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- Capitolo Nove -

Due anni prima...

La macchina di mia madre, una Mercedes rossa fiammante, era parcheggiata al solito posto, davanti al garage.
La cosa che mi destabilizzò nel vederla, era una berlina nera parcheggiata nel posto che di solito usava papà.

Non l'avevo mai vista.
Non apparteneva a un nostro vicino o nostro parente.
Nessuno che conoscessi possedeva un'auto del genere.

Di certo non passava inosservata, era come una macchia nera in mezzo al bianco che ricopriva ogni cosa.
Con calma ripresi a camminare, sicuramente doveva essere qualche amica della mamma passata per un saluto.
Non riuscivo ad essere del tutto tranquilla però.
C'era qualcosa di strano.

Abbassai le cuffie sul collo, spensi la musica che avevo impostato sul telefono e salii i gradini diretta alla porta d'ingresso.
Un movimento vicino all'auto però, catturò tutta la mia attenzione.

C'era qualcuno.

Strinsi gli occhi per mettere a fuoco e al volante, c'era un uomo, sulla quarantina, che mi fissava.
Era vestito come un maggiordomo, con tanto di cappello.
Poteva essere solo un autista di qualcuno con più potere di lui, visto come lo mandava in giro.
Forse dovevo aspettare le mie sorelle per non disturbare la mamma, non sapevo come comportarmi in queste situazioni.

Feci due passi indietro, tenendo gli occhi puntati sull'uomo che sedeva in macchina.
La miglior opzione era la casa sull'albero.
Papà l'aveva fatta costruire per me e le mie sorelle quando eravamo molto piccole.
Ci guardavo le stelle quando volevo evadere, era un posto che mi aiutava a pensare, il mio rifugio quando volevo sparire per un po'.
Le gemelle non ci salivano da non so quanto tempo, e a me andava bene così.

Stavo cercando un modo per non far pensare nulla di strano all'uomo che mi guardava da dietro il volante.
Con disinvoltura feci un'altro passo indietro, ma lui inclinò il viso, come per studiarmi meglio.

Cazzo, me la stavo facendo sotto.
La tensione mi faceva veramente correre in bagno.
Dovevo assolutamente fare pipì e quell'uomo che mi guardava, mi faceva agitare ancora di più.

O al diavolo, sarei entrata e me la sarei filata in camera mia senza farmi sentire.
Guardai l'uomo un'ultima volta, stava chiudendo lo sportello della macchina con una sigaretta in mano.
Ero stata talmente presa a pensare a un modo per rientrare, da non essermi accorta che l'uomo era uscito dall'auto.
La paura mi mangiò le viscere.
Ero troppo agitata e il viso dell'autista non era molto rassicurante.
Con un movimento veloce, aprii la porta d'ingresso e me la richiusi alle spalle.
Quell'uomo non mi piaceva proprio per niente.
Mi aveva trasmesso una sensazione davvero strana, eppure mi conoscevo bene e sapevo di poterlo abbattere in due mosse.
Di mia spontanea volontà, frequentavo un corso di autodifesa da tre mesi.
Stavo imparando, volevo difendermi e non essere difesa.
Non ero bravissima, ma qualche tecnica basilare la stavo assimilando.

Mi appoggiai alla porta e feci un lungo respiro per calmare il mio cuore. Prima di salire in camera però, cercai di affilare l'udito,  per capire chi fosse la persona che si trovava in casa.

In un primo momento non riuscii a sentire nulla, ma dopo due secondi in cui cercavo di percepire anche il minimo rumore, mi gelai sul posto.
Sentivo dei gemiti, forti, sempre più forti.
Come se qualcuno stesse facendo di tutto, tranne che parlare.
Non riuscivo a muovermi, i miei piedi erano pezzi di ghiaccio.

Mia madre stava tradendo mio padre?

Mi sentivo svenire, non potevo credere a quello che sentivo.
All'improvviso, sentii i versi di un uomo, e poi silenzio.

Diavolo e ora?
Come dovevo comportarmi?

Dentro di me, il fuoco ardeva, fuori, il gelo mi avvolgeva.
Sensazioni contraddittorie.
Dentro rabbia, fuori freddezza.
Dentro dolore, fuori impassibilità.
Ero diventata, un ghiacciolo.

Cosa dovevo fare? Non sapevo come muovermi, dovevo anche sbrigarmi a farlo altrimenti mi avrebbero scoperta.
Cercai di riaprire la porta per andare via, ma la voce di mia madre mi congelò sul posto.

« Ty! Che ci fai tu qui? » disse con gli occhi sbarrati, mentre si lisciava la gonna.

« Ci abito. » risposi di getto, mentre il mio sguardo veniva catturato da due pozzi neri.

Porca miseria.
Porca.
Miseria.

Scrutai l'uomo davanti a me, e cavolo era di una bellezza disarmante.

Contieniti Felicity.

La mia coscienza aveva già intuito tutto, ma io non riuscivo a distogliere gli occhi da lui.
Lo guardai dalla testa ai piedi, tutto urlava soldi.
Ma cavolo se poteva permetterselo.

Aveva un vestito nero gessato su misura, scarpe lucide dello stesso colore, camicia bianca sporca di rossetto, che avvolgeva due spalle possenti. Una cravatta nera lucida senza nodo a circondargli il collo e un orologio in acciaio che poteva valere come tutta casa nostra.

Più salivo con lo sguardo, più sentivo caldo.
Era troppo bello, ma anche troppo terrificante.
Arrivai a guardare le sue labbra e i suoi occhi taglienti e penetranti da farmi sentire nuda.

Ero immobile.
Il suo fascino mi destabilizzava.
Era bello.
Cazzo se era bello.

«Ty smettila. Perché sei qui? » mia mamma richiamò la mia attenzione e mi voltai verso di lei.
I gemiti che avevo ascoltato poco prima mi ronzarono nelle orecchie e la guardai schifata.

«Oh scusa mamma. Interrotto qualcosa? »Lei sbiancò.

Aveva capito.
Aveva capito che avevo sentito.
Quello che più mi fece irrigidire era l'uomo dagli occhi neri che continuava ad analizzare tutta la mia figura e come richiamata  mi voltai a guardalo ancora.

Sorrideva.
Forse era quello il suo scopo, farsi trovare con mia madre in queste circostanze.
Non distolsi mai i miei occhi da lui, forse per la mia sfrontatezza o solamente per capire.

Sinceramente non mi interessava.
Mentre lo guardavo, mi ispirava di tutto, ma anche tanta paura.
Volevo solo chiudermi in camera mia e non stare qui a guardare tutto questo.

Nessuno parlava.

Decisi così di sorvolare per cercare di dimenticare ciò che le mie orecchie avevano ascoltato.

« Va bene, io vado mamma, arrivederci. » salutai l'uomo che fino a quel momento non aveva mai parlato, ma mia madre non rispose.

Guardai la donna di fronte a me e notai i suoi occhi chiusi, i muscoli rilassati, un poco le gambe divaricate.
Aveva perso tutta la sua compostezza.
Lei non era presente.
Aveva un'espressione strana, molto strana.
Guardai ancora di sfuggita l'uomo che non aveva mai smesso di fissarmi e mi accorsi di un dettaglio.
La mano con l'orologio era dietro la schiena di mia madre e lui si era un po' inclinato con il busto.

Oddio! No! No, no, no, no, no!

Quando realizzai, che mia madre stava per avere un orgasmo di fronte ai miei occhi, grazie alla mano dell'uomo che aveva accanto, il mio stomaco si contorse.

Un conato di vomito mi salì in gola e con un'ultima occhiata guardai l'uomo che sorrideva senza nessuna preoccupazione.
Come se volesse mostrarmi qualcosa.
Ma cosa?
Che mia madre era una stronza?
Che tradiva mio padre?

Ehi bello, sei arrivato troppo tardi.
Tutte cose che avevo già capito mentre ci davate dentro come conigli.

Corsi su per le scale, svoltai nel corridoio e aprii la mia camera facendo sbattere la porta, che rimbalzò con un tonfo.
In un lampo, riuscii ad arrivare in bagno e a vomitare tutto quello che avevo mangiato a colazione.

Mentre ero piegata sul water, nella mia mente, mio malgrado, due occhi neri si fecero spazio .
Aveva uno sguardo ipnotizzante, ma non capivo se era lui a farmi più schifo, uno sconosciuto per la sua sfrontatezza, o mia madre.

Una risata cristallina arrivò fino alla mia camera e rabbrividii, fino a quando, sentii il portone d'ingresso chiudersi.

Che cosa era appena successo?
Di certo non ero consapevole, che lo stesso uomo aveva altri programmi per me.

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