- Capitolo Trenta -
Il mio ultimo pezzo di pizza mangiato giaceva nel piatto di fronte a me.
Durante tutta la cena non avevo rivolto parola a nessuno e nessuno aveva parlato con me.
Miki e David erano immersi in una conversazione sul football e sulla loro squadra, mentre le ragazze mangiavano assorte nei loro pensieri.
« Ragazze, su! Non sta andando al patibolo. » Disse Miki per alleggerire l'atmosfera funerea che aleggiava in casa, notando Celine e Crystal distratte.
Lo sguardo omicida di Crystal fece tacere Miki all'istante.
Conoscevo le mie sorelle, erano preoccupate e, come loro, dall'altro lato del tavolo David non era da meno, anche se non lo faceva vedere.
Tirava fuori ,costantemente, il telefono dai jeans, lo guardava e poi lo rimetteva in tasca.
Rigido e in attesa.
D'altrocanto, io mi sentivo tranquilla.
Vedere Noah, nonostante il turbinio di emozioni negative e le mille domande che mi aveva lasciato, mi aveva tranquillizzato.
Forse ero pazza, con lui cambiavo idea ogni cinque minuti. Mi sentivo vulnerabile quando era vicino, attratta, ma una volta lontano tornavo lucida e lo odiavo.
E questo non era normale.
Lo squillo di un telefono attirò l'attenzione di tutti verso David.
« È ora. » Affermò David alzandosi e prendendo la giacca appesa allo schienale della sedia.
Vidi Mike accodarsi a lui diretto alla porta.
Come ghepardi, io e le gemelle ci alzammo dal tavolo precipitandoci a prendere borse e chiavi della macchina, per seguire i ragazzi.
Lo sguardo omicida di David però, mi bloccò sul posto.
« Tu non vieni.»
« E chi lo dice?»
«Io! Tu. Non. Vieni.»
«Fermami, se hai il coraggio.» Dissi avanzando verso di lui per sorpassarlo.
David con un gesto spontaneo mi bloccò il passaggio con il braccio e io di riflesso, usai l'avambraccio per deviare il suo braccio verso l'esterno, guardandolo con aria di sfida.
Ero sul punto di contrattaccare, con un pugno dritto in faccia, ma l'intervento di Crystal mi bloccò.
«Fermi. Non è il caso di litigare, non abbiamo tempo.»
David mi lanciò uno sguardo carico di rabbia, per poi proiettare i suoi occhi su Crystal.
Non so cosa passò fra di loro, ma vidi il moro acconsentire con un cenno del capo.
«Andiamo con una macchina, facciamo prima. E mi raccomando, restate vicino a noi.» Disse David, guardando Miki prima di sedersi in auto.
Mi infilai nei sedili posteriori e dopo che le gemelle erano salite, il moro partì a tutto gas.
Volevo sapere di cosa si trattasse e nonostante l'egoismo di Noah e tutto quello che avevo pensato, avevo bisogno di vederlo.
Cosa cavolo mi aveva fatto quel ragazzo, non riuscivo a comprenderlo.
Questo bisogno necessario di sapere se stava bene, nonostante la strafottenza, era una cosa che violava il mio essere.
Eppure era riuscito con poco ad insinuarsi facendo lo stronzo e io, che mi ero sempre tenuta lontana dai tipi come lui, ero caduta con tutte le scarpe nella rete del suo fascino.
Eppure dentro di me, odio e attrazione facevano costantemente a pugni.
« Siamo arrivati.»
« Allora è qui che si fanno le gare per eleggere il maschio alpha o come li chiamate voi, gli incontri. Mica male.» Disse mia sorella ridendo e guardandosi intorno.
Un edificio a tre piani elegante e sofisticato si innalzava davanti a noi. Mi guardai intorno, notando un grande cancello aperto che avevamo varcato poco fa e di cui io non mi ero accorta, un garage vicino, musica ad alto volume provenire dal casolare e macchine parcheggiate ovunque.
Oltre a questo, ettari ed ettari di nulla.
« Celine, smettila di prenderla come una gita o una manicure dall'estetista.
Non è un incontro e Noah rischia. Rischia grosso.» Rispose David guardando la gemella con sguardo serio e poi me.
Mi dava ancora la colpa, era ovvio.
Distolsi lo sguardo da lui e lo puntai altrove, ne avevo abbastanza delle sue teorie.
Ero stanca già ora e avevo una voglia matta di fumare.
Dovevo rilassarmi e l'unica amica in quel momento era quel tubicino bianco tossico contenente nicotina.
Cercai di aprire la borsa, ma la voce di David mi bloccò.
« Andiamo, mancano cinque minuti.»
Ci incamminammo e invece di entrare dalla porta principale, svoltammo a destra costeggiando la reggia lussuosa.
Nella parte posteriore proveniva musica a tutto volume, ragazzi e ragazze tutti intorno a una grande piscina con materassini, lettini e ombrelloni chiusi, vista l'ora tarda.
David e Miki salutarono diversi amici per poi dirigersi sul fondo dove c'era una dependance.
« Ragazze, ricordate qualsiasi cosa succeda, se vedete problemi, scappate. D'accordo?»
« Si. Ti pare facile. Non c'è nulla intorno. E poi, Cristo, perché stiamo entrando in una dependance?» Snocciolò con strafottenza Celine.
Il moro sbuffò, scuotendo la testa, ed entrò seguito da tutti noi. Una innocua e semplice sala da pranzo, con cucina a vista e varie porte sulla destra, ci dava il benvenuto.
« Wow, che paura questo posto.» continuò sarcastica Celine.
Crystal scoccò un'occhiataccia alla gemella senza nemmeno parlare.
Stava cercando di sdrammatizzare, conoscevo questo suo lato, ma in quel momento era l'unica cosa che doveva evitare.
« Aspettate.»
Mi guardai intorno, focalizzando poi i miei occhi su David che si stava avvicinando a una porta.
« Non è ora di andare in bagno, David. Manca poco, la vescica la potevi svuotare prima.» Disse Crystal.
« Ragazze, non st- »
Miki non finì la frase perché David azionò il pulsante di un citofono vicino alla porta.
Un fascio di luce rosso si propagò per tutta la stanza lasciando tutti a bocca aperta, tranne David che pronunciò una frase.
« Sushi and Little I»
Guardai le gemelle senza parole e non feci in tempo a chiedere che cosa stesse facendo che la porta vicina si aprì, materializzando dietro di essa un ascensore.
« Tutto questo è assurdo.»
« Ma va, veramente?» Dissi sarcastica a mia sorella.
Il mio sesto senso si attivò nell'immediato momento in cui varcai la soglia.
C'era qualcosa che non andava, non riuscivo a riflettere.
Troppe informazioni, troppi movimenti, troppe contraddizioni.
Se questo ascensore ci avesse portato da Noah e quindi da Lux, voleva solo dire che le mie domande avrebbero avuto risposta.
Lux era un miliardario.
Lo avevo capito già dalla villa, ma immaginare tutto questo.
Aveva ragione Crystal, era assurdo.
Era tutto troppo.
Troppo segreto.
Troppo ambiguo.
Troppo strano.
Vedendo questo, potevo capire cosa intendesse ora mia sorella.
Era davvero troppo pericoloso.
La porta dell'ascensore si chiuse dietro le mie spalle e dal display su un lato capimmo che stavamo scendendo.
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« Cazzo, siamo sotto terra.»
« E io che pensavo di essere su un'astronave.» scherzo Celine.
« Ah ah ah, simpatica!»
« Ragazze, basta.» disse Miki nell'istante in cui il dlin dell'ascensore aprì le porte mostrandoci un lungo corridoio buio con solo luci al neon a ravvivare la strada.
« Andiamo.»
Mi strinsi ancora di più nella mia felpa per i brividi poco piacevoli che mi trasmetteva quel posto e seguii David.
Percorremmo tutto il corridoio fino ad arrivare ad un'altra porta.
Luci a led mostravano tutto il suo perimetro, tanto da illuminarla a giorno.
« Pronte?»
David si girò, mettendo una mano sulla maniglia.
Lo guardai.
Era ansioso e questo voleva dire solo una cosa.
Lui c'era già stato.
Si capiva da come si muoveva, da come gestiva noi e l'ansia.
Cosa che io non stavo più riuscendo a tenere dentro.
Guardò le ragazze e poi me. Riuscii a sostenere il suo sguardo, anche se dentro stavo morendo.
Avevo paura, quella paura che conoscevo bene.
Fin troppo.
« E dai, come sei misterioso David, che sarà mai? Abbiamo capito che è pericoloso, ma anche meno. Forza, aprì e facciamola finita. Troviamo Noah e andiamo a casa.»
Con uno strattone, Celine spostò David e aprì la porta, dove una luce accecò immediatamente i nostri occhi.
Durò pochi secondi.
Una volta riaperti ero l'ultima della fila, dietro a Miki.
Non riuscivo a scorgere nulla.
Sentivo solo caldo, ma un caldo infernale, mentre mi fermavo dietro di loro.
Rombi di motori, musica di ogni genere e schiamazzi ci diedero il benvenuto.
Chiusi gli occhi di nuovo e sospirai.
Avevo paura di ciò che avrei potuto scoprire.
Non volevo essere debole.
Non adesso che stavo cominciando a rinascere.
Che stavo cominciando ad accettare.
Che stavo sviluppando il processo che la mia psicologa mi aveva detto di affrontare.
Ma soprattutto non adesso che stavo cominciando a convivere con il mio trauma, che stavo cercando di dimenticare anche se solo per un anno.
« Oh cazzo.» disse Celine.
Spalancai gli occhi immediatamente e notai che davanti a me non c'era più nessuno.
La visuale era libera, ma era tutto un totale caos.
Era l'unica cosa che riuscivo a distinguere.
Ma soprattutto, confermai che il mio sesto senso non sbagliava mai.
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