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9. Nessun ritorno

SAGE

Le ''minacce'' di Hunter della sera prima non erano state pronunciate per gioco, anzi, il Sovvertitore non era stato mai così serio.

Il secondo giorno di addestramento si stava rilevando molto più impegnativo del primo. Gli esercizi di riscaldamento erano duranti di meno, con un'aggiunta di movimenti delle gambe utili per l'equilibrio, e la corsa decisamente di più, tanto che, a fine serie da cinque, non avevo più fiato.

«Hunter sembra essere tornato quello di sempre, purtroppo», aveva commentato Hussain grondante di sudore, accennando alla severità del nostro addestratore. Le piccole goccioline scintillavano sulla sua pelle scurissima.

«Oggi apprenderemo a sferrare calci e altri due tipi di pugno», ci comunicò Kenneth, passeggiando tranquillamente di fronte a noi allievi praticamente già stanchi. «Acquisiti quelli, cominceremo con le combo ai sacchi e poi contro i vostri compagni.»

Proprio come il giorno prima, Hunter, nonostante il leggero dolore alla spalla, si riposizionò dinanzi ai grossi sacchi appesi a delle spesse travi in legno. Mi chiesi perché Kenneth fosse capace di dare soltanto aria alla bocca invece di sostituire il suo collega, ottenendo una semplice risposta: era Kenneth e, seppur lo conoscessi da nemmeno ventiquattro ore, sapevo che non c'era nulla da aspettarsi da uno come lui. Qualcosa dentro di me mi avvertiva a gran voce di starci parecchio attenta.

«Dunque, sapete già come tirare un pugno frontale, per cui oggi vi spiegherò il gancio e il montante», disse, accertandosi che tutti fossero vicini quanto bastava. «Così come gli altri colpi, è importante cercare di non far capire all'avversario la partenza del pugno, quindi è meglio muovere tutto il corpo e il tronco in questo modo», assunse la posizione di guardia e iniziò a dimenarsi verso destra e sinistra, oscillando poi dall'alto verso il basso con molta agilità.

«Il gancio è un pugno circolare e va accompagnato con una leggera torsione del corpo e del bacino», diede una breve dimostrazione al sacco per un paio di volte. «Stessa cosa per l'altro braccio. Domande?»

Ancora quiete. Hunter sfoggiò un sorriso sarcastico mostrando i denti e delle quasi invisibili fossette.

«Che dici, Asery? Tutti estremamente bravi o semplicemente distratti?» ci prese in giro lui, provocando un risolino da parte dell'altra.

Qualcuno sovrastò le risate, schiarendo la propria voce. «Avrei io una domanda.»

«Ecco, vedi? Malfidato», continuò Asery, indicando la donna che si era fatta avanti.

«Avanti, Reese», la incoraggio il Sovvertitore dagli occhi castani.

Reese era una donna di media statura, vagamente massiccia e con folti capelli scuri. Prima di parlare, si inumidì le labbra sottili. «Attaccando in quel modo il nostro avversario, non rischieremo di lasciare la guardia scoperta?»

Hunter l'osservò, incuriosito, e sollevò l'indice. «Giusto. E' molto importante ritornare nella posizione iniziale velocemente. Ma solitamente un gancio viene effettuato dopo aver stordito il rivale con qualche diretto.»

Lei, soddisfatta, annuì e fece un passo indietro, allineandosi nuovamente alla fila.

Ci esercitammo un po', spesso richiamati a stare attenti al modo in cui chiudevamo la mano o alla posizione dei piedi, dopodiché Hunter ci mostrò quello che aveva chiamato montante: rotazione del bacino, lieve spinta del piede per portare il pugno dal nostro mento al mento dell'avversario, perforando la sua guardia. Ci spiegò che un montante caricato con il braccio destro era efficace per colpire il fegato, mentre il sinistro mirava direttamente alla milza.

Dovevo ammettere che era già difficile tenere a mente tutte quelle nozioni, ma metterle in pratica sembrava veramente impossibile. Ad un certo punto, mi sentii profondamente avvilita e schiacciata. Tutta quella concentrazione mi aveva fatto dimenticare il resto dei problemi che avevo, nella fattispecie ciò accadeva esattamente quando le porte della palestra si chiudevano. Non c'era spazio per altro, solo per i tonfi della pelle dei miei compagni contro il cuoio.

Quando arrivò il momento dei calci, anche Travis, che di norma era il più tenace e instancabile, con una mole eccezionale, sembrava essere esausto.

Alla fine, a pranzo, tutti erano sfiniti tanto da non riuscire nemmeno a conversare. Il tavolo a cui eravamo seduti, insieme ad altre persone, era ai lati del refettorio, quasi accanto a quello destinato a Laryngard e ai quindici.

Seduta poco lontano da me c'era Reese che mangiava le sue patate in un religioso silenzio. Era uno strano elemento del gruppo: sempre sulle sue, priva di ogni intenzione di integrarsi o quantomeno provarci, e sempre con la schiena dritta; sembrava in continua allerta. Mi ricordava pressappoco la versione femminile di Percival.

Scrutai il mio piatto in metallo duro, le posate dello stesso materiale e anche i bicchieri, le caraffe contenti acqua fresca. Addentai piano un pezzo di manzo, e urtai volontariamente il gomito di Salina, comoda alla mia destra. Non mi parve di cogliere sconcerto o fastidio del suo sguardo quando si voltò, forse ciò che avevo immaginato era soltanto frutto delle mie ansiose fantasie.

«Posso chiederti da quanto sei qui?»

Lei ci pensò per qualche secondo, facendo una strana smorfia con la bocca carnosa. «All'incirca qualche settimana, non di più. Sono arrivata lo stesso giorno di Hussain, forse è per questo che siamo così legati!»

Il ragazzone, proprio di fronte a lei, le riservò una falsa occhiata di disappunto. «Forse intendevi dire che è per questo che sono l'unico a sopportarti!»

«Credo si amino segretamente, così tanto che neanche loro ne sono consapevoli», mi sussurrò Travis, beccandosi un calcio da parte della diretta interessata. I tre risero di gusto con me a seguito.

Mi voltai verso Reese, ancora chiusa nel suo guscio quieto. «E tu, Reese? Quando sei arrivata?»

Lei non parve sorpresa dalla domanda, quanto più dal fatto che qualcun altro le avesse rivolto la parola. «Poco dopo la tua fuga con l'istruttore Hunter», disse, semplicemente. Il tono era seccato, a tratti irritato, così non ritenni opportuno continuare ad invadere i suoi spazi.

«Perché tutto qui è così diverso da ciò a cui siamo stati abituati sin da bambini?» domandai dopo qualche minuto, sinceramente curiosa di sapere com'era possibile che un gruppo di fuggiaschi fosse così evoluto rispetto all'intero Terzo Humus, rispetto a Victor stesso. «Voglio dire, basti guardarsi intorno, per non parlare delle armi. Non ho mai visto niente del genere prima.»

Travis scrollò le spalle, ingollando avidamente il cibo che aveva in bocca, ma fu Salina a prendere parola.

«Il realtà nessuno lo sa veramente. Spesso abbiamo provato a sollevare la questione, a fare domande agli istruttori, ma ci è sempre stato detto che siamo informati solo di ciò che è necessario sapere, il resto verrà a tempo debito», disse, ma senza delucidarmi per davvero la faccenda.

«Adesso sembri seriamente Asery. Ti prego, piantala!» la punzecchiò ancora Hussain, un ghigno beffardo che gli dipingeva il volto. Forse Travis aveva ragione, probabilmente tra quei due c'era davvero del tenero non ancora emerso del tutto.

«A me pareva più Zenda, non è lei quella che crede di sapere sempre tutto?» fece il più giovane dei Sovvertitori, sorprendendomi. Zenda non era vista di buon occhio?

«Cerca solo di istruirci al meglio, come tutti i Sovvertitori, eccetto Kenneth», biascicò l'ultima parte, masticando un boccone di verdure.

Ecco un altro argomento interessante: Kenneth. Mi tornò alla mente la scena a luci rosse della sera prima, quando lui e Irina si strusciavano scandalosamente l'uno contro l'altra, incuranti del pubblico che li circondava.

«Oh, be', lui ho avuto modo di osservarlo e direi che la gentilezza e l'umiltà sono proprio i suoi punti forti», commentai sarcastica, ottenendo l'approvazione dei miei compagni.

In quel momento, Irina e tutto il suo seducente essere attraversarono la sala. Molti la squadrarono senza troppi convenevoli, e Travis fu tra questi.

«Che spreco una così che corre dietro ad uno stupido come Kenneth», esclamò, seguendo attentamente il percorso di lei.

«Sagge parole, fratello», concordò Hussain, la bocca semi aperta.

Salina alzò gli occhi al cielo, tirando un sospiro scocciato. «Grande Madre! Agli uomini piace proprio tanto sbavare sulla merce facile! Ma che dicono uomini, tu sei l'ultimo della cucciolata», parlò direttamente a Travis, tagliente. «Non ti guarderebbe nemmeno se avessi tutte le nìtee del Terzo Humus!»

«Lascialo sognare in pace!»

«Non sto dicendo niente di così diverso dalla realtà, Hussain. E poi non capisco cosa ci trovi in una come quella», ritrattò, più tranquilla ma comunque irritata. Doveva avercela proprio con quella ragazza.

Ad un tratto, il battibecco al nostro tavolo cessò, i volti degli altri nascosti in una maschera di disagio.

«Sage?» chiamò una voce inconfondibile alle mie spalle.

Posai il mio sguardo sul volto serio di Hunter, come d'abitudine, e lievemente imbronciato.

«Laryngard vorrebbe vederti», mi informò, attese che mi alzassi e mi scortò fuori dalla stanza.

«E' successo qualcosa di grave?» supposi, imitando la sua espressione corrucciata.

Lui mi guardò e i tratti del suo viso si distesero mentre scuoteva la testa in segno di diniego. «No, vuole solo parlare della questione speciale che ti riguarda personalmente.»

«Ah, vuole accertarsi che io sia veramente stramba come tu hai sostenuto», ricapitolai, avvertendo nuovamente quella strana sensazione che mi aveva attanagliato lo stomaco per giorni. I problemi erano sempre lì, anche se li nascondevo sotto mille cose da fare.

«Non credo tu sia stramba, probabilmente sei tutt'altro che quello», disse e sollevò appena l'angolo della bocca, per poi calarlo in fretta, come se non fosse mai accaduto.

«E cosa credi che sia?»

«Singolare. Per certi aspetti, rara.»

Me ne restai in silenzio, sorpresa, e soppesai a fondo le particolarità del suo viso, cercando di scorgere un qualsiasi segno di ilarità che però non vi era affatto. Hunter diceva sul serio, il che mi stupiva maggiormente.

«Potrebbe essere comunque qualcosa di negativo, così come lo è per gli altri», puntualizzai, e non scherzavo. Era un aspetto negativo anche per me stessa, figurarsi per degli estranei.

«Non lo è per me e non lo è per il capo di questo gruppo, questo dovrebbe avere più valenza. E poi l'hai detto anche tu, magari ho solo immaginato di vedere qualcosa e tu sei una ragazza comune come le altre», disse disinvolto, ma non sapeva che avevo avuto la prova di non essere affatto come tutti gli altri. C'era qualcosa di profondamente celato in me, e conoscerlo a pieno mi incuteva una certa preoccupazione.

«Già, mi piacerebbe molto», confessai sinceramente.

«Mi sono sempre chiesta una cosa da quando vi ho incontrati», azzardai con coraggio, scrutando la sua reazione interessata di sottecchi. «E' tutto così nuovo ed ignoto qui da voi, partendo dal vostro modo di parlarvi l'un l'altro e arrivando alle armi, ad esempio, o anche a queste luci», esclamai indicando l'involucro semi trasparente che illuminava l'ambiente.

Lui ridacchiò con lo sguardo fisso di fronte a sé, e ricordai il ragazzo sempre scuro in volto con cui avevo convissuto in quei giorni di fuga, così differente da ciò che era in quel momento.

«Il loro nome è lampade al neon, alimentate da una cosa chiamata elettricità che permette di illuminare grandi spazi e...»

«E come ve la procurate?» fui incapace di trattenermi e bloccai la sua spiegazione. Volevo dire, conoscevo il termine elettricità grazie ai fulmini dei temporali che erano capaci di incendiare qualsiasi cosa se in contatto con il suolo, ma come riuscivano ad incanalare quella energia in contenitori di vetro?

Hunter parve in difficoltà; scosse la testa e cercò le parole giuste ma fu ancora interrotto dal cigolio di una porta che si apriva. «Oh, avevo sentito delle voci familiari, vi aspettavo entrambi», comunicò Laryngard sbucando all'improvviso da una solida e pesante porta a due ante.

Ci invitò ad entrare e ad accomodarci su delle sedie dal rivestimento imbottito e morbido. Quello che pareva essere la sua stanza privata, a differenza dell'intera roccaforte in metallo, era prevalentemente in legno, così come lo scrittoio piatto posto nel centro della camera, o come gli scaffali su cui erano disposti moltissimi libri, molti più di quanti ne avessi mai visti nelle biblioteche di paese.

Vi era un livello superiore del pavimento, collegato a quello inferiore tramite un paio di scale e ai cui lati si ergevano spesse colonne scure. Nei diversi angoli dell'intero perimetro erano sparse delle sculture non troppo grandi e alquanto malconce, ma davvero particolari: una di queste rappresentava un uomo poggiato sul terreno, uno scudo legato al braccio sinistro su cui reggeva tutto il suo peso, ma aveva soltanto metà di quello destro e una gamba mancante. L'altra invece era il busto di una donna nuda con entrambe le braccia perdute.

Laryngard prese posto, camminando lentamente e trascinando dietro di sé la sua lunga tunica azzurrina e bianca, sulla scranna dietro lo scrittoio, sulla cui superficie notai una torre a punta, poggiata su quattro piedi, che portava la scritta ''Paris''.

Mi accomodai accanto ad Hunter, che con fare disinvolto apriva i bottoni della sua giacca blu scuro, e mi chiesi come avrebbe fatto Laryngard a capirci qualcosa delle mie capacità, non possedendole. Poi un pensiero balenò nella mia mente. E se Laryngard...?

«Allora, come stanno andando gli allenamenti?» incrociò le dita affusolate e poggiò i gomiti sul legno ruvido.

«Avendo il mio insegnante qui di fianco a me, dovrei in ogni caso dire che procedono egregiamente», replicai, una nota sarcastica nella voce.

Entrambi sogghignarono, onestamente rallegrati. «Non fare caso a lui. Tra queste quattro mura è soltanto un uomo di mezza età che tenta di levarsi a gionvincello!» enunciò l'anziano, sfoggiando un gran sorriso che per un attimo lo fece ringiovanire.

«Dunque sei così vecchio?» osai rivolta ad Hunter, ma un secondo dopo ne ero già pentita. Un conto era assistere agli scherzi di due persone che, presumibilmente, si conoscevano da anni, e un altro era reclamare liberamente certe confidenze non concesse.

Il Sovvertitore si voltò a guardarmi con l'espressione di chi era vagamente divertito ma non voleva darlo a vedere. Per un istante fui convinta che fosse sul punto di incenerirmi sul posto, e infatti mi preparai a ricevere una bella strigliata o una sua battuta tagliente, che però non arrivò. «I quasi trenta sono i nuovi settanta, a quanto pare», resse il gioco, scuotendo la testa e celando un sorriso genuino.

E così Hunter aveva quasi trent'anni. Ma perché non era sposato? I suoi coetanei nei villaggi a quell'età avevano già bambini. Vi era comunque una pecca nel mio ragionamento: Hunter non era un contadino comune e non lo sarebbe mai stato.

«Ebbene, ti ho fatta convocare per trattare la questione sui tuoi poteri», i lineamenti rilassati del volto di Laryngard si indurirono vistosamente mentre il suo tono di voce si faceva profondo.

«Presunti poteri», precisò Hunter poco prima di regalarmi un'occhiata incoraggiante. «Dopotutto, non abbiamo ancora nessuna prova concreta, solo degli occhi colorati.»

Quel suo modo di ritrattare mi colse impreparata. Cosa cercava di fare?

«E' comunque molto di più di quanto potessimo augurarci. Io sospettavo da tempo che Victor fosse uno dei sette figli di Eritrea, nonostante mi convincessi del contrario con la scusante delle mancate prove. Così come per te, è stato un vero trauma averne la conferma...», ammise Laryngard e riacquisì l'aria di chi aveva troppe cose sulle proprie spalle. «Ma capirai perché abbiamo così bisogno di scoprire se tu sia davvero la possibilità che ci aiuterà a cambiare finalmente le cose. Contro Victor non avremmo avuto speranze, ma ora che sei qui, forse le cose miglioreranno.»

Mi sentii disperatamente sotto pressione; comprendevo davvero l'importanza di avere un certo vantaggio su Victor per Laryngard, per la sua gente e per tutto il Terzo Humus, ma quell'insieme di responsabilità che gravavano su di me mi fecero comprendere un fattore d'essenziale importanza: io ero solo una giovane ragazza che non aveva fatto altro che scappare per la maggior parte della sua vita. Scappavo quando mio padre maltrattava mia madre, ero scappata quando lui era stato ucciso e io e mia madre eravamo state additate come traditrici della nostra stessa terra, e avevo continuato a scappare dai Custodi quando lei ormai se n'era andata. Come potevo essere d'aiuto? Non avevo mai affrontato le avversità così come avevo sempre pensato. Al contrario, mi dirigevo il più velocemente possibile nella direzione opposta. Quando ero convinta che avessero commesso un errore, pensando che io fossi chi in realtà non ero, forse avevo avuto profondamente ragione. Stavo provando ad essere forte, ma non riuscivo a vedere alcun tipo di forza dentro di me.

Annuii, poco convinta ma senza darlo a vedere ai due uomini in mia compagnia.

«In che modo potrai capire e aiutarmi a sviluppare qualsiasi cosa sia presente in me?» chiesi rivolta a Laryngard, senza più sospettare di lui. Un uomo con capacità speciali non si sarebbe mai affidato ad una giovane inesperta, che non conosceva nemmeno se stessa.

«Dovremo passare del tempo a cercare di individuare quale sia la tua abilità, in cosa consiste e come manifestarla all'esterno. Entrambi mi avete parlato dell'episodio della cavalla, ad esempio. Possiamo partire da lì», propose il Maestro dei Sovvertitori, con voce ferma ma tremendamente gentile e disponibile. Laryngard riusciva ad avvolgere le persone in un calore protettivo; ero agitata fin dentro le ossa in un modo inspiegabile per tutta quella vicenda, ma grazie a lui ero più fiduciosa, non mi sentivo sola. Ecco, era così che faceva sentire tutti: se c'era lui a guardarci le spalle, tutti si sentivano più sicuri, il che era comunque inusuale dato che era soltanto un uomo, per di più in età avanzata.

«Per non farti perdere l'addestramento, sarà meglio spostare questi incontri a dopo la fine delle lezioni giornaliere», suggerì l'altro. «So che uscite da quella sala praticamente sfiniti e so che è chiederti tanto, ma è qualcosa che servirà anche a te. Per capire chi sei davvero.»

Sospirai, il cuore che batteva in modo violento e frenetico contro il petto. Annuii ancora, non riuscendo però a contraccambiare il suo sguardo d'incoraggiamento. Pareva dirmi: sta' tranquilla, andrà tutto bene.

Sulla strada verso la palestra mi ero soffermata a pensare al discorso di poco prima, restando in silenzio. Avevo capito tutto, meno che il passo indietro fatto da Hunter. Ricordavo bene quanto, nella foresta, fosse stato aggressivo ed esaltato nell'aver scoperto qualcosa in me, quindi perché sminuire ciò che aveva visto? Non ne era più così sicuro?

A pochi passi dall'entrata, mi bloccai, stringendo appena le dita intorno al braccio robusto di Hunter. Lui si voltò a guardarmi, corrucciato, chiedendosi probabilmente che cosa mi fosse preso.

«Che succede?» chiese, la mano poggiata sulla porta a spinta.

«Mi stavo chiedendo perché, ad un certo punto, hai dimostrato meno sicurezza davanti a Laryngard rispetto a ciò che avevi visto nella foresta», ammisi, la curiosità che aveva la meglio su di me, come sempre.

Il Sovvertitore mi osservò attentamente, stringendo impercettibilmente gli occhi a fessura. «Anche se sono abbastanza convinto di ciò che ho visto, voglio che gli altri non ne siano così sicuri.»

«Perché mai?»

«Perché farebbero pressioni su di te di ogni tipo, ed è l'ultima cosa che voglio», sibilò, e a me parve di trattenere il fiato per un attimo. «Se sei sotto pressione, rendi di meno e impiegheresti molto più tempo a capire la tua vera natura. Devi sentirti libera di conoscere te stessa.»

Ma eccolo, il pensiero che potesse pensare alla parte di me umana, invece che alla stranezza che mi caratterizzava, sciogliersi come neve al primo sole primaverile. Molto spesso non riuscivo a tollerare il fatto che mi vedesse soltanto come un'arma da utilizzare.

Sospirai ancora, per l'ennesima volta in quella giornata, e annuii, facendogli capire che il concetto era chiaro.

Durante gli allenamenti, le tre persone con cui avevo più legato mi chiesero che cosa fosse successo con Laryngard e Hunter. Quando spiegai loro per sommi capi ciò che avrei dovuto fare, nessuno disse nulla. Travis e Salina tornarono a tirare calci e pugni contro il proprio sacco, Hussain invece si stranì; per quanto fosse cordiale con me il più delle volte, non era ancora pronto a fidarsi di me. Probabilmente nessuno lo era per davvero.

Verso la fine delle lezioni, molti Sovvertitori avevano già lasciato la struttura da un po', mentre noi nuovi-nati cercavamo di non sprecare neanche un secondo, specie se si trattava di me.

Ero impegnata a perfezionare i miei ganci quando l'enorme sala eruppe in un mormorio confuso. Voltai lo sguardo in direzione dell'entrata per notare Zenda, pallida come un cencio e zoppicante - poggiava il peso su dei bastoni di legno duro -, che provava ad attraversare la stanza.

Aveva lividi vistosi sul viso ed escoriazioni sulle braccia lasciate scoperte da una semplice maglietta nera, veramente aderente.

«Zenda», esclamò seccato Hunter.

«Ti avevo esplicitamente detto di restare a letto o sbaglio?» la rimproverò Asery come se l'altra fosse stata una bambina cocciuta e disubbidiente.

«Dimmi quando questa donna segue gli ordini che le vengono impartiti», Hunter corse in suo aiuto, stringendo un braccio intorno alla sua vita e aiutandola a camminare.

«State tranquilli, sto bene», li rassicurò lei, leggermente affaticata. «Volevo dare uno sguardo ai nuovi arrivati, vedere come se la cavavano. Stanno al passo con gli altri?»

I suoi occhi si spostarono sui presenti in cerca di qualcosa di ben preciso. Quando finalmente lo trovarono, lei sfoggiò un accenno di sorriso divertito nel vedermi completamente sudata e stanca.

«Oh, ci sei anche tu!» esclamò fingendosi quasi sorpresa di trovarmi lì. «Alla fine la tua pelle sembra essere più dura di quanto mi aspettassi. Vedremo se sarai anche a prova di proiettile», continuò con superbia.

Erano affermazioni del genere che mi facevano desiderare di vederla con la lingua mozzata invece che ferita in tutto il resto del corpo. E poi che diavolo era un proiettile?

Anche in quel momento preferii star zitta ed evitare un nuovo scontro come quello avvenuto nella foresta. Condividevamo la stessa casa, avevamo lo stesso tetto sulla testa e lei era l'ultimo dei problemi che avrei voluto avere. Ne avevo già in abbondanza.

Qualcuno ridacchiò della sua stupidissima battuta e Travis mi rivolse un sguardo dispiaciuto, che sembrava volermi consigliare di non badare a ciò che usciva dalla bocca di quella megera. Per mia fortuna, avevo un alleato che non la tollerava proprio come me.

Gli istruttori iniziarono a parlare tra loro e il gruppo tornò ad allenarsi senza prestare attenzione al resto sino alla chiusura dell'orario prestabilito e a nostra disposizione.

Mi affrettai per non fare tardi al primo incontro con i due capi dei Sovvertitori: il braccio e la mente. Confessare di essere terribilmente nervosa sarebbe stato un eufemismo.

Inconsapevolmente, Hunter mi aveva dato la possibilità di scegliere. Avrei potuto nascondere ciò che avevo scoperto quella notte nella foresta e fingere di essere come tutti gli altri, provando a cercare la loro approvazione e sperando di veder svanire la paura nei loro sguardi. Ma così avrei tradito la fiducia che poche persone avevano riposto in me. Avrei tradito Laryngard, Hunter e anche Travis che avevano aperto le braccia verso di me sapendo ciò che rischiavo di essere.

Mi torsi le mani e le dita fuori la porta della stanza privata del Maestro dalla barba lunghissima. Ero profondamente indecisa. L'esito di tutto ciò che sarebbe stato dipendeva soltanto da quella decisione, da prendere in quel momento o mai più.

Laryngard scelse di esercitarsi all'esterno. Secondo lui la peculiarità del mio essere sarebbe potuta esser sviluppata a pieno in un ambiente adatto, ovvero tra la vegetazione. Per cui attraversammo insieme parte della casa dei Sovvertitori, fino ad arrivare ad una piccola uscita che dava possibilità di accesso ad una sorta di giardino privato, un grande cortile. In realtà era presumibilmente parte della Foresta di Avorsel, soltanto che quel discreto pezzo di terra, grande abbastanza da contenere più di qualche centinaia di persone, era protetto da delle mura quasi invisibili, ricoperte da quella che doveva essere edera rampicante.

«Che cosa dobbiamo fare adesso?» domandai mentre l'anziano si posizionava alla mia sinistra.

Mi sorrise cordialmente prima di parlare. «Cominceremo con un aiuto, così come già detto», mi spiegò. «Come ogni cosa, anche ciò che probabilmente è in te avrà un nucleo. Il centro del suo essere, da dove partono tutte le scariche di energia.»

Prese a camminare lentamente, avvicinandosi a me e soppesando attentamente la mia espressione. «Come credi che sia possibile prendere decisioni, dalle più semplici alle più complesse? Il nostro è qui», si toccò la tempia con un dito ossuto, «da dove vengono inviate le informazioni necessarie al nostro corpo per agire, ad esempio. Se tu avessi qualche abilità, essa avrebbe un centro e il nostro compito - come prima cosa - sarà quello di trovarlo», continuò ancora, facendosi sempre più vicino.

D'un tratto, posò la mano sul mio stomaco in modo delicato. «Potrebbe partire da qui, oppure dal ventre, il petto, la gola, la nuca. Oppure, potrebbe partire dalla tua mente.»

Mentre parlava, toccava i diversi punti del mio corpo che menzionava; più lo faceva e più mi sentivo rilassata e fiduciosa sulla riuscita finale. Ma quando la sua mano lasciò la mia epidermide, mi chiesi nuovamente se non fosse stato meglio, per me, fingere di essere uguale a tutti gli altri.

Hunter ci raggiunse proprio in quell'istante, le redini di un cavallo che conoscevo bene strette nella mano destra.

«Suppongo tu la riconosca», fece il Sovvertitore, provocandomi un risolino. Certo che la riconoscevo: era l'emblema del mio cambiamento, grazie a lei conoscevo un po' di più me stessa.

«E' tua, l'hai salvata. Hai già scelto un nome per lei?» chiese, fermandosi a qualche metro di distanza da me.

Ci pensai su, osservando la sua struttura slanciata e la muscolatura potente, la lunga criniera, il muso elegante, per finire poi agli occhi ambra, così luminosi e attenti.

«Il suo nome sarà Sanja», esclamai con forte convinzione. Mi ricordai del legame mentale venuto a crearsi nella foresta poche notti prima e mi chiesi se fosse possibile ricollegarmi a lei per sapere se le piacesse. Se avessi scelto di farlo, però, quasi sicuramente i miei occhi si sarebbero tinti d'oro così come era successo con Hunter. Volevo davvero rischiare così tanto? Svelarsi significava farsi aiutare, certo, ma significava anche invischiarsi in qualcosa di più grande di me, pericoloso e che mi sarebbe potuto costare la vita. Ne valeva davvero la pena?

Poi guardai i volti momentaneamente sereni di Laryngard e Hunter, ripensai alle nuove persone che avevo conosciuto, al Borgo, ai canti e i balli, ai bambini vivaci e alle persone felici. E li immaginai tutti morti, con gli occhi vitrei, immobili su una montagna di cadaveri di contadini, cacciatori, pescatori, sconosciuti. Tutti morti per aver tentato di fermare Victor con la consapevolezza di perdere, uccisi dalla speranza di un cambiamento. Uccisi dal mio tradimento. Potevo vivere con quel rimorso?

Guardai il terreno sotto i miei piedi e i piccoli ciuffi d'erba che fuoriuscivano timidamente da quest'ultimo, esitante per gli altri pochi istanti, poi calai le palpebre.

Non sapevo se ci sarei riuscita ancora o avrei fatto un buco nell'acqua, ma tentai anche senza toccare l'animale: rilassai i muscoli e la mente, concentrandomi soltanto sul suono dei pensieri di lei, che non tardarono ad arrivare. Aprii gli occhi, la guardai e le chiesi silenziosamente se il nome da me scelto fosse gradito. Non vi fu una vera e propria risposta, con parole, ma una percezione di sensazioni. Era felice. Le piaceva.

Emisi uno sbuffo di riso involontario, meravigliata di ciò che mi stava succedendo. Meravigliata di scoprire di cosa fossi capace, il cuore in una danza di palpitazioni.

Entrambi gli uomini, dapprima concentrati su Sanja, voltarono il capo verso di me e restarono esterrefatti.

«Sage», chiamò Hunter, gli occhi che quasi gli brillavano. «Sta accadendo di nuovo. I tuoi occhi...», disse, e lasciò la frase lì, sospesa in un oceano di nuovi propositi.

«Lo so», esclamai, ritornando in me e fissando i volti dei due uomini.

«Lo sai? Aspetta, perché non sei sorpresa?» si insospettì il giovane, riservandomi un'occhiata piena di significati diversi.

Inspirai l'aria fresca mentre il cielo cominciava a tingersi di una luce rossastra grazie al sole che stava calando. «La notte prima che tutto il gruppo venisse attaccato da quell'essere, ho pensato molto a lungo a ciò che mi avevi detto sul presunto cambio di colore delle mie iridi», confessai, leggermente a disagio. «All'inizio lo credevo impossibile, ma dopo aver analizzato la tua reazione mi sono detta che vi erano soltanto due soluzioni: o eri un vero e proprio pazzo, oppure stavi dicendo la verità. Così ho provato ad avere un contatto con lei e ho percepito ciò che stava provando, così come è successo un attimo fa.»

Sia Laryngard che Hunter restarono a bocca aperta, incapaci nel modo più assoluto di proferir parola.

«E non mi hai detto niente? Mi hai lasciato credere che fossi un visionario», il tono del Sovvertitore era offeso e adirato.

Ero dispiaciuta, non avrei voluto nasconderglielo o farlo passare per uno stolto ma avevo bisogno di comprendere per prima che cosa mi stesse succedendo. E poi, non c'era stato tempo. Il mostro, la fuga, il volo e i Sovvertitori e il loro strano mondo.

«Hunter», chiamò Laryngard, notando il mio profondo rammarico.

«Ho anche finto di non essere sicuro di ciò che avevo visto per farti sentire più sicura!» ringhiò l'altro senza fermarsi.

«Ma che cosa volevi che ti dicessi? Non sapevo cosa mi stesse succedendo e scusa tanto se sono stata occupata a capirci qualcosa in più piuttosto che fornirti le prove che ti servivano per considerarmi ancora una volta un'arma contro Victor!» alzai la voce più ti quanto fosse dovuto, facendo arrabbiare il Sovvertitore ancora di più. Difatti mollò le redini della cavalla e fece per avvicinarsi pericolosamente a me, con le spalle ricurve e il petto che si alzava e si abbassava in modo frenetico. Feci per avanzare anch'io ma Laryngard interruppe lo scontro sul nascere.

«Hunter!» chiamò ancora a gran voce, perdendo un po' di controllo che tanto lo contraddistingueva.

Il giovane si fermò sul posto e lo guardò, lo sguardo di fuoco. Restano entrambi a scrutarsi come due alpha per il predominio del territorio, come due uomini che si sfidano silenziosamente per affermarsi sull'altro. Ma negli occhi di Laryngard c'era solo un muto rimprovero, non pareva avere un atteggiamento ostile nei confronti del capo delle sue forze armate, anzi, era come se non volesse dargli contro in modo esplicito.

Ad un certo punto, quella situazione mi ricordò il primo incontro con i Sovvertitori, lo scontro proprio con Hunter e la sua cessazione imposta proprio dal loro mentore.

Hunter, alla fine, emise un verso di stizza e andò via senza aggiungere una parola. Ripresi a respirare, rendendomi conto di esser stata in forte tensione fino a quel momento. Sospirai rumorosamente e il Maestro posò il suo sguardo su di me.

«Mi dispiace», si scusò. «Devi capire che è una persona difficile, complessa. La sua visione delle cose molto spesso non è uguale a quella di tutti gli altri, ma puoi credermi sulla parola se ti dico che non è cattivo.»

«Lo so, e non scusarti al posto suo. Non è colpa tua», replicai con un tono piatto, cercando di scrollarmi quelle sensazioni negative di dosso. «Torniamo a fare ciò per cui siamo qui.»

Lui annuì e si avvicinò a Sanja, spronandola a camminare nella mia direzione. Mi avvicinai anch'io e le posai delicatamente la mano sul muso senza più nessun tipo di inibizione. Ormai ci fidavamo l'una dell'altra, era evidente.

«Come ti sei accorta di riuscire a sentirla?» domandò, curioso.

Come spiegare una cosa del genere? Non ne conoscevo l'origine neanch'io.

«Non ne sono sicura, a dire il vero. E' stato Hunter ad insidiare il dubbio nella mia mente», ammisi, ricordando in modo chiaro l'episodio nel villaggio Ynesa e nella foresta. «Così ho poggiato la mano su di lei e, dopo aver seguito soltanto il mio istinto e le mie sensazioni, ho avuto sete.»

«Mi stai dicendo che hai potuto sentire ciò che sentiva l'animale?»

«In un certo senso. Sì, ho sentito un forte desiderio alla gola ma non di soddisfarlo per me. E' un concetto difficile da spiegare, è la prima volta che cerco di spiegarlo anche a me stessa», mi prodigai a chiarire nel modo più facile possibile, ma come avevo ammesso a Laryngard era veramente arduo per me provare a dare un senso a quelle assurde sensazioni che riuscivo stranamente a percepire.

Il mio mentore sembrò perplesso per qualche istante, poi annuì gradualmente fino a farlo con vigore, guardando un punto indefinito alle mie spalle. Poi mi sorrise, sicuro. «Credo proprio che sia questo. Abbiamo trovato il tuo centro.»

Non compresi a pieno il significato delle sue parole ma il suo volto parve così rilassato e fiero che riuscì a trasmettermi più fiducia.

«La tua mente in qualche modo è in contatto con questa cavalla e, se ciò che sospettava Hunter è giusto, probabilmente lo è con tutto ciò che adesso ci circonda», mi parlò con un tono di voce basso ma allo stesso tempo quasi esagitato. «Se questo è vero, potresti percepire le sensazioni di un animale diverso, per esempio.»

«Ma ho prima bisogno di poterlo toccare, credo», gli ricordai, sollevando entrambe le mani con i palmi rivolti all'insù.

«Non credo che il legame s'instauri con il tocco. Sono convinto che sia la tua mente ad essere profondamente unita alla forza vitale della flora e della fauna», un altro sorriso entusiasta.

«Sei sicuro? Non credo di poterci riuscire. Era già difficile prima che...»

«Dovresti essere più sicura di te, Sage. So che è una bizzarra novità, ma comprendere l'origine dell'energia e lasciare che essa stessa comprenda te, servirà a farti essere un tutt'uno con lei, per governarla e piegarla al tuo volere», mi accarezzò le spalle mentre parlava, per poi fare una leggera pressione affinché mi voltassi fino a dargli le spalle. «Guarda intorno a te, ragazza. Il mio istinto mi suggerisce che hai un contatto viscerale con tutto questo. Devi solo crederci e allenarti giorno dopo giorno. Tutto verrà in modo naturale e ogni cosa si assemblerà nel proprio posto.»

Storsi la bocca, poco ottimista. Ciò che mi più mi sarebbe dispiaciuto sarebbe stato deludere le aspettative di Laryngard. Lui si aspettava grandi azioni da me che io non ero in grado di compiere, almeno non per il momento. Tuttavia, aveva ragione a dire che con una buona dose di allenamento, magari, sarei riuscita ad ottenere qualche risultato. Serrai i pugni, inaspettatamente nel modo esatto in cui i miei istruttori mi avevano insegnato, e chiusi gli occhi. Provai ancora a svuotare la mente, a rilassare il mio corpo teso e a frenare i battiti frenetici del mio cuore per metà impaurito e per metà esaltato. Cercai mentalmente una sensazione, un pensiero, qualcosa, ma non captai nulla. Sollevai le palpebre, delusa.

«Non sento nulla», informai l'uomo con uno sguardo mortificato. «E' che non so praticamente che cosa sto cercando.»

Lui meditò sulle mie parole per qualche istante, congiunse le mani e mi disse: «Forse dovresti provare a volerli sentire, a desiderare che ti parlino.»

Inspirai forte, le narici che si allargavano e il petto che si gonfiava. Laryngard poteva avere ragione; magari non avevo bisogno del contatto fisico per riuscire nel mio intento. Dopo tutto, ero riuscita a calmare Sanja la prima volta semplicemente sussurrandole di stare tranquilla. Era ciò che dovevo fare anch'io: tranquillizzarmi, sarebbe andato tutto bene. Non dovevo aver timore di me stessa.

Ritentai, poggiando entrambe le mie mani sullo stomaco e chiusi ancora gli occhi. Dapprima ricordai a me stessa di rilassarmi, di respirare, di concentrarmi, ma poi proiettai l'ultima immagine che avevo catturato di tutto quel verde, di ogni latifoglie e ogni tipo di animale, precisamente la cornacchia grigia che avevo intravisto volare da un albero ad un altro e che sentivo ancora gracchiare.

Scomparve ogni tipo di preoccupazione o paura. L'unico pensiero che proruppe da tutto il mio essere fu: Parlatemi, io voglio finalmente sentirvi.

Fui colpita violentemente al petto da una sensazione inspiegabile: fu come un vaso colmo d'acqua che si schianta al suolo, distruggendosi in mille pezzi e riversando tutto il contenuto, fu come il tappo di una bottiglia di vino che balza in aria, un'ascia che spacca un coccio di legno in una metà perfetta, una diga ostruita che trova finalmente il suo sbocco iniziale.

Un vortice di percezioni estranee mi travolse, facendomi trasalire tanto da mozzarmi il respiro per qualche attimo. Spalancai le palpebre, colta totalmente alla sprovvista ed indietreggiai goffamente, come a voler scappare da ciò che stavo sentendo, e scontrandomi con il corpo dell'uomo dalla veneranda età. Mi afferrò prontamente evitando di farmi finire sul terreno e mi chiese cosa stesse succedendo, ma la sua voce arrivò al mio orecchio confusa, ovattata, lontana. Non riuscivo a considerare nient'altro se non quel frastuono incessante di sensazioni, sia fisiche che mentali. Osservai nuovamente ciò che avevo di fronte ma fu come se lo stessi facendo con lo sguardo di qualcun altro: scrutavo ogni foglia di un verde luminescente, ogni tronco robusto, ogni piccolo scoiattolo che si muoveva veloce e sinuoso ma in modo diverso. Potevo sentire la preoccupazione degli animali intenti a rifugiarsi dalla notte incombente, percepivo la loro fame, la loro sete, e le loro paure. Così come me, erano stati distratti per un breve istante da una novità, come un richiamo silenzioso. Era lo stesso per la vegetazione; mi sembrava quasi di poter respirare all'unisono con ogni pianta lì presente.

Il mio labbro inferiore, che fino a quel momento era stato colpito da lievi tremori, finalmente si bloccò, mentre le gambe tornavano a riacquisire la loro forza, permettendomi di lasciare la presa sul braccio dell'anziano.

«Sage», chiamò lui, inutilmente. Ero immersa, ipnotizzata da quella nuova visione del mondo. «Sage, ascoltami. I tuoi occhi si sono nuovamente tinti ma il tuo sguardo sembra vacuo», mi si parò davanti, afferrandomi per le spalle con entrambe mani. «Qualsiasi cosa tu stia osservando, qualsiasi cosa tu sia in grado di vedere è una benedizione ricevuta direttamente dalla Grande Madre. Ma non lasciare che ti sopraffaccia. Non ti perdere, Sage. Ritorna qui adesso e avrai ancora l'opportunità di sentire ciò che stai sentendo.»

Le sue ultime parole mi fecero accigliare. Non volevo perdere quella assurda capacità. Perché diceva quelle cose? Doveva smetterla.

«Hunter!» disse poi. Hunter? Cosa c'entrava Hunter?

«Che cosa sta succedendo?» udii la voce del giovane Sovvertitore, ma non ne fui così sicura.

«Guardale gli occhi. E' così da diversi minuti, penso sia intrappolata nella sua stessa energia, sembra non vederci neanche», spiegò Laryngard, ma non riuscii a comprendere il significato delle sue parole. Non ero intrappolata da nessuna parte, mi stavo solo godendo la possibilità di guardare cose che prima non riuscivo neanche ad intravedere. Era bellissimo.

Due mani grandi e calde si chiusero ai lati del mio viso, salde ma allo stesso tempo delicate. Avvertii un calore piacevole in quel tocco, ma non ci diedi troppo peso.

«Sage, guardami. Che cosa stai facendo? Ti stai lasciando governare da della stupida energia! Non eri tu quella che non credeva in queste cose? Ti credevo più tosta di così, più difficile da abbattere», sorrisi interiormente nell'ascoltare ciò che Hunter mi stava dicendo. «Quindi, ragazzina, vedi di uscire da questo stato di incoscienza prima che decida di colpirti per avermi mentito su tutta questa assurda faccenda.»

Ridacchiai ancora, ma stranamente l'ilarità non coinvolse il viso. Mi resi conto soltanto un attimo dopo che pur avendo Hunter ad un passo da me, pur potendo sentire il suo calore e il suo respiro, io non riuscivo a vederlo veramente. Rilevavo soltanto la sua presenza, com'era possibile? Mi corrucciai ancora, scuotendo il capo per provare a liberarmi di quella visione, di quei pensieri.

«Avanti, Sage!»

Digrignai i denti con forza, desiderando con tutta me stessa di destarmi da quell'inerzia. Serrai gli occhi e restai in ascolto soltanto del mio stesso respiro, che andava a rallentare per poi diventare del tutto regolare. Coraggio, Sage, ripetei a me stessa.

«Va tutto bene, apri gli occhi», mi rassicurò Laryngard. La sua voce era tornata ad essere naturale.

Feci come consigliato e provai a mettere a fuoco, lentamente, i tratti giovanili del viso dell'altra mia guida. La bocca piena semi aperta, l'accenno di barba e i suoi occhi color bronzo. Annuiva, come a volermi rasserenare: il peggio era passato.

Incredula, capii di avercela fatta. Ce l'avevo fatta!

«Lo vedo, Laryngard», dissi, quasi con le lacrime agli occhi. «Vedo tutto e soprattutto li sento. Io sento ogni cosa!»

Fui assurdamente entusiasta di essere riuscita a sbloccare e conoscere quella parte così celata e inconsapevole di me. Sfoderai un gran sorriso e quando Hunter sembrò fare lo stesso, gli gettai le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio inaspettato. In un altro momento avrei desiderato sprofondare per quel gesto, ma ero troppo incredula per frenare un'azione sincera e del tutto involontaria, spontanea.

Furono probabilmente i suoi occhi ad indurmi a farlo. Mi avevano detto tacitamente: Brava ragazzina, ce l'hai fatta. Sono fiero di te.

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