Capitolo IX - Solletico
La creatura non aveva mentito: quando Chelsea si svegliò, la mattina seguente, trovò Sharon mezza sdraiata su di lei, ma soprattutto più rosea e rilassata. Dopo una titanica battaglia per liberarsi, la ragazzina sgusciò via, si vestì e andò da Sara. La trovò addormentata. Aveva gettato via i la coperta di fortuna e i brandelli dei vestiti che indossava prima, una mantellina color cuoio e una felpa, tenendo soltanto i suoi shorts, che erano ancora integri. Forse aveva avuto caldo? O, più probabilmente, lo sfregamento di vestiti e foglie contro la carne viva era diventato insopportabile... a ripensarci non avrebbero dovuto coprirla...
Sentendosi stupida e impotente, Chelsea controllò che la ragazza respirasse correttamente e che le ferite non si fossero infettate. Erano decenti... quanto possono esserlo un moncherino non trattato e uno squarcio su tutto il busto, ma almeno non sanguinavano più.
Appoggiò la mano sulla pancia della ragazza, ripetendo il gesto con il braccio. In entrambi i casi la vide sorridere di piacere e sollievo, letteralmente illuminarsi e infine rilassarsi completamente. Chelsea sorrise. Avrebbe continuato a dare forza a Sara finché non fosse guarita, aveva deciso. Non le pesava per nulla. Soprattutto, nonostante la conoscesse da poco, Sara le era piaciuta fin da subito. Le lasciò accanto la borraccia riempita e tornò da Sharon.
Arrivata a destinazione si sedette e prese a pettinarle i capelli della ragazza con le dita. Erano lisci ed unticci, ma con un bel taglio. Curato, senza troppi ciuffi ribelli.
Glieli scostò dalla fronte e...
«SOTOMAYOR» la ragazza spalancò gli occhi e fece per agguantarla.
«AAAAAH» la bimba guizzò come una molla ben caricata e cadde all'indietro. Sharon scoppiò a ridere e la aiutò a tirarsi su.
«Sempre all'erta piccola, sempre all'erta» sghignazzò, levandole la polvere di dai vestiti. In tutta risposta Chelsea le addentò la mano.
«Ahia! Bestiaccia, molla!»
«Ohí imfari a shafenharmi!» Mugugnò la bimba, senza aprire le fauci. Dopo una lieve colluttazione, le due si diressero verso il torrente, facendosi una linguaccia dopo l'altra.
«Stai meglio?» Chiese la bambina, fingendosi poco interessata.
«Molto. Il dolore è quasi sparito e mi sento più in forze. Quella creatura dev'essere imparentata con Gesù di Nazareth... oppure ha degli antidolorifici al posto della saliva.»
Chelsea guardò, perplessa, la ragazza. Era la prima volta che la vedeva così allegra e scherzosa. Arrivate vicino al corso d'acqua, Sharon si abbassò a controllare il piede della bambina.
«Non ti ho cambiato la fasciatura ma vedo che ti sei arrangiata, sei stata bravissima.»
Chelsea arrossì e tirò giù i boccoli per nascondere il viso.
«Oggi me la cambi tu, per favore?»
Si sedettero sulla riva e Sharon prese a svolgere il bendaggio.
«Perchè fai la musona, cavalletta?»
«Perchè mi chiami cavalletta?»
«Saltelli sempre... e non si risponde a una domanda con un'altra domanda» sentenziò tranquillamente la ragazza. Chelsea la fulminò con lo sguardo.
«T... tu! Ti odio.»
«Lo so. Dai, che succede?»
«Ecco... in realtà sono contenta che tu stia meglio... ma stavo pensando alla ragazza ci ha salvate, Sara. Mi piace, ma non capisco se abbia secondi fini o meno. E poi... continuo a pensare a tutti i misteri che ci hanno portate qui, al nostro passato, ai tuoi poteri, ai mostr... le creature come Sara... ho la testa piena di cose che non capisco.»
«La penso come te e non so risponderti, però sono sicura che stare a rimuginarci troppo sopra non ti farà bene. Forse non riusciremo a capire tutto quanto, ma l'importante è sopravvivere al momento.»
«... mucca zen...»
«Ehi! Tappo molesto!»
Chelsea ridacchiò, poi volse leggermente la testa:«Penso che potremmo farcela insieme.»
Nessuna delle due seppe più cosa dire. Si guardarono negli occhi per un momento, Sharon con stupore e la bambina con la sua esagerata solennità. Poi il momento finì e la giovane donna tornò ad occuparsi della ferita di Chelsea, tenendo la testa china per nascondere il rossore delle sue guance. Ormai aveva strappato ciò che restava delle maniche della sua t-shirt, così utilizzò lo stiletto per tagliare un lembo dalla gamba dei pantaloni. Per un momento si fermò ad osservare la piccoletta. Chelsea era distratta, lo sguardo perso rivolto alla macchia di vegetazione dove riposava la creatura. Sharon sorrise furbescamente. Odorò rumorosamente l'aria, facendo un'espressione schifata, poi di scatto alzò la gamba della bambina e annusò il piede ferito. La bambina si voltò e la fissò, sbalordita, senza capire.
La ragazza gridò un drammatico:«Bleaaaaah» e senza dir nulla si buttò all'indietro, a braccia aperte. Chelsea si mise in piedi sulla gamba sana e la fissò, stizzita. Sharon aveva chiuso gli occhi ed assunto un'espressione sofferente.
«NON PUZZA... così tanto...» pigolò la piccola, cercando di suonare arrabbiata ed al contempo di non ridere.
«Addio, mondo pestifero...» biascicò la giovane donna.
Chelsea strinse le labbra, nascondendo a fatica un sorrisetto.
«Sharon! Smettila, scema, scema, scemaaaa!»
«Coff coff. Ecco. Muoio» fece ricadere drammaticamente la testa di lato, tirando fuori la lingua come ciliegina sulla torta. La bambina, metà divertita e metà offesa le girò attorno saltellando. Si fermò. Le piantò il piedino direttamente sul naso.
«Ecco, crep... AAAAAH» Sharon la afferrò tirandola giù, poi la prese per i fianchi.
«Ohhohohoh, ora la paghi, fetida bestia!»
«Non osahaaaaahahahah...»
Prese a farle il solletico, senza alcuna pietà. La bersagliava, trovando una nuova apertura ogni volta che la bimba si dimenava.
«Bastahahahah... aiut... ahahaa» Chelsea rise e strepitò, lottando e tentando di coprirsi. Riuscì a rialzarsi e contrattaccare. Quella schiappa di Sharon soffriva pure lei il solletico e si fece sopraffare, ma sul più bello rotolò e la costrinse a terra, pungolandola dappertutto. Faceva piano: era goffa ed un po' brusca ma non voleva farle male.
«Pietaaaaaaaaà... ahahahaahha, Sharon pietà» supplicò Chelsea, piangendo dal ridere e dimenandosi come una pazza.
«Si dice: "Pietà, suprema Sharon"»
La bambina fece un largo sorriso, sornione e irriverente:«Pietà, suprema scema!»
«Come osi?!»
La tortura riprese.
Si tirarono su, stanche ed ansimanti. Entrambe ridacchiavano. Sharon si chinò e pulì il viso della bambina dalle lacrime. Chelsea la guardò negli occhi. Un pochino le piaceva quel viso. Era passabile.
Lentamente, la mano di Sharon scorse sulla piccola guancia, sfiorandola appena. Chelsea la fissò, solenne, poi spinse la testa in avanti, premendo il viso contro il palmo caldo e morbido. Rimasero ferme così per qualche secondo, senza fiatare.
«Hai tutti i capelli scompigliati, cavalletta» mormorò la ragazza, alzandosi e cominciando a sistemarle la chioma.
«È colpa tua, pazza furiosa...»
Sharon si abbassò di nuovo e le punzecchiò la pancia, facendole fare un salto indietro.
Alla fine concordarono di puzzare entrambe e si fecero un bagno, per poi stendersi assieme al sole ad asciugare.
Dopo essersi asciugate e aver raccolto erbe, le ragazze si ritirarono tra gli arboscelli a mangiare all'ombra. Chelsea raccontò a Sharon di ciò che le aveva detto Sara. Poteri, ankh e la faccenda della sua forza vitale. In effetti tornava, per quanto fosse assurdo, pensò Sharon. Avrebbe spiegato come la bambina fosse "tornata dalla morte" per ben due volte... e tutto cio che era capitato loro ultimamente rientrava nel campo dell'assurdo.
Avevano avuto una risposta, ma le questioni pratiche rimanevano: non potevano restare ulteriormente ferme, entro l'indomani Sharon avrebbe dovuto decidere il da farsi. La creatura non si rimetteva abbastanza in fretta e portarla avrebbe significato trasportarla sulla schiena e stancarsi più in fretta. Era magrolina, ma non certo leggera come Chelsea. In quei giorni non aveva chiesto nulla ed aveva rifiutato il poco cibo offertole, perciò forse non aveva bisogno di mangiare. Oltre tutto, una volta in salute, avrebbe potuto proteggerle dagli eventuali pericoli. A dirla tutta, Sharon non voleva abbandonarla. Le era grata. Ma non era sicura che fare le buone samaritane e aggiungersi un altro peso avrebbe aiutato lei o Chelsea. Quella creatura era pericolosa. Aveva ucciso i suoi simili con naturalezza, ali o meno... e chissà, forse avrebbe fatto lo stesso con loro, se le avessero dato la giusta scusa.
Qualche ora dopo, un po' più riposate, le due uscirono dalla macchia. Come da routine ripresero la riabilitazione di Chelsea, ma Sharon continuava a rimuginare sul da farsi, borbottando i suoi pensieri ad alta voce.
«Quando parli da sola e borbotti sembri una caffetteria» ridacchiò la bambina, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Vedendola assorta, la piccoletta aveva cominciato ad andare da sola. Zoppicava vistosamente, ma riusciva già ad appoggiare leggermente il piede. Sharon era sbalordita dalla sua resilienza. Era così piccola, fragile, eppure vitale ed incontrollabile. Sì, sara doveva aver ragione... ma la forza di Chelsea stava anche nel suo carattere testardo e irrefrenabile.
«Scusami, ero sovrappensiero. A volte ho la testa tra le nuvole.»
«Sooooolo a volte?»
«Taci, cavalletta» Sharon prese a scompigliarle i capelli, sapendo che farlo la irritava tantissimo.
«Mmmh! Ti odioooo. Mucca, muccastra!»
Sharon rise, dolcemente e con leggereza. Finalmente riusciva a farlo, nonostante l'ansia e la fame. Era debole, infreddolita e stanca, ma stranamente si sentiva piena di energie. Forse... perché ora aveva uno scopo? Tutto grazie a Chelsea: senza di lei, non sarebbe mai riuscita a rimettersi in piedi. Le sue mani non erano più vuote.
Aveva il suo potere.
Aveva la bambina da proteggere ed aiutare.
Aveva una lama che le sporgeva da sotto la spalla.
«SHARON?!» gridò Chelsea vedendola e avvicinandosi a lei. Due figure superarono la ragazza e sfrecciarono verso la bambina. La loro pelle era violacea, non nera come quella della creatura nel bosco ed erano prive di ali ma gli occhi erano ugualmente enormi. Le due ankh afferrarono Chelsea per le braccia e la spinsero a terra.
Sharon fece per gridare, ma la sua bocca si riempì di sangue. Lo tossí fuori ed il movimento le provocò una scarica di dolore. Il punto in cui la lama la trapassava era bollente e ogni movimento faceva espandere il bruciore. Le sue gambe erano improvvisamente prive di qualsiasi forza.
«Lasciatela, o vi... vi...» sputò altro sangue prima di poter finire. Le due creature la squadrarono, gelide, ignorando completamente gli strepiti della bambina. Una terza donna superò Sharon. Fece un cenno alle sue simili, che costrinsero Chelsea in piedi. La donna la afferrò da dietro, circondandole il busto con un braccio e tenendola per il mento con l'altra mano.
«Chi di voi due deve pagarla per prima, mocciosa?»
«Chelsea, non risp...»
«FOTTITI STRONZA! LASCIALA STARE!»
La donna ridacchiò e fissò Sharon. Aveva occhi violetti e un'espressione amorevole in viso che cozzava completamente con tutta la situazione. Sharon non riusciva a provare alcun sentimento ostile, nonostante tutto.
Un forte profumo di lavanda aleggiava attorno a loro, coprendo tutti gli altri odori. Era così intenso e piacevole che la ragazza cominciò a dimenticare le sue preoccupazioni e persino il dolore si attenuò.
«Sai, tesoro che i nostri compagni ci hanno contattati, prima che voi li trucidaste? Pensavano di potervi catturare da soli, ma gli è andata male... La cosa interessante però, è che hanno detto di averti vista uccidere il nostro leader con un potere che lo ha praticamente disintegrato...» Ghignò. «E Shraka, uno di loro due ha avuto lo stesso trattamento a quanto pare. Sei riuscita a resistere al controllo di Ganil, quindi credo che sia meglio prendere delle precauzioni. Vediamo. Prova ad usare il tuo potere adesso» così dicendo sbatté la faccia di Chelsea a terra.
«Nonono smettila!»
«Prova.»
La bambina gemette e tentò di dimenarsi, ma fu spinta nuovo violentemente a terra.
«SMETTILA SMETTILA, TI PREGO NON LO FARO' NON...»
Ancora. Chelsea smise di reagire.
«BASTABASTABASTA! NON LO USO... non farò niente... smettila... ah... non farle più male...»
Ancora.
«n... nooo.. no... no noooo!»
La donna sollevò Chelsea. Braccia e gambe ricaddero inerti. Il suo viso era sporco di terra, lacrime e sangue: fronte e occhi ne erano zuppi e sgocciolavano sul mento e il collo della bambina. Il suo sguardo era vacuo. Fu lasciata cadere in avanti. Non ebbe alcuna reazione.
Come a voler infierire, la creatura posò la punta del suo stivale tra le esili scapole della bimba.
«Ti lasceremo morire dissanguata oppure, se risponderai, avrai un trapasso veloce e indolore. Inoltre, se le tue risposte non mi piaceranno, pesterò in un punto a caso questa cosa» sottolineò la frase premendo sulla spalla della bimba. Chelsea gemette flebilmente, ma non si mosse. Respirava appena.
Sharon annuì, disperata e tremante, il corpo reso apliccicoso da sudore e sangue. Anche il sanguinamento mestruale era ripreso... già... la magia era finita. Tutto era finito. Si sentiva sempre più debole e stanca. Però vedere Chelsea soffrire le aveva ridato lucidità. L'ankh non la condizionava più in alcun modo.
Cercò di pensare a una via d'uscita, ma la vista della bambina priva di sensi non le dava pace. Era troppo lontana per raggiungere la donna in fretta, inoltre non è che potesse muoversi: il petto le bruciava ad ogni movimento mentre il resto del corpo diventava sempre più freddo e privo di sensibilità. Quasi le avesse letto nel pensiero, il bastardo schifoso che impugnava la spada alle sue spalle fece muovere la lama all'interno della ferita, allargandola. La ragazza sentì le gambe venir meno, ma si costrinse a stare in piedi. Restare ferma e dritta. Aspettare il momento giusto per far qualcosa... qualunque cosa.
«Allora. Pensa bene alla tua risposta: stiamo cercando un'altra ankh, una ragazza più bassa di te. Pelle nera, ali fiammanti, viso dolce, mingherlina. L'hai vista?» chiese la donna, fissando Sharon.
«Sì. Ha ucciso i vostri, la donna, poi è scappata. Non l'abbiamo più vista!»
«Oh è stata lei a uccidere Ganil? E tu non hai fatto nulla?» la suola dello scarpone premette pericolosamente contro la spalla sinistra di Chelsea.
«Io ho ucciso l'altro, ok?! Volevo solo difendermi e proteggere la bambina... mi dispiace... non volevo che ci vendessero...»
«Vendessero? Ven...» la donna scoppiò a ridere, seguita dai compagni. Erano almeno cinque voci differenti.
«Sai, la mia amica Ganil ha sempre adorato giocare con le sue vittime e prenderle per il culo. Le illudeva, coccolava le loro menti disperate e in cerca di gentilezza e poi, quando loro abbassavano le difese e cominciavano a fidarsi, cambiava il gioco. Era abilissima a scuoiare, sai? Amava tagliare i lembi di pelle piano piano, mantenendo in vita il suo giocattolo. E poi, decideva se ucciderla o lasciarla a soffrire come un cane, spellata, a seccare sotto il sole» la donna si fece seria e grave di fronte all'orrore di Sharon «una squilibrata, lo ammetto. Ma era la nostra squilibrata e noi tutti le volevamo bene, a lei e a suo fratello Shraka». Le due alle sue spalle annuirono, una mostrando una profonda tristezza, l'altra ira.
L'ankh che sovrastava Chelsea fece un sospiro e tornò a sorridere amorevolmente:«E tu, aiutata o meno, ce li hai ammazzati. Pensavi che non ci sarebbero state conseguenze?»
«Ma io... volevo... non è...»
«Non è giusto? No, non lo è, come tutto il resto noi siamo forti e capaci, voi deboli e senza speranze. Noi decidiamo per voi umani come voi lo avete fatto con le forme di vita che ritenevate inferiori. È logico e corretto. Voi siete insetti... che scelta credete di aver, quale giustizia sperate di ottenere? Il tuo potere non ti servirà a nulla, perché sei un verme... e da verme creperai.»
Sharon era senza fiato. Non riusciva a far altro che tremare e grondare sudore. Una macchia rossastra e appiccicosa si stava allargando sul suo petto.
La donna fece un gesto col braccio, come per allontanare qualche pensiero, e continuò:«Torniamo a noi. Tu non ci stai dicendo tutto, Sh... Shannon? Sharon? Come ti ha chiamata la mocciosa?»
«Mi chiamo... Sharon...» anche parlare stava diventando faticoso.
«Ecco, Sharon. Sei una bugiarda. Tu hai visto di nuovo la nostra amichetta. Era... ferita?» La donna aguzzò lo sguardo, sembrava quasi che le stesse leggendo il pensiero. «Dov'è? Tra quegli arbusti?»
«Si! Sì è lì... è... debole. L'ho ferita io. È... è nascosta sotto due alberelli, coperta di foglie»
«Ohh, che bella notizia. Quindi ci hai fatto un favore, eh? Che dite ragazzi, la perdoniamo?»
La donna guardò dietro a Sharon intorno, senza mai modificare l'espressione benevola sul suo viso, tra la risata generale dei suoi compagni. Fece un cenno alle due ai suoi fianchi. Queste si diressero in fretta verso il bosco, estraendo entrambe un machete da un fodero dietro la schiena. Parevano spaventate ma decise.
La donna fece un passo avanti. Non sorrideva più. Quando parlò però, lo fece con voce con voce pacata e amichevole:«E va bene, Sharon, sei stata brava. Avrai una morte veloce. Ma lei no» calò lo stivale. Sharon udì lo schiocco. Vide l'avambraccio destro di Chelsea piegarsi innaturalmente e sollevarsi dalla parte sbagliata. La bambina sobbalzò ed emise un singulto strozzato. Poi cominciò a strillare. Si agitava, dimenandosi, grugnendo mentre cercava di smuovere lo scarpone mordendolo. Nel mentre la donna e i suoi compagni fissavano l'agonia delle due, attenti e rapiti, come se stessero vedendo la scena clou di un film. Anche a Sharon sembrava di star osservando tutto da uno schermo: il braccio della ragazzina che si spezzava. La sua mente che si svuotava. Calma. Fredda. Lo schermo diventava nero e cominciava a riempirsi di scritte rosse.
Ti uccido
Doveva soltanto colpire la donna prima che potesse nuovamente sfiorare Chelsea. E poi...
Vi uccido tutti. Vi consumo pezzo per pezzo finché non mi pregate di smettere, vi consumo vi taglio uccido uccido tutto quanto.
La creatura, tirò su lo sguardo e fissò Sharon con una punta di preoccupazione.
«Decapitala» ordinò, secca, fissando dietro la ragazza. Premette ancora sul braccio spezzato, poi sul piede gonfio, strappando altre grida disperate alla bambina.
Tiuccidolticavogliocchititaglioquellafottutagolacancelloquelsorrisodimerdatistrappolafaccia
Ora solo Sharon sorrideva.
«Ti strappo quella schifosa lingua lurida troia. Tu sei la prima. Il primo... insetto. Tira fuori le tue ali, così le strappo. Avanti. Prova a difenderti» sibilò la ragazza, ghignando. Sharon percepì tutto quanto: ciò che la circondava e quel che avvenne nel giro dei seguenti dieci secondi. La spada fu estratta sotto gli occhi spaventati degli altri ankh. L'aria fischiò, poi la lama colpì il collo della ragazza, ma ormai il suo corpo non era più fatto di carne, ossa, organi e pelle. La punta cadde al suolo e lì si dissolse. Sharon fece un passo in avanti. Delle urla di dolore esplosero nel boschetto in miniatura. Poi la macchia di arbusti eruttò una fiamma enorme e un corpo carbonizzato crollò a terra. La creatura sputò fuori degli ordini, ma non fu ascoltata: i suoi compagni indietreggiavano e basta, facendo saettare lo sguardo da Sharon al cadavere fumante.
«Ora basta!» l'ankh "capo" afferrò Chelsea, tirandola su a mo' di scudo, e avvertì Sharon, la voce stridula e spaventata:«Non ti avvicinare o le spezzo il collo!»
Ma la ragazza non ascoltava più. Il suo corpo era gelo. Un flusso di energia, o di non-energia lo percorreva. Non ebbe nemmeno bisogno di muoversi: in meno di una frazione di secondo entrambe le braccia dell'ankh si dissolsero. Chelsea cadde nuovamente in avanti, mentre Sharon proseguiva a -colpire, tagliare, tenere in vita, cavare, strappare-
occuparsi della prima tra le sue prede.
Fa male. Fa male ovunque.
Gli occhi della bambina si dischiusero di qualche millimetro. Vedeva tutto grigio e sfocato. Udiva delle urla, ma indistinte e ovattate. Sentiva la testa pesante e instabile, come un palloncino colmo d'acqua, pronto ad esplodere. In bocca aveva un sapore ferroso e salmastro. Le ricordava la sua infanzia: le risse coi compagni che credevano di poterla maltrattare perché piccola e femmina, i pugni dati e presi. Sorrise. Che stupida. Pensare a cose simili, in quella situazione... braccate da nemici veri, tangibili. Menare le mani con dei deficienti abituati a vincere basandosi sul numero e delle principesse oche, o mettere alle strette un'imbranata come Sharon era facile. Però contro Sharon aveva comunque perso. E ora non era riuscita a far proprio niente: gli ankh l'avevano messa a terra senza sforzo.
Del resto sei sempre una mocciosa, ferita e denutrita.
Provò a muoversi ma desistette subito. La pressione al braccio era sparita, ma il dolore pulsante no. L'arto pareva incandescente e muoverlo anche di poco le provocava fitte terribili, che si espandevano a partire dal gomito. Aveva paura. Era troppo... troppo. Se si fosse mossa il dolore l'avrebbe uccisa, ne era sicura. Però... anche Sharon stava soffrendo. Era ferita... molto più gravemente di lei. Stava morendo.
Volta la testa. Poco poco. Così. Bene... piano. Ancora un po'. Sollevati un...
Mosse il braccio. Una fitta le tolse il respiro. Sentì il dolore percorrerle braccio, spalla, collo e petto, bollente, famelico.
Non importa, continua a muoverti, Chelsea. Puoi farlo. Sei capace. Ce la fai... ce la devi... mordendosi la lingua per non cedere alle fitte, la bambina si alzò sul braccio sano, malfermo e tremante. Ebbe un capogiro e per un momento si preparò a vomitare, ma poi passò. Aprì gli occhi più che poteva: le palpebre erano appiccicose e impiastricciate dal misto di sangue, lacrime e sudore. Ancora non ci vedeva bene, era tutto vago e scuro, ma riuscì ad intuire qualcosa. Quattro sagome scure, forse gli ankh, stavano indietreggiando. Alle sue spalle udiva gemiti e mugolii soffocati... e un rumore strano. Umidiccio e fastidioso. Come -deglutì a fatica- di carne tagliata strappata e macinata.
Si girò, molto lentamente, strisciando e gemendo per il dolore di ogni minimo movimento. Crollò e riuscì solo a sollevare di poco la testa.
C'erano due sagome nere. Una era a terra. Al suo corpo macsvsno braccia e gambe, si agitava in una pozza nera, ma riusciva ancora a rantolare scuse e suppliche. In piedi, sopra di lei, c'era l'altra sagoma: una statua di vetro opaco, una dozzina di strani e oblunghi tentacoli si dipanava da quelli che sembravano essere i suoi capelli, circondava la donna a terra, colpivano, si ritraevano.
«Sha... ron...?»
Fu una voce inumana a rispondere, gelandole il sangue:«Un secondo, piccola. Devo finire una cosa.»
Il corpo di Chelsea fu invaso da un terrore incontrollabile e prese a tremare. Fece per alzarsi, ma le sue membra cedettero a metà strada.
Male
Male
Male
Male
Tutto... fa... così... male
Ricadde. I suoi polmoni chiedevano aria. Aria. Non riuscivano a riempirsi abbastanza. Udiva il cuore martellare e pulsarle nelle orecchie. La testa riprese a girare... E così tutto il mondo, ridotto a un insieme di luci e ombre.
«Ai... u... to...» pigoló la bambina, usando il poco fiato che aveva in corpo.
Qualcosa si mosse. Tutto si ribaltò ed esplose. Stava volando? No, aspetta. Un braccio esile ma muscoloso la reggeva, mentre l'altro, più corto e spigoloso le pungolava il fianco tenendola dritta, stretta contro un corpo morbido e caldo.
Chi sei?
"Non riconosci la tua amichevole ankh di quartiere? Scusa il ritardo, piccoletta."
Cosa significava quella voce nella sua testa? Che aveva detto? Non capiva... non riusciva nemmeno più a pensare.
"Stai tranquilla, Chelsea. Dormi adesso. Mi occupo io di loro"
Obbediente, la testa della bambina ricadde in avanti e trovò una spalla liscia e nuda, capelli morbidi e setosi, che emanavano un fortissimo profumo di vaniglia selvatica. La fragranza invase le sue narici e si sparse, tiepida e piacevole, in tutto il suo corpo: cancellò ogni cosa brutta. La avvolse teneramente, come un abbraccio caldo e sicuro. Era così bello... ma anche timido e sconosciuto.
Ho paura... diventa tutto buio... aiutami... ho pau... ra... Carrie, ho...
Chelsea cominciò a piangere e vomitò sulla schiena della ragazza monca. Questa rabbrividì e fece un espressione tra lo schifato e lo stupito, ma continuò a reggere con cura la bambina. Lo spostamento doveva aver peggiorato i capogiri. Nel giro di pochi attimi però, i respiri veloci della piccola rallentarono e il suo battito si regolarizzò. Il piccolo corpo si rilassó, affidandosi alla presa dell'ankh.
«Scusa piccola, ma dormire ti farà solo bene. E poi non devi vedere quello che sto per fare»
La ragazza dalla pelle color pece osservò i quattro membri della sua specie rimasti in piedi. Erano armati di spade e due di loro avevano estratto un paio di ali piccole e prive di fiamme. Sara guardò poi oltre il penoso quartetto. La figura scura e traslucida che aveva protetto Chelsea fino a quel giorno, si stagliava sopra un mucchio di viscere e pezzi di carne. Gli sguardi della ragazza e dell'ankh dalla pelle color pece s'incontrano. L'aura scura che circondava l'umana si dissolse e gli occhi bluastri della giovane si rivoltarono. Tornata bianca come un cencio, Sharon cadde in avanti, priva di sensi. Sara sospirò, sollevata. Ora poteva muoversi liberamente, più o meno. Osservò i quattro pezzi di carne rimasti. Mantenevano le distanze. Forse speravano di continuare a circondarla ed evitare lo scontro finché lei non fosse svenuta per la stanchezza. Avrebbero anche potuto farcela, con i giusti mezzi.
«Siete fortunati. Quell'umana se la sarebbe presa comoda, mentre io ho fretta. Ma tranquilli, ci divertiremo comunque» le scapole della ragazza si deformarono ed eruttarono un paio di ali avvolte da fiamme accecanti.
«Aspetta...» Sara non si voltò nemmeno «... ci dispiace di averti provocata...» chiuse gli occhi e sorrise «... lasciaci andare e ti daremo tu...»
«Silenzio.»
Tutta la steppa parve obbedire all'ordine della ragazza.
«Venite, o facciamo notte.»
I quattro ankh vennero avanti. Due di loro scoppiarono a piangere. Una si urinò addosso. L'ultimo cominciò a pregare. Nessuno di loro smise di camminare.
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