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- Capitolo Diciotto -

Avevo appena chiuso la porta del bagno dopo aver preso tutto ciò che poteva servirmi per le due settimane a Berkeley.

Guardai la valigia che avevo preparato seguendo il consiglio di mia sorella.
Costumi e gonne fuoriuscivano da ogni parte.
Celine diceva sul serio quando parlava di feste in piscina.

Ma avevo anche messo i miei vestiti preferiti, semplici e femminili.
Amavo vestirmi comoda, jeans e magliette aderenti erano il mio biglietto da visita.
Converse di ogni colore possibile erano sistemate ordinatamente nella mia scarpiera.
Presi quelle bianche da mettere in valigia e indossai quelle nere.
Aggiunsi alla fine un tacco dieci per le emergenze e chiusi il tutto.

Celine era la più spensierata delle tre, con il suo motto del vivere e lascia vivere che ripeteva costantemente e che era diventato ormai uno stile di vita.
Le sue forme le permettevano di indossare qualsiasi cosa, dal più casual al più succinto abito.
Il suo motto ormai lo adottava ovunque, anche nel modo di vestire.

Era per questo che con la mamma non andava proprio d’accordo, se Crystal era più accondiscendente e molte volte per non sentirla discutere, acconsentiva a quello che la mamma diceva, Celine no.

Lei era uno spirito libero, una guida per me perché amava la vita e amava la libertà.

Il sesso per lei era puro divertimento, l'alcool era un aggiunta in più per rendere la serata ancora più emozionante e per sentirsi più leggera. I vestiti solo un mezzo per andare in giro.
Era selvaggia e invidiavo molto il suo modo di essere.

Era il contrario di me, che mi ero tenuta la verginità per una persona che mi facesse sentire importante, per poi perderla in un giardino a causa di un uomo che non rispettava nulla, nemmeno se stesso.

Io e Celine eravamo per tanti versi l’opposto ma per tanti altri dannatamente simili.

Presi la mia valigia e le ultime cose, diretta al piano inferiore.

Chiusi la porta e cominciai a camminare nel corridoio verso le scale.

Ero esausta di questa apatia, della situazione che mi circondava.
Volevo vivere tranquilla e non avere problemi, o meglio, avere solo quelli di una ragazza della mia età.

«Cosa stai facendo?» mio padre mi bloccò mentre camminavo, guardando insistentemente la mia valigia.

Fino ad ora non si era mai intromesso nelle decisioni di mia madre e lo odiavo per questo.
Ora non capivo proprio cosa volesse.
Aveva fatto di tutto per rimanere sulle sue.

«Sto sorseggiando una caipirinha in riva al mare, non vedi? Cosa sto facendo papà secondo te?»

«Ty.»

«Cosa, papà, cosa? Vado a stare da Celine e Crystal due settimane, non sto scappando tranquillo, non potrei mai visto le condizioni, no?»

Non riuscivo a guardarlo negli occhi, la delusione che provavo nei suoi confronti era talmente tanta da rendermi la vista appannata ogni qualvolta osavo guardarlo.

Non capivo ancora oggi come facesse a sopportare l'idea, a sopportare il fardello con cui io vivevo tutti i giorni.

«Ty, va bene» sospirò e aprì la bocca come se volesse aggiungere qualcosa.

Chinai la testa e notai le sue scarpe avvicinarsi a me, in quel momento capii che avevo bisogno del mio papà, di uno dei suoi abbracci, di uno di quelli che mi dava quando ero piccola.
Ero in attesa, ma non avvenne nulla.

«Ero venuto solo a vedere... Ti piace la tua stanza?» lo guardai a bocca aperta.
Era stato lui.
Lui aveva reso quel posto il mio angolo di paradiso.
La porta, la poltrona, il mio colore preferito.
Aveva fatto tutto lui.

«Che cosa? L'hai voluta tu per me così?»

Sospirò, si girò e se ne andò lentamente.

Un Flash della casa sull'albero, mi attraversò come un fulmine a ciel sereno.
Aveva costruito quel posto per noi, per darci un luogo tutto nostro.
Allo stesso modo, aveva decorato la mia stanza per darmene un altro.
Era stato ancora lui.
Perché?

Non mi resi conto che avevo trattenuto il respiro, lasciai andare la poca aria che avevo trattenuto e una lacrima solitaria scese sulla mia guancia.

Solitaria come me, solitaria come ero diventata.

Pensavo che Nicholas scherzasse quella sera.
Ci ho sperato tanto che fosse tutto un malinteso, ma in fondo forse la mia vita forse era destinata a questo.

«Siamo arrivateeeee!» sobbalzai alla voce di mia sorella Crystal e decisi di scendere subito al piano di sotto per evitare mia madre.

La scena che si presentò davanti a me fu surreale.
Sorrisi sapendo benissimo che mia madre sarebbe andata su tutte le furie.

Dannata Celine.
Le mie sorelle non erano sole.

Guardai Crystal e poi Celine. Lunghe gambe abbronzate avvolte in shorts, canotta che faceva risaltare il loro bel seno, occhiali sulla testa che contornavano le loro lunghe chiome lisce e trucco impeccabile.

Io, in confronto, sembravo il brutto anatroccolo. Avevo scelto una tuta intera color lavanda per essere comoda per il viaggio e avevo fatto una coda ai capelli perché amavo il sole ma non il caldo asfissiante.

Ma ciò che rapì di più il mio sguardo furono i due ragazzi alle loro spalle.

«TY!!!» Celine si accorse di me quasi subito e, come un uragano, mi travolse in un grande abbraccio che mi stritolò le ossa.

«Piano Cel, mi distruggi. Come stai?» Dopo avermi stretto ancora un po', si allontanò per guardarmi il viso.

Non so cosa abbia visto, ma il suo sguardo da guerriera che portava sempre si addolcì e mi accarezzò una guancia con amore.

«Tranquilla, ci siamo noi. Ho portato i rinforzi» mi fece l'occhiolino, indicando con il mento i due bei ragazzi dietro di lei.

Emanavano testosterone da miglia e io già andavo a fuoco solo stando a cento metri.

«Bella casa, Cel. Ce ne andiamo?» uno dei due ragazzi parlò e attirò la mia attenzione.

Stava guardando mia sorella e allora ne approfittai per rifarmi gli occhi da capo a piedi. I jeans fasciavano gambe toniche e muscolose, e una maglietta verde muschio come i suoi occhi gli abbracciava le braccia possenti. Aveva braccialetti neri ai polsi, come i suoi capelli.

Era bello, dannatamente bello, ma la cosa più affascinante che vidi era il suo sorriso.
Era disarmante. Forse attirato dal mio sguardo in quel momento abbastanza insistente, posò gli occhi su di me e mi fece un occhiolino.

«Ciao cucciola, tu devi essere Felicity. Io sono Michael, ma puoi chiamarmi Miki.»

Ero talmente confusa che, come un'imbranata, lo salutai con la mano.

Sei un idiota, Felicity!

La mia coscienza mi ammonì e cercai di riprendermi in fretta.
Andai da Crystal per poterla stringere a me, grata di averla qui.

«Ciao tesoro, ti avevo detto che avremmo trovato una soluzione.»

«Ok, adesso possiamo andare? Abbiamo la partita domani.»

Alzai gli occhi sull'altro ragazzo che aveva appena parlato e ne rimasi affascinata, non dal sorriso come lo ero stata di Miki, ma dai suoi occhi.
Neri come la notte.

Aveva i capelli biondo cenere che insieme ai suoi occhi creavano un contrasto abbastanza evidente.
Per non parlare del suo corpo ricoperto di muscoli.

Era leggermente più basso di Miki, portava pantaloni grigi cargo e una maglietta bianca così aderente che potevo vedere tranquillamente anche i suoi pettorali.

Cristo Felicity, sembra che tu non abbia mai visto un uomo.

Ero attratta da loro, ma non come lo ero stata con Noah.
In fin dei conti poi loro non erano interessati a me visto che non facevano altro che lanciare occhiate di sfuggita alle mie sorelle.

Miki non faceva altro che guardare il sedere di mia sorella Celine e l’altro ragazzo non faceva altro che toccare la schiena di mia sorella Crystal.

Ma loro non si accorgevano mai di nulla, erano troppo abituate agli sguardi languidi.
Conoscevo le mie sorelle come le mie tasche.
Se fossero stati qualcosa oltre ad essere amici, non li avrebbero mai portati a casa.

«Si David, andiamo. Mamma mia, quanto sei... arghh!»

Crystal emise un forte sospiro che sembrava più un leone in gabbia, battendo un piede a terra.

Era esasperata e si poteva leggere dal suo viso, la cosa mi puzzava un pochino.
Forse non andava molto d’accordo con David.
Lo avrei scoperto parlando con le mie sorelle, c'era qualcosa che non andava tra loro.

«Ciao, io sono Felicity, ma potete chiamarmi Ty.»

«Ciao Felicity, detta Ty. Lui è quello scorbutico di David. Non farci caso, fa sempre così, ma è un vero cagnolino.»

Cominciai a ridere nel momento in cui Miki imprecò dopo che David gli stampò un pugno dietro una spalla e cominciò a lamentarsi.

«Femminuccia», David mi guardò e sorrise facendomi l’occhiolino.

Mi sarei divertita con loro, lo sentivo, e non vedevo l'ora di andare via per quelle due settimane. Speravo vivamente che i miei non facessero storie e che mia madre non trattasse le mie sorelle come faceva di solito.

«Cosa sta succedendo qui?» con il suo tailleur grigio antracite e un tacco dodici, la mamma si avvicinò al salone dove ci eravamo spostati a chiacchierare.

«Ciao madre, siamo venuti a prendere Ty.» Celine parlò guardando mia madre con aria di sfida.

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