14. (PARTE PRIMA)
Permase, per i Caraibi, una stagione umida che di umido non aveva nulla. Le piogge si erano esaurite fra la metà e la fine di luglio. L'ultimo scroscio era sceso quando già gli abitanti si interrogavano sulla stranezza del clima, che si assommava alla bizzarria delle uccisioni.
Lennox aveva a che fare, ogni giorno, con bianchi e indigeni che andavano a bussare al portone del Forte, una spola che innervosiva le sentinelle e il gatto. Gli abitanti pretendevano di pregare senza interruzione sotto l'albero di Ceiba pentandra perché sapevano che stava succedendo qualcosa di grave e che la Sirena non era tranquilla.
Lennox non voleva accontentarli. Di recente si erano verificati episodi di fanatismo masochistico: più di un indigeno si era lanciato contro le spine che ricoprivano il tronco dell'albero, sforacchiandosi, imitato da altri in una danza di colatoi umani che i soldati erano costretti a portare in infermeria.
Il Comandante dei fanti non era avvezzo al prolungarsi del clima siccitoso e da buon inglese amava le lunghe piogge del riposo. Si stava sventolando con un registro, in maniche di camicia, e batteva il piede senza scarpa sul pavimento di pietra quando il sergente entrò.
«Signore, sono tornati.»
Lennox non era un uomo d'azione. Lo aveva dimostrato. Stava bene nei suoi panni di burocrate; l'unica cosa che gli premeva, negli ultimi mesi, era farsi spedire dal padre, uno dei mercanti che si affidavano ad Avery, il denaro della rendita della sua tenuta nella brughiera. Di fronte a tante sterline il signor King l'avrebbe considerato pari e, invece di tentennare, gli avrebbe concesso la mano di Lenore.
«Signore Iddio, non sapete fare da soli? Minacciateli!»
«Lo sapete come vanno queste cose. Sono come sassi, e non si può parlare ai sassi. Non ascoltano.»
«Dite loro che se non la smettono con le richieste abbatterò l'albero e gli darò fuoco, un falò gigantesco che vedranno fino in Giamaica.» Lennox voltò la sedia per respirare l'aria agonica che arrivava dal mare. «Ma da dove è saltata fuori questa bolla di calore? Non dovrebbe essere la stagione degli acquazzoni?»
«È il motivo perché vengono, signore. Il clima.»
«Non avranno tentato un rituale con cui hanno sconvolto le stagioni? Gli stregoni del voodoo sono pericolosi. E voi, Anderson, slacciatevi la giacca. Quello è un segno di cattiva concozione.»
La faccia di Anderson, gonfia e lucida, spaventò Lennox.
«Sentite, fateli entrare. Dite loro di sedere intorno all'albero, date la possibilità di ballare, qualunque cosa purché non entrino nell'edificio. E non ammazzino il gatto. Teneteli sotto tiro, basteranno un paio di fucilieri. Date loro un lasso di tempo ragionevole. Due, tre ore, poi li voglio fuori dal cortile.»
Anderson si slacciò la giacca e se ne andò con la divisa rossa penzolante.
Lennox gettò le braccia sulla scrivania e vi si poggiò sopra. Gli indigeni dovevano essere fuori dal Forte per la chiamata a mensa delle sette. Dopodiché, lui avrebbe avuto mezz'ora per radersi, cambiarsi d'abito e scendere fino alla magione dei King per passare la serata ad ascoltare Lenore suonare il pianoforte.
L'unica pecca nell'ora e mezza di celestiale godimento delle sue giornate sarebbe stata la signora King che, seduta nell'ombra, osservava che i due innamorati non sedessero troppo vicini e metteva in atto l'intera liturgia di una futura suocera che doveva preservare la virtù della figlia.
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