16. (PARTE QUARTA)
La sera nei Caraibi portava il sopore dell'affaticamento.
La signora King, consumata dalla lunga stagione afosa, sonnecchiava con la testa sul petto e il telaio fra le mani. L'ago spioveva sul disegno di un uccello. Aveva la fronte imperlata e la bocca quasi aperta.
Lennox evitava di guardarla e con la schiena aderente lo schienale del divano – la tela della camicia appiccicata alla pelle – ascoltava la musica di Muzio Clementi dalle dita nervose di una giovane bionda con la testa china sui tasti e lo sguardo sbarrato della concentrazione.
Lenore, che aveva gettato l'arpa nel ripostiglio, batteva sul bianco e sul nero come fosse la scacchiera della sua vita, spazi felici puntellati da parentesi rovinose. L'infanzia con una balia manesca a cui i genitori credevano, l'adolescenza corteggiata dai migliori spasimanti di Grand Cayman e una giovinezza segnata dal naufragio del suo amore.
Capitano Avery, Avery, Avery, infingardo, mascalzone, ti rendo grazie Sirena che hai ammazzato un'altra delle figlie di Satana.
Non c'era nessuna grazia nell'esecuzione, solo una fluidità rabbiosa. Lenore finì l'esercizio e attaccò, rivolgendo un sorriso all'uomo seduto sul divano in giacca rossa e brache candide, una sonata di Beethoven che avrebbe continuato ad alimentare i pensieri caotici che da molto tempo la infestavano.
Ogni volta che vedeva la sua cameriera Dulce l'assaliva una gelosia senza pari. Voleva picchiarla, rasarle i capelli e cospargerla di cenere, marchiarla con una croce in fronte e una fra i seni e amputarle le vergogne, castrare chiunque non resistesse alla lussuria.
L'essere umano ha ricevuto in dono la capacità di dominarsi. Non c'è scusante nel cedere alla tentazione. Ma subito dopo: La colpa è della ritrosia. Avrei dovuto offrirla, le donne che tentennano sono frigide, guarda mia madre, i marinai non aspettano. Dovevo capirlo che non avrebbe atteso, non con quelle baccanti nude sulla spiaggia e nella foresta a strillare il piacere.
Il Comandante dei fanti ignorava qualsiasi movimento dell'animo della giovane che corteggiava. Per la verità, ignorava qualsiasi cosa riguardasse le donne dal momento in cui aveva regalato la sua vita alla carriera militare con i princìpi che comportava. Correttezza, coraggio, obbedienza, sacrificio, astinenza.
Ma purché dotato di assennatezza, Lennox era arrivato a una svolta dell'esistenza in cui il corpo lo avvertiva che la castità e l'onore gli levavano la vera gloria. E quando si era messo d'impegno per cercarsi una fidanzata, il destino gli aveva indirizzato Lenore.
Quando si era spenta la voce che dicevano essere della Sirena, dopo che Lusia era scomparsa in mare con le ultime folate dell'uragano, Lenore era andata da lui per domandargli: «L'avete sacrificata?». Lui aveva ribattuto: «Sì» guardandole la forma del corpo sotto l'abito nero, e lei aveva sorriso.
Poi l'aveva udita maltrattare la servetta che l'accompagnava e che singhiozzava.
«Hai già tredici anni! Cosa piangi? È un onore essere scelte, non è forse una vostra usanza? Siete voi che l'avete inventata e piangete. Va' a casa, sono stanca di sentirti.» Poi, con un movimento brusco, lei si era voltata e gli aveva chiesto se avesse da fare o potesse riaccompagnarla a casa.
Dopo che ebbe terminato di seviziare anche Beethoven, Lenore si alzò in silenzio dallo sgabello nell'abito a balze, scrutò la guardiana addormentata e si accostò a Lennox, saltato su dal divano in un gesto da anfibio. Il salotto era impregnato dell'odore dei fiori tropicali e Lenore non voleva altro che nuocere a se stessa, a sua madre e all'intera casta dei ricchi.
«Venite» disse a voce bassa. «Perché non passeggiamo un po'? È una bella serata.»
Lennox esaminò la signora King. Il marito era andato a dormire. «Se volete.»
«Non siete stanco?»
«Affatto.»
Uscirono dal salotto, passarono il vestibolo e aprendo la porta furono fuori nella sera di ottobre, sotto una volta del colore delle monete di rame. Il sole era per metà tramontato e la luce rimasta allungava le ombre.
Lenore vagò nel giardino trascinandosi appresso Lennox. A volte si girava verso di lui, scrutandone il torso decente e trovando che il naso sottile nel viso dalla fronte ampia fosse migliorato con il tempo. Se lo ripeteva ogni sera.
Prima o poi arriverà il giorno.
Attese che Lennox le si affiancasse. Gli stivali assiani del Comandante dei fanti aggricciavano le foglie seccate dalla calura e facevano crepitare le carcasse degli insetti. Lenore si sentiva una carcassa al loro pari, vuota di intenti e speranze. Con Avery se ne era andata la pienezza dei giorni degni di essere vissuti.
Sono piena, adesso, della capacità di accontentarmi, pensò prendendo a braccetto il suo accompagnatore.
Lennox pensava che se fosse stato diverso le avrebbe proposto un luogo appartato dove saltarle addosso. Nelle pause della ricostruzione – complici l'assenza dell'uragano e le esercitazioni blande – aveva avuto modo di imparare qualche mossa dai libelli licenziosi di Holywell Street, Inghilterra, che alcuni soldati riuscivano a far entrare nel Forte con il carico di merci.
Coppie abbracciate nell'intimità delle foreste, sdraiate vicino ai fiumi, dentro ai fiumi o ai cespugli, in camere di taverna o in stanze private e arredate, nei bagni, sulle navi. A volte in pose esilaranti che facevano ridere alcuni soldati e ne indignavano altri.
I piedi stavano portando i fidanzati verso nord-est. Sui sentieri costeggiati di palme, ironwood e alberi di Canella winterana si andavano moltiplicando e ispessendosi gli arbusti e i fiori arancioni del siricote.
Lenore pareva non accorgersi della foresta che si ampliava. Lennox, invece, ne era conscio, ne aveva il giusto timore e sapeva cose che lei ignorava, ma era intorpidito dal calore emanato dal braccio di peli chiari sulla stoffa della giacca.
«Dovremmo tornare.»
«Siete stanco, Rupert?»
«Non è sicuro.»
«Cosa?»
«Vagare nella foresta.»
«È per quello che si dice.»
«Lo sapete?»
«Non me ne hanno parlato in maniera esplicita.»
Lenore continuava a passeggiare e osservare le macchie di oscurità fra gli alberi e sul sentiero, che ora si era fatto meno definito. Di rado passavano calessi. Pensò alle ruote che giravano scavando solchi nel terreno, anni e anni e anni di passaggi. Riti di passaggio. Per le donne era la perdita della virtù ed era una fase traumatica, diversa dagli usi delle indigene.
«Dicono che a Turtle Fence si nascondano i ribelli. So che vi hanno avvertito, Rupert, mio padre cita spesso il vostro nome.»
Lennox rifletté sul ripetere del suo appellativo e decise che non era in termini lusinghieri. Ogni volta che parlava con il signor King avvertiva, negli occhi di sbieco e nella postura, un'ostentazione di superiorità, il tipo di caratura che deriva da una propaggine di ricchi e non da qualcuno che si è arricchito.
Lenore continuò a guardarsi intorno, quasi si aspettasse che dalle fronde o dai cespugli si levasse qualcosa degno di essere considerato.
A volte in lei Lennox rivedeva l'intera famiglia King.
Lenore si appoggiò a uno degli alberi e annusò l'odore famigliare di cannella e pepe della corteccia. Avrebbe voluto parlare con la spontaneità degli incontri con il capitano, ma non le veniva niente da dire, né sentenze scontate né argomenti intelligenti per cui aveva studiato, sfogliato, cercato, chiesto. In altre stagioni era stata seduta nella sua camera a riempirsi di erudizione per dimostrarsi una donna capace di stare all'ombra del marito rifulgendo di un'acutezza propria, una capacità che l'avrebbe innalzata fra le altre mogli di capitani navali.
Lennox comprese. Era questione di interpretare i segnali. Le si accostò e vedendo che non voltava il viso continuò a incombere su di lei nella quiete azzurra di alberi e cespugli e fiori muti. A volte il suo orecchio registrava un fruscio di iguana o di anolide. Fiutò l'odore speziato dell'albero e quello di cipria di inglese slavata. Aveva una predilezione per i lobi delle orecchie e nella mente ritornavano le immagini delle parti anatomiche del volume medico che aveva chiesto in prestito al chirurgo del Forte. Pudendo muliebre, orchidea, albicocca.
Era un'abitudine. Anche prima di usare un fucile voleva studiarne la forma e la funzionalità.
Lenore allungò il collo, Lennox distolse le labbra dal lobo e si scambiarono un bacio umido. Il Comandante dei fanti si abbandonò con la gamba destra fra le gambe di lei.
Forse perché della fatal quiete/tu sei l'imago a me sì cara vieni/o sera! E quando ti corteggian liete/le nubi estive e i zefiri sereni...
«Siete voi?» Lennox aveva il viso arrossato e una mano in basso. «In che lingua...?»
«Cosa dite?» Lenore abbracciava il fusto al contrario, il petto proteso.
«Non udite?» fece Lennox e si sentì barcollare, gonfio di un sentimento che bruciava i fogli di pensieri che aveva in testa.
Lenore si accorse che si era scoperta troppo e già baluginava la carne bianca. «Oh, santo cielo. Siamo... torniamo Rupert!»
Il fruscio venne avanti dall'antro della foresta dove gli alberi di Canella winterana diradavano e cominciava il terreno paludoso delle mangrovie.
Lenore prese il fidanzato per la mano e sollevando l'orlo dell'abito lo trascinò con sé in una corsa di seni sussultanti e passi sghembi, perché non sapeva correre con le scarpe dalla punta quadrata, le tagliavano le dita.
Parevano battiti d'ali intrappolati fra il fogliame, forse un uccello disturbato nel suo riposo.
Lenore avvertiva una forma incombere ma non la vedeva: la presenza fustigava i rami, teneva uno spazio che le risultava invisibile agli occhi e premeva nella mente. Si voltava ogni due passi e guardava il viso da ubriaco di Lennox e la mano che teneva la sua, uno stupido bambino cresciuto che non parlava più.
Sperò che la proteggesse mentre rifaceva il sentiero, a volte storcendo una caviglia, respirando con la bocca aperta, pregando pezzi di preghiere, scappando da non sapeva cosa, forse dal frullare dentro di sé all'altezza del ventre.
A un certo punto calpestò un ostacolo, si tenne in piedi e sbatté contro un albero trascinandosi dietro Lennox, che per fortuna non le finì addosso.
Ansimava nel crepuscolo, i piedi doloranti di fitte una più aguzza dell'altra, quasi che le unghie le si stessero staccando. Si levò le scarpe e le gettò dentro il buio. Esaminò il collo del piede tagliato e le dita violacee. Poco più in là riuscì a distinguere cosa l'aveva fatta inciampare.
Pareva soffice a guardarlo, un grumo di peli arrotolato da cui uscivano schegge bianche.
Distolse lo sguardo, avvertiva la mano di Lennox divincolarsi. «Dove andate? Per di qua! La casa è per di qua!»
Inorridì. Le iridi e le pupille del Comandante dei fanti si muovevano a destra e a sinistra, un sonno profondo a occhi aperti, a sinistra e a destra, sopra e sotto, imprigionate dai bordi molli della rima.
Lenore rinsaldò la presa sulla mano di Lennox e a piedi nudi indietreggiò, esaminando l'immobilità apparente della foresta; il nulla che incombeva le ovattava le orecchie e accresceva il disorientamento. Si accorse che da qualche parte lungo il sentiero aveva deviato e invece della casa fra le palme vedeva il mare dagli orli scuri e nel centro il riverbero di foglie d'oro dell'ultima luce, perché guardandola non si poteva parlare di sfera solare bensì di una pozza liquida e schiacciata.
«Vattene! Scappa!»
Lenore udì una voce pura e chiara. Guardò fra i varchi delle palme.
«Tappagli le orecchie e portalo via! Tornate a casa e dite a tutti di non entrare nella foresta.»
Lenore posò le mani sulle orecchie del fidanzato, costringendolo ad abbassare la testa e tenendogliela come avrebbe tenuto una palla, e riprese a camminare trascinandosi dietro l'appendice frastornata di Lennox, che muoveva la bocca in un sonniloquio con l'aria. Almeno gli occhi avevano smesso di vagare dentro le orbite.
«Signorina! Signorina!»
Adesso Lenore vedeva i fuochi gialli puntellare l'oscurità frastagliata. Passò fra i cespugli che le si aggrappavano al vestito, tirando, insozzando, strofinando. Guardò il fianco di Lennox e vide il posto vuoto dove doveva esserci la spada. Nessun ufficiale portava un'arma, anche se sapevano dei ribelli o di qualunque cosa vi fosse nei recessi dell'isola.
Dulce uscì come un'animale selvatico, sgusciando fra le lamine fogliari, con l'abito nero di cameriera.
«Signorina!»
Il resto degli uomini della servitù le si appressò intorno. Lenore lasciò la testa di Lennox e si accorse che le mani erano scivolose e calde. Se le pulì su un abito che avrebbe buttato e si sentì esausta.
«Non gridate. Sto bene. Aiutate il signor Lennox, credo abbia avuto un mancamento.»
Gli indigeni si guardarono, alcuni scossero la testa. Due uomini presero sottobraccio Lennox, sorreggendolo da entrambe le parti.
«Signorina, le vostre scarpe!»
«Le ho perdute. Lasciale dove sono, qualcuno le prenderà. Non le voglio più.»
«Vostra madre è angosciata, signorina. Non fate più una cosa simile. Perché siete andata via?»
«Non sono andata via, sono uscita. Faceva troppo caldo per restare in casa. Non è successo niente. È Lennox che ha avuto... è stato poco bene, altrimenti non... va', corri e dì alla mamma che sto bene.»
Lenore si girò verso l'oceano, l'eco di una voce famigliare ancora nelle orecchie.
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