7. Parte di qualcosa
SAGE
Quella poteva essere inserita tra le notti più lunghe di tutta la mia vita. Affermare di non aver chiuso occhio era un eufemismo bello e buono.
Non solo non avevo dormito nemmeno per un istante, ma la mia mente non aveva neanche riposato, era stata attiva come mai prima di allora. Così come mi capitava ormai da giorni, ero stata inondata letteralmente da un flusso incessante di pensieri che mi avevano torturato dall'interno. Se fossi stata un'altra persona con un carattere diverso e con poca tempra, avrei stretto le ginocchia al petto e avrei pianto fino a non avere più lacrime nel corpo.
Ciò che mi ero ritrovata a pensare per tutto il tempo era un semplice e secco ''non può essere reale''. Ed era quello che speravo con tutte le mie forze: ad un certo punto avevo anche creduto di aver immaginato tutto. D'altronde, avevo accusato Hunter della stessa cosa, no? La mente dell'uomo era debole, si lasciava manipolare con semplicità disarmante ed era capace di iniziare a credere a cose che prima rinnegava con caparbietà. Era possibile, mi ero lasciata suggestionare da tutti quegli avvenimenti e avevo immaginato tutto. Poi avevo ricordato le parole del Sovvertitore e tutto era crollato ancora. Aveva ragione, non potevo semplicemente chiudere gli occhi e fingere che tutto quello che stava succedendo fosse frutto della mia fantasia o che non stesse accadendo a me. Mi stavo comportando proprio come una poppante per paura di imbattermi in qualcosa più grande di me. Forse lo ero, anzi lo ero decisamente, ma non era una scusa dietro cui nascondersi.
Percival era davvero un omone alto due metri e robusto come una quercia, occhi scuri e espressione imbronciata, per niente incline ad alcun tipo di conversazione, e dato che anch'io non ero particolarmente dell'umore, era rimasto zitto senza provare a socializzare, immobile, condividendo il turno di guardia con me per un po' per poi cedere il posto a Mason.
Mason, all'incirca sulla trentina - probabilmente come Hunter e Zenda -, a differenza di Percival, teneva d'occhio me anziché la zona circostante. Non era difficile accorgersi del timore che aveva della mia persona. Era straziante pensare che bastasse una diceria, magari falsa, per far sì che tutti avessero paura di qualcosa. Be', io non ero poi così diversa, dopotutto. Perché rifiutavo l'idea di avere della magia che mi scorreva nelle vene? Perché ne ero profondamente terrorizzata, era questa la verità.
«E adesso?», avevo chiesto in un sussurro a me stessa mentre l'oscurità lasciava spazio ad una nuova alba. «Che cosa dovrei fare?»
Non lo sapevo, non riuscivo nemmeno ad immaginare un possibile scenario dopo la scoperta di quel lato di me. Chi era davvero Sage Wildfire? Io la conoscevo come quella ragazza semplice, spesso ingestibile e indisciplinata, devota alla giustizia anche a costo di mettersi nei guai. E, con il tempo, fredda e distante; aveva perso troppe cose ed era decisa a non lasciar entrare più nulla. Forse ero ancora la Sage di sempre, ma c'era qualcos'altro in me e rendermene conto mi agitava spaventosamente. Faceva crollare le mie uniche consapevolezze su me stessa. Ma come potevo non aver notato nulla negli anni? Mia madre non aveva mai accennato a niente del genere, seppur raccontando continuamente storie che riguardavano la magia. Lei le adorava. Che non si fosse mai accorta di niente? O peggio, che sapesse e avesse scelto intenzionalmente di tenermi all'oscuro di tutto?
Avevo tormentato la mia anima con tutti quei quesiti che non si sarebbero mai risolti per tutta la notte, fino al crepuscolo. Ma, per brevi momenti, mi ero concentrata su qualcos'altro: il suono raccapricciante che avevo udito poco prima dell'inizio del turno di guardia tornò ad avvolgere la Foresta di Avorsel, e potevo dire con fermezza che poche cose al mondo erano in grado di far accapponare la pelle come ne era capace quel lamento. Non riuscivo a comprendere che genere di animale fosse e cosa avesse subìto per soffrire così tanto. Per fortuna i suoni era quasi sfocati, poco nitidi, come se fossero stati troppo distanti per essere percepiti a pieno.
Inoltre, così a stretto contatto con i diversi Sovvertitori di quel piccolo gruppo, ero riuscita a comprendere di averli giudicati troppo presto. Li avevo definiti pazzi, dei visionari; nulla di più lontano dalla realtà. Hunter sapeva il fatto suo, era vero, ma tutti gli altri suoi compagni non erano da meno. Attenti, focalizzati su ciò che stavano facendo e senza mai lasciarsi distrarre da niente. Erano dei veri guerrieri forgiati con coraggio e lealtà che manifestavano gli uni verso gli altri. Victor avrebbe anche potuto definirli sediziosi, ma io li vedevo come i possibili liberatori di quelle terre. Era dura, tuttavia, ammettere e accettare che tutte le mie certezze si stessero pian piano capovolgendo irrimediabilmente.
«Cerchiamo di non lasciare nessun indizio; se i Custodi dovessero essere ancora sulle nostre tracce, cercheremo quantomeno di depistarli un po'», la voce chiara di Zenda mi distolse dai miei pensieri, così mi sollevai dal terreno sul quale ero seduta e mi diedi una sistemata. «Percival, occupatene tu per favore», ordinò gentilmente, accennando quasi un sorriso verso il soldato.
«Sbrighiamoci, quei bastardi avranno sicuramente continuato a marciare per gran parte della notte, e questo vuol dire che hanno un vantaggio su di noi», precisò Hunter facendo scattare la mano verso uno degli arnesi strani che i Sovvertitori avevano con sé, provocando così uno strano rumore. «Colpo in canna e tenete gli occhi bene aperti.»
Il problema di viaggiare con dei guerrieri così particolari era principalmente il non riuscire a capire nemmeno la metà delle cose che si dicevano, difatti non avevo la minima idea di cosa volesse dire colpo in canna, ma avrei chiesto spiegazioni in un secondo momento.
Dopo esserci messi in cammino, avevo avuto una sorta di déjà-vu: il sole era sorto da una manciata di minuti e c'era ancora una leggera brezza fresca, rimanenza della notte passata. Mi ricordava esattamente il primo risveglio con Hunter di qualche giorno prima, con la differenza che in quel momento dovevano esserci almeno sei persone in più che sembravano avermi circondata, letteralmente. Era un danno più che un vantaggio, in realtà.
«Dovevi portare meno uomini con te», udii Hunter rimproverare Zenda, soltanto perché entrambi camminavano a pochi passi davanti a me. Avevo accanto Travis, apparentemente tranquillo, ai lati Mason e Percival e a coprirci le spalle c'erano gli altri due Sovvertitori, custodi anche dei due cavalli a nostro seguito. «Sai meglio di me che un gruppo numeroso è miele per le api!»
Osservai il capo di Zenda voltarsi verso di lui per poi tornare a guardare davanti a sé. «Dovevamo trovarvi», disse semplicemente, come a volersi giustificare. «La priorità era riuscire a salvarvi nel caso vi fosse successo qualcosa e anche Laryngard era d'accordo.»
«Laryngard non è mai sceso sul territorio e non sa come funzionano queste cose, Zenda!» il tono del Sovvertitore si accese, mentre i muscoli della schiena si irrigidivano.
Zenda annuì, biascicò qualcosa e poi aggiunse: «In tua assenza, non potevo oppormi agli ordini.»
La testa di Hunter scattò, sorpresa, verso la ragazza dalla pelle bronzea. Mi parve di vedere anche i suoi pugni serrarsi in un gesto nervoso, poi la mano sinistra si chiuse improvvisamente intorno al braccio di lei. «Stai scherzando?! Una mossa sbagliata e questi uomini muoiono!» la strattonò lievemente e parlò a denti stretti. «Una mossa sbagliata e la risorsa muore, e sarà stato tutto inutile!»
Ma certo, era ovvio: io ero soltanto un'arma da utilizzare al momento del bisogno. Per un attimo mi ritrovai a maledire me stessa per aver permesso a quelle persone di tirarmi in quel dannatissimo casino, maledissi il giorno in cui mi ero lasciata catturare e la locanda in cui mi ero fermata per consumare un misero pasto. Scossi la testa, cercando di tenere quell'accenno di ira sempre presente sotto controllo e osservando il capo di Zenda che, sommessamente, si calava in segno di resa, in silenzio.
Dopo qualche istante d'esitazione, la ragazza provò a dire qualcosa prima di essere bruscamente interrotta da un suono assordante. Era ancora quell'apparente verso di un animale, ma non sembrava più così lontano come mi era parso per tutta la notte. D'istinto tutti i presenti si piegarono sulle ginocchia e rivolsero lo sguardo al cielo. Travis si era avvicinato di più a me e aveva poggiato un braccio sulla mia schiena, come a volermi proteggere. Mi parve un gesto strano, ma poi pensai che probabilmente la priorità era salvaguardare qualsiasi cosa ci fosse in me.
Hunter sguainò la spada e perlustrò il cielo con lo sguardo. «Che diavolo era? Da dove proveniva?»
«E' ciò che abbiamo sentito per tutta la notte», fece Mason, imitando il proprio superiore mentre tirava fuori le armi, così come tutti gli altri.
Sollevai lo sguardo al cielo, scrutando oltre gli alberi. Poi, silenzio. I versi cessarono e inspiegabilmente avvertii una brutta sensazione farsi spazio dentro di me e una leggera ansia prendermi alla bocca dello stomaco. I Sovvertitori, spade e altri strani affari alla mano, si erano uniti di più, racchiudendomi completamente. Tutto sembrò fermarsi per una frazione di secondo, anche i respiri delle persone attorno a me parevano essersi fermati. Poi i cavalli iniziarono ad agitarsi avvertendo il pericolo, e qualche istante dopo una grande scia nera volò sopra le nostre teste, emettendo ancora quel lamento straziante.
«Non può essere un Grifone!» sussurrai timorosa ma a denti stretti. Non poteva assolutamente essere un Grifone; qualsiasi cosa fosse quella che ci stava braccando volava ad una velocità che non avevo mai visto in nessun animale.
«I cavalli!» gridò Hunter dietro di me, mi strinse le spalle e mi spronò ad indietreggiare. «Travis, Percival! Portatela via!»
«Che cosa?» pronunciammo all'unisono io e Zenda, per poi lanciarci un'occhiata infastidita. «Percival è uno dei nostri migliori uomini, Hunter. Non sappiamo in cosa ci stiamo per imbattere e tu vuoi esporci a questa minaccia?» continuò lei, in disaccordo con gli ordini impartiti.
«Sai quanti altri Sovvertitori potrebbero sostituirci? Quanti potrebbero essere addestrati ed essere migliori di noi? Esiste una sola possibilità e non siamo noi, ma è lei», parlò con veemenza e frenesia, la voce sempre più piena di rabbia, dopodiché urlò ancora il nome dei soldati che avrebbero dovuto occuparsi di me. Non essere presa in considerazione mi faceva letteralmente ribollire il sangue nelle vene, ma non ebbi nemmeno il tempo per controbattere che mi ritrovai tra gli uomini che mi facevano da scorta personale. Travis tentò di montare la cavalla ma io glielo impedii, osservando Percival che montava l'altro cavallo. «La cavalco io», dissi.
Inspiegabilmente, proprio mentre stavo per andare via, sentii qualcosa tenermi ferma al terreno con lo sguardo puntato sulla figura di Hunter. Sentivo una sorta di dispiacere nel pensare che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che lo vedevo, e forse era proprio per quel motivo che non riuscivo a voltarmi e scappare via. Lui mi guardava di rimando, preoccupato di proteggere il suo vantaggio strategico.
«Vai», fu a malapena udibile, ma nei suoi occhi potei vedere una sincera preoccupazione, e non solo per il rischio di perdere una risorsa.
Avrei voluto dire qualcosa, pronunciare il suo nome o raccomandargli di essere prudente, qualsiasi cosa, ma non ci riuscii. Proprio in quel momento nella foresta echeggiò ancora una volta quel verso, sempre più vicino.
«Vai!» ordinò Hunter, alzando la voce.
Mi misi in sella, aiutai Travis a montar su e piantai i talloni nei fianchi della cavalla che si lanciò velocemente al galoppo. Lanciai una breve occhiata dietro di me osservando il gruppo, per vedere una bestia alata, completamente nera, piombare su uno dei Sovvertitori. Mi voltai, osservando il percorso di fronte a me e spronando sempre di più l'animale ad andare veloce. Udii i lamenti di uno dei nostri, e poi dei rumori secchi e piuttosto forti; quando spostai ancora lo sguardo vidi dei grossi scoppi partire dalle armi lunghe dei Sovvertitori, le cui scie si abbattevano contro il busto della creatura - che continuava a tenere il corpo inerme del soldato tra quelle che sembravano essere delle mani - senza neanche graffiarla. Non riuscivo a distinguere i tratti che la caratterizzavano ma si sosteneva in piedi sugli arti posteriori, aveva grosse ali ossute - così come tutto il corpo - ed era veloce come un fulmine. Non avevo mai visto niente del genere in tutta la mia vita, quella cosa sembrava essere arrivata direttamente dagli inferi.
«Ma che razza di mostro è quello?» gridò Travis, tenendosi ben saldo alla mia vita.
«Seguitemi!» Percival ignorò la domanda e ci fece strada. L'unica cosa che colmava la distanza tra noi e il resto del gruppo erano le grida sovrumane di quell'essere.
Un fulmine squarciò il cielo coperto ormai da un manto scuro e grigiastro di nuvole nel momento esatto in cui Travis tentò di sellare il cavallo. Il ragazzo era illuminato soltanto dal fievole spiraglio di luce chiara, rendendo così i suoi capelli bagnati quasi bianchi. Il ticchettio delle gocce di pioggia sulle foglie e sul terreno andava avanti da più di un'ora e stava iniziando ad essere insopportabile per me, così come il dover restare immobile aspettando il nulla.
«Che cosa credi di fare?» la mia domanda echeggiò nella piccola rientranza all'interno della quale Percival ci aveva condotto. Ero fermamente convinta che avesse avuto semplice fortuna a trovare un rifugio temporaneo in così poco tempo, senza esitare nemmeno per un istante.
«Sto andando ad aiutarli», rispose pacatamente il ragazzo. «Dobbiamo ricongiungerci agli altri.»
Mi augurai che stesse scherzando. Non poteva credere di riuscire ad arrivare in tempo per aiutare i suoi compagni, e se per assurdo ci fosse riuscito, era un pazzo a credere di poterli trovare ancora nel vivo della battaglia con quell'essere. Le soluzioni erano molto semplici: o il gruppo di Sovvertitori era riuscito ad ucciderlo o quantomeno a farlo scappare, oppure erano tutti morti nel tentativo.
Feci leva sulle ginocchia stanche e mi alzai dal terreno sul quale mi ero seduta. I capelli ancora bagnati a causa della pioggia mi si erano appiccicati sulla fronte ed iniziavo a diventare irascibile per l'incoscienza che stava dimostrando Travis.
«Ma sei impazzito? L'hai vista quella cosa? Credi ci sia una vaga possibilità che tu riesca a dar loro un vero aiuto?» alzai leggermente la voce; fu inutile provare a nascondere l'irritazione che sentivo. Spostai lo sguardo su Percival, immobile contro la parete in roccia, in silenzio. Non aveva pronunciato una sola sillaba da quando ci eravamo accampati, altro fattore che aumentava il mio nervosismo. «Tu non gli dici niente?»
Il robusto omone sembrò guardarmi senza vedermi per davvero, si limitò soltanto a restarsene con le braccia conserte e l'espressione impassibile. Poi, però, spostò lentamente lo sguardo su Travis e parlò con la sua consueta voce cupa. «Hunter ha detto di portarla via.»
«E l'abbiamo fatto!» ribatté subito dopo il giovane, lasciando le briglie dell'animale.
«Non torniamo indietro», tagliò corto l'altro, con il tono di chi non ammette altre repliche.
Travis assunse un'espressione esterrefatta, incredulo di constatare che fosse proprio il compagno a rifiutarsi di correre in aiuto del gruppo lasciatoci alle spalle. «Che cosa? Saresti capace di lasciarli morire? Potrebbero esserci feriti che hanno bisogno di soccorso ma tu e lei avete intenzione di restarvene qui all'asciutto con le mani in mano?»
Mentre ascoltavo le sue ragioni, fui costretta ad eliminare in parte l'idea che mi ero fatta di lui. Poteva avere soltanto diciassette anni e dava facilmente l'idea del giovane esaltato ed ingenuo, un altro stupido a cui viene messa una spada tra le mani e che viene lanciato nel bel mezzo di una guerra. Era ancora un ragazzo semplice e in parte impetuoso, ma ora gli riconoscevo tutta la fedeltà che provava verso il suo stesso Ordine; tuttavia, peccava di mancata arguzia e senso tattico.
L'osservai sbuffare ed uscire sotto la pioggia battente. Avrei voluto dirgli di non farlo, ma non potevo. In fin dei conti, la sua era una semplice e spontanea reazione dovuta all'angoscia e alla paura di aver perso il proprio capo e il resto del gruppo. Lo capivo perché era ciò che stava attanagliando anche me, sarebbe stato inutile negarlo. Mi avvicinai all'entrata di quella sorta di grotta, scrutando il cielo tetro sopra la mia testa. Sentivo anche una lieve punta di colpevolezza pungermi nel fianco; se fosse successo loro qualcosa, sarebbe stata principalmente colpa mia. Sarebbero morti per salvarmi, rinunciando a quattro braccia in più e facendo da esca per assicurarsi la riuscita di un evento superiore: sperare nello sviluppo dei miei probabili poteri per arrivare alla sconfitta di Victor una volta per tutte. Provai a non pensarci, sperando soltanto nella clemenza della Grande Madre affinché decidesse di salvarli da quella bestia infernale.
Non si era udito alcun lamento nel punto in cui eravamo noi, dettaglio a cui mi aggrappavo avidamente, pregando per un esito migliore.
Tirai un sospiro stanco e lanciai un'altra occhiata al silente Percival. Il suo aspetto rispecchiava alla perfezione ciò che sembrava essere nello spirito: letteralmente di pietra. La sua statura superava di qualche spanna quella di Hunter, figurarsi la mia così minuta e magrolina; con le sue spalle larghe e i muscoli delle braccia grossi e definiti, avrebbe potuto annientare i propri nemici con una semplicità disarmante. Per non parlare dello sguardo e dell'espressione perennemente seria, quasi come se tutto quello che accadeva intorno a lui non lo toccasse per davvero a meno che non fosse lui a deciderlo. Incuteva un certo timore proprio per via del suo sguardo spento.
«Non dovremmo... Che so, riportarlo qui? E' solo un ragazzo, dopotutto», chiesi impacciatamente, tornando a sedermi sul terreno.
Dapprima Percival sembrò assumere un'aria scocciata, proprio non doveva andargli a genio conversare con qualcuno, ma si voltò comunque verso di me per replicare e, guardandolo bene in viso, mi accorsi dei tratti del suo viso marcati ma freschi, segni evidenti del fatto che probabilmente non arrivava ai quaranta. «Non sono il suo tutore e quello che a te sembra soltanto un ragazzo ha tagliato la testa ad un paio di Custodi, poco tempo fa.»
Fui percorsa da un intenso brivido, la cui provenienza era dubbia: non sapevo se fosse per la freddezza nella voce dell'uomo in mia compagnia o il fatto che un ragazzino avesse dovuto commettere tali azioni per la proprio sopravvivenza. In che razza di mondo ci stava costringendo a vivere Victor? In cosa ci stava trasformando?
«E' brutale pensare che...»
«Brutale, dici?» mi interruppe bruscamente lui, lo sguardo di fuoco. Si scostò dalla roccia della grotta soltanto per guardarmi meglio nella penombra. «Brutale è esser costretti ad intervenire per tentare di salvare la vita a donne e bambini nel villaggio Sidale, soltanto perché un gruppo di uomini aveva richiesto un aumento per le razioni di carne. Brutale è morire per aver chiesto clemenza e un briciolo di umanità in più!»
L'aggressività con cui mi sputò addosso il racconto di quel terribile episodio mi portò ad una semplice e chiara conclusione: «Tu credi che io sia come Victor», affermai sbigottita ma senza perdere il mio tono calmo. Dopotutto, perché stupirsi? Quell'uomo faceva parte del gruppo che mi aveva salvato, era vero, ma era anche colui che aveva impugnato quella sua strana arma e l'aveva puntata contro di me, timoroso che potessi continuare ciò che Victor aveva iniziato. Timoroso che fossi come lui.
''Ed è vero?'', chiesi inevitabilmente a me stessa dopo gli eventi della notte precedente. Non avevo più avuto modo di pensarci, ma non potevo affatto sottovalutare la cosa. Tuttavia, nasconderlo agli altri non era mai stato più imperativo, vista la reazione di Percival, e di tutti gli altri.
«Hunter ha confermato tutto, quindi non credo che tu sia come Victor. Io so che tu sei come Victor», replicò in tono serio, poi si voltò a guardare l'entrata della grotta, segno che, per quanto lo riguardava, la conversazione era finita. Ma non per me.
«Credi a tutto quello che ti dice il tuo superiore?» gli domandai secca.
«Io mi fido di Hunter, è di te che non mi fido», disse, sempre più ostile. Probabilmente non conveniva sfidare un uomo grosso e arrabbiato, ma certe volte la lingua viaggiava da sola.
«Se Hunter avesse ragione, potrei ucciderti semplicemente con un tocco, o sbaglio?» lo provocai palesemente, volevo osservarlo arrivare fino al punto di rottura e vedere fin dove riusciva a spingersi.
«Puoi provarci, se vuoi. E se sei davvero il mostro che dicono ci riuscirai, ma ti assicuro che assaggerai l'acciaio della mia spada e i proiettili del mio mitra», esclamò con il volto privo di emozioni, il volto di chi faceva sul serio.
Non capii l'ultima parte del suo discorso ma una ero riuscita a comprenderla perfettamente: mi aveva chiamata mostro, proprio come Victor nel mio sogno di qualche giorno prima.
Mi sentii improvvisamente avvilita, stanca e fuori luogo. Che cosa dovevo fare? Era tutto così confuso e poco chiaro. Non riuscivo più a distinguere il bene dal male, la cosa giusta dalla cosa sbagliata e la realtà dai tiri mancini che la mia mente era in grado di farmi. Se fosse stato tutto vero? Non volevo essere speciale, non volevo essere uno strano scherzo della natura. Che cosa mi aveva fatta cambiare, che cosa diavolo c'era dentro di me? Domande che stupidamente continuavo a pormi, sapendo che non ci sarebbe stata alcuna risposta. O meglio, non potevo trovarle da sola. Avevo bisogno di aiuto, avevo bisogno dei Sovvertitori e del loro capo, Laryngard.
E avevo anche bisogno di Hunter. Seppur fosse irritante per la maggior parte del tempo, eravamo quasi riusciti a trovare una sintonia. Non volevo credere che non fosse riuscito a salvarsi solo per proteggere me. Molti suoi compagni me l'avevano detto e avevo potuto rendermene conto anch'io di quanto fosse un guerriero poderoso, ma la cosa mostruosa che stava affrontando poco prima che scappassi via era inquietante persino per uno come lui. No, era vivo, qualcosa dentro di me lo gridava a gran voce.
Mi rialzai per dirigermi verso la luce cupa, oscurata da grandi nuvoloni grigi. L'aria fresca e l'odore di pioggia mi carezzò la pelle, provocandomi un leggero brivido. Osservai le grandi gocce cadere più lentamente rispetto a prima sulla vegetazione, sul terreno, sulle rocce. Avevo legato un pezzo di stoffa al tronco magro di un albero e vi avevo posto la borraccia di Travis al di sotto. In quel modo avremmo potuto raccogliere facilmente dell'acqua potabile.
Restai impietrita a contare ogni gocciolina che calava dalla stoffa alla fessura della borraccia con una strana tristezza addosso. Non volevo stare in compagnia di Percival e del suo odio ma non volevo nemmeno starmene da sola; tutti i pensieri che occupavano la mia mente stavano tentando di sopraffarmi tanto quanto bastava da farmi desiderare di cedere. Ma cedere a che cosa? Ero bloccata nel mio stesso corpo da qualcosa che nemmeno conoscevo. Potevo scappare da Victor, dai Custodi, anche dai Sovvertitori ma non potevo fuggire da ciò che ero. Il peggio era essere completamente inutile: ero soltanto un peso. Tra tutte le cose di cui mi preoccupavo, a malincuore dovevo ammettere che Hunter era in cima a queste.
Odiavo sentirmi così e odiavo restarmene con le mani in mano, proprio come Travis, senza poter far nulla. A cosa serviva un potere se era inutilizzabile? Non mi era di alcuna utilità poter ''comunicare'' con gli animali, per assurdo, se poi chi era con me continuava a morire. Sollevai lo sguardo scrutando i rami degli alberi alti per intravedere qualche volatile, ma non vidi alcunché. Anche loro, probabilmente, si erano rifugiati dall'acqua.
"Vorremmo solo sapere se sono ancora vivi'', pronunciai mentalmente. Non accadde assolutamente niente. Non sapevo se prenderla come un brutto, bruttissimo segno.
«So che sei preoccupata per noi, e questo ti rende ancora di più parte del gruppo», esclamò Travis sbucando alla mia sinistra, completamente fradicio.
Aggrottai le sopracciglia e lo guardai di sottecchi, l'espressione di chi era in totale disaccordo. «Non sono preoccupata, semplicemente non è bello sentirsi quasi colpevole per la morte di quelle persone», feci una pausa, riportando lo sguardo altrove. «Non mi sento ancora parte di questo gruppo, men che meno se negli sguardi di coloro che lo formano vedo soltanto paura e odio», confessai velenosa ed arrabbiata.
Aveva ragione mia madre, l'uomo era spaventato da ciò che non conosceva e sulla base di questo non mi sentivo di poter biasimare più di tanto chi mi guardava con timore, ma non accettavo nemmeno atteggiamenti come quello di Percival. Se la giustizia fosse stata rappresentata da lui, mi avrebbe fatto mettere un cappio al collo senza nemmeno darmi modo di spiegare.
«Perché tu non sei come gli altri?» chiesi a Travis, colmando il minuto di silenzio che la mia piccola sfuriata aveva generato. «Perché non hai così tanta paura di me?»
Il ragazzo mi dedicò una lunga occhiata, accanto a me sull'uscio del nostro riparo precario, prima di parlare: «Non ci vedo nulla di cattivo o pericoloso in te. Mettendo da parte la mia fiducia cieca per Hunter, ciò che penso tu sia aldilà delle tue capacità, per modo di dire, è proprio qui davanti ai miei occhi. Credo tu sia più limpida di quello che pensi di essere», parlò con calma e con un tono di voce caldo che, sorprendentemente, riuscì ad alleviare uno dei tanti pesi che mi portavo dentro. Riuscì a confortarmi senza troppo sforzo.
Me ne restai a guardarlo in silenzio con un accenno di sorriso sul volto. Non sapevo cosa dire se non un grazie che, tuttavia, mi pareva troppo banale. Ma non ce ne fu bisogno perché un altro grido vibrò nell'aria, mettendo in allerta Travis e Percival: Il giovane mi spinse al sicuro, mentre il grosso omone sbucò fuori puntando ciò che aveva chiamato mitra in alto. Presi a respirare affannosamente, preoccupata non per ciò che stava per accaderci ma perché se quella creatura era ancora a piede libero voleva dire che le probabilità di trovarli vivi si erano abbassate a vista d'occhio.
«Lo vedi?» domandò Travis, puntando lo stesso oggetto che aveva tra le mani il compagno in tutte le direzione. Percival non rispose, rimase concentrato e avanzò sotto la pioggia.
Ci fu nuovamente quel suono, questa volta più vicino. Ascoltando attentamente, mi accorsi che c'era una differenza, quel tipo di grido era più acuto.
«Percival!» urlò il piccolo Sovvertitore accorgendosi che l'altro aveva messo giù le armi e alzato il braccio destro verso il cielo.
Pochi secondi dopo, i miei occhi osservavano stupiti l'atterraggio di un grosso grifone, con un tonfo che scosse il terreno. Sussultai sgomenta e spalancai gli occhi. Ci mancava solo essere attaccati da un altro animale selvatico!
Percival scoppiò in una risata roca e Travis lo imitò, rilassandosi ed esclamando un "woah-uh!". Ma che diavolo succedeva? Perché se ne restavano impalati senza far nulla?
«Sei stato bravissimo, Grusco!» disse l'uomo, la mano poggiata sulla testa della bestia, che sorprendentemente se ne restava calma e si lasciava toccare senza innervosirsi; anche Travis corse verso di loro, comportandosi amichevolmente con la gigantesca creatura.
«Sage, vieni qui a conoscere Grusco», mi invogliò, voltandosi verso di me e facendo un gesto con la mano.
Chiesi a me stessa come fosse possibile che un animale maestoso e indomabile com'era il grifone diventasse di compagnia e, in un certo senso, sottomesso al volere dell'uomo. Uscii con cautela dall'ombra e mi avvicinai lentamente, timorosa.
I due si spostarono, permettendo a me e a Grusco di guardarci. Quando i miei occhi si posarono nei suoi gialli, sentii la paura crescermi nel petto e indietreggiai così come fece anche lui, dopodiché si sollevò sulle zampe posteriori, scosse le enormi e possenti ali bianche ed emise un grido spaventato.
«Buono, Grusco!» gli ordinò Travis, muovendo le mani in alto per cercare di non lasciare che volasse via. «Va tutto bene.»
Percival mi rivolse un'occhiataccia, scrutandomi con una strana curiosità dipinta nei suoi occhi scuri. Come suo solito si limitò a fissarmi, crogiolandosi nel suo consueto mutismo.
Io me ne restai ad osservare la scena e quando il grifone parve essersi calmato, anch'io mi sentii più tranquilla. Fu una strana sensazione, molto più simile a ciò che avevo provato la sera prima con la cavalla: sentivo di essermi agitata e calmata perché l'aveva fatto anche lui, come se ci fosse una sorta di connessione tra ciò che aveva provato l'animale e ciò che avevo provato io. Deglutii rumorosamente, quasi come avvilita dalle prove schiaccianti. Se quella sensazione assurda si stava ripetendo voleva dire che non me l'ero immaginata ma che stava accadendo per davvero, ed accettarlo era sempre più difficile.
La creatura continuò a sostenere il mio sguardo, questa volta più fiducioso, mentre a piccoli passi avanzavo verso di lei. Non avevo mai avuto la possibilità di osservare da vicino un animale maestoso come il grifone: ne scrutai i tratti somatici della bellissima aquila; il grande becco inizialmente chiaro e che poi andava a scurirsi sulla punta calata verso il basso, le piume bianche sul capo e sulle robuste ali, lunghe e larghe un paio di metri, le forti zampe posteriori da felino marroncine e la coda lunga che però, invece di avere la testa di un serpente all'estremità, aveva una grossa punta, probabilmente il velenosissimo pungiglione di uno scorpione del Sud. O peggio ancora, uno dei rarissimi scorpioni che vivevano nei territori devastati del Primo Humus.
«Non ha mai fatto così prima d'ora», disse Travis a Percival, corrucciato e perplesso.
Io, dal canto mio, non mi curavo affatto dei due Sovvertitori poiché ero completamente affascinata da Grusco. Ad un passo da lui e con una strana sicurezza nei movimenti, poggiai la mano sul suo capo soffice e caldo e lo accarezzai con gentilezza. L'animale, di tutta risposta, si strofinò leggermente contro il palmo mentre si godeva quel gesto d'affetto.
«E' incredibile», esclamai meravigliata con un sorriso genuino che mi dipingeva il volto. Intanto lui si era messo totalmente a proprio agio, accomodandosi sul terreno ancora bagnato dal tempaccio ormai passato.
«Bisogna montarlo immediatamente e partire», tuonò Percival d'un tratto, con impeto, quasi infastidito dal tempo prezioso che stavamo perdendo.
«Tu vuoi cavalcare un grifone? Stai scherzando?» chiesi stupita ma senza mai smettere di accarezzare Grusco dietro le sue carinissime orecchie a punta.
«Non abbiamo tempo per discutere. Gambitt, dà da bere a Grusco e vola con lui per portare la ragazzina da Laryngard», ordinò il grosso Sovvertitore, utilizzando il suo solito tono grossolano. «Sbrigati!»
Fu inutile per me muovere una piccolissima protesta su quanto fosse assurdo affidarsi e cavalcare un grifone, così - dopo aver dissetato l'animale - Travis mi costrinse quasi con la forza a salirci su. Leggermente intimorita, mi aggrappai all'armatura in pelle nera di lui e mi accomodai sul dorso del grande animale che intanto stava piantando i suoi affilatissimi artigli nel terreno per rimettersi in piedi.
«Che cosa farai tu?» domandò il più giovane Sovvertitore al più anziano. Grusco non poteva portare tutti e tre, era già faticoso per lui affrontare un viaggio del genere con due persone in groppa.
«Prenderò i cavalli e vi raggiungerò, però prima tornerò indietro dagli altri. Ora che lei è al sicuro, posso», ci informò, ma nella sua voce non c'era preoccupazione per la mia persona, ma solo tranquillità per essersi liberato di quel grande peso che purtroppo il suo superiore gli aveva lasciato in custodia.
Era nobile voler aiutare il proprio gruppo, ma l'oscurità stava ormai per ricoprire il cielo e sarebbe stato ancora più difficile riuscire a trovarli, nel caso ci fosse ancora qualcuno da trovare. Cosa credeva di fare?
Percival fece un cenno col capo e poi ci diede le spalle, avviandosi verso i cavalli e consigliandoci di stare attenti.
«Sta perdendo soltanto tempo, presto sarà notte. Come spera di ritrovarli?» feci presente a Travis, osservando le sue mani che si chiudevano delicatamente ma in modo saldo al piumaggio di Grusco.
«Percival Miles è un segugio oltre che un soldato eccezionale, li rintraccerà facilmente e presterà loro aiuto, vedrai», tagliò corto guardandomi da sopra la sua spalla. «Tieniti, potrebbe essere strano la prima volta», disse ancora, dopodiché emise un verso stridulo e Grusco aprì le sue grandi ali scure, per poi spiccare il volo, spingendosi sulle zampe e gridando forte.
Sussultai e mi sfuggii un gridolino spaventato; un senso di vuoto nello stomaco mi investì violentemente ad ogni colpo d'ali che Grusco batteva, facendoci salire sempre più in alto. Una volta aver preso quota e dopo essermi abituata a quella sensazione, iniziai a godermi ciò che stava accadendo. Non potevo credere di star volando sulla foresta di Avorsel e sui villaggi circostanti insieme ad un soldato di una congrega sconosciuta a chiunque e ad un animale tutt'altro che da compagnia. Mi sembrava incredibile anche mentre, dopo aver preso coraggio, osservavo ciò che vi era sotto di me; le case, gli alberi e le persone erano così distanti che sembravano soltanto puntini mobili. Era bellissimo apprezzare la bellezza del Terzo Humus in quel modo.
«E' qualcosa di stupefacente!» gridai per sovrastare il rumore del vento e il grido di Grusco, il quale mi provocò una sonora risata spontanea.
Spostando lo sguardo sull'orizzonte, intravidi un accenno di arcobaleno, luminoso e variopinto di colori accesi, ed anche quella piccola bellezza naturale contribuì a mettermi di buon umore. Non ero mai stata così rilassata come in quegli attimi, mi sentivo libera.
Quando Travis ordinò a Grusco di atterrare e la grossa creatura iniziò a planare, la sera era già calata mostrando un cielo stellato senza l'ombra di una nuvola. Ci ritrovammo nuovamente nell'oscura e fitta foresta; riconobbi vagamente il fiume Keewr, dal letto discretamente largo e dal flusso che scorreva non troppo veloce, ed ebbi la sensazione di averlo già visto prima. Probabilmente eravamo vicini al rifugio dei Sovvertitori, ma perché fermarsi lì?
Il ragazzo mi aiutò a scendere tenendomi saldamente per un braccio, poi balzò giù anche lui e con una pacca sul dorso del grifone lo invogliò a volare via, ricordandogli di attuare un "giro lungo".
«Perché ci siamo fermati nel mezzo del nulla?» domandai, curiosa.
Travis si guardò intorno con fare sospetto, poi mi rivolse un accenno di sorriso. «Bisogna tenere segreta la nostra casa, e i Custodi sono attenti ad ogni particolare», mi spiegò, la voce ridotta ad un leggero sussurro. «Se un Quarto decide di trovare qualcosa o qualcuno, prima o poi ci riesce. Ci odiano da sempre, ma adesso dobbiamo prestare molta più attenzione dato che sanno chi sei e che ormai sei dalla nostra», continuò a parlare, avanzando e facendomi strada senza mai staccarsi dalla riva.
Il ragazzo aveva ragione, aveva più che senso quanto detto ed era proprio ciò che facevo anch'io con i Custodi, a grandi linee.
Nel silenzio della notte l'unica cosa udibile oltre al lieve rumore dei nostro stivali era il verso di qualche animale come il canto delle cicale, il bubolo dei gufi. Non sapevo se fosse così anche per Travis, ma io ero così concentrata su ogni suono perché timorosa di ricevere la visita di quell'essere. Ero tremendamente attenta che mi sembrava di immaginarlo, avevo il suo grido inquietante nella testa.
«Ci siamo», bisbigliò piano il Sovvertitore, afferrandomi gentilmente la mano e invitandomi a proseguire.
Si udì il suono forte dello scrosciare dell'acqua, e qualche secondo dopo di fronte ai nostri occhi apparì la cascata che nascondeva e proteggeva la casa dei Sovvertitori.
L'attraversammo proprio come qualche giorno prima mi avevano costretto a fare, imboccammo - totalmente a caso per me, brancolando nel buio - una delle diverse gallerie e continuammo ad avanzare finché non intravedemmo una piccola e debole luce proveniente da una porta chiusa, che non era in legno ma probabilmente in ferro duro. Sembrava quasi l'ingresso di una prigione.
Travis mi diede un'occhiata, dopodiché serrò il pugno e lo batté forte contro la porta. «Cantata è stata la canzone», esclamò d'un tratto, e per poco non gli chiesi cosa stesse farneticando, poi però vi fu un cigolio e poi un rumore secco. «Dovessi soccombere, il mio animo continuerà a cantare», riprese il giovane, e un attimo dopo si udì il rumore di una serratura scattare e la porta aprirsi pesantemente.
Davanti a noi comparvero due soldati, due Sovvertitori, che ci tenevano sotto tiro puntandoci - riuscii a riconoscere la grossa arma - i loro mitra. Feci un passo indietro, timorosa.
«Tranquilla, è solo una precauzione», mi rassicurò il mio compagno. «Salve ragazzi.»
Uno dei due Sovvertitori di guardia ci scortò lungo un'altissima rampa di scale a chiocciola posizionata sulla sinistra, in fondo all'immensa sala rivestita in cui ero stata portata la prima volta.
Mi sembrava strano anche essere lì, in un luogo nascosto con persone che neanche conoscevo e che probabilmente avevano paura di me; all'inizio mi era parsa una buona idea seguire Hunter e i suoi ideali, ma adesso non lo sapevo più.
Dopo aver attraversato un lungo corridoio ed aver imboccato diverse uscite, facemmo il nostro ingresso in un'altra grande sala, molto di più di quella da dove eravamo passati e molto più ricca di persone. Gruppi riuniti intorno a lunghe file di tavoli in metallo (tavoli in metallo?), intenti a consumare la propria cena, erano sparsi per la sala che sapeva di carne e spezie, risate e serenità. Al nostro arrivo molti smisero di mangiare seguendo chi si era fermato a fissarci, o meglio a fissarmi. La cosa mi disturbava parecchio, ma supponevo che avrei dovuto farci una sorta di abitudine.
Travis mi spronò ad attraversare l'ambiente insieme a lui, diretti sul lato opposto dove vi era un ulteriore tavolo rettangolare, molto lungo che si estendeva orizzontalmente rispetto alla posizione degli altri mobili. Proprio lì, di spalle e intento a conversare con tre persone, c'era Laryngard, la guida dei Sovvertitori. La donna di colore che lo affiancava gli sussurrò qualcosa facendo poi un cenno verso di me; l'uomo si voltò e incontrò il mio sguardo, sorpreso di vedermi tornare.
Trattenni il respiro: era davvero assurdo, come mi era saltato in mente di accettare? Mi sentivo l'animale d'attrazione nell'arena dei giochi con tutti gli occhi di quegli estranei puntati addosso.
Ci fermammo a qualche passo dall'anziano, che nascondeva l'accenno di sorriso nella sua barba lunga. «Vedo che li avete trovati, Travis. Dove sono tutti gli altri?»
Io e il ragazzo ci lanciammo uno sguardo d'intesa, per poi calarlo con preoccupazione e tristezza.
Il Sovvertitore accanto a me si inumidì le labbra, probabilmente cercando le parole giuste. «Siamo stati attaccati da qualcosa, signore. Hunter, per mettere in salvo la ragazza, ha mandato me e Percival con lei mentre gli altri sono rimasti provando a distruggere quella creatura», disse tutto d'un fiato, senza guardare mai veramente negli occhi il proprio Maestro.
Laryngard parve dapprima scosso dalla notizia, poi sospirò amareggiato e mi rivolse un'occhiata fiduciosa, come se con lo sguardo mi stesse dicendo: Non è colpa tua.
«Giovane ragazza, sono felice di vedere che stai bene e che sei qui, questa volta non contro la tua volontà», disse gentilmente, la voce calma e priva di qualsiasi emozione negativa. «Sei qui per restare?»
Per un attimo fui colta alla sprovvista da quella domanda così diretta. Volevo restare? Potevo restare? Avrei dovuto farlo per molteplici ragioni: per fermare la crudeltà di Victor, per i poveri civili che subivano ogni giorno, per le persone presenti in quella sala che vedevano me come ultimo barlume di speranza, per me stessa, per scoprire chi davvero fossi. Ma lo volevo? Era la cosa migliore per me?
«Lo sono, questa volta non ho intenzione di andare da nessuna parte», annunciai, più decisa e sicura su ciò a cui stavo andando incontro.
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