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Capitolo secondo

Helene stava guardando fuori dalla finestra, afflitta perché il sole illuminava la bellissima tenuta da caccia di suo marito e lei non poteva nemmeno uscire per fare una passeggiata a cavallo.

Si sentiva come se avesse il vomito perenne, ogni volta rifiutava il cibo che le veniva porto a pranzo e a cena perché sentiva la bile risalirle lungo tutto lo stomaco e non era affatto una bella sensazione, specialmente se non l'aveva avuta per sedici anni della sua misera vita.

Non aveva detto niente a nessuno, ogni volta rifuggiva dallo sguardo indagatore di suo marito perché si sentiva indegna di guardarlo, non era assolutamente la moglie dedita e ubbidiente che lui avrebbe voluto, anche perché non faceva altro che assentarsi dalla sala da pranzo e non voleva assolutamente che lui dormisse nel letto matrimoniale insieme a lei.

Questa nausea le era iniziata un mese dopo il matrimonio ed era continuata per quello successivo, inoltre sentiva una strana presenza dentro di lei, minuscola, ma che aveva delle esigenze che dovevano essere soddisfatte. Non sapeva affatto che quel minuscolo fagiolino che ospitava sarebbe diventato la sua ragione di vita e di felicità, il suo tenero bambino primogenito.

Siccome voleva continuare a passeggiare a cavallo, togliendosi però questa strana sensazione, decise di consultare un medico, il quale le avrebbe detto con precisione quale fosse la causa del suo male.

Il medico, un esperto nel campo di quella disciplina che oggi conosciamo come ginecologia, arrivò un bel dì di fine luglio, e si presentò alla giovane duchessa con riguardo, facendole il baciamano come di cortesia.

Helene odiava le troppe attenzioni, le creavano ansia e panico e non era una creatura che si sarebbe trovata a suo agio nei balli di gruppo. La giovane si morse forte il labbro inferiore ed iniziò a spazzolare con la mano destra i lunghi capelli bianchi, contorcendosi ancora di più a causa dell'ansia.

Mentre il dottore posizionava i suoi strambi attrezzi, che somigliavano più a quelli di un macellaio che a quelli utilizzati da un medico di famiglia odierno, le venne un conato di vomito ed una servetta che si trovava nella stessa stanza per aiutare la sua signora in caso di malessere, si precipitò a prendere il vaso da notte e a darlo velocemente alla duchessa, aspettando che costei rimettesse tutta la colazione prima di posizionarlo di nuovo al suo consueto posto.

Il dottore restò alquanto stupito dal comportamento della giovane, e le disse di stendersi sul letto, volendo controllare il suo respiro ed i battiti del cuore, prima di procedere ad una visita più specialistica. Prese una mano della sedicenne e tossì appena, mentre i suoi capelli grigi gli andavano sulla fronte, oscurandogli un poco la vista.

Kurtz, così si chiamava, era uno di quei medici che visitavano tutti i paesani e i nobili, esigendo una paga differente a seconda del grado di nobiltà. Era un omone, dai fianchi e dalle spalle larghe, con i baffi grigi imponenti, come richiedeva la moda in Prussia, e curati con cera d'api. Si notava chiaramente che avesse superato la sessantina d'anni, ma si occupava del suo lavoro con la stessa passione di quando ne aveva venti. Aveva inoltre dei bellissimi occhi celesti, dello stesso colore del mare, e una bocca grande ed espressiva. Le sue mani erano piene di calli e suscitavano alquanta impressione alla ragazza, che si ritrasse un poco quando vide che l'anziano dottore le stava per toccare l'area in prossimità del cuore.

I medici di paese avevano una loro personale uniforme, composta da un simil-camice nero, cravatta e panciotto, e portavano una pesante valigia nera dentro cui mettevano tutti gli strumenti del mestiere.

"Non abbiate paura, duchessa Helene, la visita sarà rapida e veloce, ma mi dovrete dare il vostro contributo. Non posso fare tutto da solo, mi serve che voi non urliate o diciate una sola parola e che conteniate tutto il vostro dolore. Purtroppo non esiste ancora un farmaco che diminuisca il dolore quando bisogna amputare una gamba, far nascere un bambino, estrarre i denti o, come nel nostro caso, verificare se siate incinta o meno."

A quelle parole Helene strabuzzò gli occhi: aveva solo sedici anni, non poteva permettersi di rimanere incinta e in ogni caso, doveva non far scoprire a suo marito che portava in grembo un bambino, altrimenti avrebbe inscenato la sua solita sfuriata e l'avrebbe costretta ad abortire.

Certo, avevano fatto sesso la sera del matrimonio, ma non perché entrambi volessero, ma per convenzione e tradizione. Il mattino dopo le serve avevano controllato che sulle lenzuola ci fosse il sangue dovuto alla rottura dell'imene dopo la penetrazione, dunque non avrebbero potuto aspettare prima di sverginarsi entrambi.

Il problema era che Heinrich non si voleva prendere subito cura del suo probabile erede, ma voleva continuare a cacciare selvaggina nei suoi boschi al posto di cullare un probabile bambino o bambina. Aveva tutta la mentalità di un diciottenne di quel secolo, dediti solamente alla caccia e al sesso con le prostitute, le mogli venivano di secondo piano.

Si lasciò visitare dal medico, trattenendo tutti i conati di vomito e sudando come non aveva mai sudato, anche perché aveva molta paura del verdetto finale. In effetti il ciclo non le veniva da un mese, ma le mestruazioni le avevano sempre fatto brutti scherzi dato che un anno le erano venute un mese sì e un mese no.

Il medico le tastò la pancia e la zona uterina con professionalità, dopotutto conosceva tutti i malesseri che avevano le sue pazienti e sapeva risolverli alquanto bene senza fare troppo il macellaio. Helene aveva paura un poco dei medici perché da bambina uno la stava per seviziare, menomale che suo padre era intervenuto! La povera bambina avrebbe sempre portato quel trauma senza riuscire mai a darsi una spiegazione, anche perché Helene sapeva trovare del bello in tutte le persone e non credeva che la crudeltà esistesse realmente.

Gemette e urlò, stringendo forte le coperte a causa del dolore, mentre le sue gambe iniziarono a tremare vertiginosamente ed impedivano quasi al dottore di visitarla decentemente. Il povero Kurtz dovette fare dei miracoli affinché la visita procedesse al meglio e alla fine tranquillizzò la povera adolescente, accarezzandole un poco la pancia. La duchessa deglutì, chiudendo gli occhi e cercando di non pensare a tutto il dolore che aveva provato nell'ora precedente, rannicchiandosi nelle coperte del letto matrimoniale.

"Allora, volete dirmi che cosa ho o dovrò morire di crepacuore?" domandò la ragazzina, alquanto impaziente e arrabbiata per le cicatrici che le avrebbe lasciato quell'intervento.
Il dottore sorrise, chiudendo per qualche minuto gli occhi.

"Diciamo, mia signora, che tra otto mesi darete un erede al duca" disse con tranquillità l'omone, togliendosi i guanti in pelle che aveva utilizzato per la visita ed asciugandosi la fronte con un fazzoletto che teneva dentro il suo panciotto.

Ad Helene sembrò che le cadesse il mondo addosso, aveva una paura matta di deludere Heinrich e tutto il ducato dato che avrebbe dovuto partorire a 17 anni compiuti.

"No, io non ce la farò a partorire un bambino, è una sfida troppo ardua per me!" ammise spazzolandosi con ancora più furia i capelli e mordendosi il labbro inferiore, mentre il cuore le iniziò a battere fortissimo per tutta l'ansia e lo stress che aveva accumulato. Il povero medico dovette calmarla immediatamente, se non voleva essere accusato di omicidio dopo che ad Helene le fosse venuto un infarto.

"Mia signora, non vi dovete disperare, la gravidanza è un periodo bellissimo per tutte le donne e so che voi partorirete di certo un maschio sano e forte per il duca. Avete un utero robusto, dunque avrete tanti figli maschi." sospirò, alzandosi dal letto e sistemando tutti gli strumenti nella valigia, facendo poi per andarsene.
"Se aveste bisogno di qualsiasi aiuto, io sono sempre pronto a servirvi, signora."

Dopo aver detto ciò salutò le altre domestiche ed uscì dal castello, tornandosene al villaggio.
Helene iniziò a prendere a pugni il cuscino con forza, scoppiando a piangere. Tremò come se fosse in ipotermia e decise di andarsene a letto, non sapendo che cosa dire a suo marito una volta ritornato da caccia.
Chiamò due serve affinché la vestissero e le disponessero le lenzuola, cadendo poi in un sonno profondo.

Il sogno che fece era alquanto strano: sognò di tenere in grembo un bellissimo maschietto, albino come lei e dagli occhioni azzurri e curiosi. Era avvolto in una copertina azzurra e muoveva allegro le sue manine, guardando la mamma con dolcezza. La ragazzina si intenerì alquanto nel vedere il suo futuro bambino, e lo coccolò dolcemente, fino a che non si addormentò. Gli sorrise, prendendo una manina con il dito indice della mano destra e chinandosi successivamente, sussurrando il nome "Friedrich".

A quel punto si sentì scombussolata, e si dovette alzare, tornando a vomitare. Di sicuro quel sogno significava qualcosa, ma non riusciva ancora a comprendere che aveva avuto una visione sul suo futuro.
Si alzò velocemente dal letto e si spazzolò i capelli, fregandosene di presentarsi a suo marito con la camicia da notte. Si mise le pantofole e uscì dalla stanza seguita da due domestiche, mettendosi ad aspettare Heinrich.

Aspettò ed aspettò, ma quando ormai aveva perso le speranze e se ne stava per andare di nuovo nella sua stanza, ecco che vide il suo giovane marito entrare di getto nella stanza, alquanto soddisfatto per la caccia conclusa e lanciando fino ai piedi della moglie le pernici che aveva catturato, facendo posare poi il cinghiale sul tappeto dell'ingresso. Mise un piede sopra di esso e guardò tutti i presenti con aria superiore, finendo poi per posare gli occhi su sua moglie.

"Helene, seguimi in camera, devo cambiarmi e devo raccontarti della battuta di caccia di questa mattina" annunciò prendendo per mano la moglie e portandola di forza fino al piano superiore, tenendo sempre quel suo sorrisino altezzoso.

Helene deglutì, seguendolo impaurita di dovergli dire la dura e cruda verità, toccandosi appena la pancia come a voler tranquillizzare il piccolo che aveva in grembo e sperando davvero che non l'avrebbe riempita di botte come suo solito.

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