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- Capitolo Trentatre -

La paura mi divorava il cervello, e solo ora capivo cosa significasse davvero. 

Continuavo a mangiarmi le unghie, toccandomi la coda come un mantra per non pensare a quello che sarebbe successo.

 Io un premio.

Forse stavo prendendo tutto troppo sul serio, come sempre facevo quando succedevano queste cose. Non lo facevo di proposito, ma da quando Nicholas mi aveva reso oscura, vivevo con una compagna di vita che si presentava quasi sempre in queste occasioni: l'ansia.

Continuavo a guardarmi intorno quando la porta si spalancò e una ragazza con la pelle color caffè latte entrò, accompagnata da uno degli scagnozzi di Lux. 

Quest'ultimo, con il suo sguardo sprezzante, scrutò la mia figura intera, assumendo un'espressione disgustata. Poi si rivolse alla ragazza:

«Vestila, chi vorrebbe un premio in tuta da ginnastica? E scioglile i capelli, qui non vogliamo bambine di dieci anni.»

Le sue parole mi accesero come una miccia.

«Ehi! Non ci pensare proprio. Voglio andare via.»

«Non puoi, sei stata scelta.» intervenne la ragazza che era entrata.

«Ma... al diavolo la vostra gara e il vostro premio. Voglio andare dalle mie sorelle e tornare a casa.»

«Senti bella, qui tu non sei nessuno. Se sei venuta qui, eri al corrente delle regole. Quindi ora fai come ti dico io, altrimenti ti rispedisco da dove sei venuta, ma da sola e senza telefono.»

«Senza telefono?»

«Potresti chiamare la polizia, e qui non vogliamo guai. Sei in mezzo al nulla, quindi» continuò allargando braccia e mani «scegli tu. Resti o vai?»

Non serviva uno scienziato per capire che l'unica opzione era rimanere. Non ero del posto, non sapevo dove mi trovavo e non sapevo come tornare a casa. Ero incastrata in un luogo dove non volevo stare, ma ben consapevole che ci ero entrata io con tutte le mie forze.

La ragazza mi passò una tutina in pelle super aderente, invitandomi a prenderla per cambiarmi.

«Vai, dai. Lì» indicò una porta alla mia destra che non avevo visto prima «C'è il bagno.»

«Scordatelo, io questo non lo indosso.»

«Ragazzina, mi hai già stufato. Resti o vai?»

Guardai lo sguardo della ragazza che mi pregava con gli occhi di indossare quel lembo di tessuto striminzito che continuava a tendere verso di me.

«Ok, d'accordo vado. Ma ho bisogno di una mano con la chiusura.» Dissi sbuffando e prendendo con forza quell'ammasso di stoffa.

Nonostante mi fossi rifiutata di indossarla più volte, non volevo uscire dal da sola.

Indossai la tuta nera aderente e mentalmente ringraziai per avermi fatto la ceretta qualche giorno prima, altrimenti non sarebbe stata una bella visione.Mi fasciava le gambe e il corpo come un guanto o una seconda pelle, spalline sottili mettevano in risalto il mio seno abbondante e la trasparenza che avevo sui fianchi rendeva tutto molto sexy.

Mi guardai allo specchio e sciolsi la coda.

«Non sembro nemmeno io.» Borbottai allo specchio.

Adesso cominciavo a parlare anche da sola.

«Finito?» La voce della ragazza mi riportò al momento e, sbuffando per l'ennesima volta, tornai nella stanza.

«Sì, grazie, alla fine non serviva nemmeno, la chiusura è sul davanti.»

Vidi l'uomo alzare gli occhi al cielo e uscire dalla stanza, mentre lei si incamminava dietro di lui sorridendo e scuotendo la testa. Sospirai e decisi di seguirli. 

«Altro che inferno per loro, questo è un inferno solo per me.» Dissi a bassa voce.

L'uomo vestito di nero, che tanto angelo non era, continuava a chiudere e aprire porte da sorpassare fino ad arrivare all'ultima.

Continuavano a salire e salire su una scala di acciaio murata. Non sapevo che fine avessero fatto le mie sorelle, nemmeno che fine avessero fatto i ragazzi o come stesse andando la gara.

Il pensiero di Noah in mezzo a tutte le fiamme mi aveva fatto venire i brividi, ed essere all'oscuro di tutto non rendeva la situazione migliore.

Dopo tutto quello che avevo vissuto, non avevo bisogno di tutti questi casini vicino a me. L'ansia di quello che sarebbe successo da lì a poco, il dovere di fare delle cose, l'obbligo di indossare abiti che non appartenevano a me, ma o lo facevo o altrimenti mi avrebbero cacciato, era tutto totalmente fuori controllo.

 Mi bloccai di colpo mentre avanzavo e il mio cuore continuava a farsi potente, a salirmi in gola e a riscendere più volte.

Non avevo mai provato un attacco di panico, ma credo che se non lo era, forse ci mancava ben poco. Era la prima volta nella mia vita che stavo provando una tale paura da bloccarmi la vista, il cuore e la mente. Mi aveva talmente immobilizzato da non riuscire a proseguire e a completare gli ultimi tre gradini.

«Ehi bella, tutto bene?» disse la dea davanti a me.

«Sì, no, forse. Non lo so. »

La guardai e cercai di fare respiri lunghi. Mi ipnotizzai sui suoi capelli mossi e lunghi, ma soprattutto vaporosi. Meches di tutte le tonalità di biondo le ricadevano morbide sulle spalle.

«Tranquilla, lo abbiamo fatto tutte, non preoccuparti non è nulla di grave. Non ti farai male e nessuno ti toccherà. Fidati di me.»

Non riuscivo a capire perché il mio corpo stava reagendo così, se era per Noah , o per la situazione in cui mi trovavo. Non riuscivo a sentire nulla, solo a percepire il buio della scala e la ragazza davanti a me.

Guardai la riccia che continuava a sorridermi dolcemente e porgermi la mano. I suoi occhi brillavano alla luce del neon come la luna in piena notte, sembravano così calmi ed espressivi che cominciai seriamente a pensare di poter stare tranquilla. Mi era sembrata fin da subito sincera. I suoi occhi e il suo viso parlavano prima della sua bocca, così intensi e pieni di vita.

«Oh che sbadata! Non mi sono nemmeno presentata. Sono Monique, ma tutti i miei amici mi chiamano Shaki.»

«Shaki?»

«Sì, dicono che assomiglio a Shakira , ma poi vai a vedere se è vero. Secondo me non molto, ma ormai sono anni che per tutti sono Shaki. Tra amici sai come è! Una volta che ti affibbiano un soprannome è difficile poterlo cambiare.»

No. Non sapevo come era, perché in fondo gli amici che avevo, oltre alle mie sorelle, le potevo contare su un palmo. Charlie, e nessun altro. 

Le conoscenze che avevo le avevo chiuse nel cassetto due anni prima e avevo buttato la chiave. Ormai non parlavo più con nessuno e l'unica che avevo vicino era quella che ultimamente stavo trascurando di più.

Le sorrisi di rimando, mentre vedevo che mi squadrava con occhio interessato.

«Che c'è?»

«Nulla, ti sta molto bene davvero. Ma credo non sia il tuo genere vero?»

«No, preferisco leggins e felponi larghi. Comunque io sono Felicity, Ty , per la mia famiglia.» Scoppiammo a ridere insieme.

«Dai su, vieni altrimenti il coso qui» indicò con la testa il ragazzone nero e muscoloso «ci prenderà per i capelli per farci camminare» disse continuando a ridere.

«Shaki non scherzare troppo, potrei farlo sul serio». Spostai in un attimo lo sguardo sul l'uomo che mi guardava con un sorrisetto furbetto «forza andiamo.»

Poseguimmo per altri metri dopo aver superato i tre gradini, fino ad arrivare ad un altro ascensore.

«Vieni Ty, ti accompagno. Io devo essere lì con te per tutto il tempo.» disse mentre l'uomo la guardava. Tra loro passò qualcosa e vidi Shaki ingoiare a vuoto mentre l'uomo si allontanava.

Entrammo e ci ritrovammo dentro la gabbia. Non riuscivo a capire nemmeno come e quando eravamo arrivate lì. Il mio cervello era completamente andato e io con lui, riuscivo a fare solo le piccole cose che mi venivano chieste, ma per il resto ero ancora un granello di sabbia.

«Ed eccola, la grande mela rossa della discordia. Micia quel colore ti dona.»

Sospirai a quelle parole, ancora una volta la donna usata come oggetto.Io certi uomini propri non li capivo. Fulminai il DJ che continuava a urlare a squarciagola e cominciai a guardarmi intorno. Eravamo nella gabbia più piccola, il percorso disteso intorno e noi appese a mille metri di altezza su un piccolo quadrato rialzato.

La gente era in fermento e continuava ad incitare senza sosta. Pensavo che la gara fosse già partita, invece quello che mi accolse furono soltanto l'adrenalina che scorreva.

«Ty siamo qui!!!!» Sentii la voce Celine e guardai in basso rialzando subito la testa. Avevo il vuoto.

 Solo plexiglass a ricoprire il fondo. Mi aggrapparmi con forza alla grande gabbia, non soffrivo di vertigini, ma in quel momento avevo paura di tutto.

«Ma dove siamo? Cos'è questo ?»

«Sei la loro vittoria, chi arriverà a te avrà vinto. Ma dovrà soprassare tutto il percorso che vedi davanti e intorno, prendere le chiavi nascoste nelle botole vicino al fuoco e trovare quella giusta per aprire il lucchetto che vedi qui»spiegò indicando quell'affare che chiudeva l'ammasso di ferraglia che circondava i nostri corpi.

«Cosa? vicino al fuoco?»

«Sì, cosa pensavi che stavamo giocando con le bambole?» sorrise continuando «È pericoloso, ma eccitante. Ogni volta che ci sono queste sfide, il capo le impreziosisce per bene di pericolI fuori dal comune.»

«Porca miseria che casino.»

«Siamo pronte Simon !»Vidi Shaki strillare verso il DJ per poi continuare verso di me... «Guarda cosa succede ora!!!»

Mi girai velocemente per cercarlo nella folla con la speranza di un suo ritiro all'ultimo o tra i piloti, dopo aver visto una Shaki super elettrizzata saltellare senza curarsi del problema di dove ci trovavamo.

La sua moto bluastra si riconosceva fra mille visto l'unico colore sobrio tra tutte quelle colorate sulla griglia di partenza.

Era arrabbiato. Si notava a chilometri di distanza.

Nervoso e incazzato nero.

«Mmmh... prevedo guai.» concluse con un sospiro Shaki.

«Eh?»

«Red è un osso duro, ma quando si incazza Carter non c'è più nulla da fare. Ora è spacciato.»

Non riuscivo a spiegarmi i mille significati delle parole di Shaki , ma appena sentii i rombi dei motori alzarsi non riuscii più a staccare gli occhi da quello che avevo davanti.

Misi le mani sulla bocca quando udii una sirena suonare e tutti loro in sella ai loro bolidi partire dando gas.

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