Cielo, pianti e amore.
Ero miope di te, papà,
o eri forse tu che ti sbiadivi?
C'erano cieli azzurri e splendenti,
allora,
eppure io li vedevo solo grigi.
Anonimo.
***
Le tenebre delle notti stellate odorano di sicurezza. Il buio culla i respiri, abbraccia gli animi tristi, gli sussurra che andrà tutto bene. Le stelle sono compagne fidate, amiche silenziose, timide luci consolatorie.
Sono belle, le notti stellate. Sono un po' come la medicina dell'anima.
Così pensa Manuel mentre osserva il fumo volare verso la volta notturna. È seduto sul bordo della piscina vuota del giardino di casa Balestra, le gambe che penzolano nel vuoto, l'erba che gli solletica il palmo della mano sinistra, una canna ben salda nella mano destra. Il silenzio è il suo unico amico; le stelle le sue uniche confidenti.
È una sera d'autunno, di quiete d'ottobre.
Eppure, qualcosa urla dentro Manuel.
Sono i suoi demoni.
I suoi demoni, che urlano e scalciano come piccoli mocciosi agitati. I suoi demoni, che sono le stesse lacrime che versava da bambino quando la notte sognava di avere un papà. I suoi demoni, che sono i ragazzini al campetto che aspettavano che i papà li andassero a vedere, e i padri che sorridevano ai loro figli alle recite delle elementari, e le famiglie felici e unite in tutti i parco giochi di Roma.
Gli stessi demoni che ora gli stanno divorando il petto, che gli stanno mangiando la testa, che gli stanno soffocando il cuore.
Manuel sospira profondamente.
Aspira, cerca un po' della calma che ha perso. Pensa e ripensa alla rabbia che ha provato. Pensa alle urla che ha rivolto alla madre, agli sguardi di fuoco che ha rivolto a suo padre, alle maledizioni che ha rivolto ai cieli, alle colpe che ha rivolto a se stesso.
Scuote la testa, ricercando la lucidità che gli è sfuggita nel momento in cui ha origliato quella conversazione tra sua madre e suo padre.
E per un po' riesce a illudersi, credendo di essere arrabbiato.
Poi però si rende conto di averla già ritrovata, quella lucidità. Che non c'è più un fuoco che deve spegnere, un'alluvione che deve arginare. Che non prova più furia, e che non la prova più da un pezzo.
Capisce che tutta la rabbia si è sciolta, lasciando uno spazio pieno di nulla.
Solo e soltanto puro dolore.
A Manuel un po' si stringe il cuore. Vorrebbe davvero riarmarsi di rabbia: sarebbe più facile affrontare tutto. La rabbia, perlomeno, è un'emozione che conosce e che sa gestire.
Ma il dolore.
Quello è un'altra cosa.
Manuel non sa come si risponde al dolore. Non sa come si lotta contro le ingiustizie del cuore senza ira, e non ha la forza di affrontare le crudeltà della vita. Si sente debole, vulnerabile, invisibile. Si sente come un pezzo di plastilina modellato male, o il burattino protagonista di uno spettacolo vile e spregevole.
Manuel è stanco, ma stanco sul serio. È esausto, consumato, e sente di non avere più spazio per nessuna emozione. Ha l'apatia nel petto, e le lacrime bloccate in gola.
Perché pensava di avere il controllo della sua vita, e invece è venuto a sapere che è sempre stata tutta una bugia. Perché pensava che sua madre fosse l'unica persona a meritarsi la sua fiducia, e invece non era vero neanche quello.
Perché non è stata la vita a privarlo di un padre, ma sua madre.
E gli sembra quasi tutto uno scherzo, tutto un incubo da cui presto si sveglierà. E lo spera davvero, per un istante; si concede di perdersi tra i fumi dei pensieri, di non pensare a niente.
Poi, però, un soffio di vento gli accarezza le gote, e allora capisce che tutto è reale.
È tutto vero, pensa sconsolato.
Ho un padre vero.
La brezza mormora tra le foglie. Manuel guarda il cielo, lega le stelle con fili trasparenti, la vista annebbiata dal fumo, il cuore tremolante per il gelo. Si rifiuta di sentire, di riflettere, di rivivere. Cerca una via di fuga, tra le pieghe infinite dell'universo, tra gli spazi del buio, sotto le stelle e nella polvere dei pianeti.
Non trova nulla.
Soltanto polvere.
"E a me un tiro non lo fai fare?"
D'improvviso, l'aria tanto pesante e soffocante che lo circondava si fa più leggera. Manuel inspira; non si era accorto, perso com'era nel mare dei suoi sentimenti, dell'arrivo di una presenza, di una luce nuova.
Si volta piano, alza il viso, è incontra gli occhi preoccupati dell'altro che lo scrutano dall'alto.
Va tutto bene, gli sussurra la notte nell'orecchio. È arrivato Simone.
"Seh," sospira Manuel, battendo sul pezzo di prato affianco a lui per invitare Simone a sedersi. "daje, siediti. Ce la smezziamo."
Simone annuisce, e un angolo della sua bocca si incurva leggermente. Poi si siede velocemente, gli sfila la canna dalle dita, aspira e rilascia fumo nel cielo.
Non parla, aspetta prima di farlo.
Manuel pensa che è raro, che qualcuno ti conosca così intimamente da sapere ciò di cui hai bisogno senza neanche doverlo guardare. Eppure, con Simone è così.
Simone sa che deve aspettare. Sa che Manuel ha un nodo in gola che non gli permette di parlare, che aspetta solo di sciogliersi per far uscire finalmente le lacrime. E allora aspetta che Manuel si prenda il suo tempo, che Manuel torni a respirare con regolarità, che si senta pronto a parlare con lui.
Perché tutto è così naturale tra loro, niente è mai forzato.
Con Simone è tutto più facile.
Manuel si morde un labbro e fissa il fondo della piscina. Sente gli occhi vispi di Simone bruciare sulla sua figura, sulla sua pelle. Sa che l'altro è pieno di domande, che muore dalla voglia di sapere perché è scomparso tutto il giorno. Fa un respiro profondo e si stringe nelle spalle.
Poi, incontra lo sguardo di Simone.
E per un attimo dimentica che la sua vita è una bugia.
"Vabbè Simò, l'ho capito che stai a freme dalla voglia de chiederme che ho fatto. Guarda che lo puoi fa', eh—non te mangio mica." tenta di sorridere.
Ma è forzato, e Simone se ne accorge.
Il più piccolo scuote la testa e schiaccia quel che rimane della canna sull'erba.
"È che non mi sei venuto a cercare—e non ti voglio forzare a parlare, Manuel. Sto' qui solo per farti compagnia, non per costringerti a raccontare cose che non vuoi."
Manuel studia i tratti del suo volto. Sono così morbidi al chiaro luna, così dolci. Le ombre giocano e si rincorrono sulle sue guance, e Manuel sta a fissarle per un istante, perché sembrano vere, ma vere davvero.
Che la sua vita sarà pure una bugia. Eppure, la quella gentilezza negli occhi di Simone è reale, ed è per lui.
Sei la mia unica cosa vera.
"Grazie Simò. Grazie sur serio."
E se Simone sente la nota tremolante nella sua voce, allora sceglie di ignorarla.
Passa qualche momento. Il labbro di Manuel sta per sanguinare; le gambe di Simone si agitano affianco a lui. Le dita delle loro mani si sfiorano sul prato e lo sguardo di Manuel vaga ancora nel cielo stellato.
Una lacrima solitaria nasce nel suo occhio destro, e Manuel lo chiude per respingerla.
Deglutisce.
Il nodo in gola si sta sciogliendo.
"Sai se mia mamma è tornata, Simò?" chiede d'un tratto. La domanda gli attraversa la mente improvvisamente, e sente il repentino bisogno, nonostante tutto, di sapere che sua madre sta bene, che è a casa.
Simone sospira e lo guarda sottecchi.
Manuel lo osserva mordersi l'interno della guancia nervosamente.
"Si, è a casa," risponde inizialmente, dando l'impressione di voler chiudere lì la risposta. Poi, però, sembra ripensarci; allora deglutisce, abbassando lo sguardo verso le loro mani vicine. "in verità, io—io l'ho sentita piangere, prima. Parlava con papà. Ecco, te lo volevo dire. Non so cosa sia successo tra voi—e se non vuoi dirmelo va bene—però ho pensato che forse volessi saperlo. Sta molto male, Manuel. L'ho sentito nella sua voce."
Manuel sente il secondo filo di quel nodo allentarsi. Nei suoi occhi sboccia una seconda lacrima, viva e lucente; stavolta, però, Manuel la lascia cadere.
Non ha più forza per scappare dal pianto.
"Va bene se non vuoi dirmi che hai fatto," continua Simone, con voce tenera e accogliente. "però Manu—se vuoi parlarne, se vuoi sfogarti, io sono qui. Lo sai."
Lo so, Simò, Dio se lo so.
Perché Simone c'è sempre, anche tra le sue bugie. E lo può scorgere in ogni angolo dell'abisso in cui annega da sempre, pronto ad ancorarlo alla realtà, pronto a riportarlo a galla.
Perché è sempre Simone a salvarlo, alla fine.
È sempre lui la sua verità.
"È papà, Simò."
È tutto ciò che Manuel riesce a dire. Non riesce a mettere insieme altro; non riesce a ricostruire i pezzi. È una frase senza senso, confusa, che non ha né capo né coda. È il disordine della sua testa e della sua vita.
Simone aggrotta le sopracciglia, e Manuel lo sa che non ha capito ed è preoccupato. Ma le corde vocali hanno smesso di vibrare.
Le bugie hanno spezzato anche quelle.
"Ma Manuel—in che senso papà? Di che parli?"
Ma Manuel ha già ceduto al dolore. Il nodo ormai si è sciolto, lo ha fatto nel momento in cui gli occhi di Simone lo hanno sfiorato con la loro tenerezza. La voce gli manca, la lucidità pure; ma soprattutto, gli manca il calore.
È tutto così freddo, quella notte.
Persino le stelle.
"È papà, Simo. È—" e scuote la testa, delirante. Qualche lacrima gli solca il viso, e ormai sta singhiozzando. Ma non gli importa nulla. "è papà. Nicola, il padre di Viola—è mio padre, Simò, capisci? Quello che me manca da tutta la vita—"
Manuel non completa mai quella frase.
La sua vista, invece, si vela; il mondo diventa sfocato, la realtà perde colore. Tutto intorno a lui si trasforma in mille sfumature: tutte diverse, tutte mischiate, tutte disomogenee. Perde l'udito, la vista, si abbandona alla follia di quel dolore.
E Simone sussulta, perché non ha mai visto Manuel così fragile.
Perché non l'ha mai visto piangere fino a perdere il fiato.
"Oh mio dio, Manuel—vieni qua. Dai, vieni qua." e così dicendo, allunga un braccio e lo passa intorno al collo di Manuel.
Manuel lo lascia fare. Pensa che è il calore della mano di Simone sulla sua pelle a tenerlo in vita, crede per un attimo che sia il braccio di Simone che lo attira a sé a permettergli di respirare. E allora si aggrappa all'unica fonte di ossigeno con tutte le proprie forze.
Il suo viso cade flebilmente sul petto di Simone, che con delicatezza gli accarezza il braccio. I suoi singhiozzi si fanno più rumorosi, le sue lacrime più veloci, e Manuel sente l'improvviso bisogno di toccare qualcosa di vero con mano, il cotone della felpa di Simone, in cui affonda le dita come se le sue unghie fossero un'ancora e il tessuto il fondale marino.
Piange a intermittenza. Il petto è scosso da gemiti irregolari, le lacrime scendono ininterrottamente, e Manuel si sente vetro fragile e sottile tra le dita di Simone, vulnerabile come mai si è sentito affianco qualcuno. Eppure, non ha paura che Simone possa frantumarlo.
Simone è cauto, Simone è morbido come lo coperte d'inverno.
Manuel sa che non lo danneggerebbe mai.
"Simò, è papà...papà..." continua ripetere contro il cuore dell'altro. È un disco rotto, niente può aggiustarlo. Neanche si rende conto della forza con cui le sue unghie stanno graffiando la felpa di Simone, dell'energia che sta investendo nell' avvinghiarsi a lui.
Nel mentre, Simone ha il fiato corto; ma le sue braccia sono ferme intorno a Manuel ed è tutto ciò di cui Manuel ha bisogno.
Se è preoccupato da morire dentro, lo cela bene.
Sa che non è lui a dover essere consolato, ora.
"Shh—è tutto okay Manu. È tutto okay."
Il bisbiglio di Simone è una carezza sul suo cuore. È tenero, di miele, è la luce di una stella affianco a un buco nero. E Manuel si lascia illuminare, si lascia accarezzare.
Sente un naso tra i capelli, e un debole schiocco di labbra sulla fronte.
Sospira. "Scusa—scusa, scusa, scusa—"
"È tutto okay. Va bene così, Manuel. Rilassati, sfogati. Sto' qua," sussurra Simone, la voce ammorbidita dai capelli di Manuel. "Sto' qua."
E nel delirio generale, Manuel si lascia scappare il fiume di emozioni che gli scorre in gola. Perché Simone sta lì, sta lì, con lui, ed è reale, e gli vuole bene, e Manuel non se lo merita, perché lui ha macchiato la vita di sua madre, e avrebbe appesantito quella di suo padre, e ha spezzato Simone con le sue parole eppure lui è sempre qui con me.
"È colpa mia Simò," urla allora, gli occhi serrati e la testa dolorante, la mano stretta in un pugno che quasi sta strappando i vestiti di Simone. "è colpa mia—e lei ci ha tenuti lontani—e un peso per lei so stato—e sarei stato' un peso per lui—un peso per tutti Simò, un peso per tutti—"
Ma Simone non ne può più di ascoltarlo delirare. Non può lasciare che pensi di essere un peso, perché Manuel è arrivato nella sua vita e ha rivoluzionato tutto, ha ridato forma e colore alla realtà, ha ridato luce alle giornate, e questo non lo fa un peso, perché un peso lo avrebbe schiacciato, ma da quando c'è Manuel Simone si sente solo più leggero.
Allora fa un respiro profondo e lascia cadere una lacrima sulla propria guancia.
Il corpo di Manuel ancora trema tra le sue braccia.
"Non è vero che sei un peso," gli dice, piano, ma con urgenza, perché ha bisogno che Manuel lo sappia. "sei la cosa più leggera della mia vita. Hai capito, Manuel? La cosa più leggera. E sono contento che ci sei. Sono felice che sei qui con me."
"No—so un distruttore—"
"No Manuel, no. Non sei un distruttore, non lo sei. Tu mi hai migliorato la vita, hai capito? L'hai migliorata a tutti."
Ma Manuel non gli crede. Manuel, ormai, non crede più a nessuno.
"Io t'ho solo fatto male—come a tutti—"
"No," lo interrompe immediatamente Simone. "cioè si, mi hai fatto male. Ma Manuel—tu mi hai reso anche libero. E non scherzo, Manuel, quando dico che la tua presenza rende le mie giornate più leggere."
Perché per amare, ci vuole un cuore leggero.
Manuel scuote il capo. Ha vissuto di solo tatto dal momento in cui il primo singhiozzo gli ha rotto la gola: ha vissuto del cotone sotto le proprie dita, della coccola di Simone sulla sua spalla, delle labbra di Simone sulla sua fronte. Ha tenuto gli occhi chiusi, tutto il tempo; si è lasciato accudire dal buio, per paura di lasciarsi acciecare da una ferita troppo abbagliante.
Ora, però, Manuel apre gli occhi. Incontra il rosso della felpa di Simone, e il viola delle sue mani gelide strette intorno al tessuto. Allenta un po' la presa. I singhiozzi si sono calmati, il suo battito è rallentato.
Tira su col naso e si lascia inebriare dal fresco profumo di Simone.
Poi solleva un po' il corpo per poterlo guardare negli occhi. Nel farlo, però, si cura di non sfuggire alla presa del braccio dell'altro.
"Simò." riesce a dire soltanto. Perché di nuovo, il fiato gli blocca la voce.
Ma non fa nulla.
Simone capisce.
"Manu." incurva leggermente le labbra. Le sue iridi sono morbide lenzuola, profumate, e Manuel vi si addormenterebbe dentro e saprebbe di essere al sicuro.
Si morde un labbro, corrugando la fronte in un espressione sofferente.
"Grazie—che ce stai. Se non ce stavi, non so come facevo."
Al che Simone gli porta una mano tra i capelli, arruffandoli un po'.
Manuel arriccia il naso.
"In quel caso, c'avresti il letto tutto pe' te." Me stai a dì che non c'avresti messo la firma?" tenta di stemperare la tensione Simone.
E Manuel lo sa che sta cambiando argomento per dargli di riassorbire tutte le emozioni che ha perso sul prato. Per fargli tempo di metabolizzare, di calmarsi, di cambiare aria.
Di respirare ancora un po', prima di tornare ad affrontare la vita.
Lo ringrazia mentalmente.
Appunto. Chissà come farei senza.
"E poi a chi romperei le palle la mattina?" sorride un po'. "Guarda che sarebbe na' palla, eh."
"E questo è un modo tutto tuo per dirmi che sei contento contento de dormì co' me?"
C'è un filo di malizia, nello sguardo di Simone. Manuel alza gli occhi al cielo prima di dargli una leggera spallata.
"Seh certo, come no," nega. Eppure, ancora è stretto nell'abbraccio di Simone. "O magari sei tu che sei fin troppo contento de dormì co' me."
"Ambè certo," replica allora Simone, rispondendo all'attacco. "perché so' proprio felice de sentirte russa' la notte."
"A me non me pare che te lamenti."
"Forse dovrei—ma so troppo innamorato di te, quindi non lo faccio."
Manuel si sente mancare l'aria. Il tono di Simone è scherzoso, è chiaro che abbia pronunciato quelle parole con l'unico scopo di farlo impazzire. Eppure, qualcosa dentro di lui si agita comunque.
Solleva un sopracciglio e tira su col naso i residui delle ultime lacrime.
"Ah si? E quindi sei innamorato de me, eh? E non avevi detto che non ero il tuo tipo?"ribatte, cercando di intingere la sua voce di scherzo. Allarga le labbra in un sorriso dolce, un po' macchiato di angoscia. Non è del tutto guarito. Ma ora sta meglio.
"Vabbè, e ho detto na cazzata,"Simone fa spallucce, sorridente. "lo sai che mo ho preso la passione pe' i criminali."
Manuel scuote la testa. Una risata gli vibra in petto, ed è vera, è genuina. Con un movimento repentino si stacca un po' da Simone, così da potergli tirare un buffetto sulla nuca. Simone grida "Ahia!" e sposta il braccio che posava sulle spalle di Manuel; Manuel ride di gusto.
"E ben te sta," asserisce, autoritario. "così te impari a incasinarti la vita co' gente come me."
I loro occhi si incontrano, e la notte intorno a loro si sfuma. Qualcosa nelle iridi di Simone sfuma: il riso diventa preoccupazione, lo scherno scompare improvvisamente. Manuel deglutisce sotto quello sguardo.
Le stelle li osservano silenziosi.
"Te l'ho già detto, Manuel. Tu la vita non me l'hai incasinata—me l'hai resa migliore."
E il tono di Simone è così serio da causare a Manuel un brivido lungo la schiena.
Il più grande deglutisce, abbassando lo sguardo. Si fissa le mani, giunte e sudaticce, e per un attimo si scopre a desiderare che Simone lo abbracci di nuovo.
"Anche tu, Simò," sussurra poi, e le lacrime gli stanno di nuovo martoriando il cuore, così come il viso di suo padre, e come la voce di sua madre, ma non ha paura, perché c'è Simone. "anche tu me l'hai resa migliore."
Perché tu, l'hai resa reale.
***
Os inspirata da promptino su curious cat.
Grazie di aver letto fin qui.❤️
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