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- Capitolo Ventitre -

Mi pietrificai.
Il suo modo di parlare, il suo corpo, le sue mani, la sua bocca, per non parlare del suo sguardo.
Tutto mi destabilizzava.

Ti ha fatto una domanda!

«E chi ti dice che accetterò?»

Fu un attimo.
Mi piombò addosso come un leone, senza sfiorarmi minimamente.
Si avvicinò al mio orecchio con la sua bocca e il suo profumo divenne per me fonte di ossigeno puro.

«Io»

In me divampò un fuoco capace di bruciare tutto ciò che mi circondava.
Era riuscito con soltanto due lettere a far crescere in me la voglia di avvicinarmi ancora.
I nostri corpi non erano mai stati più vicini, ma ero consapevole che in fondo poteva passare tra noi un libro intero.
Era la sensazione di lui che mi infiammava.
Il brivido lungo la spina dorsale a farmi capire il pericolo.
Il tono che aveva usato a farmi assaporare il gusto di quello che nella vita potevo ricevere, ma che non avevo mai avuto.
L'aria calda del suo respiro mi accarezzava la pelle del collo e mi inumidiva i capelli, mi accorsi però che ad essere umidi non erano solo quelli.

«Scimmietta, ora» disse con voce perentoria e si allontanò svelto, facendo un passo indietro.
Riuscii a respirare solo quando, dopo avermi ammirato ancora dalla testa ai piedi, cominciò a guardarsi intorno e a puntare gli occhi sulla strada dietro di lui.

«No.» dissi fredda e con aria spavalda.

Lo guardai un'ultima volta mentre lentamente un sorriso sornione cresceva sulle mie labbra.

Adesso ti sistemo io.

Lentamente feci finta di avvicinarmi per farlo ancora indietreggiare, visto che era arrivato sotto l'arco della porta di ingresso, e con un gesto immediato chiusi la porta con un tonfo.

«Adiós amigo. Saluda a todos.»
dissi strillando affinché mi sentisse da fuori.

Ridendo e crogiolandomi nella mia piccola vittoria, mi rigettai sul divano distesa con un sorriso a trentadue denti.
Mi piaceva tenergli testa, riuscire a spiazzarlo continuamente.

Era l'unico modo che avevo per fronteggiarlo.
Non amavo il suo carattere, così sicuro di sé, non lo sopportavo proprio.
Si comportava con me come faceva con tutte le altre e in fondo, come biasimarlo, visto il grado di conoscenza che avevamo.
L'unica cosa che non riuscivo a capire era perché era così insistente.
Mi aveva detto chiaro e tondo che non ero il suo tipo e allora cosa cavolo voleva da me?
Perché era qui?

Un tonfo non indifferente mi fece sobbalzare sul divano e mi rimisi seduta in un attimo.

«Forse non ci siamo capiti, vieni con me, ora.»

Noah spuntò come una belva dalla porta principale e si precipitò su di me in un nanosecondo, facendomi allungare nuovamente con lui sopra.
Eravamo corpo a corpo e sentivo bene maledettamente tutto.
La sua mano era ancorata al mio fianco sotto il tessuto del pigiama e, inconsciamente, con un movimento circolare, mi accarezzava con il pollice.
Era ruvida, ma calda e riusciva ad accendermi ancor di più.

«Intendiamoci, plucky... tu per me sei zero. Sei zero. Non ho bisogno di ragazzine che mi girano intorno credendosi chissà chi, ne ho piene le tasche. Non sei il mio tipo, per niente, ma mi fa innervosire questa tua aurea da santarellina. E adesso muoviti!»

Mi aveva spezzato con poco.

Non sai quanto mi senta zero a volte.

I miei occhi si fecero subito lucidi, avevo dato un significato tutto mio alle sue parole che lui non poteva conoscere.
Riuscii a riprendere il controllo e mi tuffai nelle sue perle blu.
Capii all'istante che aveva visto. Quelle sette lettere avevano fatto male.
Avevano toccato un punto nascosto di me.
Ci guardammo a lungo e mille stelle cominciarono a brillare, provocando scintille tra la mia testa e il cuore.
Non sapevo come o quando, ma questo ragazzo era riuscito a sbloccare più parti di me in poco tempo e stava riuscendo, con i suoi modi, a far sciogliere la mia corazza di ghiaccio.
Era rude, duro e irruento.
Mi trattava come una ragazza normale però, con la consapevolezza, dopo avermi visto, che fossi rotta.
Perché io l'avevo capito, avevo intuito che eravamo simili, in qualche modo,
dentro di lui riconoscevo una parte di me.
La parte più oscura.

Ed eravamo attratti come calamite per questo, come se volessimo fondere il nostro dolore insieme e creare, dal cumulo di macerie che eravamo, un fiore pronto a sbocciare.

Solo che in quel momento ci stavamo incontrando nello stesso verso.

Eravamo due negativi.

«Non vengo. Le mie sorelle sanno già tutto e se loro sono a conoscenza, di quello che mi stai dicendo tu non mi interessa nulla», dissi guardando la parete dietro di lui.

Sentivo il suo fiato caldo su una guancia, il suo respiro pesante, la forza delle sue braccia che sorreggevano il suo corpo per non schiacciarmi, riuscivo a percepire ogni singolo spazio di Noah.
Le uniche tre cose che non potevo vedere o sentire, ancora, erano il cuore, l'anima e la mente.

«Guardami. Ora, plucky. Cerca di capirmi, ragazzina. Le tue sorelle hanno organizzato qualcosa per te e tu che fai? Ti auto infliggi di stare qui dandogli buca, dopo che hanno fatto i salti mortali per te. Bel ringraziamento.»

Lo guardai immediatamente.
Credevo fosse una stronzata colossale solo per farmi uscire.
Eppure il suo mare in tempesta, emanava sincerità.

«Togliti»

Cercai di spingerlo via, ma lui si assottigliò ancora di più su di me.

«Dimmi che hai capito, dimmi che non sei solo un involucro vuoto come tutte le donne che conosco»

Ma cosa cazzo c'entra ora questo?

Lo osservai e lo vidi strano.
Era perso, non era focalizzato su di me, ma era in un altro mondo.
Qualcosa di oscuro passò nei suoi occhi per un breve momento tenebroso.
Scosse leggermente la testa e tornò a guardarmi come prima.

Cosa diavolo?

«Dimmi che hai capito.»

Lo guardai e mi persi.
Un nero-blu intenso, con sfumature più chiare mi osservava.
Occhi incredibilmente veri e problematici.
C'era un mondo dentro Noah, colori unici e brillanti.
Un blu notte come il cielo notturno, profondo e intenso, un rosso come il fuoco passionale, pericoloso e coraggioso, e infine, un immenso nero, come il suo giubbotto di pelle, ribelle e protettivo.

«Sì» dissi ancorata ai suoi occhi con una flebile voce.

Era riuscito a incantarmi, a incatenarmi a lui con pochi gesti, con la sua mano e i suoi occhi magnetici.
Percepivo il suo essere con poco e lui stava facendo lo stesso, ricercando nei miei quello che a lui mancava.
Vedevo come mi guardava, come cercava di sondare il mio essere, come cercava di capire qualcosa di me.
Scosse la testa come a scacciare pensieri corrosivi e immediatamente,  si alzò da me e andò verso la finestra.

«Ti aspetto fuori, muoviti.»

Mi avvolse l'improvvisa aria fredda, non sentivo più il fuoco ardere.

«Ehi, fermati, come cazzo sei entrato?» dissi sbalordita mentre mi mettevo a sedere.

«Con le chiavi, genio»

Guardai le sue spalle a bocca aperta mentre faceva roteare sul dito le chiavi con la C stilosa di Celine e continuai a rimanere ferma sul posto, dopo essermi alzata dal divano, anche quando si dileguò velocemente come era entrato.
Mi passai le mani tra i capelli tirandoli un po'.

Ci mancava solo lui.

Corsi in camera per prepararmi e guardandomi allo specchio, constatai la situazione.

Dio, ma come cavolo ero combinata?

Cercai di riflettere velocemente, per capire cosa indossare.
Per primo, spazzolai senza sosta i capelli indomiti che avevo in testa e riuscii con poco a sistemarli in onde morbide.
Posai la spazzola e scivolai via come una furia verso quella che sarebbe stata la mia stanza in questi giorni.
Rovistai tra i miei mille vestiti per trovare quello adatto, ma riuscii a trovare solo quello succinto color rubino comprato a causa di una scommessa con Charlie anni fa.
Misi delle culotte dello stesso colore dell'abito sopra l'intimo che avevo indossato, onde evitare situazioni imbarazzanti.
Ero consapevole che Noah fosse venuto in moto e io di certo volevo evitare che tutti vedessero altro.
Indossai velocemente il tubino rosso e i due tacchi neri comodi che portavo sempre dietro.
Ero pronta, ma come una volpe rubai dal portagioie di Celine qualche gioiello e da Crystal presi in prestito una borsetta nera.
Spostai alcuni capelli indietro e mi guardai allo specchio prima di scendere dal soppalco.

Non mi riconoscevo molto, ma ero stanca di essere sempre la stessa.
Volevo fare colpo su Noah e anche se avevo sempre pensato che non fosse il vestito a fare la persona, in quel momento avevo bisogno di sentirmi bella e magnetica.
Sorrisi allo specchio senza rendermene conto mentre prendevo un giubbino di pelle nero, mai usato.
Era sicuramente perfetto per andare in moto, anche se non c'ero mai salita.
Scesi in fretta quelle scale di fuoco, anche se i tacchi mi permettevano ben poco, andai verso il portone e lo aprii.
Noah era lì, bello e tenebroso.
Appoggiato alla staccionata che circondava il patio, con il fumo ad avvolgerlo e una sigaretta a fargli compagnia.

#Spazioautrice.

Ciao a tutti ,vi lascio qui l'immagine di Felicity per la prima volta, spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Felicity Lins

Cosa succederà quando la vedrà?
E cosa dirà lui?

Fatemi sapere!

☆ Un abbraccio ☆

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