Capitolo II - Sharon
Per quanto tempo era rimasta seduta? A giudicare dalla mancanza di sensibilita nelle gambe, parecchio. Inoltre le fitte della fame la pugnalavano dolorosamente e la sua bocca era completamente asciutta.
Cercò di ricordare: aveva inghiottito la pietra, chiamato la bambina, il dolore era aumentato... e poi nulla. Probabilmente era svenuta.
Il vento freddo la fece rabbrividire. Sentiva i piedi, nudi e gelati, intorpiditi fino alle caviglie, per non parlare delle mani. Mosse più che poteva le dita di entrambi, tentando di scacciare il torpore, ma con scarso successo.
Aspetta, vento?
Si guardò intorno, e capì di trovarsi all'aperto.
Che fine ha fatto la stanza?!
La ragazza piegò la testa per guardarsi intorno. Si trovava nel bel mezzo di un enorme e apparentemente sconfinata distesa erbosa. Nelle vicinanze si scorgevano detriti, pezzi di legno e la base di una parete ancora in piedi.
Che cazzo è successo qui? Dio la testa...
La ragazza fece un respiro profondo, poi un altro e un altro ancora. Alla fine si calmò un po'.
Stranamente, nonostante il vento fresco, la giovane sentiva un piacevole tepore addosso.
Guardò in giù e sbatté il mento contro qualcosa. Mosse leggermente la testa e vide un piccolo cespuglio di capelli grigio topo, arruffati e completamente privi di ordine.
«Mmmmmm» protestò il batuffolo di polvere. Sotto di esso si intravedeva un viso magro e pallido.
«Chelsea?! Sei tu?»
La bimba mugugnò qualcosa, senza svegliarsi. Sedeva a cavalcioni della ragazza, la testolina appoggiata al suo seno. Sottili braccia cingevano mollemente i fianchi della ragazza, mentre le gambette della bambina penzolavano ai lati della sedia. Nonostante non potesse osservarla per bene, la ragazza si accorse subito di come la bambina fosse rosea e non cadaverica.
La ragazza chiuse gli occhi e si rilassò ascoltando il respiro regolare della bambina. L'aveva veramente salvata. Chelsea era viva. Il suo corpo era leggero, ma caldo.
Un po' troppo caldo
«Chelsea, piccolina? Svegliati!» Gracchiò la ragazza. Che la bambina avesse la febbre? Lei non poteva farci nulla, legata com'era. Come sbloccare quella situazione?
Si stropicciò gli occhi, come faceva ogni volta che rifletteva.
Eh?
Le sue mani erano libere! Come?! I polsi erano legati fino ad un secondo prima: c'erano persino i segni violacei sulla pelle. Eppure i legacci erano spariti, lasciando solo un minuscolo lembo. Sembrava fosse stato bruciato o consumato in qualche modo.
La ragazza mosse le gambe: anche le caviglie erano libere tutto ad un tratto. Come? Quando?
La ragazza sospirò.
Ok, calmati e controlla la bambina: ora non è il momento per le domande.
Sollevò la testa di Chelsea, quanto bastava per toccarle la fronte senza svegliarla. Sì, aveva la febbre. Il vido era caldo e arrossato. La ragazza sorrise involontariamente, nonostante la preoccupazione. La bambina era smunta adesso, ma doveva esser stata paffuta. Aveva il viso tondetto e un espressione beata e dolce, nonostante le borse scure e abbastanza marcate, sotto gli occhi.
D'improvviso Chelsea emise un lamento e si aggrappò alla ragazza. Quest'ultima ricambiò l'abbraccio e, assicurandosi di reggerla per bene, si alzò. Le formicolavano le gambe. All'inizio barcollò goffamente, poi trovò il giusto equilibrio.
Ora. Fai funzionate il cervello, Sha.
Doveva far mangiare e bere al più presto la bambina, che era spaventosamente leggera. E poi...
MA CHE MANGIARE E BERE. Dove? Come?
Erano nel bel mezzo del nulla. Dovevano mangiare l'erba? Prese a camminare avanti e indietro tentando di calmarsi.
Inedia
Doveva mantenere i nervi saldi, pensare al bene di Chelsea. A loro due.
Lei pensare ad una bambina di... otto, nove anni? Nutrirla, tenerla in braccio. E poi? Che poteva fare?Che, che cosa?! Vuoto totale.
Non dare di matto, cammina con calma. Non scuotere la piccola, idiota. Niente panico.
Respirò piano.
Non. Doveva. Andare. Nel.
P.A.N.I.C.O.
Bisogni primari. Poteva partire da quelli. Dovevano proteggersi dal freddo. Ai piedi della sedia trovò il giaccone della loro rapitrice. Era davvero immenso e pareva caldo. Della donna non c'era traccia.
Davvero, così facile?
Avvolse il parka attorno alla bambina e fece per deporla, ma Chelsea tese le braccia e la agguantò.
«Ah, ma quindi sei sveglia!» Pigolò la ragazza.
«Mmm mmm» assentì la piccola, facendo un sorriso furbetto. Aprì di poco gli occhi: erano di un grigio chiarissimo quasi argenteo. Cinse il collo della ragazza e si arrampicò, fino a stare naso a naso con lei. Aveva un'espressione, seppur infantile, molto seria e intelligente. Socchiuse appena le palpebre e parve rasserenarsi. Un tenero sorriso si fece strada sulle sue labbra. Alla ragazza tremarono le gambe.
«Mi sei mancata, Carol. Come stai?» mormorò la bimba.
Ah. Carol. Si chiamava così la sorella
La ragazza sentì un tuffo al cuore. Quindi non solo aveva la stessa voce, ma anche l'aspetto fisico di questa sorella.
Quella che ho visto ridursi in cenere? Non è vero. Per favore, no.
Come poteva dire la verità alla bambina?
Erano sole, senza indicazioni, provviste o rifugio. Non si conoscevano, ma la bambina credeva che lei fosse questa Carol.
La ragazza deglutì a fatica.
Doveva dire la verità. Punto... però Chelsea stava male, e raccontarle tutto avrebbe peggiorato soltanto la situazione.
E se mi tradissi?! Io non so mentire, faccio sempre la faccia sbagliata.
...
PERCHÉ QUESTO ME LO RICORDO
Appoggiò la bambina a terra e si sedette, guardando in basso.
Merda. Merda, merda merda merda
«S-sorellona...? Mega sorellona, che c'è?» balbettò Chelsea, mogia e preoccupata. Non c'era una punta di sospetto o sfiducia nella sua voce.
«Che fine ha fatto la pazza col cappuccio? L'hai uccisa?» continuò, vedendo la ragazza in difficoltà.
«Io... no. Ehm...»
«Oh. Beh, ci ha lasciate stare, è questo che importa, no?»
«Chel-Chelsea, io non s...» prima che la ragazza potesse finire la bimba sgusciò fuori dal parka e l'agguantò, spingendola a terra, poi prese a riempirle le guance di bacetti ridacchiando.
«Mi sei mancata tantissimo.»
Le faceva il solletico.
Così dolce.
Così sbagliato
«Io non sono tua sorella.»
Chelsea scattò indietro, il sorriso incrinato.
«M-ma che dici... Carrie?» mormorò stranita.
«Io mi chiamo Sharon... Non ti conosco. Mi dispiace di avertelo nascosto fin'ora.»
Calò un silenzio teso. La ragazza si aspettava che la bambina cominciasse a piangere, ma quella non fece altro che fissarla, gli occhi increduli e le labbra tremolanti. Sharon continuò:«Mi dispiace, davvero. Eri spaventata e disperata... mi avevi scambiata per tua sorella e volevo solo tranquillizzarti, ok? Farti stare un po' meglio. Capisci?»
La bimba si sedette sul giaccone. Abbassò lo sguardo ed i ciuffi di capelli le ricaddero sugli occhi. Due sottili e silenziose lacrime le rigarono le guance.
«Sei stupida... oppure» la voce della bimba assunse un tono diametralmente opposto a quello dolce e affettuoso di poco prima «oppure, Sharon, sei una bugiarda. Quale delle due?»
Alla giovane donna non piacque per nulla il tono tagliente dell'ultima frase, ma nonostante ciò si mise in ginocchio e carezzò la testa della bambina. Erano entrambe rigidissime.
«Volevo che ti sentissi al sicuro, ma mi dispiace di averti mentito» mormorò debolmente Sharon.
Chelsea digrignò i denti.
«Ho aspettato per...» La vocina cominciò ad alzarsi ed arrochirsi «... giorni. Settimane. Mesi. Anni. Non lo so. Troppo tempo. Volevo solo Carol. Solo che lei tornasse. Dov'è mia sorella, Sharon?» sibilò, alzando di poco la testa e fissando Sharon di sottecchi. Mostrava di nuovo quell'espressione seria, ma questa volta c'era dell'altro. Qualcosa inquietante. Teneva le braccia rigide contro il fianchi, i pugni serrati e appoggisti alla terra umida.
La ragazza provò l'impulso di consolare in qualche modo Chelsea, ma non osò sfiorarla. La bambina tremava di rabbia e poteva avere ancora lo stiletto con sé. Prima di tutto doveva essere calmata
«Come ho fatto a scambiarti per... Perché le somigli così tanto?»
«Io non ne ho idea...»
«Bugiarda, tu dici solo bugie.» strilló Chelsea. Un piccolo ma ben assestato pugno centrò la guancia di Sharon.
La ragazza cadde di lato ancor prima di realizzare l'accaduto. Non era stato un pugno tremendo, ma nemmeno quello che ci si aspetterebbe da una bambina mingherlina e denutrita. Chelsea si sbilanciò e cadde in avanti, faccia a terra. Ansimò, stringendo il polso sottile, ma subito si rialzò e corse via.
Sharon si mise a sedere, facendo vagare lo sguardo.
Cosa sta succedendo?
Chelsea era sparita. Doveva essersi nascosta tra le assi ancora in piedi...
eccola
Era china a terra, vicino alla sedia a cui poco fa era legata Sharon. Teneva qualcosa di piccolo, lucido e affilato tra le piccole mani. Si alzò. L'oggetto era sparito.
«Lasciami stare» mormorò, fissando Sharon con odio.
Si chinò e afferrò...
Ma sta scherzando?
... un pezzo del telaio di una finestra. Il legno era spezzato, ma comunque troppo lungo e pesante per lei, eppure la bambina, mugolando e tremando per lo sforzo, riuscì a sollevarlo. Barcollò in avanti tenendo alta l'arma, in una sgangherata posa da giocatore di baseball.
Sharon si alzò lentamente, cercando di non allarmare la bambina. Parlò cercando di suonare tranquilla e rassicurante:«Chelsea, hai la febbre, siamo da sole in mezzo al nulla. L'ultima cosa che ci serve in questo momento è farci male a vicenda: non fare stupidaggini!»
«Quella pazza...» ansimò la piccola«...ha detto che mi avrebbe portata da mia sorella, ma c'eri tu. È vero... non puoi essere lei: Carrie non mi avrebbe mai mentito. Dov'è? Dov'è mia sorella? Cosa le hai fatto?!»
«IO... io... non le ho fatto nulla! Te lo... io te lo giuro, c-credimi, non volevo niente di tutto questo!»
«Bugiarda bugiarda bugiarda bugiardabugiardabugiardabugiardabugiardabugiardaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa» Chelsea scattò in avanti. Sharon si scansò, ma fu troppo lenta: la bambina corresse la mira, fece mulinare lateralmente l'arma e colpì. La ragazza si fece scudo col braccio sinistro. Vide l'asse colpirla, ma non provò alcun dolore. Il pezzo di legno si spezzò in due e la metà superiore volò via, mentre quella tra le mani di Chelsea cominciò a svanire.
La bimba cadde di lato per lo slancio e rimase a terra, acquattata e sconvolta. Faceva saettare lo sguardo, dal bastone che andava dissolvendosi tra le sue mani a Sharon. Dal canto suo, anche la ragazza era completamente sconvolta e fissava la bambina. Poi, qualcosa scattò nel suo cervello. Era completamente in vantaggio. Senza una parola scattò verso Chelsea e prima che questa avesse il tempo di alzarsi le afferrò i polsi, costringendola a terra.
«Mollamimollamimollamiiiii»
«Tappati la bocca!»
Chelsea si zittì e rimase immobile a fissarla con odio, ma anche una vena di paura negli occhioni strabuzzati.
«Piantala di frignare e pensa alla situazione in cui ci troviamo! Odiami quanto cazzo ti pare, ma smettila di fare la psicopatica per un secondo e ascoltami. Io non ti piaccio. Tu non mi piaci e non so badare alle bambine. Ma... ma...»
Perché non lasciarla qui? Sarebbe solo un peso se me la portassi dietro
«Cristo... non ti abbandono. E non lascerò che tu mi faccia del male o ne faccia a te stessa. Chiaro?»
Insieme rischiamo di scannarci a vicenda. Basterebbe tramortirla... e lasciarla qui. Non è un mio problema. Devo... sopravvivere. Facile, veloce. Ne esco sporca ma viva.
«Per favore. Per favore, Chelsea, non rendermi tutto più difficile.»
Cosa sto dicendo?
«Possiamo aiutarci. Sopravvivere insieme. Lo so che non è quello che vuoi, ma...» non sapeva cosa dire e fare. La bambina incassava tutto con una sorta di timoroso rancore, gli occhi quasi fuori dalle orbite, mordendo con forza le labbra mentre copiosi lacrimoni scorrevano sul suo viso. Il piccolo petto sobbalzava sotto la camicia.
Sharon allentò la presa. Di poco. Doveva essere lei quella forte, superiore, oppure... aveva paura a pensarci.
Rimasero a guardarsi per un lungo, lungo momento. Poi la giovane donna parlò di nuovo:«Farai la brava e non mi attaccherai più. Non costringermi a usare la forza. Chiaro?»
Silenzio.
«Chiaro!?»
«Chiaro» rispose la bambina. I suoi occhi facevano fatica a restare aperti.
«Non tenterai di ammazzarmi.» mormorò Sharon, cercando di non far entrare la pena che provava tra le sue parole.
«... non... lo farò...»
«Come?»
«Non lo piagiucolò la bambina, priva di forze. Sharon la tirò su dolcemente, ma la piccola si afflosciò e biascicando un debole:«... crepa...» svenne tra le sue braccia.
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