PROLOGO 3: Trovare il Proprio Fato in un Altro Mondo
La Torre dell'Orologio – Scuola di Magia di Londra
Mattina di un giorno normale
Tohsaka Rin venne svegliata dall'odore di caffé e di omelette al prosciutto.
< È ora di alzarsi, Rin. > disse una voce.
Una voce appartenente ad un ragazzo dal sorriso dolce e sincero e dai capelli rossicci, che portava tra le mani il vassoio della colazione.
< Oggi è domenica, non abbiamo lezione. > mugugnò Rin, tirandosi la coperta sotto la testa.
Emiya Shirou ridacchiò, sedendosi sul letto e appoggiando il vassoio sul comodino.
< Dai. > le disse, pungolando l'ammasso informe di lenzuola con l'indice < Non vorrai che l'omelette si raffreddi, no? >
< Questo è giocare sporco. > disse la voce di Rin, attutita dal tessuto e ancora impastata dal sonno.
Gioco sporco o no, servì allo scopo: la giovane maga uscì da sotto le coperte e si stiracchiò, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi.
< Non dicevi sempre che la caratteristica della Famiglia Tohsaka era l'elegante compostezza in tutte le situazioni? > scherzò Shirou, prima di ricevere il cuscino in piena faccia.
Dopo la colazione, mentre Shirou lavava le stoviglie, sentì due braccia cingergli il collo da dietro, e una soffice guancia strusciarglisi contro la nuca.
< Dimmi cosa ti piace di me. > mormorò giocosamente Rin.
< Beh, > rispose Shirou, girandosi e abbracciandola < adoro come ti leghi la sciarpa quando hai freddo. E adoro anche quei nastri con cui ti tieni raccolti i capelli in due code. Ma la cosa che mi piace di più in assoluto è quello che ti rende te. Sei forte, determinata, ma vuoi sempre aiutare gli altri. Tranne quella volta che hai cercato di farmi a pezzi a colpa di raggi magici. > concluse, arruffandole i capelli con una mano.
< Ce l'hai ancora con me? > si accigliò Rin.
< Stavo solo scherzando. > sorrise Shirou < Abbiamo salvato Shinji, direi che al suo confronto tu hai il biglietto "Esci Gratis di Prigione". >
Rin decise che era meglio cambiare argomento: parlare di Matou Shinji era il modo migliore per rievocare brutti ricordi che, ovviamente, non tardarono a rifluirle nella mente.
Da dove cominciare?
Magari dal nonno di Shinji, Matou Zouken, un semi-immortale mostro di crudeltà, vecchio di duecento anni e composto interamente di vermi magici vampirici: il fondatore della Guerra del Graal, che ne aveva, ad ogni piè sospinto, piegato, eluso, infranto o bellamente ignorato le regole, il tutto per diventare del tutto immortale e riforgiare il mondo secondo la sua perversa e distorta visione della differenza tra bene e male.
O di come si era fatto affidare la sorella minore di Rin, Sakura, per poi darla in pasto ai suoi vermi, quando era ancora una bambina, e di come questi le si fossero inseriti in corpo da ogni orifizio, per trasformarla in un potenziale ricettacolo per il Graal.
O magari di come quegli stessi vermi erano stati impiantati nell'uomo che considerava Sakura come una figlia, per spingerlo alla lotta nella Guerra del Graal.
O, infine, di Shinji in persona, che era stato talmente manipolato dal nonno da maturare un feroce e crudele sentimento di rivalsa, arrivando ad abusare fisicamente, psicologicamente e sessualmente di Sakura.
Solo Shirou poteva dare ad un rifiuto del genere un'altra possibilità, come se ci fosse bisogno di altre prove del fatto che il giovane Emiya fosse diversi gradini sopra all'ultimo rampollo della famiglia Matou.
Rin stava cercando di scacciare quei brutti pensieri, quando un'esplosione squarciò la quiete mattutina.
Proveniva dal cortile principale, meglio andare ad indagare.
Rin riconobbe ciò che vide: il caos, le bruciature sull'erba che formavano uno schema di evocazione ben preciso, e la materializzazione di una figura torreggiante al centro del tutto.
Qualcuno aveva evocato uno Spirito Eroico.
Una figura alta oltre due metri, con la pelle azzurra decorata di tatuaggi luminescenti, vestita con un'armatura cerimoniale in stile precolombiano; sulla schiena portava un immane spadone decorato, insieme a due falcetti dall'aria minacciosa.
La cosa veramente strana era che non sembrava sapere dove si trovasse...
< Dove mi trovo? > chiese, con una voce profonda e l'intonazione di chi è abituato a comandare.
Doveva essere stato un sovrano...
< Questo non è il Palazzo Imperiale dell'Outworld... sono nell'Earthrealm? Voi chi siete? > domandò.
Si stava agitando.
Brutto segno.
La sua manò andò verso il dorso, come per prendere lo spadone, ma qualcosa sembrò spingerlo a ripensarci, e si ricompose.
< Mi chiamo Ko'atal, ultimo degli Osh-Tekk e precedente Imperatore dell'Outworld. > disse, dirigendosi verso Shirou < Avverto in te lo spirito di un guerriero giusto e nobile, e ti chiedo udienza presso chiunque comandi questo luogo. >
Shirou non sapeva cosa rispondere: certo, non era esperto di magia quanto Rin, ma quello non sembrava normale.
Prima che potesse fare qualcosa, sentì un crepitio di elettricità, mentre fulmini azzurri e rossi riempivano l'aria intorno a lui.
Con uno sfrigolio ronzante, all'improvviso non erano più alla Torre dell'Orologio, ma da qualche parte in una metropoli devastata e in preda alle fiamme.
No.
Non di nuovo.
Shirou cominciò a respirare sempre più velocemente e affannosamente, cadendo in ginocchio, scosso dai conati e assalito dai ricordi della distruzione di Fuyuki durante la Guerra del Graal in cui aveva perso sua madre e suo padre, prima di essere adottato da Kiritsugu, l'Assassino di Maghi.
Si tirò in piedi: non era il momento di lasciarsi schiacciare dalle memorie, doveva essere pronto, nel caso gli autori di quel macello fossero ancora in giro.
Una specie di ticchettio si udì tra il crepitare delle fiamme: un ticchettio sempre più rapido e sempre più vicino.
Quello che apparve fu una specie di gigantesco insetto, simile ad uno scarabeo rinoceronte grosso come un'utilitaria e dalla corazza a piastre che ricordava vagamente un'armatura medioevale; nel centro del muso si trovava un singolo occhio, umanoide e giallo con la pupilla rossa, mentre da una specie di spuntone a conchiglia sul dorso crescevano due arti falcati e appuntiti come lance.
Lui e Rin non ebbero neanche il tempo di riaversi dalla sorpresa di quella creatura, che Ko'atal le era balzato addosso e aveva fatto apparire apparentemente dal nulla un grosso idolo di pietra, con cui aveva ridotto in poltiglia il cranio dell'insetto.
< Che mostruosità è mai questa? > domandò il guerriero, facendo svanire l'idolo < Un'altra aberrazione generata dall'alveare di D'Vorah? >
< Non lo so. > rispose Rin, avvicinandosi per esaminare meglio il mostro morto < Non somiglia a nessun essere mitologico che io abbia mai studiato... forse una nuova variante di Mirmicaleone? >
< Hey! > latrò una voce.
Quando si voltarono, si videro arrivare davanti una figura terrificante, ben peggiore dell'insetto: era un uomo, o quantomeno, la forma era quella, ma era alto oltre due metri e nerboruto quasi quanto Herakles, da quanto si capiva del suo fisico avvolto in un'armatura a piastre rossa e oro, con una specie di massiccio zaino sulla schiena, decorato dalla panoplia di un'aureola puntuta dalle ali spiegate.
Portava una pistola alla vita e varie bandoliere di granate dalla forma bizzarra, ma il dettaglio più terrificante era l'arma mostruosa che brandiva con una mano sola, quasi fosse, per lui, nulla più che un semplice fioretto: una specie di lunga spada dai due fili dentati come una motosega, grande quasi quanto lui.
< Chi siete? > domandò, conficcando l'arma nel terreno e fissandoli con sguardo truce < E che mondo è questo? >
< Siamo nell'Earthrealm. > rispose Ko'atal < Chiamato anche "Terra" dai suoi indigeni. >
< Questa non può essere la Sacra Madre Terra. > rispose il nuovo arrivato, seccato.
< A meno che... > rifletté Rin, mordicchiandosi l'unghia del pollice, con fare nervoso < A meno che non proveniamo tutti da diverse linee temporali, come Archer. >
< Linee temporali alternative? > domandò Ko'atal, irritato.
Non doveva essere la sua prima esperienza con cose del genere.
< Un altro piano di Kronika? > domandò, guardandosi intorno circospetto.
Quel ticchettio, quello zampettare, era ricominciato.
< Chi sarebbe Kronika? > domandò il nuovo arrivato.
< La Dea del Tempo. > rispose Ko'atal, mettendosi in posizione di guardia con lo spadone < Una donna incredibilmente folle e malvagia: ha rovinato la vita di tutti i Sei Regni in molte linee temporali, ognuna successiva all'altra, generando sofferenza e morte per costringere tutti a comportarsi come pezzi di un meccanismo, secondo il suo esatto piano. È spinta dalla convinzione che il libero arbitrio sia un errore, un'aberrazione nel Creato, e che tutto andrebbe alla perfezione se solo ogni singolo essere vivente facesse esattamente come da lei stabilito. >
< "Dea del Tempo"? > ringhiò l'uomo in armatura, accendendo la sua spada a catena < Un nuovo Potere Pernicioso? Beh, i suoi servi verranno schiacciati dalle forze degli Astartes! Così giura Gabriel Seth, Maestro Capitolare dei Supplizianti! >
< Kronika è stata sconfitta. > lo rassicurò Ko'atal < E nessuno dei suoi servi è più una minaccia. Ma potremmo essere vittime di un paino di contingenza da lei preparato. Poter controllare il tempo è ottimo, per giocare d'anticipo e ideare strategie. >
< Gente? > disse Shirou < Abbiamo un problema. >
A quanto pare, quando volevano quegli insetti sapevano essere silenziosi: ormai li circondavano da ogni lato, ricoprendo gli edifici e sciamando tra le fiamme.
< Prendete tempo. Voglio provare una cosa... > disse Shirou, con uno sguardo determinato negli occhi.
Rino conosceva quello sguardo: quando Shirou era così, significava per fare qualcosa di suicida, folle, sconsiderato, stupido e coraggioso.
< Trace: on! > declamò Shirou, attivando il proprio Circuito Magico e guadagnandosi sguardi incuriositi da parte di Ko'atal e di Gabriel.
I due guerrieri, spadoni alla mano, si gettarono tra gli insetti, cominciando a fenderli uno dopo l'altro, supportati da lontano dalle gemme esplosive di Rin e dai suoi raggi di energia, ma c'era un problema.
Il numero: quegli esseri erano legione, sembravano non finire mai, era quasi come se, per ognuno che uccidevano, altri dieci prendessero il suo posto.
Ko'atal riuscì a rallentare l'orda facendo piovere luce ardente dal cielo, ottenendo pochi, preziosi secondi, ma le creature stridettero e avanzarono con rinnovata velocità.
La spada a catena di Gabriel li trinciava una mezza dozzina alla volta, e quelli che riuscivano a schivare venivano ridotti in poltiglia sotto gli stivaloni corazzati del Maestro Capitolare.
Rin faceva del suo meglio, ma anche la sua potente magia aveva dei limiti: era quasi a corto di gemme.
< Non riesco a manipolare il loro sangue! > disse Ko'atal < Non ne hanno! >
< Toglietevi di torno! > urlò Shirou, mettendo Rin dietro di sè per farle da scudo.
La ragazza potè vedere che la manica destra di Shirou stava consumandosi, come carta che andava a fuoco, ma senza fiamme.
Stringeva una lunga arma dalla guardia dorata a strati, dai bordi laccati di blu, e dal corpo cilindrico a segmenti ricoperto di circuiti rossi luminescenti.
< La Lancia di Ea... > esalò Rin, riconoscendo il Noble Phantasm supremo di Gilgamesh, il Re degli Eroi.
< Enuma Aelish! > urlò Shirou, le braccia che tremavano per contenere il potere di quell'arma devastante.
I segmenti della Lancia di Ea cominciarono a roteare su loro stessi, liberando spirali di energia.
Shirou strinse i denti fino quasi ad incrinarseli, sentendoli che gli tremavano nelle gengive, ma piantò i piedi nel terreno e semplicemente si rifiutò di cedere: quella era pur sempre una copia imperfetta della Lancia di Ea, ma se non fosse riuscito a tenerne sotto controllo la forza, avrebbe potuto distruggere l'intero pianeta.
L'energia gli scorticò il braccio uno strato di pelle alla volta, ma non ci badò: si limitò a concentrarsi su quei maledetti insetti e a lanciare un lungo ululato incoerente, mentre la Lancia di Ea li spazzava via dalla faccia della Terra.
Shirou crollò a terra, reggendosi il braccio sanguinante, mentre la falsa Lancia si dissolveva, portandosi dietro le ossa della mano, smaterializzate da dentro la carne.
Rin fu subito da lui, aiutandolo a rimettersi in piedi e cominciando a curarlo con la propria magia.
< Sei proprio uno stupido. > gli disse la ragazza, ricacciando indietro le lacrime < Come hai potuto fare qualcosa di così sconsiderato? >
< Non sapevo se ci sarei riuscito. > rispose Shirou a denti stretti, lottando contro il dolore < Non ero mai riuscito a replicare un Noble Phantasma, figurarsi quello di Gilgamesh. Credo che dipenda dal passaggio nel portale, ma anche così, il prezzo da pagare è stato alto. >
< Ne stanno arrivando altri. > disse Gabriel < Meglio ripiegare. >
Appena Shirou fu in grado di alzarsi, si caricò Rin a cavalcioni in spalla: sembrava stanca, dopo aver usato tutta quella magia per combattere e curarlo.
< Andiamo, dobbiamo cercare un luogo sicuro. > disse, seguendo Ko'atal e Gabriel.
Tokyo
Un'altra linea temporale
Saito inspirò profondamente, prima di bussare alla porta di casa sua.
Cosa poteva raccontare ai suoi genitori, dopo che era sparito per un anno?
Che era stato risucchiato in un'altra dimensione, dove aveva combattuto maghi e dragoni, come servo di una maga dai capelli rosa, che aveva poi finito per sposare?
Bel modo di ripresentarsi!
La porta si aprì, e sua madre lo fissò ad occhi spalancati.
< Saito... > esalò, portandosi una mano alla bocca < Sei... sei davvero tu? >
< Sì, mamma. Sono tornato. > rispose Saito, abbracciandola.
Sciolto l'abbraccio, sua madre sembrò accorgersi della ragazza dai capelli color pesca che lo accompagnava.
< Saito, chi... chi è, lei? >
< Mamma, lei è Louise, mia, ehm... mia moglie. > rispose Saito, sputando il rospo a occhi chiusi.
Fu solo moderatamente sorpreso di vedere sua madre svenire.
Dopo averla portata dentro e essere stato accolto anche da suo padre, un omone baffuto, Saito attese il risveglio della madre, e poi raccontò tutta la storia.
Di come, mentre tornava dal negozio in cui aveva ritirato il proprio portatile, fosse entrato in un portale verso un altro mondo, dove era divenuto il Famiglio di Louise.
Glissò sulle parti più umilianti, come le frustate e il collare da cane, ed enfatizzò invece la sua battaglia contro settantamila nemici, gli intrighi di corte, lo scontro finale contro il Dragone Antico e, soprattutto, il matrimonio con Louise.
Per amore dei suoi genitori, evitò di descrivere la prima notte di nozze, ma notò che, quando ebbe finito di raccontare, lo fissavano come se fosse pazzo.
< Figliolo... > mormorò sua madre, preoccupata < Fai... fai uso di droghe? >
A quanto pare, era necessario fornire delle prove delle sue avventure.
< Louise, potresti? > chiese, stringendo dolcemente la mano di sua moglie.
Louise annui, sorridendo, e cominciò ad agitare la bacchetta, mormorando la formula magica per aprire un portale verso il suo mondo d'origine.
Gli occhi dei genitori di Saito si spalancarono, quando entrarono nel buco nella realtà, seguendo il figlio, e ritrovandosi davanti ad un immenso castello.
< Benvenuti all'Accademia di Magia di Tristain! > sorrise Saito, presentando loro l'edificio con un ampio gesto della mano.
< Saito... > lo interruppe Louise, il volto madido di sudore < C'è... c'è qualcosa che non va... il portal- >
Svenne prima di finire la frase, e qualcosa accadde al portale, qualcosa di strano, che Saito non aveva mai visto: cambiò colore, diventando giallo e viola, si deformò, e ne uscì una mostruosità simile ad un cane a due teste.
La creatura era grossa come un cavallo, e aveva lunghi colli quasi serpentini e bocche irte di zanne esagerate.
Andava male: Saito era disarmato e Louise era svenuta: non avevano modo di difendersi.
Il cane a due teste di avventò su di loro, latrando follemente e con una luce maniacale accesa negli occhi, prima che una figura simile ad un serpente fatto di fiamme azzurre gli si avvolgesse intorno, consumandolo in pochi istanti e riducendolo ad un mucchio di carne carbonizzata e ossa annerite.
Il responsabile era un uomo pesanteemnte stempiato, con un paio di occhiali sul naso e un bastone crepitante di fuoco multicolore in mano.
< Giù le mani dai miei studenti, bestia immonda. > disse il Professor Jean Colbert, lo sguardo simile ad una lama d'acciaio temprata nel ghiaccio.
A volte Saito si dimenticava che, prima di diventare un insegnante, Colbert era noto come Enjya del Serpente di Fuoco, ed era stato una vera e propria macchina da guerra.
Altri latrati provennero dal portale: ne stavano arrivando altri.
< Correte al castello. > disse Saito ai suoi genitori, prendendo in braccio Louise < Lì potrò proteggervi. >
< No. > sentenziò suo padre < È troppo pericoloso, tu non- >
< Papà, non preoccuparti. > sorrise Saito < Ho affrontato di peggio. >
Pochi minuti dopo, l'Accademia era stretta d'assedio da centinaia di quei cani, e non solo: altre creature li avevano seguiti attraverso il portale.
Scheletri armati di sciabole, lance e tridenti, zombie di taglia umana e altri torreggianti, e davanti a tutti un mostruoso cane dalle tre teste cornute, grosso come un elefante.
Fortunatamente, Saito era pronto: due fucili a pallettoni semi-automatici AA-12 sulla schiena, due Revolver Remington 1859 nelle fondine a spalla, AK-74 e fucile da elefante a quattro canne a tracolla, e tra le mani una mitragliatrice pesante Browning calibro 50, con il caricatore espanso pieno di pallottole dal taglio a croce semi-camiciate, farcite di mercurio e fosforo bianco e con l'anima di tungsteno, avvolte in cartucce para-bellum.
Tutte le armi da fuoco disponevano di lanciagranate a tre colpi integrato, e l'arsenale era completato da munizioni, granate e ovviamente dalla Delfringr, la sua spada magica, riforgiata.
Saito ringraziò mentalmente di possedere super-forza e super-velocità, altrimenti non avrebbe potuto nemmeno camminare con tutta quella roba addosso, figurarsi combattere.
Entrò nella stanza di Louise, che sembrava essersi ripresa, almeno un po', e le baciò la fronte.
< Tu resta qui e cerca di stare meglio, va bene? > le disse, carezzandole la guancia < Io vado a sconfiggere un'altra armata. >
< Stai attento. > disse Louise, accigliandosi < Se torni ferito io... >
< Non preoccuparti. Saranno al massimo duemila, ho affrontato di peggio. > minimizzò Saito, per non farla preoccupare.
Meno di un minuto dopo, stava balzando giù dalle mura dell'Accademia, atterrando in faccia ad uno zombie gigante e e aprendogli il cranio in due con la Delfringr; mentre la creatura crollava a schiacciare altri mostri, Saito corse giù per il suo corpo, caricandosi di energia cinetica, fino ad atterrare in mezzo ad un manipolo di scheletri, rilasciando un vortice affilato come un rasoio con un singolo fendente della lama.
Accompagnato dal rumore dello zombie che si schiantava al suolo, Saito rinfoderò la spada e preparò la mitragliatrice pesante a fare fuoco, devastanto le fila del nemico, ritrovandosi presto su una montagnola di mostri morti.
Svuotò i tre lanciagranate del Browning nella bocca sinistra del Cerbero e lasciò cadere la mitragliatrice, passando al fucile da elefante.
Quattro colpi dritti nell'occhio destro della testa centrale riuscirono a malapena a rallentare quella bestia, e mentre Saito era distratto, uno dei cani a due teste lo attaccò alle spalle.
Il dolore esplose nell'avambraccio e nella coscia sinistri, quando le zanne dell'animale vi affondarono, ma Saito strinse i denti ed estrasse uno dei Revolver, piantando un colpo alla congiunzione dei due colli.
La combinazione di calibro dell'arma e di colpo a bruciapelo fu sufficiente e decapitare entrambe le teste, e il Cavaliere delle Due Lune si rialzò, indietreggiando verso le mura con passo zoppicante.
Non poteva permettersi di cedere, così si limitò semplicemente a ordinare con tutto se stesso alla propria gamba e al proprio braccio di continuare a funzionare, estraendo anche l'altro Revolver.
Rimaneva il problema che il nemico sembrava inesauribile, non finivano mai, continuavano ad avanzare, ignorandoquelli, tra loro, che morivano falciati dalle pallottole.
Saito aveva bisogno di rinforzi.
Le sue preghiere furono accolte da una tempesta di fulmini che piovve dal cielo, annientando diversi zombie e scheletri.
Centurion de Valliere, padre di Louis, era sceso in campo, volando su una corrente d'aria carica di elettricità rossa e oro e tenendo il bastone magico strettamente in mano.
< Voi osate? > domandò, gli occhi e la voce accesi d'ira < Voi osate? Voi osate avvicinarvi a mia figlia? >
Tra la potenza di fuoco di Saito e la forza crepitante del fulmine di Centurion, l'onda di mostri non ebbe scampo.
Ma c'era qualcosa di strano: perché all'improvviso avevano smesso di uscire dal portale?
Ebbe un fremito d'intuizione, un orribile sospetto, e alzò lo sguardo, giusto in tempo per vedere una specie di mostruoso incrocio tra una falena e un serpente, dal lungo collo spinoso, che reggeva tra le zampe un bozzolo di filamenti collosi.
All'interno c'era qualcosa che si agitava e che tentava disperatamente di liberarsi, e da un'estremità spuntavano ciocche di capelli rosa.
< Louise! > urlò Saito, distraendosi dal combattimento.
Venne infilzato da numerose picche brandite dagli scheletri animati, esponendolo all'attacco del Cerbero, la cui due teste rimaste mirarono al collo e al fianco.
Tossì sangue, ma spezzò le aste delle picche con Delfringr, sfruttando la rotazione per mirare ai colli congiunti del Cerbero, mozzandogli le teste.
La creatura non crollò, ma continuò a contorcersi, mentre leteste si rifiutavano di mollare la presa; Saito le ignorò e cominciò a correre verso la serpe-falena, sparando come un dannato alle ali.
Louise era in pericolo, quindi il dolore passava in secondo piano.
Doveva ignorarlo e continuare a combattere.
Balzò con tutta la forza che le sue gambe gli consentivano, al punto che sentì le guaine muscolari squarciarsi e i femori e le tibie venire incrinati dalla pressione, ma riuscì ad atterrare sul dorso del mostro, cominciando a trafiggerlo metodicamente con la spada.
Un nuovo portale si aprì davanti a loro, e vi caddero dentro, schiantandosi al suolo.
Almeno cinque costole rotte.
Si rialzò a fatica, reggendosi a Delfringr e ansimando, ogni respiro un fiotto di sangue che gli colava tra i denti serrati.
Quella non sembrava Tristain, somigliava piuttosto al suo mondo d'origine, ma c'era qualcosa di diverso... non si trovavano in Giappone, di sicuro.
Scansò il corpo della creatura e strappò Louise alla sua presa, cominciando a strappare il bozzolo a mani nude; i filamenti erano affilati come garrote, e presto Saito si ritrovò con le dita e i palmi delle mani sanguinanti e scorticati, ma non importava.
Louise era al sicuro.
Quando fu libera, Saito si concesse di svenire per la perdita di sangue, e di attendere che il suo fattore di guarigione lo rimettesse in sesto.
L'ultima cosa che vide prima di crollare furono gli occhi umidi di lacrime di sua moglie, che si appoggiava a lui, urlando il suo nome.
Oltre il Tempo e lo Spazio
Il Trono degli Eroi
La Chiamata era giunta.
Una nuova Guerra stava per cominciare.
Gli Spiriti Eroici si stavano radunando, chiamati da una singola, possente voce.
Non era una Guerra del Graal, poco ma sicuro.
Era qualcosa di diverso, qualcosa che minacciava il Trono degli Eroi stesso.
E così... l'Adunata.
Mordred Pendragon stava osservando il Portale che li stava richiamando di nuovo nel mondo.
Era diverso dal solito, l'ultima volta non era andata così.
E così restava seduta su una roccia con la spada in spalla, masticando un filo d'erba e rimuginando sul da farsi.
< Mordred? > domandò una voce famigliare.
Le si stava avvicinando un alto uomo dalla pelle scura, con lunghi capelli argentei e una pesante armatura a piastre che lasciava il petto scoperto; al fianco pendeva un pesante spadone.
Siegfried, il Saber Nero della Grande Guerra del Santo Graal.
< Che vuoi? > gli chiese Mordred, senza lasciar trasparire nessuna emozione, tranne forse una lieve ombra di fastidio.
Dopotutto, erano stati nemici, l'ultima volta.
< Volevo solo dirti che è un piacere essere dalla stessa parte, stavolta. > rispose Siegfried, con una scrollata di spalle < E che è un onore combattere al fianco di un Cavaliere della Tavola Rotonda. >
< Ci sono anche Lancelot, Gawain, Agravaine e Bedivere, solo contando gli altri Saber. > brontolò Mordred, senza alzarsi < Perché sei venuto a rompere proprio a me? >
< Abbiamo incrociato i nostri Noble Phantasm, in passato, e quindi pensavo di chiacchierare un po'. Tutto qui. > fu la risposta di Siegfried.
In effetti, la truppa dei Saber era piuttosto numerosa: c'era un giovane biondo dai tratti ellenici e l'armatura dorata che Siegfried era abbastanza sicuro fosse Giasone, e un figuro in armatura aderente nera, che doveva essere Sigurd, l'equivalente scandinavo di Siegfried.
< Se proprio devi. > rispose Mordred, con una scrollata di spalle < Hai idea di chi ci comanderà in battaglia? >
< Io sì. > rispose un colosso a torso nudo, armato con uno spadone simile ad una trivella.
Si trattava di Fergus Mac Roich, che oltre all'arma portava un barile di generose dimensioni e diversi boccali.
Era accompagnato da un giovane dai capelli corvini, con un neo su uno zigomo e, alla cintura, due corte lame che sembravano più che altro punte di lancia.
< Qualcuno vuole un po' di cervogia? > chiese Fergus, allegro, mettendo il barile per terra e cominciando a spillare dai boccali.
< Versa pure. > rispose Siegfried, prima di rivolgere lo sguardo al moro < Tu devi essere Diarmuid, giusto? Diarmuid del Ciclo Feniano? >
< In persona. > rispose l'altro.
< Non eri un Lancer? > domandò Mordred, afferrando un boccale di cervogia e cominciando a tracannare.
< Sì, ma quella versione di me è stata annientata in un'altra linea temporale. > fu la semplice risposta di Diarmuid.
< Comunque, tornando al discorso serio. > li interruppe Fergus, finendo di servire < Il nostro leader sul campo sarà Giulio Cesare. Comanderà noi, i Lancer e gli Archer. >
< Chi? > domandò Mordred, stupita < Quel panzone? >
C'era una tenda, nel campo creato dagli Spiriti Eroici, accanto a quella del loro Comandante.
Era la tenda di uno dei due Generali: Caio Giulio Cesare, Primo Imperatore di Roma.
Ed era sorvegliata da quattro dei più grandi Archer mai vissuti: Arash della Persia, Arjuna e Ashwatthama dell'India, e Chirone di Grecia, figlio di Crono il Titano.
Chiunque avesse tentato di avvicinarsi con intenzioni ostili sarebbe stato annientato prima ancora di arrivare alla portata dei sensi della maggior parte degli Spiriti Eroici lì presenti.
E all'interno della tenda, due dei più grandi strateghi che l'Europa avesse mai visto discutevano dei prossimi piani di battaglia.
Una specie di uomo-montagna dall'uniforme militare dotata di una scollatura a, che indossava un enorme cappello da ufficiale e che reggeva con la sola mano destra un colossale cannone dorato: l'Imperatore di Francia, Napoleone Bonaparte I, e secondo in comando proprio a Cesare.
Al suo fianco, analizzando le informazioni sulle truppe a loro disposizione, si trovava proprio il Primo dell'Impero, Giulio Cesare, che tamburellava sul tavolo di mogano con la mano sinistra di marmo bianco, accarezzandosi il mento con fare pensieroso.
< Quindi siamo d'accordo. > disse Cesare < A meno che non capiti qualche imprevisto, voi Archer coprirete l'avanzata dei Saber, mentre le forze dei Lancer si divideranno in due squadre che fiancheggeranno il nemico. >
< Lascia il compito di smembrare il nemico alla mia artiglieria. > ghignò Napoleone, battendo la mano sul cannone dorato < Nessuno può battermi, quando si tratta di guidare una salva di fuoco pesante. >
< Oltre ai quattro qui fuori, in chi altro consistono le tue forze per l'attacco a distanza? > domandò Cesare, ignaro che qualcosa stesse strisciando alle sue spalle.
< Possiamo contare su Nikola Tesla, Signore dei Fulmini, Robin Hood, Principe dei Ladri, Guglielmo Tell, Tiratore della Mela, e Tristano, Cavaliere del Lamento. Sono tutti estremamente validi. Noi nove abbatteremo certamente ogni nemico, e siamo una forza abbastanza flessibile da poter resistere in corpo-a-corpo. >
< Bene. Perfetto. > annuì Cesare, prima che un serpente di metallo gli strisciasse lungo la gamba e arrivasse fino al volto, cominciando a leccarlo.
< Dopo la fine che hai fatto in vita, si penserebbe che tu abbia imparato a guardarti le spalle, o Cesare. > disse una voce languida, proveniente dalle ombre della tenda.
< Ciao, Cleopatra. > sorrise Cesare, voltandosi verso l'alta figura dai lunghi capelli che gli si stava avvicinando ancheggiando vistosamente.
Cleopatra spinse gentilmente Cesare su uno sgabello lì vicino, e gli si accoccolò sulle ginocchia, mentre il serpente faceva le fusa solleticandogli il mento.
< Ancora a combattere, vero? > chiese Cleopatra, strusciandosi contro le generose forme di Cesare e abbracciandolo < Non sarai mai stanco di conquistare e vincere ovunque tu vada? >
< Stavolta è diverso, me lo sento nelle ossa. > rispose Cesare < Questa sarà l'ultima volta. Dopodiché, ci stabiliremo da qualche parte in campagna. Solo tu, io e Cesarione. >
< L'idea ha un suo perché... > riflettè Cleopatra, sorridendo beata.
< Io vi lascio soli. > sorrise Napoleone, uscendo dalla tenda e osservando il battaglione di Lancer che si sarebbe unito a loro nell'impresa.
Comandati da Brunhilde la Valchiria, una donna dai lunghi capelli argentei, gli Eroi delle Antiche Leggende, resi famosi dalle loro lance magiche, attendevano ordini.
Cù Chulainn, il Mastino di Culann, con la sua tuta blu come la notte e la sua famosa Gae Bolg, la lancia che trafigge e distrugge sempre il cuore del nemico.
Ettore, Principe di Troia, fissava in lontananza, verso l'altro lato del campo: lì si trovava il suo assassino, Achille figlio di Peleo; quale ironia, dover ora combattere insieme, dopo quello che si erano fatti a vicenda. A quanto pare, Ettore voleva espiare per quello che aveva fatto a Patroclo.
Karna, figlio del Dio Indù del Sole, teneva la lancia Brahmastra sulle ginocchia, mentre pregava la Trimurti per la possibilità di redimersi per gli errori del passato.
Re Leonida I di Sparta si limitava ad ungersi d'olio e grasso.
Nezha, Dea Cinese della Protezione e della Buona Fortuna, discuteva con Scathach, la maestra di Cù Chulainn; Scathach, dal canto suo, sembrava interessata solo alla battaglia imminente.
Primo Marzio Romolo, Fondatore di Roma, sedeva a gambe incrociate, uno sguardo arcigno in volto. Tipico.
L'ultimo era forse il più terrificante del gruppo: alto e vestito di un'armatura nera ricoperta di spuntoni, lorda di sangue ancora fresco e drappeggiata di un ampio mantello, aveva barba e capelli ingrigiti anzitempo.
Vlad l'Impalatore, Sire di Valacchia.
Napoleon si chiese distrattamente cosa stesse succedendo nella tenda del Comandante...
< Quindi, deve proprio accadere, Merlino? > domandò Giovanna d'Arco, aggiustandosi l'armatura, ad uno dei suoi Consiglieri più fidati, il Figlio di Ambrosinius e mentore di Re Artù.
Nella tenda c'era anche Sieg, il giovane Homunculus divenuto Spirito Eroico, che guardava ora Giovanna, ora Merlino, con fare preoccupato.
< Purtroppo è inevitabile. > disse il mago con aria grave < Le stelle indicano che tu e Sieg dovete attaccare per primi, da soli, o la sconfitta sarà certa. >
< E sia. > rispose Giovanna, impugnando il suo stendardo e annuendo con fare serio < Comunica la notizia agli altri strateghi e ai Generali. >
< Ne sei sicura? > domandò Sieg, avvicinandosi e prendendole le mani tra le sue < Non sappiamo cosa ci aspetterà stavolta. Potrebbe essere peggio dello scontro con Tokisada... >
< Non dovrei essere io a preoccuparmi? > tentò di scherzare Giovanna, carezzando il volto di Sieg.
< Non è il momento. > rispose l'Homunculus < E se proprio dobbiamo andare noi due da soli, permettimi almeno di poterti aiutare di più. >
< Non vorrai...? > si accigliò Giovanna < No, è troppo pericoloso! >
< Devo. Per colei che mi ha dato il gusto di vivere. >
Giovanna si voltò rapidamente, per non mostrare di essere arrossita.
Pochi istanti dopo, da dietro la tenda emerse un possente dragone dalle immani ali di pelle, il solo cranio tre volte più lungo di un essere umano e sormontato da lunghe corna ricurve.
Sul suo dorso, in mezzo alle ali, cavalcava Giovanna, lo stendardo che garriva al vento, dirigendo Sieg, trasformato nella Leggenda del terribile dragone Fafnir, verso il Portale.
Quando ne emersero, si ritrovarono davanti ad una mostruosità: una specie di drago ben più grosso di Fanfir stesso, ritto sulle zampe posteriori e con un volto demoniaco pieno di corna luminescenti.
Due spuntoni crescevano dalle spalle, e altri, simili a denti di lupo, decoravano gli arti, mentre la lunga coda a frusta terminava in una specie di chela chitinosa.
Quell'essere era alto almeno centosessanta metri.
Giovanna ebbe un momento di timore, ma si riebbe, spronando Sieg all'attacco: se quel mostro voleva la guerra, l'avrebbe avuta.
SCP Foundation
Contemporaneamente
< Dottor Bright! > chiamò Coppers < Professor Yano! >
< Che succede, Coppers? > domandò Bright, distraendosi dai suoi sottoposti che raccoglievano i fresti delle sue attrezzature da sotto le macerie.
< Qualcosa è emerso da un portale e sta ingaggiando Destoroyah. > spiegò Coppers, indicando uno schermo.
Sì, era Seattle, che era stata scelta come tana dall'abominio nato dall'Oxygen Destroyer; sugli schermi, Destoroyah stava venendo attaccato da... una bionda armata di stendardo in groppa ad un drago?
< Si farà ammazzare! > esclamò Yano, mentre Bright si voltava di nuovo verso la bassa manovalanza.
< Preparate il mio mezzo. > ordinò < Direi proprio che è il momento di mostrare a questo bio-ingegnerizzato cafone rifatto chi è che comanda in questa Realtà. >
< La cosa strana è che tanto la ragazza quanto il drago emettono strane energie. > spiegò Coppers, indicando alcuni valori sui monitor < Potrebbero riuscire a tenere testa abbastanza a lungo a Destoroya, se si tengono alla larga dall'Oxygen Destroyer. >
< Coppers, coi "potrebbero" e coi "se" non si vincono le guerre, per Diana! > esclamò Bright, che si era messo spallacci abnormi, un visore di precisione su un occhio e un elmetto pickelhaube prussiano con la scritta "Born to Science".
< Ora è il momento di agire! >
Regno di Melromarc
Località imprecisata
Naofumi, l'Eroe dello Scudo, stava facendosi le coccole con sua moglie, abbracciandola teneramente e baciandole il ventre che già cominciava a crescere.
< Allora, Raphtalia... > domandò, accarezzandole le orecchie da procione < Hai già deciso come chiamarla? >
< Come fai a sapere che sarà una lei? > chiese Raphtalia, ridacchiando.
< Beh, perché prenderà tutto il meglio da te, ovviamente. > sorrise Naofumi, baciandole la punta del naso.
Era passato del tempo: le Ondate della Calamità erano state fermate, Naofumi aveva deciso di restare nel mondo di Raphtalia, ed era riuscito a mettere da parte l'aria da burbero abbastanza da inginocchiarsi e fare la domanda fatidica.
E ora avevano una bellissima bambina in direttura d'arrivo.
La vita di Naofumi era finalmente felice.
Ovviamente non poteva durare, infatti sentì una strana, familiare sensazione: la stessa di quando era stato evocato in quel mondo.
In un istante, lui e Raphtalia si ritrovarono in caduta libera, e subito Naofumi evocò degli scudi per attutire la caduta; non poteva permettere che sua moglie soffrisse ancora per colpa sua.
Crollati al suolo, scoprirono di essere caduti dalla padella nella brace: erano circondati da specie di strani crostacei, con un lungo collo dal volto umanoide e cornuto, e arti falcati simili a quelli di una mantide, ma coperti di spuntoni, che spuntavano da dietro tale collo.
Naofumi deglutì a vuoto: non poteva difendere Raphtalia contro tutte quelle creature, specie ora che lei non poteva combattere al suo meglio.
Merda.
Fu allora che udì lo schianto, causato da una specie di colossale dinosauro di metallo che atterrava a poca distanza.
< E va bene, insensato agglomerato di zooplancton, cellule crostacee mutanti e bio-arma proibita dai Protocolli di Kyoto, fatti sotto! > urlò Bright, la voce che usciva dagli altoparlanti montati ai lati della testa del Dragonzord, a cui Bright aveva installato due gigantesche motoseghe in fiamme sugli avambracci.
Shirou aveva visto un ragazzo circa della sua età e una ragazza incinta in pericolo, e non aveva neanche riflettuto: era balzato tra loro e le creature brandendo le sue due spade, seguito rapidamente da Rin, Ko'atal e Gabriel Seth.
Gli Eroi della Giustizia non avrebbero permesso che degli innocenti si ferissero.
Parigi, Francia
In quello stesso momento
Saito si svegliò e vide un gigantesco volto d'insetto davanti a sè; memore della falena-serpente, estrasse istintivamente Delfringr, ma la voce della sua spada lo rassicurà.
< Ohi, compare, non preoccuparti. La falena e le sue sacerdotesse ti hanno aiutato a guarire più in fretta. >
< Sacerdotesse? > domandò Saito, mentre dalla fronte della falena emergevenao due puntini luminosi che si rivelarono delle giovani donne alte poco più di un palmo.
< Siamo le Shojobin. > dissero le due in coro < E la bontà del tuo cuore è stata percepita da Mothra, la Grande Dea Falena. >
< Dea Falena. Okay. > disse Saito, più a se stesso che alle Shojobin < Assolutamente sensato. Esistono draghi, Elfi e maghi, perché non una Dea Falena? >
< Saito! > strillò Louise, in lacrime, arrivando alle sue spalle e balzandogli al collo, per poi arrampicarsi sulla sua schiena e cominciare a tempestarlo coi piccoli pugni.
< Stupido cane! > strillò la ragazza < Non ti avevo detto di stare attento? Mi hai fatto preoccupare da morire! >
E le Shojobin li fissavano senza sapere bene che pesci pigliare.
Fuori dall'atmosfera terreste
Oltre il limite estremo della Via Lattea
In rapido avvicinamento
La massa di fuoco, campi elettromagnetici esotici e magma avanzava a velocità sub-luminale, diretta con fare deciso verso la Terra.
Tre coscienze la abitavano, tre menti guidate da una sola volontà.
E le tre menti pensavano all'unisono.
< Io... sono... tempesta... >
Il ricordo della battaglia con la loro nemesi era ancora forte, ma stavolta Godzilla sarebbe morto.
< Io... sono... > pensarono le tre teste di King Ghidorah.
< ... la fine. >
ANGOLO AUTORE:
Scommetto che questo non ve l'aspettavate, eh?In sintesi, spero che questo terzo prologo vi soddisfi, ne mancano solo altri due e poi si comincia con la storia vera e propria!Ne vedrete delle belle!
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