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- Capitolo Ventidue -

«Ty?» Celine mi chiamava continuamente mentre si finiva di truccare in bagno.

«È stanca, lasciala dormire.» disse Crystal mentre si allacciava i sandali.

«Ragazze, andiamo?»

Riconoscevo questa voce.
Era di uno dei ragazzi, David forse?
Volevo scoprirlo, ma non potevo far scoprire a Celine la mia copertura.

«Ty, sei sempre la solita dormigliona»
Sentivo il suo sguardo su di me, mi stava osservando mentre cercavo di far finta di dormire.
Percepivo il suo dolce profumo e l'odore di fragola provenire dalla gomma che stava masticando.
Cercai di rimanere impassibile per non farmi scoprire, ma stavo fallendo miseramente.

«Dai Celine, andiamo, tanto già non voleva venire...»

«Perché? Io e David non eravamo di compagnia?»

Ecco chi era, Miki.

«Ragazzi, portatela di là, non le ho sistemato la stanza, mettetela nella mia»

Sentii due forti braccia prendermi.
Il profumo era dolce a primo impatto ma diventava subito amaro, non riuscivo a capire sembrava muschio e lime.
Mi irrigidii al contatto, c'erano troppi muscoli a cui non ero abituata che mi circondavano, in fondo non ero abituata a nulla, quindi tutto mi risultava inappropriato.

Improvvisamente il soffice candore di lenzuola pulite al gelsomino mi inondò il tatto e l'olfatto.

«Sbrighiamoci, aprirà fra poco e sai benissimo che non vogliono ritardatari al loro tavolo.»

Ma chi?
Dove dovevamo andare?

Ah giusto, la festa!

«Spengo la luce e accendo l'abajour, aspettatemi in macchina.» sentii dire da Crystal.

Ascoltai David, i tacchi indossati da Celine e Miki andare verso l'uscita, scendere le scale e chiudere la porta d'ingresso.

«Ty, so che sei sveglia, ti lascio l'indirizzo di dove andremo, nel caso tu ci ripensassi... mi raccomando c'è un dress code... tutti in abito rosso o nero.» disse e se ne andò.

Era sempre riuscita a fregarmi a questo gioco anche da piccola.
Celine non si accorgeva di nulla, lei si.

Una volta finsi di dormire per non andare a scuola.Ero stanca perché la sera prima eravamo state a una festa a casa di amici di papà.

Crystal era sempre stata quella più precisa di noi, quella del "non far incazzare i genitori", "portare bei voti a scuola", "studiare sempre", "non marinare mai la scuola".

Io e Celine un po' meno.
Quel giorno eravamo in super ritardo, i miei non c'erano perché erano a lavoro e noi dovevamo per forza recarci a scuola.
Così, io finsi di dormire, solo che prima di salire in macchina, Crystal tornò indietro per cogliermi con le mani nel sacco.

Mi trovò sveglia e in procinto di fare colazione.

Mi guardò, se ne uscì con il suo solito "come sospettavo", prese gli occhiali da sole, che aveva consapevolmente lasciato in casa, e andò a scuola.

Mi alzai nel momento in cui sentii la loro macchina partire a tutta velocità.
Ero appena arrivata e già non ne potevo più di tutto questo movimento.

Avevo bisogno di calma, di sistemarmi, di rilassarmi di fronte a un film.
Uscii dalla stanza e girai un po', familiarizzando con la casa.
Le mie sorelle non erano eccentriche, ma di certo non avevano badato a spese.
Io che avevo sempre pensato a un appartamento semplice e minimalista.
Invece loro avevano affittato un loft con soppalco.
Nel primo piano c'era una modernissima cucina super accessoriata, nera opaca, con un tavolo bianco e sedie dello stesso colore.
Utensili, vasi e centro tavola richiamavano il colore della cucina.
Il divano di pelle celeste era l'unico tocco di colore in tutta la stanza ed era veramente sorprendente come non stonasse in tutto quel nero e bianco.

Mentre mi avvicinavo per ripiegare la coperta, che era sistemata proprio lì vicino, notai tre porte sulla mia destra.
Intenta a scoprire di più su tutto quel ben di Dio, le aprii una dopo l'altra.
Trovai solo una dispensa, un bagno grigio antracite e una stanza completamente vuota all'infuori di una scrivania con un laptop poggiato sopra, alcuni zaini e la mia valigia, che presi con me.
Poco entusiasta della mia scoperta, mi recai al piano di sopra.
Sentivo l'esigenza di una doccia e di indossare il pigiama di seta con cui dormivo sempre in Texas.
Avevo bisogno di sentirmi a casa e, lì,  con le mie sorelle mi sentivo me stessa solo per metà.
Forse indossando il mio completo da notte preferito avrei percepito meno il peso di tutto. Mi sarei sentita più libera.

Salii le scale un pochino intimorita.
Sembravano di vetro nero lucido, ma la cosa che mi faceva tremare le gambe è che erano trasparenti.
Talmente tanto nitide, da riuscire a vedere anche cosa c'era al di sotto.
Mi grattai la nuca una volta arrivata in cima, la testa mi faceva un male assurdo.
Portarli legati per tutto questo tempo mi aveva sempre provocato un gran mal di testa e l'unico rimedio al dolore era lavarli.
Cercai in fretta e furia il bagno, anche se mi sentivo spaesata di fronte alle quattro porte di legno bianco che mi parvero davanti.

Ma questa casa quante cavolo di porte ha?

Sorpassai quella di mia sorella da dove ero uscita qualche ora prima per dirigermi verso le altre.
Non avevo fatto caso all'ordine tipico della gemella.
Aveva dato un tocco in più di personalizzazione con delle pareti di un azzurro cielo, il suo colore preferito, ma era tutto maniacalmente a suo posto.

Così continuai con le altre, una dopo l'altra.
Ero totalmente inconsapevole di ciò che avrei trovato all'interno, compreso il caos infernale.


Crystal.

Quella stanza rappresentava la sua essenza.
Il viola delle pareti era il suo marchio e il disordine il suo ordine.
Un sorriso spontaneo delineò le mie labbra, era sempre stato facile distinguerle.
Come il sole e la luna.
Lo yin e lo yang.

Chiusi la porta scuotendo la testa e infine mi avviai verso le ultime due stanze e le socchiusi contemporaneamente.
Un bagno nero con tappeti soffici bianchi mi guardava e richiamava dalla mia destra e una camera spoglia con letto, scrivania e tutto l'essenziale mi chiamava dalla sinistra.

Oh ecco la mia stanza.

Decisi così di togliere le mie cose dalla valigia, sistemarmi nella stanza e poi correre in bagno a fare una doccia e a lavarmi i capelli.

Ero esausta, ma all'uscita dal bagno ero pronta a rilassarmi.
Con indosso il mio pigiama di seta blu notte, mi sedetti rannicchiata sul divano alla ricerca del telecomando.

Avevo voglia di vedere un bel film strappalacrime, ne avevo bisogno.

Ringraziai mentalmente le mie sorelle per l'abbonamento a Netflix.
Mentre mi sistemavo meglio i pantaloncini con inserto in pizzo del pigiama, i miei occhi per puro caso si alzarono guardando l'orologio affisso alla parete.

Mezzanotte.

Sbuffai, ero annoiata e già stanca del film che avevo messo su.
Cominciai così a fare zapping per trovarne un altro che catturasse la mia attenzione completamente.
Le gemelle avrebbero fatto tardi, quindi forse potevo aspettarle guardando un horror o un thriller.

«Questo no, questo già visto, questo devo aspettare Charlie» cominciai a parlare da sola inconsapevolmente.

Mi bloccai e mi spaventai facendo cadere il telecomando a terra quando il campanello suonò.
Ma dopo soltanto due secondi  riuscì a  tranquillizzarmi perchè le gemelle avevano l'abitudine di uscire senza chiavi.

«Dio, Celine un'altra volta le chiavi?Un giorno cosa lascerete a casa??La testa?»

Il campanello continuava a suonare senza sosta.
Mentre mi dirigevo alla porta per aprire, cominciai a straparlare.

«Avete già finito di ballare?Non dovevate fare notte fonda? Si ok, lo ammetto ho fatto finta di dormire per non venire con voi. Ma non m- » mi bloccai una volta aperto l'uscio.

«Ciao Scimmietta»

Mi pietrificai.

Noah era in piedi davanti a me in tutta la sua bellezza.
Avvolto in un jeans semi-elegante stretto, cinta in vita a sottolineare il suo fisico e una camicia nera a fasciare i suoi muscoli.

Il suo profumo mi invitava a cadere ai suoi piedi, potevo sentirlo a metri di distanza e ultimamente era diventato il mio aroma preferito.
Tirò fuori una delle mani che aveva infilate nelle tasche dei jeans e si sistemo il colletto del suo amato giubbino di pelle.

Era un Dio greco anche nei modi.

Cercai di parlare, ma ero talmente assuefatta dalla sua bellezza che, senza accorgermene, mi si seccò la gola.

«Allora hai finto di dormire per non venire con noi, eh?»

Forse avevo urlato un pochino troppo.
Lo guardai negli occhi, esterrefatta.  Quelle iridi erano diventate di un blu notte, quasi inverosimile. Mi osservò dalla testa ai piedi lentamente, facendomi vedere il momento esatto in cui si scurirono ancor di più.

Dio fammi morire adesso.

Ma cosa cavolo ci faceva qui?

«Troppo snob per te?» continuò a stuzzicarmi.


«Cosa ci fai qui?» dissi una volta riacquistata la mia lucidità, dando voce ai miei pensieri.

«Sono venuto a prenderti.»

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