in sua vece con il signor Middleton, aveva installato un piccolo ospedale con il tavolo in metallo. L'aria sottocoperta aveva una pesantezza asfittica e lui rallentò perché il buio gli ridusse la visuale. Si accorse che nessuno l'aveva seguito. Giunse alla porta, senza presentarsi l'aprì e trovò la stanza operatoria vuota in cui stagnava l'odore del sangue e del rimasuglio di formalina e permanganato di potassio, un metodo di asepsi che Patterson teneva in gran conto – non si contavano le volte in cui Avery aveva udito il chirurgo redarguire i marinai che si avventuravano nel deposito medico durante la disinfezione della cabina: «Se volete morire, accomodatevi. Su, aspirate i vapori e crepate! Blatte ignoranti!»

Senza poterselo impedire, Avery si tappò bocca e naso con la manica. Su un ripiano notò un carapace, uno dei cimeli del dottore, e appeso a un chiodo sulla parete l'indumento impermeabile da immersione floscio, lacerato e sanguinolento. Una porta divideva la sala operatoria dal locale dove venivano sistemati i pazienti. Ne oltrepassò la soglia e dovette strizzare diverse volte gli occhi. Un uomo di cui vedeva una chiazza ovale bianca era sdraiato nella cuccetta vicino all'osteriggio, a sinistra.

«Capitano, avete volato?» La voce dall'accento del New England di Patterson gli arrivò all'orecchio. Il buio acuiva i sensi.

Avery avanzò e la visuale schiarì.

Kozlov era coricato con la testa sul cuscino e la coperta marrone tirata fino alle clavicole. Il viso era intatto. Il capitano contò quattro rigonfiamenti: braccia e piedi parevano essere al loro posto. Doveva controllare il resto.

Il chirurgo, con la camicia bianca e senza cravatta, sorrise, accomodato su una sedia al capezzale del ferito.

«Che cosa è successo?» Avery notò MacMourrog nell'oscurità, immobile sul bordo di un'altra cuccetta, la testa abbassata sui pugni.

«Un incidente sottomarino. Non c'è da temere, un taglio pulito senza fuoriuscita di visceri, suturato con trenta punti. Mi piacciono le ferite dai contorni netti.»

«Dove?»

«Sul ventre.» Il chirurgo si alzò e con la schiena un po' curva, nella postura di quando era seduto, abbassò lenzuolo e coperta, e mostrò l'addome dell'ufficiale con un bendaggio spesso che copriva l'ombelico.

Kozlov non si mosse, solo le palpebre rabbrividirono.

«Avete detto "ventre"?»

«La ferita va dall'obliquo interno al retto dell'addome e passa per la linea alba. I muscoli sono lesionati in superficie, il maggior danno l'ha subito la pelle. Presumo sia stato lo scafandro a salvarlo.»

Avery esaminò il viso del secondo ufficiale e non gli parve che stesse bene. Pensava alle parole del signor Middleton: «Squarci sul ventre, una linea come di rasoio e mancano pezzi di viscere. Un machete, presupponiamo, il tipo di coltello con cui viene tagliata la canna da zucchero.» I ribelli attaccano sott'acqua? La voce dispersa nello stagno della ragionevolezza, che formava cerchi nell'acqua, enunciò: La Sirena non è contenta dei bianchi. Quindi lo raggiunse l'immagine di un uomo caduto da cavallo nelle Highlands, cui un legno nell'erba aveva lacerato lo stomaco. Portato a casa, era spirato dopo due giorni, con i vecchi di Tarbert che non avevano mancato di descrivere il vomito rosso e l'odore che c'era nella stanza. «Una ferita del genere è mortale.»

«Vi assicuro che non dovete preoccuparvi. Non fate quell'espressione. È incosciente per via del laudano.»

«Non ci sono danni da asfissia, schiacciamento?»

«Non crederete anche voi che la pressione renda le ossa molli?» Patterson rise a voce alta, disinteressandosi di disturbare il paziente. «Il sangue non ha nulla. Per sicurezza ho guardato quello che usciva dalla ferita. Ascoltate il respiro regolare? Si riprenderà, ho lavato la ferita con acqua calda dolce e aceto. Non dovrebbe incorrere nella sepsi, non ho trovato residui di polvere di corallo od organismi marini.» Lo disse e toccò il legno della sedia. Si risedette.

«La dinamica dell'incidente? Ha detto qualcosa?»

«Un racconto sommario mentre lo ricucivo. Dice di essere rimasto incastrato fra due pareti di barriera corallina e per liberarsi ha lacerato la tela protettiva. Muovendosi l'elmo è venuto via, si è strappato. In effetti, da quello che abbiamo potuto vedere i galletti a vite non si sono allentati. È stato fortunato, gli abissi sono pericolosi, tanto più in un mare tempestato di corallo tagliente e precipizi.»

Le palpebre di Kozlov tremarono e si sollevarono. Fissò la penombra opaca.

«È finita la vostra carriera di cercatore di relitti, John. Adesso vi siete convinto di non essere un pezzo di legno?» disse Avery, e fece uscire un respiro. «Dottore, quando potrò parlargli? Mi interessa avere una versione dei fatti dal diretto interessato.»

«Se tentate adesso avrete in cambio delle assurdità.» Patterson tossicchiò. «Com'è andata con il rappresentante di distretto? Di quale natura è la noia che ci impedisce di sbarcare?»

«Quando ne aveste l'agio, dottore, vi chiederei di scendere con me. Vorrei che assisteste all'autopsia di un povero disgraziato che tengono in una ghiacciaia.»

«Ghiacciaia? Un buon metodo di conservazione. Perché? Pensate sia in corso un'epidemia?»

Avery rifletté qualche istante con la sua antica intelligenza piratesca. «Potreste lasciarci soli? Non mi tratterrò molto.»

«Come volete, capitano. Se badate a lui ne approfitterò per disinfettare gli strumenti. Il signor Fourcade vuole che provi un aggeggio che produce vapore, pensa che ficcandoci gli strumenti lavati con il sapone si possa avere un risultato migliore.»

«MacMourrog, anche voi.»

«Capitano, mi dispiace.»

«Rassettatevi e aspettatemi nella mia cabina. Parlerò con voi appena uscirò di qui.»

Il chirurgo e MacMourrog lasciarono l'infermeria. Chiusero la porta.

Il capitano prese il posto di Patterson sul sedile caldo e si sporse sul ferito. Recitò una preghiera per risparmiare a Kozlov la probabile infezione, con la coscienza che l'ufficiale era nelle mani del Signore. Mani poco salde, pensò senza poter frenare la bestemmia. Si sfregò le labbra. «Con le sterline della mezza paga vi siete comprato un'attrezzatura inutile. E mi avete disobbedito.» Si grattò la nuca sdrucciolevole di sudore e i capelli umidi. «Non potete imbrogliarmi. Non avrò mai fatto un'immersione in tutta la mia carriera, ma ho udito le spiegazioni di chi lavora d'abitudine alle riparazioni sulla chiglia. So che lo scafandro fu creato per chi spegne gli incendi. Ho visto i minatori che lo utilizzavano. Non sono un fesso, quantunque potete pensarlo, e so che non avreste avuto abbastanza forza per strapparvi via l'elmo dalla testa. Con i guanti, i galletti a vite vi sarebbero scivolati dalle mani. Forse avreste potuto liberarvi dalla morsa delle pareti della barriera con il vostro ingegno, notevole oso dire, ma nessun corallo o roccia fa tagli netti.»

Gli occhi si erano abituati e Avery vide i particolari dell'infermeria e degli oggetti che conteneva. «John, vi ho visto resistere alla vodka e al rhum degli indigeni, non posso credere che il laudano somministrato da un medico parsimonioso vi abbatta al punto da non capire quello che dico.»

Kozlov era immerso dentro di sé con l'immagine della Sirena accanto e il terrore primigenio della morte che l'aveva toccato e gli aveva lasciato uno stampo. Lei l'aveva salvato: in lui aveva riconosciuto l'ufficiale del capitano. Conscia di tutto ciò che succedeva nell'arcipelago, sapeva chi era. E per la seconda volta non l'aveva ucciso. La voce del capitano mischiata al battito del cuore gli era di fastidio. Avrebbe voluto dire: «Vi prego, lasciatemi dormire». Detestava la condizione di inferiorità alla quale la sua decisione l'aveva condannato.

«John, voi non siete andato sotto solo per i relitti.»

La Sirena. L'ombra gigantesca della Sirena lo seguiva ovunque con quel suo odore di acqua e ibisco e la voce esiziale.

«Capitano.»

Avery attese, il corpo proteso verso la verità.

«Capitano, io l'ho vista. La Sirena.»

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