19. (PARTE PRIMA)
Gli uomini osservavano la vestizione di Kozlov in silenzio, stanchi delle stranezze del viaggio: prima la nave, poi l'assenza dell'aliseo, poi il signor Middleton e adesso il secondo ufficiale che diceva di volersi calare nelle profondità del Mar dei Caraibi con un elmo e un abito di gomma impermeabile.
«Kozlov, datemi retta. Il capitano non sarà lieto di sapere che in sua assenza vi trastullate con la vostra attrezzatura.»
«A questo punto che lui lo sappia o no non fa una gran differenza.» Il russo fissò Bolton con gli occhi resi trasparenti dal chiarore della giornata tersa.
I marinai si scambiarono cenni di sottecchi.
«Questo viaggio non è nato sotto buoni auspici. Temo per la vostra vita.»
«So quello che faccio, Bolton. Siete stato voi a parlarmi, una volta, della campana di Halley. Non potevo permettermi di portare un marchingegno del genere, ma i Deane, Siebe e Mackintosh hanno ovviato all'impedimento.»
Bolton guardò con lo scetticismo di un padre lo scafandro elastico perfezionato da Siebe in uso nella Marina Britannica. Il suo, di padre, conservava i ritagli di vecchi quotidiani con notizie sensazionali, e il nocchiere aveva riletto molte volte del recupero da parte dei palombari dei cannoni del vascello Royal George, il cui incidente rimaneva il più stupido e sconvolgente esempio di negligenza della storia inglese con i suoi novecento morti.
I nuovi giovani dell'equipaggio aiutavano il secondo ufficiale con l'attrezzatura: gli si muovevano intorno come scimmie eccitate. Markin collegò la manichetta dell'aria alla pompa, Hier trafficò con le valvole.
Kozlov indossava le scarpe zavorrate. Abel gli porse con deferenza il coltello da fissare al cinturone.
«Cercate di non bucarvi, signore, o la preparazione sarà inutile» disse Blight, fregandosi le mani. «Markin, hai legato tutto come da istruzioni? Hier, hai controllato che non ci fossero buchi sul bordo gommato o altrove?»
«Sedete, Blight, o sverrete» disse Kozlov. Strisciò i piedi su un ponte di cui non avvertiva il calore. Stava provando la mobilità e non era l'ideale. Anche se aveva indossato il nuovo scafandro nel negozio e il venditore l'aveva rassicurato sulla tenuta una volta calatosi nel "mondo sommerso", sperava che fosse più leggero. La tela gommata gli premeva sulle membra, sfregava sulla maglia e sulle brache, e le scarpe... bè, quelle facevano eccome il loro dovere ancorandolo al suolo. Si rese conto di non aver allenato abbastanza le gambe.
Cristoforo stava a braccia conserte, il sudore che faceva rilucere la pelle bronzea. «Signore, non dovreste.»
«Come ti permetti?» quasi gridò Blight.
«Il signor Kozlov è un brav'uomo, ma non dovrebbe disturbare la Sirena.»
«Ho promesso che avrei recuperato quanto possibile del carico dei mercantili affondati. Non posso esimermi, Cristoforo.»
«Io vi credo, signore.»
Il russo fissò il coltello alla cintola. Il gesto gli permise di non sollevare lo sguardo. E sbagliate. Parole bagnate dalla pioggia londinese si ammucchiarono nella mente con la dizione di George Edden. «Signor Kozlov, la vostra proposta è stata approvata da me, dal Vice Ammiraglio e dal Contrammiraglio. Vi scriveremo gli ordini oggi e vi daremo la cifra pattuita. Mi auguro che abbiate una buona sorte al fianco. Recuperate quello che potete senza rischiare la vita.»
«Ma lei no, non vi crederà. La Sirena uccide chiunque si avvicini ai suoi possedimenti. L'altra volta vi parlai del pescatore annegato.» Il timoniere fissò la cassa di legno. La Sirena non sarà felice. Ecco quello che fa il progresso, permette agli uomini di arrivare dove nessun uomo è mai arrivato. Questo bianco violerà il mare e morirà in modo atroce. Dirò al carpentiere di trasformare la cassa in una cassa da morto. Il capitano non lo può fermare, non può dire cornuto a uno che è come lui. Con la coda dell'occhio, scorse un movimento. Ecco che arrivano, sapevo che non avremmo potuto tenerli lontani.
I pescatori di Grand Cayman si stavano ammassando sulla riva come si sarebbe compattato un nugolo di mosche. I visi inespressivi non celavano la mobilità e la curiosità degli occhi indirizzati verso la pirocorvetta.
«C'è nessun altro che intende dire la sua?» domandò Blight.
Casambus si fece avanti, si toccò la fronte con la nocca e attese un cenno del nostromo. «L'unico avviso che posso darvi, perché io so come si sta là sotto, ero pescatore di molluschi con mio fratello e mio cognato quando stavo...»
«Non abbiamo tempo di ascoltare le tue vicende. Dì quello che devi dire» disse Blight.
«Ecco, quando risalite. È lì il pericolo. Fatelo piano piano. Fermatevi a ogni metro. Se avvertite qualcosa dentro, un tremito, un mancamento, resistete alla tentazione di salire subito in superficie. Vi farebbe male, signore. La pressione peggiora con la profondità. Voi avete un ottimo fisico, da quello che ho visto, ma anche uomini più robusti sono morti, signore, perché sono stati sotto troppo a lungo e sono guizzati fuori come pesci. Ma l'uomo non è un pesce. Piano piano. Velocità uniforme e un minuto fermo per ogni metro.»
Blight serrò la mascella e gli tremò il mento. «Metro o piede?»
«Metro, signore. In piedi», il marinaio stese le dita e le poggiò sul viso, «non so bene.»
«Tre piedi e due pollici, signore.»
«Non c'era bisogno di specificare, Blight. I russi usano il sistema metrico. Grazie, Casambus. C'è altro?»
«Kalí tíhi*, signore.»
MacMourrog, in camicia, teneva sottobraccio l'elmo di rame e bronzo, undici libbre che gli pesavano sul fianco. A un cenno del russo glielo passò.
Kozlov se lo mise facendo sparire il viso bianco. Badò a far combaciare la striscia di gomma con i dodici fori ai dodici perni filettati del collare di rame dell'elmo.
Dai marinai si levò un coro di incredulità. Il secondo ufficiale pareva un uomo meccanico proveniente da un pianeta inospitale, con la pelle che strideva e la testa con tre cerchi tondi come occhi imprigionati dietro grate di ferro.
«Tocca a voi, aiutatemi a sigillarlo. Premete bene» disse la voce soffocata del russo, appena udibile.
Con le mani tremanti per l'onore che gli era toccato, MacMourrog aggiustò le lastre di bronzo sagomato, pressò e girò i dodici galletti a vite sui perni, uno per uno con la forza che poteva esercitare.
I settori piatti si abbassavano a schiacciare il bordo gommato dello scafandro sotto il collare dell'elmo. Per un istante, Kozlov provò il patimento dei sacrificati che stavano per annegare. Interruppe il respiro. Quando si accorse che niente di buono ne sarebbe venuto lasciò andare l'aria, che finì per offuscare i tre oblò. Regolò l'inspirazione e l'espirazione nasale in un movimento rilassato.
«Ho terminato, Kozlov.»
Il russo alzò la mano e fece il cenno a chi manovrava la pompa di erogargli l'ossigeno. Ormai non udiva il mondo fuori: erano lui, la sua mente e il suo animo inzuppati nel silenzio.
Markin e Hier cominciarono a voltare le manovelle, dandosi il ritmo a voce alta: «Ehi-ho, ehi-ho.»
Kozlov spinse le gambe in avanti con fatica – il nostromo gemette a vedere il ponte graffiato dalle scarpe con la suola di piombo – e si avvicinò al sistema di pulegge messo in posa per aiutarlo a scendere. Si fece allacciare la braga e sedette sul bansigo, poi voltò la testa e osservò il precipizio del mare.
Blight gridò: «Fate scendere! Piano e a ritmo costante.»
Se una volta in acqua Kozlov si fosse sbilanciato, se qualcuno dei marinai avesse inclinato male il sedile pensile, l'ufficiale sarebbe precipitato soffrendo il colpo di ventosa. Le pompe del tempo non potevano compensare lo schiacciamento dello scafandro né la compressione dell'elmo rigido che avrebbero spezzato le ossa del palombaro nello stesso modo di una tazza scagliata a terra.
«Tu, Abel, cala la lancia e attendi. Se qualcosa va storto lo dovrai tirar su per la braga senza tentennare. Hai capito? Prendi Babcock, che è grosso, e quelli che ritieni più adatti.»
«Aye, signore.»
Kozlov provò un vuoto allo stomaco nella discesa. Si teneva al bansigo e si sentì un attore di teatro. Gli uomini si erano assiepati all'impavesata, facce immote ad assistere allo spettacolo.
A malapena l'ufficiale avvertì l'entrata in acqua e la sensazione, che aveva sperimentato alle lezioni di subacquea, fu di sprofondare dentro la melassa. La gomena continuava a scendere, il mare gli salì al petto, al collo – no, lo scafandro non imbarcava acqua – al visore, sopra la testa. Sotto.
Kozlov aveva profanato il Mar dei Caraibi. Respirava sotto la superficie. Lasciò che la gomena proseguisse e quando incontrò il fondale con le scarpe zavorrate diede uno strattone alla braga per far capire ai compagni che era arrivato. Scese dal bansigo con difficoltà e lo vide oscillare nell'acqua.
* Buona fortuna.
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