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- Capitolo Otto -

Due anni prima....

La settimana era passata come un soffio di vento, tra ricerche di vestiti e gioielli.
Oggi, finalmente, era l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie, l'indomani ci sarebbe stata la famosissima cena di beneficienza e mia madre da qualche giorno non faceva altro che spostarsi tra parrucchieri e stilisti per trovare l'abito perfetto per lei.

Io, Crystal e Celine avevamo già appeso nel mio armadio i nostri vestiti.
Avevamo trovato tutto in un giorno solo.
Vestito, scarpe e gioielli, era tutto pronto, soltanto per i capelli e il trucco Crystal aveva deciso che ci saremmo potute aiutare a vicenda.

Voleva a tutti i costi evitare che nostra madre mettesse becco in qualcosa e ci mettesse alle calcagna la sua ciurma composta da truccatrici e parrucchieri.

Mancava solo un giorno e già si respirava aria viziata in casa.
Sbuffai e mi rigirai nel letto, per guardare la sveglia.
Come al solito ero in ritardo per scuola.

« Ty! Sei pronta? Volevo chiederti se potevi prestarmi quella gonnellina che hai comprato ieri! » Mia sorella Crystal piombò in camera mia senza nemmeno bussare.

« No Cry! Come vedi sono ancora a letto! Ma avanti, grazie per aver bussato! »

Ero nervosa.
Avevo ancora quella sensazione nella pelle che non mi piaceva e Crystal se ne accorse all'istante.

« Cos'hai? Dormito male? » mi chiese sedendosi sul letto.

« Nulla, ho questa sensazione. Come se dovesse accadere qualcosa da un momento all'altro, ma non capisco cosa. Sai come sono empatica su queste cose. Vorrei prevedere il futuro quando mi sento così. »

« Ma dai smettila! Sempre con queste sensazioni! Non è che per caso stai così per il bel moro che ti guarda sempre a scuola? Oppure è per la cena? Vedrai andrà bene.
E per quanto riguarda il moro, vuole solo una cosa lo sai. »

« No non è per lui. Non mi interessa Maverick. E poi te l'ho detto mille volte, non sono come voi, sai benissimo come la penso su quella cosa. » dissi lanciandole un cuscino.

« Si, suor Felicity, lo so come la pensi. » disse ridendo.

Ero diventata rossa, morivo dalla vergogna ogni volta che si tirava fuori il discorso. Non volevo parlarne, era umiliante molte volte.
Loro non capivano il mio punto di vista e non le biasimavo, però quando affrontavano questo discorso, invogliandomi a fare come loro, io diventavo ostinata a vivere la mia vita a modo mio.

Il punto focale era uno solo, ero vergine e non capivo che male c'era ad esserlo.

Crystal e Celine, mi prendevano sempre in giro chiamandomi Suor Felicity.
Loro non erano più vergini da tempo, forse perché non gli interessava esserlo o perché non avevano mai dato importanza alla cosa molto probabilmente.
Avevano concesso a due ragazzi, incontrati ad una festa di un'altra scuola quello che io tenevo stretto a me da tempo.

Lo ammetto, aspettavo qualcuno.
Una persona che mi trasmettesse sicurezza, voglia di farlo, ma soprattutto dolcezza e nessun secondo fine.

Non dico che volevo aspettare l'amore della mia vita, perché dai non prendiamoci in giro, sappiamo tutti che non esiste.

Ma volevo qualcuno giusto per me.
Giusto per il mio momento, cazzo, non chiedevo molto!

Le lanciai un cuscino e lei lo schivò. «Va bene! Ho capito, chiudo il becco. Muoviti però, altrimenti noi andiamo sole. »

Si guardò intorno con la coda dell'occhio, notò la gonnellina che cercava sulla sedia vicino alla mia scrivania.
Prima che io potessi dire anche una sola parola, la prese e andò via dalla mia stanza sghignazzando.
Mi passai la mano sul viso mentre Crystal chiudeva la porta.

Dai Ty forza e coraggio.

Sbuffando mi alzai e andai in bagno a fare una doccia veloce.
Mi vestii e mi diedi un'ultima controllatina allo specchio prima di scendere.

Avevo indossato una gonna nera a ruota, stivali al ginocchio dello stesso colore e un maglioncino celeste cielo che faceva risaltare ancora di più il colore dei miei occhi.
I miei capelli ricadevano sulle spalle morbidi, formando delle onde, di un nero carbone. Mi ero truccata poco, solo mascara ed eyeliner giusto per dare un po di volume alle mie ciglia.

Non amavo troppo truccarmi e non avevo nulla da dire su chi lo faceva, ma non mi rispecchiava.
Ero acqua e sapone ma piaceva anche a me far risaltare parti del mio viso, ogni volta in modo diverso.

Presi la borsa di scuola vicino al letto che avevo accuratamente preparato la sera prima e scesi le scale diretta alla porta d'ingresso.
I miei non c'erano, avevano un turno di lavoro e io mi presi la briga di non fare colazione.
Molto probabilmente avrei comprato qualcosa anche per me alla bakery vicino alla scuola quando sarei andata a prendere le ciambelle per Charlie.

Aprii la porta d'ingresso e trovai Celine e Crystal che mi aspettavano sul portico di casa.
Stavano fumando una sigaretta, mentre parlavano della cena di domani sera.
Alzai gli occhi al cielo, non ce la facevo più, ormai non si parlava d'altro in casa nostra.

« Avete finito di sparlare di chi ci sarà? Non ne posso più... Sono settimane che ne parlate, siete come la mamma cazzo.
Dai andiamo che sono già in ritardo per la prima ora. »

Fu Celine a rispondere, spostando i suoi capelli lisci dietro la schiena
« Oh alla buon'ora principessina. Dormito male questa notte? »

Feci una smorfia alla parola principessina, la mandai con il dito medio a quel paese e mi incamminai.

Crystal buttò la sigaretta nel posacenere nascosto dietro la siepe e mi guardò scuotendo la testa.

I miei non volevano che fumassimo, le mie sorelle avevano iniziato da più tempo di me, di nascosto.
Si erano fatte beccare dopo una festa qualche mese fa ed io che avevo cominciato solo da un'anno, ero stata più furba di loro a non far capire nulla.

Quella sera erano talmente ubriache che nel metterle a letto, il loro baccano fece svegliare la mamma.
Se solo ricordo la ramanzina che ne venne dopo, fu epocale.
Il punto cruciale però accadde nel momento in cui Celine, nel pieno di una risata isterica, fece cadere la sua borsetta.
Scivolò di tutto per terra, comprese le sue amate sigarette.
Mia mamma, dopo aver dato il meglio di sé tanto da poterla premiare subito per il premio "Miglior tenore della storia americana" , cominciò ad elencare tutte le cause di malattie e problematiche da fumo, come se fosse un alfabeto.
La ramanzina durò ore, fino a quando le mise in punizione per mesi.

E sapete una cosa?
Le mie sorelle non hanno mai rispettato nessuna punizione, almeno non quelle di mia madre.
La sera dopo infatti, erano già ad un'altra festa ubriache per l'ennesima volta.

In fondo i miei genitori erano medici cosa ci potevamo aspettare? Che accettassero le sigarette in casa loro?

Io le usavo solo come valvola di sfogo quando sentivo troppa pressione.
Le mie sorelle, solo per dimostrare ai bei ragazzi che loro erano anche cattive ragazze.

Per l'alcool ci avevano rinunciato fin da subito. A noi piaceva bere.
Potevamo sembrare ragazze facili?
In fin dei conti, il bere, il fumare e il vestirsi in un certo modo non rappresentavano una persona.
Avevamo sempre fatto un esempio concreto ai miei genitori.
Un ragazzo tatuato solo perché ha tatuaggi deve per forza essere una persona cattiva o immischiato in qualcosa di losco? No!
E allora il fatto che a noi piacesse bere non significava che eravamo ragazze facili.

Mi misi una ciocca di capelli dietro l'orecchio guardandole con la coda dell'occhio. Celine scese le scale del patio ridendo.
Sapevo che mi avrebbero seguito, erano sempre ad un passo da me, quelle arpie mi stavano ancora prendendo in giro chiamandomi principessina e sua maestà mentre mi raggiungevano.

Presi gli occhiali da sole nello zaino, giusto per fare qualcosa, anche se il sole oggi si nascondeva molte volte tra le nuvole.
In qualche modo dovevo pur nascondere il sorriso che aleggiava sulle mie labbra.
Erano due folli e mi prendevano in giro ogni giorno, ma le amavo da impazzire.

Crystal si avvicinò e mi prese sotto braccio sorridendo
« Sai benissimo che scherziamo, non te la prendere. »

« Lo so, tranquilla, ma sbrighiamoci però.
Ho ancora dieci minuti prima della campanella e devo ancora passare alla bakery. Vi va di fare una passeggiata? »

« Ancora non ti ha perdonato Charlie?» disse Crystal scuotendo la testa.

Sorrisi mentre camminavamo, a Crystal stava simpatica Charlie tanto da ricordarsi l'unico modo che avevo per farmi perdonare dalla mia migliore amica.
Al contrario, io le sue amiche non potevo proprio vederle, erano perfide e di una cattiveria fuori dal normale.
Non avevo mai capito come loro riuscissero a sopportarle e sinceramente, fino a quando avrebbero usato solo le parole contro di me, cosa che facevano ancora oggi quando Celine e Crystal non c'erano, non avrei detto nulla.

« Senti Ty, io non voglio andare a piedi. Ieri Marcus in palestra mi ha distrutto, lui e la sua mania del cardio.
Mi ha fatto correre sul tapis roulant per dieci chilometri! Dieci! Ma come si fa dico io? Se ne faccio altri due per arrivare a scuola, ci arriverò morta. » disse Celine mentre faceva roteare le chiavi.

La scuola distava solo dieci minuti ed io avevo voglia di prendere aria e pensare il meno possibile, ma non mi andava di fare tutta quella strada da sola.
Così cedetti e acconsentendo, salii nell'auto fucsia che papà aveva regalato ad entrambe le gemelle.

Mentre Celine avviava la macchina guardai fuori dal finestrino.
Gli alberi cominciarono a intrecciarsi tra loro piano piano, diventando una massa verde ed io mi persi nei miei pensieri con quella strana sensazione che mi premeva sul petto come un macigno.

La giornata passò in fretta, ero riuscita a fare pace con Charlie, a prendere un caffè e a prendere appunti in tutte le lezioni.

Dopo aver preso tutti i libri nell'armadietto che mi sarebbero serviti nelle vacanze natalizie, mi avviai verso l'aula di informatica.
Appena entrai e mi sistemai nel mio banco,il professore ci avvisò che saremmo dovuti uscire in anticipo a causa di un problema tecnico dei computer.

Le mie sorelle avevano scuola ancora per un po' quindi mandai loro un messaggio sul nostro gruppo per sapere se dovevo aspettarle oppure potevo già tornare a casa.

Mentre uscivo dall'aula, seguita da Charlie che stava tentando in tutti i modi di inserire i libri nel suo zaino,
Celine mi rispose avvertendomi che sarebbero tornate da sole dopo.

Non volendo tornare a piedi con nessuno con il quale dovevo intrattenere una conversazione obbligatoria, mi avviai verso il cancello salutando la mia migliore amica.
Misi le mie adorate cuffie rosse e canticchiando cominciai a camminare verso casa.

L'aria che mi solleticava il viso non era di alcun aiuto.
Avevo freddo, la neve aveva imbiancato quasi tutte le case che sorpassavo e camminare per le strade con queste temperature non era la cosa migliore.

Allungai il passo per fare più in fretta, avevo i piedi congelati e il cappotto che indossavo non mi copriva abbastanza.

Di solito quando tornavamo da scuola, la mamma era già scappata via per il secondo turno in ospedale lasciandoci già il pranzo in forno.

Essendo in anticipo, sicuramente l'avrei trovata indaffarata ai fornelli.
Amava cucinare per noi, nonostante il lavoro non aveva mai comprato cibo da asporto.
Preferiva sempre cucinare lei e dovevo ammetterlo, era veramente brava.

Rallentai quando vidi l'enorme siepe che circondava casa mia.
Nel momento in cui varcai il cancello nero battuto, che mia madre aveva voluto per rendere più regale la nostra abitazione, avevo un solo obiettivo: entrare in casa al caldo.

Quella sensazione che mi perseguitava già dal mattino, mi piombò addosso facendosi ancora più pressante.

Mi gelai sul posto guardandomi intorno.
Ero convinta.
Stava per accadere qualcosa, ma che cosa?

Il mio cuore cominciò a battere come un tamburo.
A primo impatto sembrava tutto uguale, notai qualcosa di diverso solo accanto all'auto di mia madre.

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