XIX
Rabat, 1956
Nebbia.
Shirley si affacciò alla piccola finestra della sua stanza e un'ondata di umidità le invase i polmoni.
Rabat era una città bellissima, moderna ed elegante, con case colorate di bianco e di blu, ma l'aria fresca dell'oceano, che si mescolava con l'aria calda, al mattino creava una foschia magica che rendeva l'atmosfera surreale.
Anche il suo cuore era invaso dalla bruma dei ricordi che ne limitava il controllo: un contrasto di sensazioni dolci e amare che portava costantemente dentro di sé.
Respirò profondamente e poi buttò fuori insieme all'aria tutte le sue antiche afflizioni.
Chiuse gli occhi e, quando li riaprì, si sentì più leggera.
La sua nuova casa, la sua nuova vita erano lì.
Quando si riscosse dai suoi pensieri, notò che le sue valige erano ancora appoggiate per terra: non aveva avuto neanche il tempo di disfarle.
Ecco! Quello sì che era un bel problema da affrontare.
Prese uno dei vestiti, sperando che non fosse troppo sgualcito e si preparò per uscire.
Guardandosi un'ultima volta allo specchio per assicurarsi di essere abbastanza presentabile, cercò di mascherare la sua ansia: era il suo primo giorno di lavoro come interprete e non sapeva cosa aspettarsi.
Uscì di corsa per arrivare puntuale al suo nuovo ufficio e passeggiando lungo il viale all'ombra delle palme, si rese conto di quanto ogni più piccolo angolo di quella città fosse pieno di antinomie.
Vecchio e nuovo. Passato e presente. Rovina e gloria.
Come il suo cuore: il dolore per ciò che aveva passato cinque anni prima; la gioia di poter cominciare un nuovo percorso lasciandosi tutto alle spalle.
Ce la doveva fare. Lo doveva a se stessa.
Non era più la ragazzina ribelle che era stata una volta, ma una donna diligente e determinata con la voglia di andare incontro a ciò che la vita le riserbava.
Quando arrivò al consolato, si sentiva una persona diversa, come rinata e cercò di darsi un tono professionale e zelante per fare colpo sui suoi colleghi e soprattutto sui suoi superiori.
Il primo giorno lo passò a osservare e ascoltare le persone che aveva intorno, ma già dal giorno successivo, ebbe modo di far conoscere le sue capacità e la sua validità.
Dopo una settimana che era lì, aveva conquistato tutti i suoi colleghi ed era diventata amica di molti di loro.
Tutto filò senza problemi e sembrava che avesse dimenticato ogni preoccupazione iniziale.
Anche i suoi ricordi la torturavano meno.
Il suo lavoro procedeva abbastanza bene: traduceva lettere, riviste e documenti vari, ma la sua abilità d'interprete simultanea veniva fuori quando al consolato arrivava qualche persona importante che aveva bisogno della sua assistenza linguistica.
Era questo il lavoro che più le piaceva e infatti non tardarono ad arrivarle degli elogi.
Altri complimenti, non professionali, le giungevano costantemente anche da Martin, un giovane addetto alle pubbliche relazioni, di alta statura e dagli occhi e i capelli scuri, che trovava mille scuse per starle sempre accanto.
Ogni mattina le faceva trovare una rosa sulla sua scrivania, ma Shirley, che inizialmente aveva pensato a un semplice gesto di gentilezza, ben presto si rese conto che Martin le stava facendo la corte.
A nulla servì mostrare la sua reticenza anche per non apparire una ragazza facile, ma il suo collega sembrava al contrario animato a insistere sempre di più.
Per nulla scoraggiato quindi, un giorno Martin, oltre alla solita rosa, le lasciò anche un biglietto con su scritto: "Vorrei parlarle al di fuori di queste mura per una questione molto importante, stasera alle 5:00 pm al Caffè Londinese. Sempre incantato, suo Martin Sherman".
"Ci sono dei guai in vista" pensò Shirley che non sapeva più come fargli capire che non aveva nessun interesse per lui.
In quegli anni, i pretendenti attirati dalla sua bellezza non le erano mai mancati, ma il suo cuore era rimasto incatenato a quell'amore sbocciato nel deserto e alimentato più dai sogni che da una tangibile speranza.
Chiuse quel biglietto nella sua borsa e mettendosi al lavoro, sorrise fra sé e sé.
Martin Sherman le aveva lanciato una sfida e lei si sarebbe divertita un mondo.
Quelle smancerie, infatti, non avevano mai fatto breccia nel suo cuore, al contrario di altre donne che al suo posto si sarebbero lasciate intenerire subito.
Arrivarono presto le 5:00 del pomeriggio, ma lei era uscita proprio allora dal suo appartamento per recarsi al Caffè Londinese.
Rabat era una città tranquilla e cosmopolita. Vi erano europei e americani dappertutto, per cui si sentiva sicura di camminare senza temere di essere seguita o al peggio rapita, come era successo purtroppo anni prima.
Comminando per le strade affollate, si mise a osservare i palazzi: dopotutto, quel posto non era poi così terribile.
Il suo appartamento, che le era stato messo a disposizione dal consolato, si trovava in una zona moderna, piena di bar e ristoranti.
Riuscire a trovare il Caffè dove Martin le aveva dato appuntamento, fu piuttosto difficile.
Arrivò quindi con un quarto d'ora di ritardo.
Martin, quando la vide entrare, si alzò in piedi e le andò incontro per farsi notare.
- Credevo che non venisse più! – le disse mentre l'accompagnava al tavolo.
- Bene – disse Shirley disinvolta, mentre si accomodava, - qual è il motivo del nostro incontro Signor Sherman?
- Martin, ti prego! Chiamami Martin...
- D'accordo Signor Sherman, cioè... Martin, non vedo cosa ci possa essere tra noi al di fuori delle nostre relazioni professionali. Se vuole dirmi di che cosa si tratta, altrimenti....
Martin la guardò per un istante negli occhi e poi sussurrò: - Altrimenti?
Shirley a stento trattenne una risata e poi rispose con estrema fermezza: - Altrimenti non vedo che cosa mi trattenga qui!
Martin smise di sorridere.
Shirley pensò che lo avesse finalmente scoraggiato, così segnò un punto a suo favore: uno a zero per lei!
Ma Martin non si dette subito per vinto.
- Se non altro – disse, - questo nostro incontro è servito a farmi chiamare per nome da te!
Shirley sospirò: uno a uno.
- C'è qualcos'altro? – chiese.
- Per oggi penso che basterà... - disse con tono di chi non ha ancora deciso di arrendersi.
Shirley allora si alzò e si diresse verso l'uscita del locale, senza lasciare a Martin neanche il tempo di alzarsi o di fermarla per offrirle un caffè.
Mentre tornava a casa, si chiese se sarebbe riuscita per molto a tenergli testa.
Finora era stata corteggiata solo da suoi coetanei, studenti o sottoufficiali, ma quel Martin era un uomo di ventotto anni, certamente più deciso e intraprendente di tutti quelli che aveva conosciuto.
Non sarebbe stata una lotta facile.
Per la prima volta si accorse di non essere una donna risoluta, così decise che avrebbe mantenuto le distanze il più possibile.
Quando arrivò a casa, si tolse le scarpe che avevano un tacco altissimo che non sopportava più e si sciolse i lunghi capelli che ultimamente portava sempre su per non sentirsi una ragazzina universitaria.
Iniziò a spazzolarli quando sentì suonare il campanello.
Si avvicinò alla porta domandando "Chi è?" pur immaginando chi fosse.
- Sono Martin! Hai dimenticato di portar via una cosa – disse mettendo un mazzo di fiori in vista davanti allo spioncino.
Shirley aprì la porta con la speranza di togliersi da quell'impiccio quanto prima.
Martin appena la vide fece un fischio d'ammirazione.
- Accidenti! Ma lo sai che sei ancora più bella con i capelli così. Hai proprio deciso di farmi impazzire?
Così dicendo aveva fatto un passo di troppo e aveva appoggiato un braccio al muro superando la soglia.
Shirley senza pensarci due volte gli sbatté contro la porta e solo quando sentì un urlo soffocato di dolore, si rese conto di ciò che aveva fatto.
Riaprì immediatamente la porta lasciando da parte ogni difensiva.
- Oh, mio dio, Martin! Ti ho fatto male?
Lui che con una mano prese a massaggiarsi il braccio colpito, la guardò negli occhi dicendo: - Sì, al cuore!
Shirley allora non ne potette più e scoppiò a ridere.
- Ma tu non molli mai? – disse.
Martin rispose con un sorriso: - Solo quando ho ottenuto ciò che voglio!
Lei inclinò la testa facendo una piccola smorfia con le labbra.
- Uhm... bella prospettiva!
Così dicendo si spostò davanti alla porta facendogli capire che poteva entrare.
Iniziò a sistemare i fiori in un vaso e all'improvviso si sentì afferrare per un braccio.
Quando si voltò, inaspettatamente un ricordo le comparve davanti agli occhi: vide l'immagine di Rachid, il suo viso dalla pelle dorata e i suoi occhi nerissimi.
Chissà perché gli era venuto in mente.
Ricordava benissimo ogni abbraccio, ogni volta che l'aveva attirata a sé, ma quell'incanto subito si spezzò e rivide Martin che non aveva smesso un attimo di fissarla negli occhi.
Fu lacerante per il suo cuore già così schiacciato.
Lui le dette la mano e le sussurrò: - Amici?
Shirley rispose abbassando lo sguardo: - Amici!
A quel punto, senza dire nient'altro, Martin si diresse verso la porta e se ne andò.
Non aveva mai visto uno sguardo simile: negli occhi azzurri di Shirley c'erano una profondità e un'oscurità abissina, un'amarezza che non lasciava spazio a dubbi.
Erano occhi che avevano conosciuto il dolore e che lo provavano tutt'ora.
Ne era rimasto impressionato e, capendo che non avrebbe potuto far nulla, era scappato via prima di non riuscire a trattenere le sue braccia che volevano abbracciarla, le sue labbra che volevano baciarla.
Shirley senza rendersene conto iniziò a piangere silenziosamente.
Quando avrebbero finito di torturarla quei ricordi?
Il giorno dopo quando andò al lavoro notò subito che sulla sua scrivania non c'era la rosa che trovava sempre.
Pensò che forse Martin si fosse arreso, ma neanche un attimo dopo che si fu seduta, lui entrò nella stanza con in mano la solita rosa.
- Stamattina ho pensato di portartela di persona – disse disinvolto e sorridente come sempre.
Quasi subito dopo entrò una giovane donna, una segretaria, che si rivolse a Shirley dicendo: - Signorina Dowland, è attesa nell'ufficio del Signor Hanson!
Shirley allora prese una cartellina dalla sua scrivania e uscì ignorando Martin completamente, ringraziando il cielo di averla tolta dall'imbarazzo di quella situazione.
Il Signor Hanson era un alto funzionario sulla sessantina che dirigeva quell'ufficio con professionalità, ma che trattava i suoi dipendenti anche con familiarità.
Quando Shirley andò da lui, fu infatti molto cordiale e lodò il lavoro della ragazza con molta soddisfazione e poi spiegò le vere ragioni di quella chiamata.
- Bene, signorina! Lei sa benissimo che non starà qui ancora per molto, ma momentaneamente si stanno presentando delle situazioni che rendono necessaria la presenza di personale della sua stessa qualifica. Vede, non so se è al corrente che il sultano è ritornato dall'esilio appoggiato dalle correnti nazionalistiche. Le relazioni con gli Stati Uniti sono state sempre molto buone, ma la situazione in quest'ultimo decennio si è fatta molto complicata e la Francia e la Spagna forse scenderanno a patti. Questo significa che ci saranno una serie di incontri diplomatici e la presenza d'interpreti sarà indispensabile. Ho molte conoscenze al Governo, lei si è dimostrata molto affidabile e preparata, nonostante la poca esperienza; quindi, se vuole le farò una lettera di referenze...
Shirley accettò senza esitare sorpresa di ricevere una simile proposta.
Prima di uscire il Signor Hanson la richiamò per dirle: - Signorina, lei mi ricorda molto una persona... ma non importa, può andare.
Shirley era così al settimo cielo che non ci badò e non le passò neanche lontanamente per la testa che al mondo esisteva una persona che le assomigliava in tutto e per tutto: sua madre.
Passò quasi un altro mese allo stesso modo: Martin non le aveva dato tregua e lei si era dimostrata soltanto una semplice amica.
Arrivò quindi il giorno in cui avrebbe dovuto trasferirsi negli uffici governativi di Rabat per il ruolo di interprete che le era stato offerto.
Il Signor Hanson le parlò di nuovo per puntualizzare alcune cose, ma più perché gli era venuto in mente chi gli ricordava quel viso.
- Dando un'occhiata alla sua scheda, ho visto che si chiama Mylène Shirley Dowland; quindi, ho pensato che la sua somiglianza non fosse soltanto una coincidenza.
Shirley, infatti, come primo nome portava quello di sua madre.
- Moltissimi anni fa, più di trenta, conoscevo un ufficiale francese, Legros si chiamava, che era mio intimo amico e che aveva una figlia di nome Mylène che le somigliava molto. È per caso una sua parente?
Shirley non sapeva che cosa dire, ma pur di sapere notizie di sua madre, rispose: - Sì, era una mia parente. Che cosa sa di lei?
- Era? È forse morta?
- Vede Signor Hanson, io non so molto di lei, non l'ho mai conosciuta, ma se lei vuole dirmi quello che sa...
- Sì, certo! Non è poi molto. Dunque, come le ho già detto, era la figlia di un mio carissimo amico che purtroppo fu vittima insieme alla moglie di un'imboscata durante la guerra del Rif. Sua figlia si salvò e si sposò molto giovane con un uomo del deserto... Incredibile che una francese sposi uno di quei beduini... Comunque, penso che abbia avuto anche dei figli, ma il matrimonio non è durato molto, infatti dopo qualche anno, mi chiese di aiutarla a trasferirsi in Francia in maniera anonima. Ho avuto come l'impressione che volesse scappare.
Shirley pensò che quello dovesse essere il periodo in cui aveva conosciuto suo padre ed era nata lei.
- La cosa strana – continuò l'uomo, - è che l'ho rivista circa sei o sette anni fa.
- Sette anni fa? – chiese la ragazza sorpresa. - E perché si trovava di nuovo qui?
- Negli ultimi anni era ritornata ad assistere il marito malato, fino a quando è morto. L'aiutai anche questa volta e poi non l'ho più vista.
Sua madre quindi molto probabilmente era ancora viva.
Strinse tra le mani la croce che portava appesa al collo senza neanche accorgersene. Forse un giorno avrebbe potuto abbracciarla: per quanto non volesse ammetterlo a se stessa, il desiderio di incontrarla e conoscere le proprie origini era piuttosto forte.
Quando uscì dall'ufficio del Signor Hanson era frastornata: sua madre era già sposata quando aveva avuto lei e aveva anche dei fratelli o delle sorelle.
Ritornò nel suo ufficio con un viso molto pallido e incrociò Martin che le diede la sua notizia: - Sei contenta? Verrò trasferito anch'io al Governo! Sono riuscito a convincere il Signor Hanson che potevi aver bisogno d'aiuto in qualche questione di diritto diplomatico ed io sono l'unico qui che abbia la laurea in legge... Ehi, ma ti senti bene? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma...
Shirley, infatti, era rimasta a guardarlo con lo sguardo spento e forse non aveva neanche sentito quello che le aveva detto.
- Sì, sono contenta Martin! – disse senza tanto entusiasmo, sparendo subito dentro il suo ufficio.
Lui pensò: "Detto così non si direbbe, ma è già qualcosa" e ritornò a fare il suo solito lavoro.
***
Eccomi qui!!! ❤
Scusatemi tanto per il ritardo... e soprattutto scusatemi per questo capitolo di passaggio... 😐
Sembra quasi un'altra storia: nuovi luoghi, nuovi personaggi... Se volete potete insultare Martin quanto volete, non me la prendo, anzi... 😂
A presto 😘
D.J.
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