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- Capitolo Tredici -

Scesi al piano terra con la mia borsa da viaggio.
Ero riuscita, da sola, a far entrare tutte le mie cose nei pochi scatoloni che avevo.
In compenso, mia madre per non sporcarsi le mani, aveva chiamato una ditta di traslochi per le sue cose e quelle delle mie sorelle.

Nel salone oltre ai miei genitori, c'era l'agente immobiliare a cui avevano affidato la vendita della nostra casa e cinque ragazzi che correvano con miliardi di scatoloni fra le braccia.

Sbuffai vedendoli, misi le cuffie alle orecchie e mi avviai verso la macchina di mio padre, ma non feci in tempo a scendere il primo gradino che un tornado mi travolse.

Charlie.

«Andavi via senza salutare, brutta stronza?»

Tolsi le cuffie e l'abbracciai di colpo.
Profumava di arancio e vaniglia, ed era bella come il sole.

«Sai che non sono fatta per gli addii»

«Ehiii, quali addii? Frena! Vengo a trovarti! Credi che sia così semplice liberarti di me o trovarne un'altra? »

«Oddio no, ti credo sulla parola. Non sono Archie, so che è difficile trovare un'altra come te!» Risi, riflettendomi in quegli occhioni color del mare.

Il flash di Charlie che elencava davanti al suo, ormai ex ragazzo, una serie di pregi per i quali lui l'avrebbe rimpianta , mi passò davanti agli occhi.

Eravamo in spiaggia all'ennesimo falò di fine estate.
Lei e Archie, stavano insieme da qualche anno ormai, ed era una storia ben consolidata.
Quella sera, lo trovò dentro l'auto, appartato con una ragazza sconosciuta.
In un attimo generò il caos, afferrò un ramo, sicuramente portato dal mare sulla riva, balzò sul cofano della macchina e cominciò a rompere qualsiasi cosa le passasse davanti.
Specchietti, vetro anteriore, vetro posteriore, finestrini.
Ridusse la macchina di Archie a un rottame.

«Adesso di a paparino chi è stato e digli anche che un' altra come me, non la troverai mai! E non guardarmi con questa faccia da pesce fritto, sarà così, brutto stronzo, tornerai da me strisciando!» gli disse prima di scendere dall'auto e andare verso la spiaggia.

Era quasi arrivata al falò, quando tornò sui suoi passi in un nanosecondo.

«Lo vedi questo corpo? Lo vedi? Scordatelo. Sai quanti ne posso trovare migliori di te? Sono bella, intelligente, simpatica, altruista, coraggiosa, sexy da paura e talentuosa... vuoi che continui la lista delle cose che ti perderai per sempre, idiota che non sei altro? Oppure vuoi che dica alla tua amichetta che duri solo cinque minuti? Ah e un'ultima cosa, la più importante oserei dire... Fottiti! »

Se ne andò verso la spiaggia con il dito medio alzato rivolto verso Archie.

Quella fu una delle prime volte che pensai che non avevo un'amica del cuore, ma un bulldozer come alleato.

«Ehi ti sei persa nel tuo mondo?» mi richiamò Charlie mentre si aggiustava i capelli.

«Scusa, ho avuto un flash di te con Archie» risi a crepapelle.

«Ancora con questa storia? Ho esagerato, ok, lo ammetto. Possiamo tornare a noi ora?»

«Mi mancherà vederti tutti i giorni, C.»

«Anche a me, ma abbiamo WhatAspp, FaceTime, dirette su TikTok . Ci sentiremo ogni giorno.»

L'abbracciai.
Non sarebbe stato lo stesso, lo sapevamo entrambe.

«Hai finito?»

Avete presente quando siete con le amiche, vi state divertendo, e all'improvviso, arriva lo stronzo di turno a smorzare ogni cosa?
Io sì, ecco in questo caso, mia madre è la stronza.

Alzai gli occhi al cielo e la guardai mentre indossava gli occhiali da sole Versace.

Stranamente aveva un vestitino fresco a fiori, da mamma premurosa e gentile.

Ma si sa, l'apparenza inganna.

«Devo andare... » dissi rivolgendomi a Charlie, senza degnare mia madre di uno sguardo in più.

«Lo so, Crudelia De Moon ha parlato.»

Scoppiai in una risata di pancia e Charlie si unì a me.

«Ti voglio bene, C.»

«Anche io, Ty, scrivimi appena arrivi»

La strinsi ancora e mi incamminai verso la macchina.
Una volta entrata, papà mise in moto e partì.

L'ultima immagine di Galveston racchiudeva la mia amica dai capelli ricci e biondi, seduta su un gradino davanti casa mia, con un sorriso a trentadue denti.

*

Arrivati in aeroporto, a Houston, facemmo tutti i controlli e ci imbarcammo.
Una volta seduta nel mio posto in aereo, in prima classe, i miei cominciarono a discutere a bassa voce e io poggiai esausta la testa al sedile.
Mentre cercavo di non ascoltare, qualcuno mi bussò delicatamente sulla gamba.

Una bimba dai riccioli rossi e gli occhi così azzurri da scioccarmi, mi guardava dal basso.

«Ciao, perché sei triste?»

La domanda mi paralizzò.

«Ciao, non sono triste, cosa te lo fa pensare?»

«La mia mamma dice sempre che quando una persona è triste, piange.»

«Ma io non sto piangendo!»

«E invece sì! Le tue guance sono bagnate.»

Me le toccai velocemente.
In effetti era vero, erano bagnate.

«No, tranquilla non sono triste. Non mi sono asciugata bene il viso in bagno! Ma sei sola? La tua mamma?»

«Eccola lì! Va bene, allora tieni così finisci di asciugarti.» dopo avermi indicato sua madre, qualche sedile più avanti, dalla sua gonnellina tirò fuori un fazzoletto di carta.

«Grazie» lo presi e mi asciugai immediatamente.

«Posso dirti una cosa?»

«Certo!» la guardai sorridere e avvicinarsi.

«Anche se mi hai detto una bugia, manterrò il segreto»

Sconvolta, la guardai ridere e scappare via.
Amavo i bambini, sapevano sempre andare oltre, guardare oltre.
Erano tanto speciali quanto spaventosi per esserlo.

Troppo puri per un mondo che celava troppe cose crudeli.

Sorrisi e tornai ad appoggiarmi al sedile con gli occhi chiusi.

«Ty svegliati! Siamo arrivati. »

Aprii gli occhi di scatto.
Avevo dormito per tutto il viaggio e non mi ero accorta di nulla.
Non mi ero resa conto né del decollo né dell'atterraggio.

Ricordavo della bambina e poi il vuoto, ma ero troppo stanca per capirci qualcosa e lasciai perdere.
Seguii come un pilota automatico i miei.
Scesi, ritirai i bagagli e aspettai mio padre all'entrata.
Era andato a riprendere la macchina che avevamo portato con noi, mentre mia madre si era allontanata per rispondere al telefono.

Io non sapevo nemmeno che si potesse imbarcare un'auto sull'aereo.
Spazientita, guardai l'orologio, volevo solo andare in hotel e dormire per le prossime dodici ore.
Il sonnellino fatto poco fa non mi era bastato e, oltretutto, mi stavo innervosendo.
Ero ferma davanti all'ingresso dell'aeroporto già da mezz'ora e mio padre non si vedeva da nessuna parte.

In un attimo, mentre riflettevo, fui spinta in avanti da un tornado di proporzioni colossali e caddi in ginocchio come un sacco.

«Dio che male!»

«Cazzo!»

Una voce profonda dietro di me imprecò e allo stesso tempo il mio cuore schizzò come un missile sulla luna.

Paralizzata, seduta a terra, mentre cercavo di valutare i danni sulle mie ginocchia, non volevo alzare gli occhi verso chiunque mi avesse messo k.o.

«Ti ho fatto male scimmietta

Due scarpe si palesarono sotto il mio naso.
Nere, sportive e usurate dal tempo.
Un profumo di cannella e mandarino rosso mi avvolse.
Ma che odore ha?
Lo snifferei da mattina a sera!

Ty, per l'amor del cielo.

Mi concentrai su me stessa e continuai a salire con lo sguardo. Notai dei jeans aderenti, molto aderenti, che fasciavano due cosce muscolose.

Ti stai rendendo ridicola e imbarazzante, manca solo che gli ammiri il pacco e hai fatto centro poi!
Alza gli occhi ora!

Con uno scatto li alzai, decisa a guardare il suo viso e non altro.
Appena agganciai i suoi occhi però, il mio cuore smise di battere!
Dopo essersi fermato per più di cinque secondi cominciò, di nuovo, la sua cavalcata selvaggia.
Non riuscivo a tenerlo a bada, era implacabile.
Lo sentivo pulsare in ogni parte di me.
Il sangue si fece talmente bollente, che sentivo caldo ovunque, e la mia lingua diventò arida come il deserto.

Da dove era uscito questo adone?
Non lo sapevo.
Vedevo solo un angelo vestito da demone.

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