Capitolo II - Steppa
Decisa a trovare un rifugio, Sharon s'incamminò per il prato sconfinato portando Chelsea in braccio. Era faticoso, ma viste le condizioni della bambina avrebbe fatto meglio allenarsi.
Proseguì per ore, rallentando di tanto in tanto per prendere fiato. Quando il freddo si faceva troppo intenso, la ragazza frizionava Chelsea e l'avvolgeva nel parka, ma nonostante ciò la bambina restava febbricitante e scossa dai tremiti. Di tanto in tanto la scopriva e lasciava che prendesse un po' d'aria fredda: forse avrebbe fatto scendere la febbre... o l'avrebbe ammazzata più in fretta.
Ormai si erano lasciate alle spalle i ruderi della casupola. Sharon continuava a chiedersi cosa potesse averla distrutta, e soprattutto come ci fossero arrivate lei e Chelsea. La sorella della bambina ce le aveva portate da sola?
Le domande erano tante, ma molto presto la ragazza le mise da parte: speculare non sarebbe servito a nulla.
Solo erba e arbusti circondavano le ragazze adesso: un paesaggio spoglio, desolato e sferzato costantemente dal vento freddo. Non c'erano né acqua, né cibo: la spoglia e brulla pianura si estendeva per chilometri, intervallata qua e là da collinette e rocce isolate. Nessuna zona coperta. Totale assenza di rifugi naturali.
Sharon vagò fino a sera: camminare la tranquillizzava e, vista l'angoscia che provava al momento, era essenziale.
Erano spacciate. Lei non sapeva cacciare, ma anche ne fosse stata capace, cosa avrebbe potuto prendere? E l'acqua? Chelsea era febbricitante, doveva bere assolutamente. A questo punto la donna si chiese ancora una volta: a che pro portarsi appresso la bambina?
Da sola sarei molto più veloce e correrei meno rischi. Posso metterla giù e andare per la mia strada
Appoggiò la bambina a terra e si schiaffeggiò con forza la guancia. Uno, due, tre, quattro colpi. Il suo viso frizzava e formicolava... ma Sharon si sentì molto meglio. Chelsea non aveva nessuno. Da sola, sarebbe morta nel sonno, di malattia o per l'attacco di qualche animale. Non poteva sopportare l'idea di abbandonarla.
Poco prima che il sole tramontasse, Sharon si fermò. Depose Chelsea e la scoprì per farle prendere aria. In teoria così avrebbe fatto abbassare la temperatura, giusto?
O la farò morire più in fretta
Sedette a terra, dando la schiena alla bambina e prese a massaggiarsi la pancia: le fitte della fame si stavano facendo difficili da sopportare.
Sentì Chelsea agitarsi alle sue spalle. Biascicava qualche parola nel sonno, tremante, muovendosi alla ricerca di calore. Trovò la gamba della ragazza e la strinse tra le braccia. Sharon fece un lieve sorriso. Trasse a sé la bambina con gentilezza, abbracciandola. Dopo un po' il tremito si placò e la piccola, istintivamente ricambiò la stretta. Poco a poco Sharon si calmò e i suoi occhi si chiusero da soli.
Si svegliò indolenzita e col naso tappato. Aveva freddo e mal di gola. Magari la prossima volta avrebbe fatto meglio a usare il giubbotto come coperta.
Ma perché sono umida?
In breve si accorse che era la bambina ad essere bagnata. In un primo momento pensò che Chelsea avesse orinato bagnando entrambe, ma dopo averla esaminata si accorse che la piccola aveva sfebbrato nel sonno ed era semplicemente tutta sudata.
Sharon si mise a sedere, passò una manica del suo maglione sul viso umido di Chelsea, poi la appoggiò sul parka e si alzò in piedi.
Sollevò le braccia ed esaminò le sue mani.
Cos'è successo coi legacci? E anche con l'asse di legno... come ho fatto a disintegrarla in qul modo?
Poteva essere un super potere? Ma non era roba da fumetti quella? Fantasticherie bambinesche. Per qualche motivo riusciva a pensarla solo in quel modo, eppure non aveva sognato. Era libera. Il braccio con cui aveva parato l'attacco di Chelsea era integro.
Non capiva. In ogni caso non riusciva ad andare indietro con la memoria fino a prima del suo risveglio, per capire se avesse sempre posseduto quell'abilità. Le giungeva qualche sprazzo di ricordo del passato: l'aspetto e il carattere dei suoi genitori, la sua età (o almeno il suo ultimo compleanno: il diciassettesimo), qualche flash della scuola, momenti dell'infanzia senza alcuna importanza. Nulla di recente o di chiaro e nessun indizio sul "superpotere", o riguardo i motivi che avevano spinto la donna incappucciata a rapire lei e Chelsea. Forse non c'erano collegamenti tra loro, ma allora perché metterle insieme ed abbandonarle in quella steppa?
E Chelsea? Come si era ridotta nello stato del loro primo incontro? La donna incappucciata era effettivamente sua sorella?
La ragazza si alzò e prese a camminare avanti e indietro. Troppe domande, nessuna risposta. E in ogni caso le riposte non avrebbero riempito la loro pancia, fatto guarire la bambina o trovato un posto sicuro per la notte.
Si strofinò gli occhi. Quando li riaprì sobbalzò: la sua mano ed il braccio, fino all'altezza del gomito, si erano tinti di un nero traslucido e semitrasparente. Poteva muoverli senza sforzo, ma vedeva chiaramente vene, ossa e tendini. Era come se la sua pelle, i muscoli e tutto il resto dei tessuti fossero stati sostituiti con copie di vetro con una diversa opacità per ogni strato. Provava una sensazione di formicolio e un freddo penetrante dal gomito in giù. Allungò la mano nera verso un ciuffo d'erba e, quando lo sfiorò questo svanì, dissolvendosi senza emetter suono. Nessuna traccia di polvere o fumo. La parte toccata era semplicemente sparita.
Sharon si sedette accanto alla bambina e rifletté per qualche minuto.
Non avrebbe avuto risposte adesso, ma poteva sfruttare questa capacità. Poteva cacciare, a patto di trovare delle prede e non cancellarle completamente. Muovendosi con molta cautela avvicinò il braccio nero ad una ciocca dei suoi capelli corvini. Non scomparvero al tocco.
Ottimo: su di me non ha effetto.
Osservò la bimba, il respiro leggermente affrettato. Trasse un ciuffetto dei capelli grigiastri colla mano innocua, lo sfiorò con l'altra e... non successe nulla. Forse sui capelli non funzionava, ma non aveva il coraggio di provare sulla pelle. Invece lei si tastó e non sentí altro che freddo, ma nessun dolore fisico.
Osservò il braccio, perplessa.
E ora come avrebbe fatto a farlo tornare normale? Lo agitò più volte, senza risultati.
Bella merda.
«Carrie... smettila, scema...» Chelsea ridacchiò nel sonno, poi aprì leggermente gli occhi e sorrise, ma quando mise a fuoco il viso di Sharon si incupì. Con le occhiaie scure che aveva faceva quasi paura.
«Ti aspettavi qualcun altro?» mormorò la ragazza, sarcastica, distogliendo lo sguardo.
Chelsea strinse le labbra ma non rispose. Tremava.
«Hai freddo?»
La piccola rispose con un secco: «Sì, ho freddo.»
Senza staccarsi dalla ragazza, si guardò intorno. Cercava con ostinazione di evitare lo sguardo di Sharon, perciò era costretta a far scattare di qua e di là la testa. Alla ragazza venne da ridere, ma si contenne: non voleva prenderla in giro e nemmeno darle scuse per attaccar briga. Abbassò lo sguardo e notò che il suo braccio era nuovamente roseo. Con un sospiro prese a sfregare grossolanamente braccia, gambe e schiena della bimba.
«Va un po' meglio?» Chelsea appoggiò la testa sul suo petto, ed annuì. Dopo qualche secondo mormorò un ringraziamento molto poco convinto. Sharon la frizionò per qualche minuto, poi si avvolse nel parka e fece sedere la bambina contro il suo busto, chiudendo infine il giubbotto in modo da scaldare entrambe. Era un po' stretto ora, ma nessuna delle due avrebbe preso freddo.
«Mi odi ancora?» si azzardò a chiedere Sharon.
«Sí» sbadigliò la bimba.
Si sdraiarono ed entrambe scivolarono nuovamente nel sonno.
Sharon si tirò su e cercò di raccapezzarsi.
Doveva essersi appisolata per qualche ora perché sentiva il corpo intorpidito e pesante. Si guardò intorno cercando Chelsea.
Eccola
La bimba era inginocchiata poco più in la, tutta presa a trafficare tra i fili d'erba e le foglie. Subito Sharon non capì cosa stesse facendo, ma poi la vide strofinarsi il viso con le dita inumidite dalla brina, raccoglierne altra e berne avidamente le poche gocce rimaste sulle mani. Ripeté l'azione più e più volte.
La donna la imitò, sentendosi terribilmente stupida per non averci pensato. Era poco, ma almeno non sarebbero morte di sete, non subito almeno.
Sharon notò poi che la bambina continuava a fregarsi le mani. Erano belle rosse. «Dai qua» Sharon le prese tra le sue, unite a coppa, e vi alitò sopra come faceva suo padre quando lei era piccola.
Chelsea la lasciò fare e chiuse gli occhi, rilassata. Sembrava farle piacere. Quando Sharon smise, la bambina si portò le dita vicino al naso. Fece una strana espressione ed avvicinandosi alla bocca della ragazza, la annusò.
«Bleah, ma mangi topi morti?» pigolò, tappandosi il naso e ridacchiando. Sharon rise, nonostante l'osservazione l'avesse colpita come una freccia nel petto.
«Detto da una che suda come una fontana...»
«Ma io stavo male... non posso farci niente!» Chelsea sbuffò, voltò la testa e gonfiò le guance, irata.
«Muori.»
«Qualcuno qui è permaloso.»
«Muori tantissimo.»
«Un giorno, forse.» così dicendo le alitò in faccia. La bambina cadde all'indietro, schifata e scappò via.
«Ti sbianco i capelli» rise Sharon, alzandosi per inseguirla. Nonostante l'indisposizione Chelsea era velocissima e non si fece prendere. La ragazza si fermò presto, per non farla correre troppo, ma soprattutto perché era atletica come un bradipo anziano dopo una lunga mangiata. Si sedette a terra e rise nonostante il fiatone. A distanza di sicurezza, gli occhioni della bimba la scrutavano ferini ed attenti, un accenno di sorriso sulle sottili labbra.
«Hai fame?»
Chelsea annuì con decisione. Poi aggiunse:«Ma non abbiamo cibo, vero?»
«Bingo. Dobbiamo continuare a spostarci. Se troviamo l'acqua, troviamo gli animali, in teoria.»
«Ci sono le piantine.»
«E c'è l'avvelenamento... a meno che tu non sappia riconoscere quelle commestibili.»
Con somma sorpresa di Sharon, la bambina annuì e prese a girarle intorno con fare indaffarato.
«Me ne ricordo qualcuna, provar non costa nulla. Tu sei quella più grande e farai da cavia.»
Ah beh.
Tutta la situazione e l'assurda normalità con cui Chelsea si stava comportando spiazzavano la ragazza. Però andavano a suo vantaggio. Fece un respiro profondo. Seguì la piccoletta.
«Come ti senti?» le chiese, chinandosi e cercando di capire in cosa fossero diverse dalle altre le erbette raccolte da Chelsea.
«Sento la testa pesante e le gambe molli.»
«È normale, hai avuto la febbre alta: se non ce la fai posso portarti io.»
Chelsea scosse vigorosamente la testa.
«Allora cammina. E fa la brava.»
«Seeee» rispose sbuffando la bimba. Sharon sorrise soddisfatta, poi con un sospiro le cedette il suo maglione. Prima che Chelsea potesse protestare le disse:«Te lo regalo. Io ho il giubbotto.»
«Ok...»
Sbocconcellarono insieme qualche piantina e delle radici dal sapore tremendo, poi si sedettero una accanto all'altra, ben lontane dall'esser sazie.
La bambina prese a sfregarsi i piedi, pensierosa. Doveva aver freddo, perciò Sharon si sfilò una manica del parka e la coprì.
«Chelsea, tu ricordi il tuo passato?» chiese d'un tratto, curiosa.
La bambina sbiancò e i suoi occhi quasi uscirono dalle orbite.
«T... tutto bene?»
«Sì, ricordo quasi tutto. Però, prima d'incontrarti mi è parso come di sognare per tanto tanto tempo. Non so nulla di quel periodo, ho solo immagini e ricordi confusi. Chissà quanto tempo ho passato così... mi sembrava di ricordare ma ora è tutto confuso, anche il mio incontro con la pazza che ci ha rapite...»
«Beh, almeno tu ricordi qualcosa» mormorò Sharon. Chelsea annuì, pensierosa.
Calò il silenzio.
Dopo essersi riposate, le due s'incamminarono senza una meta precisa.
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