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6. Prova dell'impossibile

SAGE

Hunter non era mai stato così silenzioso. Non che fosse un grandissimo oratore, ed effettivamente nelle brevi ma intense giornate passate in sua compagnia non avevamo scambiato più di qualche parola, ma questa volta c'era qualcosa di diverso in lui, specie nel suo sguardo. Non se ne stava soltanto in silenzio o si limitava ad essere semplicemente sovrappensiero, lui sembrava essere da un'altra parte. E il luogo in cui si trovava non sembrava affatto un posto felice.

Lo stragrande numero di alberi così ravvicinati l'uno all'altro ci avevano costretto a tirare le redini dei cavalli per farli rallentare; nel mio caso avevo dovuto tirare lievemente la criniera a cui mi ero aggrappata, poiché la bellezza sotto di me era spoglia da qualsiasi aggeggio. Calmarla e controllarla si era rivelato molto più facile di quanto avessi potuto immaginare. Il proprietario della locanda l'aveva descritta come una bestia feroce e indomabile, ma forse solo perché lui non aveva mai saputo come trattarla.

Sorrisi a quel pensiero ed accarezzai il collo dell'animale. Mi piaceva, sentivo il suo temperamento molto vicino al mio. Forse avrei potuto tenerla e darle un nome, perché no? Gli animali non erano poi così diversi dalle persone: avevano solo bisogno di qualche attimo di libertà, e non di passare un'intera vita chiusi all'interno di una gabbia. Ma, proprio come capitava anche agli umani, troppa libertà poteva essere un danno. Serviva un equilibrio tra le due cose, come per tutto il resto. Uno strano senso di pace mi investì in quel momento, proprio mentre quei pensieri mi attraversavano la mente. Era assurdo per me poter pensare alla pace in giornate come quelle, ma era anche rassicurante pensare che dopo quegli episodi così estenuanti ci fosse ancora qualcosa capace di dare serenità al mio essere. Mi capitava soltanto quando mi trovavo immersa completamente nella natura, ecco perché l'avevo scelta per proteggermi, l'avevo scelta come casa.

Il soldato, più avanti rispetto a me, si voltò e ruppe il lungo silenzio in cui si era rinchiuso. «Perdi ancora sangue, devi sciacquarti.»

Mi ricordai della ferita al naso e alle labbra, e piegai la testa all'indietro per evitare che il sangue continuasse a scendere. «Accidenti!»

Ci fermammo accanto ad un ruscello per dissetarci e per lavar via il sangue rappreso. Mi accovacciai, mi portai l'acqua sul viso e poi tamponai lievemente.

«Non sembra essere lo stesso cavallo che qualche ora fa tentava di schiacciarti», disse. Poteva sembrare quasi una battuta ironica, ma nella sua voce non c'era nessuna traccia di divertimento.

Mi accigliai e mi chiesi cosa avesse potuto provocare quel cambio d'umore, ma risposi normalmente: «Era soltanto spaventata dalle fiamme. Solo perché qualcuno possiede molti cavalli non vuol dire che abbia la più pallida idea di come trattarli.»

«Tu invece sei un'esperta, non è vero?» quelle parole furono pronunciate con un tono avverso, quasi di sfida. Mi voltai, scrutandolo attentamente. Dalla postura sembrava abbastanza rilassato, occupato a controllarsi le ferite riportate dopo aver affrontato i Custodi, ma l'espressione lo tradiva. Essendo a torso nudo, notai non solo il suo corpo mozzafiato, modellato probabilmente dalla Grande Madre stessa, ma anche il fatto che non avesse riportato danni gravi, a parte i punti di sutura che tiravano un po', come ammesso dal diretto interessato ore prima. Il viso era lievemente arrossato sul sopracciglio, doveva aver preso un bel colpo lì, ma ciò che spiccava era il suo cipiglio profondo: non era come le altre volte, sembrava addirittura furioso per qualcosa.

«Ho vissuto qui dentro», dissi, osservando la vegetazione intorno a noi, «per cinque lunghi mesi, quindi direi di sì, sono una discreta esperta.»

Lui abbozzò un sorriso e poi volse lo sguardo nel mio. «Lo immagino, sei stata proprio brava, comunque. Anche con quel Tenente, non so come tu sia riuscita ad abbatterlo.»

"Fortuna", mormorai più a me stessa che a lui. C'era sul serio qualcosa che non mi tornava. Prima sembrava pronto a provocarmi, poi mi sorrideva e si complimentava con me? A cosa stava pensando Hunter?

Tornò serio mentre si allacciava la cinta rubata al Custode morto alla vita, dopodiché depose la spada all'interno del fodero, anch'essa sottratta ad una delle guardie di Victor. «Sbrigati. Ci muoviamo.»

Decisi che era meglio non calcare troppo la mano, o indagare su cosa l'avesse infastidito, gli sarebbe passata da sé. E in fin dei conti, perché mai avrebbe dovuto essere un mio problema? Non eravamo insieme per fare amicizia e raccontarci storie del nostro passato. Mi asciugai con cautela, attenta alla ferita che mi avevano provocato sul labbro inferiore, pronta per ripartire.

«Dannazione!» sbuffò il Sovvertitore, poco più lontano dal ruscello. Si era rimesso la maglietta e il sole fioco del pomeriggio che filtrava tra gli alberi gli rendeva i capelli più chiari, quasi biondi. Mi accostai a lui, incuriosita, e chiesi quale fosse il problema.

«Credo di non sapere più quale sia il sentiero che porta al rifugio. E' incredibile», si lamentò, poi mi guardò deluso. «Sarà più difficile adesso tornare, specie senza bussola, e non volevo passare un'altra notte nella foresta. Puoi darmi una mano? Ci hai vissuto qui, l'hai detto tu stessa.»

Quello era un bel problema. Sì, potevo provare ma era logicamente impossibile conoscere ogni ettaro della foresta a memoria; erano impressi alla perfezione soltanto i sentieri che attraversavo ogni giorno.

«Come faccio a sapere dove dobbiamo andare? Ti ricordo che sono stata colpita - da te - e sono svenuta, svegliandomi già di fronte all'entrata del rifugio», sospirai stizzita e poggiai le mani sui fianchi, guardandomi poi intorno nella speranza che qualcosa di familiare mi saltasse all'occhio. «Poi non conosco questa parte della foresta, Hunter. Siamo in un bel problema, tanto per cambiare!»

«Non necessariamente. Hai deciso di seguirmi e una volta lì ti verrà insegnato tutto sulle tecniche di combattimento corpo a corpo, armi, istinto. Puoi cominciare da adesso, tanto peggio di così non finirà. Al massimo sbagliamo strada e torniamo indietro, segnando gli alberi», mi spiegò, rilassato. Il nervosismo gli era passato di colpo? «Coraggio. Chiudi gli occhi se preferisci o non farlo, non importa. L'importante è sentirtelo qui, alla bocca dello stomaco», mi spronò, posizionandosi di fronte a me e piantando due dita all'altezza del mio stomaco. «Fidati delle tue sensazioni, lasciale andare», poi indietreggiò di qualche passo e incrociò le braccia, in attesa. Mi scrutava attentamente: mi stava mettendo alla prova.

Sospirai. A me sembrava una perdita di tempo, potevo tirare ad indovinare e sbagliare completamente strada. Ma mi aveva consigliato di sentirlo dentro, in un certo senso, e provare non costava nulla. Lanciai un ultimo sguardo circolare, osservando la natura tutt'intorno a me, poi chiusi gli occhi e respirai profondamente. Non doveva essere difficile seguire il proprio istinto, bastava solo che ascoltassi ciò che il mio corpo diceva, o almeno credevo.

Mi sentii nuovamente rilassata, così aprii gli occhi con calma e di scatto, involontariamente, voltai la testa a destra, e fui certa, per assurdo, che fosse quella la via giusta.

«Da quella parte», esclamai, sicura più che mai.

Hunter mi afferrò le guance con una mano e voltò il mio viso verso di sé per farsi guardare negli occhi. Palesemente arrabbiata per un primo momento, la sua espressione mutò in un misto di stupore, paura ed entusiasmo. Forse più stupore e paura.

«Che cosa ti prende? Lasciami!» lo respinsi, liberandomi dalla sua presa. Aveva usato troppa energia, e mi aveva fatto male.

Lui restò impalato a guardarmi, con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta. Poi sembrò ritornare alla realtà e mi si avvicinò nuovamente, prendendomi per le braccia. «Sei una bugiarda! Mi hai mentito tutto il tempo!»
Cercai di divincolarmi ancora, ma mi scuoteva e mi urlava contro cose senza senso. «Che stai dicendo? Di che diavolo stai parlando? Ti ho detto di lasciarmi, mi fai male!»

«Come ho potuto credere che non fossi al corrente di niente?»

«Lasciami, Hunter!» strillai, sovrastandolo e respingendolo con i palmi delle mani sul petto. Quando finalmente si decise a mollarmi, lo fissai con aria interrogativa ed il fiatone. «Si può sapere che stai dicendo? Hai battuto la testa?»

«Oh, per favore, puoi smetterla di fare la finta ingenua. Per quanto ancora credevi di poterlo tenere nascosto? Quello si vede benissimo», continuò ad aggredirmi, passandosi poi una mano sul viso.

«'Quello' cosa, Hunter?!»

«Gli occhi», rispose secco. La rabbia sembrava essere passata per un attimo e quando mi guardò, nel suo sguardo vi lessi soltanto delusione e nuove consapevolezze. Ci avrei pensato in un secondo momento, però. Gli occhi. Che avevano i miei occhi?

Lo fissai ancora, scrollando impercettibilmente le spalle per fargli capire che non sapevo di che diavolo stesse parlando.

Mosse la testa e schiuse nuovamente le labbra, mi parve quasi combattuto con se stesso. Attese qualche istante, poi parlò con più calma. «I tuoi occhi si sono tinti, sono diventati del colore dell'oro quando mi hai indicato dove andare.»

Fu come ricevere un violentissimo calcio in faccia. I miei occhi si erano tinti di un altro colore? Proprio come quelli di Victor? I miei occhi erano di un verde chiarissimo che spesso sembrava azzurro, e forse Hunter doveva aver confuso il riflesso del sole con qualcos'altro. Quella era una scemenza abnorme.

Scossi la testa più volte e poi ridacchiai, più che per nervosismo che per divertimento. «Non dire cazzate, Hunter. Sarà stato il riflesso del sole. Ho detto che verrò con te, ma non immaginarti cose dove non ci sono», dissi in tono duro e senza guardarlo negli occhi. Non poteva aver ragione, non potevo essere come Victor. Quella era stata una stupidissima coincidenza e lui doveva smetterla di farsi condizionare dagli eventi. Lo capivo, capivo la disperazione che sentiva perché non avevano mezzi necessari per abbattere Victor, ma non poteva convincersi che esistesse qualcosa in me quando non era così.

«Pensi che l'abbia immaginato o preferisci crederlo tu? Non è possibile che nessuno ti abbia mai detto niente, che nessuno se ne sia mai accorto. Tua madre, per esempio: ti ha cresciuta, i segni non possono essere sbucati fuori soltanto adesso! Mi hai mentito sin dal principio!» ringhiò il tutto con rabbia, immaginando davvero che io avessi potuto nascondere una verità del genere. Stava rasentando la follia.

«Smettila di urlare, accidenti! Non ti ho mentito, non c'è niente di quello che tu credi in me. Stai delirando, ti stai facendo influenzare dal desiderio di trovare un'arma da usare contro Victor», alzai il tono della voce ma non ero arrabbiata, soltanto infastidita. «Non posso essere io, semplicemente non posso», continuai, con un'inclinazione nella voce. Mi chiesi chi stessi cercando realmente di convincere, a quel punto. E se avesse avuto ragione? Scossi nuovamente la testa, accigliandomi. Dovevo smetterla di pensare quelle cose, io non ero un mostro come Lord Victor.

Hunter mi strinse ancora per le braccia, ma stavolta con meno energia. «Ma non capisci? Io sapevo già quale fosse la strada da percorrere per tornare al rifugio. Tu non potevi conoscerla, non sai nemmeno dove si trova», mi spiegò con enfasi e con una strana luce negli occhi, una luce che sembrava speranza. «Ti si sono illuminati gli occhi, si sono tinti d'oro. Non era il sole, non me lo sono immaginato. E' in te, Sage.»

Non lo guardai per tutto il tempo, non riuscivo a sostenere il suo sguardo perché, anche se mi sarebbe piaciuto, non sembrava pazzo e nemmeno delirante. Mi sentii pizzicare gli occhi e nascosi la mia faccia in una maschera di mera sofferenza. Erano comunque tutte idiozie. Doveva piantarla di farmi credere di essere uno scherzo della natura!

Mi liberai dalla sua presa con uno strattone violento e lo guardai dritto negli occhi scuri. «Devi darci un taglio! Cosa credi che faccia? Quale sarebbe il mio assurdo dono? Trovare vie di casa o calmare cavalli imbizzarriti, eh?»

Il soldato sostenne il grande peso del mio sguardo con semplicità. Doveva aver capito quanto mi facessero star male tutte quelle assurdità perché si calmò, potei notarlo dalla curva delle spalle che piano si rilassavano e dal modo in cui mi stava guardando mentre mi rispondeva: «Dovrà aiutarti Laryngard a scoprire di cosa si tratta..»

«Non c'è niente da scoprire, cazzo! No!» strillai ancora, furiosa come mai ero stata prima.

«Devi smetterla di..»

«No! No e ancora no!»

«Ehi!» mi ammonì bruscamente, cogliendomi di sorpresa per un attimo. «Datti una svegliata, principessa. Non puoi fingere che sia tutto a posto quando non è così, non puoi ignorare tutto quello che sta succedendo e che soprattutto ti sta succedendo, a meno che tu non voglia finire dritta tra le mani di Victor, e credimi che ciò che hanno cercato di farti fino ad ora sarà una passeggiata rispetto a quello che lui stesso ti farà quando riuscirà ad averti. E non sto parlando del Thanodor o di altre stronzate simili; qui si gioca sul pesante e lui non si farà scrupoli a spezzarti dall'interno per avere ciò che hai e tenerlo per sé.»

Mi ammutolii di colpo. Non sapevo più come ribattere perché anche se era stato brusco, aveva ragione e l'aveva sempre avuta. Ma mi rifiutavo di credere che nelle mie vene scorresse addirittura il sangue della Grande Madre. "E se continuando ad ignorare ciò che potresti realmente essere finissi col rovinare la tua stessa vita?" chiese una vocina dentro la mia testa. Odiavo la me razionale, quella che calcolava tutte le probabilità di ogni situazione.

«Impressionante», esclamò qualcuno, saltando fuori dalla vegetazione. Hunter mi si parò davanti e sguainò la spada, pronto a difendermi ancora nonostante le nostre solite liti.

Ma riconobbi la proprietaria della voce: pelle scura, occhi neri da gatta e la consueta divisa che aveva indossato quando mi aveva lanciato addosso uno stupido affare che mi aveva scombussolato l'intero corpo.

«Zenda!» Hunter pronunciò quel nome con sorpresa e gioia; finalmente si era riunito al suo gruppo. «Come ci avete trovati?» chiese e corse ad abbracciarla. Sembravano parecchio intimi, forse troppo per essere dei semplici colleghi.

Gli altri Sovvertitori, all'incirca cinque oltre all'irritante Zenda, uscirono allo scoperto uno dopo l'altro, alcuni con facce serie ed altri contenti per aver ritrovato il proprio compagno vivo e vegeto.

«Non è stato facile. Non ti abbiamo visto tornare, abbiamo aspettato poco dopo l'alba e abbiamo deciso che era il momento di venirti a cercare. Ci siamo poi imbattuti in cadaveri di Custodi e abbiamo capito che qualcosa non andava. Le tracce portavano ad un dirupo e abbiamo supposto il peggio in quel momento», spiegò lei con calma ma allo stesso tempo ansiosa, spaventata all'idea di aver perso il proprio capo. «Volevamo rinunciare ma poi ho pensato che fossi tanto stupido da rischiare la vita lanciandoti nel vuoto e che avessi la pelle tanto dura da esserne uscito indenne.»

Emisi uno sbuffo divertito; Zenda doveva conoscerlo proprio bene perché l'aveva descritto alla perfezione. Nonostante riuscissi a vedere soltanto metà del viso di Hunter, notai che stava sorridendo, dando silenziosamente ragione alle parole dell'amica. Ma da quando sorrideva, poi? Non gliel'avevo mai visto fare, pensavo che avesse qualche tipo di difficoltà nel sollevare gli angoli della bocca.

«Abbiamo continuato a cercare, ci siamo divisi e il nostro gruppo ha trovato quel piccolo accampamento arrangiato. Abbiamo allungato il percorso pensando che foste più furbi e vi allontanaste quanto più possibile dai villaggi vicini, dove sicuramente vi avrebbero cercati i Custodi, ma ci sbagliavamo», sollevò l'angolo della bocca, divertita dalla nostra mancanza di astuzia.

«Era ferito e aveva bisogno di un guaritore al più presto», dissi seccata, dimostrandole quanto, certe volte, fosse meglio tacere per evitare di propinare scemenze. Non riuscivo proprio a tollerare quella donna.

Lei mi scrutò con sufficienza, come se quella ad aver detto una stupidaggine fossi io, poi tornò a guardare Hunter e chiese preoccupata: «Sei ferito?»

«Non è niente, lascia perdere. Vi siete imbattuti in qualche Quarto?» tagliò corto lui, sinceramente interessato.

«Noi no, e probabilmente nemmeno gli altri. Erano troppo occupati a stare dietro a lei», mosse il capo nella mia direzione, e osservandomi meglio dovette accorgersi del taglio che avevo al labbro, perché continuò a parlare. «E a quanto vedo, devono esserci riusciti.»

Sembrava addirittura soddisfatta di ciò che vedeva, peccato che se fossero riusciti a prendere me, avrebbe potuto dire addio per sempre al suo caro amico d'armi.

«Tu dov'eri quando hanno quasi fatto il culo al tuo compagno di giochi?» incrociai le braccia sul petto, il mento alto e il tono tagliente. Se voleva provocarmi, avrebbe trovato pane per i suoi denti.

«Scusami?» Hunter si voltò verso di me, offeso.

«Se tu non fossi scappata via come una bambina stupida, tutto questo non sarebbe mai successo. Ma eri troppo occupata a fare la finta ribelle per...»

«Mi sa che ho sbagliato fazione. Non mi dispiacerebbe vedere Victor strapparti via qualsiasi tipo di volontà e renderti il suo burattino personale», non le diedi nemmeno il tempo di finire, sputai velenosamente quei pensieri senza pensarci due volte.

«Avete finito? Abbiamo problemi più grandi a cui pensare», disse il soldato, spostando lo sguardo da me a Zenda e viceversa. «Dobbiamo riportarla da Laryngard, lui potrà aiutarla a capire qualcosa di più dei suoi... poteri», continuò, più calmo. Sembrava davvero stanco, spossato. E io mi sentivo nella medesima maniera, per non parlare del brivido che mi aveva attraversato la spina dorsale al suono della parola ''poteri''. Continuavo a rifiutare la possibilità che fosse reale perché il timore era troppo alto; ero terrorizzata di scoprire la verità, forse non lo volevo.

«Aspetta, cosa?» chiese allarmata Zenda, sgranando leggermente gli occhi. «E' una di loro? E' la progenie malefica di Victor?» fece un passo indietro e si mise sulla difensiva, e in contemporanea tutti gli altri soldati tirarono fuori le armi: alcuni impugnarono le spade, altri invece mi puntarono addosso gli stessi oggetti che avevo visto al rifugio. Questa volta, però, erano leggermente diversi: formate da una parte verticale che fungeva da presa, una sorta di manico che con una mano tenevano stretto, e da un'altra parte orizzontale, più lunga: leggermente più grandi rispetto a quelle viste in precedenza, tanto da sostenerne il peso con l'altra mano.

«Ehi, ehi, fermi!» fece Hunter, allargando le braccia per fermare i compagni. «Non è contro di noi. Non sappiamo nemmeno in cosa consistano questi presunti poteri. Mettete giù le armi», ordinò poi, ma gli altri Sovvertitori esitarono prima di obbedire, rivolgendo un'occhiata veloce a Zenda.

Hunter mi si stava avvicinando quando Zenda chiese con diffidenza: «Chi ci garantisce che non si schiererà dalla parte di Victor?»

Il soldato la guardò e restò in silenzio per qualche attimo. Era stupito che la sua compagna potesse chiedere una cosa simile, era stupito - probabilmente - che potesse anche solo pensarla. «I segni sul suo volto non ti bastano come garanzia? Ha assaggiato le buone maniere dei Custodi di Lord Victor, puoi star certa che non tradirà la sua stessa causa. Io mi fido.»

L'incontro e la discussione avevano, intanto, fatto calare la sera e il gruppo aveva deciso di mettere su un piccolo accampamento, addentrandoci ancora di più nella foresta, per non dare troppo nell'occhio ed essere preda facile per i Custodi affamati. Alcuni dei Sovvertitori erano andati a recuperare qualcosa da mangiare e non erano ancora tornati, altri due avevano raccolto della legna per accendere un fuoco.  Zenda e Hunter erano rimasti tutto il tempo a parlare fitto fitto, considerando a stento tutti gli altri, me compresa.

Io me ne stavo buona davanti al fuoco, persa nei miei infiniti pensieri, completamente in silenzio. Com'era possibile che in un solo attimo la propria vita finisse per essere tramutata nella vita di qualcun altro? Dovevo essere in un mio stesso incubo, mi sarebbe piaciuto credere di essere ancora nell'albero cavo, al sicuro, lontana da quelle persone che nemmeno conoscevo, lontana da una realtà che fino a tre giorni prima mi sembrava possibile soltanto nei racconti.

Sospirai, stanca. Fisicamente sfinita ed emotivamente distrutta, mi sentivo come in gabbia, vittima della mia stessa vita. Sentivo il fiato mancare nonostante dall'esterno fossi apparentemente tranquilla.

Poco lontano da me, seduto sul terreno inumidito dalla sera, c'era uno dei Sovvertitori. Si mosse impercettibilmente e io mi voltai nella sua direzione, beccandolo a fissarmi senza staccarmi per un attimo gli occhi di dosso. Quando, però, se ne accorse, si sbrigò a spostare lo sguardo sul fuoco davanti a lui.

Mi venne quasi da ridere; il modo in cui quel giovane - doveva essere anche più piccolo di me - mi aveva guardato era il motivo per cui pregavo con tutte le forze la Grande Madre che non stesse succedendo a me, che avessero puntato la ragazza sbagliata. «Tranquillo, non ho intenzione di fulminarti con la mia vista magica», lo presi in giro, guardandomi la punta delle scarpe quasi consumate.

Ci fu un attimo di esitazione, dopodiché deglutì sonoramente e chiese: «Potresti?»

Lo guardai ancora, stavolta con incredulità per il fatto che si fosse bevuto quella scemenza. «No», risposi alzando lievemente le spalle e scuotendo la testa. Seriamente pensava una cosa del genere? «Forse», continuai, per poi ridacchiare.

Stranamente, lui mi seguì e rise con me. Sembrava gentile e anche simpatico, il che era una piacevole sorpresa considerati i miei recenti scontri e attriti con quelli della sua stessa fazione.

«Mi chiamo Travis», mi disse, porgendomi la sua mano e aspettando che gliela stringessi.

«Io sono Sage», gliela strinsi, sporgendomi di più verso di lui. A quel punto, sarebbe stato del tutto inutile restarmene sulle mie; avevano già paura di me senza che ci mettessi anche il mio carico da novanta.

«Sembri molto giovane per far parte di questa squadra di assassini ben addestrati», esclamai, curiosa. Volevo sinceramente sapere quale fosse il motivo della sua presenza lì, che ruolo avesse un pulcino tra i giganti. E soprattutto, perché fosse così poco ostile come lo erano tutti gli altri.

«Sono un nuovo-nato», mi informò tranquillo, immaginando che potessi capire cosa diavolo volesse significare. Si accorse della mia espressione interrogativa e continuò. «Oh, be', è diciamo la parte più bassa della piramide. I nuovi-nati sono la prima categoria di Sovvertitori: chi sceglie di arruolarsi deve essere un nuovo-nato e apprendere nozioni e tattiche dagli addestratori che di norma sono i Sovvertitori più in alto, quelli che agiscono sul campo di battaglia da molto tempo», mi spiegò tranquillo. «Ci sono dei livelli da raggiungere che determineranno in quale categoria sei più adatto: fanteria, arcieri, cavalleria. Di solito il nuovo-nato sa già per cos'è portato ed evita di affrontare prove che potrebbero renderlo idoneo anche alle altre categorie. Solo pochi, finora, le hanno affrontate tutte e sono diventati così Sovvertitori completi, delle armi pericolosissime.»

«Quindi è possibile far parte di qualsiasi categoria?» chiesi io, affascinata da ciò che stava raccontando.

Annuì e poi spostò lo sguardo altrove. «Hunter e Zenda sono due di quindici Sovvertitori di livello completo. Sono la punta della piramide, loro», mi disse, indicando con il mento i diretti interessati. «Alcune prove sono troppo difficili e quindi molti non ce la fanno e restano nella propria categoria.»

Non era difficile intuire che i più forti soldati fossero proprio Hunter e Zenda, e non solo: erano loro a prendere le decisioni, erano loro a capo del gruppo. Laryngard era sicuramente il cervello, la guida spirituale, ma le decisioni sul campo venivano prese esclusivamente da loro, era chiarissimo.

«Sono tanto difficili queste prove? In cosa consistono?» domandai dapprima distrattamente, persa ad osservare la curva della mascella rigida del soldato biondo - troppo attento su ciò che stava dicendo la compagna per accorgersene -, ma poi riportai la mia attenzione sul giovane Travis.

«Tutto ciò che si fa in allenamento ma in modo più complesso. Ti testano sull'agilità, la forza, la strategia, per cui affrontiamo combattimento corpo a corpo, con armi, prove a tempo, simulazioni di situazioni critiche. Il tutto per vedere come reagisci e per darti il posto che meriti», ne parlava con così tanto entusiasmo che mi parve di sentire lo stesso fervore che provava lui nel far parte di quel grande progetto. Peccato che fosse tutto molto bello fin quando non si rischiava realmente la vita, e quel pensiero riportava, inevitabilmente, con i piedi per terra. Tuttavia, avevo infiniti quesiti che mi sarebbe piaciuto porgergli, ma lui cambiò argomento improvvisamente.

«Posso farti una domanda, Sage?»

Annuii, scrutando i tratti del suo viso mentre si voltava completamente per guardarmi meglio. Aveva una pelle molto chiara nonostante il lato destro fosse tinto di arancione per via della luce del fuoco, era esile e abbastanza magrolino, e mi chiedevo come potesse essere un soldato; non aveva assolutamente l'aria di uno che avrebbe potuto prenderti a calci nel sedere.

«Hunter ha detto che sei tu... voglio dire... ha detto che è tutto vero: tu hai dei poteri...», cominciò, e io tornai a calare lo sguardo sulle mie scarpe. Avessi saputo che sarebbe stata quella la domanda, avrei risposto di no nel modo più assoluto. «Com'è averli? Che sensazione ti dà?»

Sul mio viso comparve un sorriso che tuttavia non aveva alcuna traccia di ilarità. «Hunter parla troppo. E' un bravo soldato, mi ha salvato la vita più di una volta, ma è troppo accecato dalla brama di spodestare Victor e salvare tutte quelle povere persone. Non fraintendermi, è nobile da parte sua, ma quando sei così desideroso di trovare una soluzione, spesso rischi di immaginartela, e potrebbe essere un errore fatale per questa lotta contro..», esitai, ripensando agli occhi rossi del Maestro. No, non era esatto; o meglio sì, avevo pensato a Victor ma ciò che mi bloccò le parole in gola fu il pensiero di poter essere davvero come lui. «Un mostro», terminai la frase con fatica, pronunciando quella parola con un tono sommesso.

«E' tutto vero ciò che si dice su di lui, allora?» domandò Travis, leggermente ansioso mentre attendeva una mia risposta.

Me ne restai in silenzio per qualche attimo; cosa potevo raccontare ad un ragazzo? Che avevo visto con i miei occhi gli effetti distruttivi del Thanodor, gli occhi raccapriccianti di Victor, il suo impossessarsi di una delle sue guardie e il poter dar loro comandi a distanza? Non ero certo una guerriera, ma era facile capire che quelle persone avevano bisogno di speranza per alzarsi la mattina, uno scopo che giustificasse la battaglia che stavano affrontando. Sapevo bene cosa volesse dire non avere più speranza, vivere alla giornata senza immaginare un futuro migliore. Loro guardavano i Custodi negli occhi e li sfidavano, io invece scappavo nella direzione opposta: non ero affatto una guerriera, ero una codarda. Ma quel ragazzo lo era, combatteva per un futuro più libero e combatteva per la speranza di una vita serena e priva di catene.

Feci una smorfia e posai di nuovo il mio sguardo sul giovane Travis mentre chiedevo: «Sai come si elimina un mostro?» lo osservai con un accenno di sorriso mentre lui scuoteva il capo. «Gli si butta un po' di luce addosso.»

In quel momento Hunter comparve alla mia sinistra, porgendomi un pezzo di coniglio che i ragazzi erano riusciti a catturare. Mi guardò, lo sguardo meno duro del solito e la postura rilassata. Lo osservai di rimando da sotto le sopracciglia e assunsi un tono freddo.

«Non mi va», mi limitai a dire e mi alzai, dirigendomi verso i cavalli.

«Hai sentito cos'ha detto il guaritore. Ti devi nutrire, il tuo corpo ne ha bisogno», parlò più forte mentre mi allontanavo dal gruppo e questo attirò l'attenzione degli altri.

«Sta' tranquillo, Hunter. La tua preziosa arma non ha ancora intenzione di morire», lo canzonai ma senza alcun tipo di divertimento nella voce. Non ero per niente dell'umore né di discutere con lui e nemmeno di cominciare un battibecco con una solita battuta delle mie.

Stavo iniziando a chiedermi cosa avrei fatto da quel in momento in poi, senza ottenere risposte soddisfacenti. Avrei seguito quel gruppo di persone, e poi? Mi sarei allenata, avrei scoperto se dentro di me ci fosse qualcosa che non andava e avrei lasciato che mi trasformassero in un'arma da sfruttare? Era quella la prospettiva di vita che la Grande Madre aveva in serbo per me? Combattere fino a quando non ci avrei rimesso la pelle. Avevo già perso tutto, mi era stato strappato via tutto e adesso sentivo svanire anche quel briciolo di speranza di avere un'esistenza tranquilla. Certo, nemmeno la vita che conducevo da mesi era semplice: scappare dalle guardie di Victor spesso si rivelava un compito arduo, ma era sempre meglio che dover scoprire di essere lo stesso essere di cui tutti avevano paura.

Mi avvicinai ai cavalli con cautela, tranquilli e poco lontani dal ruscello accanto a cui c'eravamo fermati io e Hunter nel pomeriggio. In quel punto la vegetazione sembrava essere meno fitta e la luce lunare più forte mentre illuminava il cielo e il buio in cui la foresta ci aveva fatto piombare; anche la luna era ben visibile da lì. Le voci del gruppo erano lontane quanto bastava per lasciarmi sola con i miei pensieri.

Accarezzai piano il muso della cavalla, sorridendole. Il suo respiro era regolare, gli occhi vispi e attenti a ciò che la circondava.

Inevitabilmente, i pensieri tornarono alle parole che Laryngard mi aveva detto qualche giorno prima. Aveva parlato della storia della nostra terra e di sette fratelli, coloro che erano speciali - o maledetti, come li avrei definiti io - e destinati a grandi cose. E poi ripensai alle parole di Hunter, al modo in cui mi aveva guardata quando il suo sguardo si era scontrato col mio, e alla sua postura mentre mi diceva che le mie iridi si erano tinte d'oro; più ci rimuginavo e più mi rendevo conto che non c'era assolutamente niente nel suo modo di fare che potesse farmi capire che stesse mentendo, tutt'altro, sembrava sincero ed era ciò che mi turbava di più. Unendo le due cose, era spontaneo chiedere a me stessa quale fosse il vero significato di tutte quelle informazioni. Se, per assurdo, io fossi stata chi immaginavano che fossi, significava che nelle mie vene scorreva lo stesso sangue di Victor? Che eravamo fratelli? Mi rifiutavo categoricamente di pensare di essere imparentata con quella feccia reale.

Stupidaggini! Non c'era alcuna magia in me, era escluso. Tuttavia, borbottò il mio io interiore, se fosse vero di cosa potrebbe mai trattarsi? Ripercorsi mentalmente l'inizio di quella giornata: dalla quasi fuga al ritorno alla locanda, allo scontro con i Custodi e poi all'ancora fuga nella foresta, a cavallo. Il fare strano di Hunter e poi il suo tranello sulla direzione giusta da prendere per tornare a casa. E sarebbe stato quello il mio potere? L'orientarmi come una bussola? Il Sovvertitore mi aveva messa alla prova ma per farlo aveva avuto bisogno di dubitare. Qual era stato il fattore scatenante? Quando aveva cominciato a sospettare?

Dalla battaglia. No, dopo aver atterrato Chase lui era ancora in sé. Era cambiato dopo l'episodio nella stalla. Che fosse per il cavallo?

E poi la domanda mutò in qualcos'altro: che fosse uno strano ed assurdo collegamento con gli animali?

Riportai la mia completa attenzione sulla cavalla di fronte a me; tenevo ancora il palmo della mano sul suo muso che accarezzavo delicatamente. L'avevo calmata con semplicità nonostante il suo proprietario l'avesse definita un'indomabile ribelle. Pensavo che esagerasse per giustificare la sua incapacità, ma se fossi stata io, se fossero stati le mie presunte abilità?

«E se fossi tu?» le sussurrai flebilmente, le parole bloccate in gola in un groviglio.

Distesi le dita e feci una leggera pressione, dopodiché - ricordando le parole di Hunter - provai a fidarmi di quello che sentivo proprio come avevo fatto qualche ora prima. Fidarmi delle mie sensazioni, lasciarle andare, ripetei in silenzio.

Calai le palpebre, deglutii per dare sollievo alla mia gola secca e sospirai piano, cercando di rilassarmi quanto più possibile. Non sapevo nemmeno cosa sarebbe effettivamente dovuto succedere, ma l'unica cosa a cui pensavo era sapere se fosse tutto vero.

E poi avvertii qualcosa che mi sconvolse e mi fece ritirare la mano con uno scatto improvviso, trasalendo. Sete. Lei aveva sete ma non poteva muoversi perché legata da una corda ad un albero. Fu qualcosa di inspiegabile e inconcepibile: era come se le avessi letto nella mente. Anzi, non era esatto, io avevo potuto sentire ciò che lei stava provando in quel momento. E quando lei brontolò e fece qualche passo indietro, quella sensazione mi colpì ancora: era timorosa che potessi farle qualcosa. Oh Grande Madre, doveva essere un incubo quello. Che cosa mi stava succedendo? Com'era possibile poter sentire ciò che sentiva un cavallo? Mi sentii mancare. Tutto ciò che avevo sperato in quegli ultimi giorni, tutte le cose che le mie orecchie avevano udito e che avevo sperato fossero solo fandonie, si stavano rivelando la più cruda delle verità. Io ero come Victor? Io ero un mostro. Indietreggiai sempre di più, il petto che si alzava e si abbassava freneticamente e il cuore che batteva con un tamburo pesante e che minacciava di esplodere a breve. Repressi un conato di vomito e ricacciai le pungenti lacrime indietro, non potevo lasciarmi prendere dal più totale e spaventoso panico.

Poi uno strano suono echeggiò nella notte, squarciando la quiete che sembrava regnare in quegli attimi, soltanto all'esterno. Sollevai lo sguardo verso cielo limpido, privo di nuvole e sfondo di una Luna luminosa e bellissima, e mi parve di intravedere qualcosa che fluttuava nell'aria, ma il secondo dopo non vi era più nulla. Quella sorta di sagoma nera era scomparsa grazie agli alberi.

«Sage? Va tutto bene?»

Trasalii ancora e mi voltai verso Hunter immobile a pochi metri da me. «Cosa?»

Lui piegò leggermente la testa di lato. «Stai bene? Sei molto pallida» chiese, probabilmente curioso di vedermi così agitata.

«Sì», risposi semplicemente. «Sì. Ho... Ho pensato di dare da bere ai cavalli.»

Il soldato annuì, stringendo le labbra carnose. «Sono venuto a dirti che ti ho lasciato qualcosa da mangiare, nel caso cambiassi idea e spero che tu lo faccia», aveva un tono quasi gentile, totalmente diverso dal solito. «E puoi dormire, i ragazzi faranno a turno per controllare che tutto sia tranquillo.»

«Posso iniziare io con il turno di guardia», proposi senza pensarci due volte. La voglia di dormire era meno di zero dopo la sconvolgente scoperta che avevo fatto su me stessa. Una me stessa che faticavo a riconoscere, ormai.

«Tu devi riposare, sono state giornate dure per te. Ci penseranno i ragazzi», disse, scuotendo leggermente il capo.

«Lo sono state per tutti, Hunter. Ho scelto di seguirvi e se devo vivere come vivete voi, voglio essere come tutti gli altri, nessun trattamento di favore solo perché si suppone che io sia..», mi bloccai, calando lo sguardo sulle mie mani. «Che io sia speciale.»

Il ragazzo di fronte a me restò in silenzio, riflettendo per qualche secondo sulle mie parole. Mi osservava con aria sorpresa, come se fosse rimasto stupito dalle mie richieste non così assurde, dopotutto. «D'accordo, allora puoi cominciare tu. Sei in coppia con Percival, l'omone laggiù. Ci penso io ai cavalli», disse per poi avanzare verso di me e sciogliere la corda che teneva ferma l'animale che mi aveva parlato. Brividi.

Io annuii, mostrando una tranquillità che non avevo affatto, e feci per ritornare all'accampamento, ma mi fermai dopo aver ricordato una cosa. «Hunter, hai sentito prima quello strano verso?»

«Sarà stato un grifone, probabilmente», tagliò corto lui, senza preoccuparsi più di tanto.

«Esistono ancora esemplari viventi?» domandai, stupita. Secondo le storie di mia madre, dopo la ''rinascita'' del mondo c'erano stati diversi cambiamenti sia nella flora che nella fauna. Immensi alberi si ergevano possenti, superando in altezza anche la fortezza di Lord Victor. E lo stesso era accaduto per gli animali. Oltre alle specie già esistenti, vi si erano aggiunti degli ibridi, incroci di bestie che non avrebbero mai potuto accoppiarsi per natura. Uno di questi era il Grifone, grande e forte animale alato con la testa e le zampe anteriori di un'aquila, corpo e zampe posteriori di un leone e una coda, sulla cui estremità vi era la testa di un serpente.

Qualche volta ero riuscita ad osservarne uno che si librava alto nel cielo, ma da qualche tempo non vi era più traccia di loro. Molti venivano trovati sventrati, decapitati, sbranati selvaggiamente sulle colline a Nord, verso le Zolle Fredde, la parte lontana sia dal Terzo che dal Primo Humus.

«Qualcuno, di tanto in tanto», mormorò il Sovvertitore con poco attenzione.

Alzai di nuovo lo sguardo al cielo, pensierosa e non troppo convinta che quel suono equivalesse al grido di un grifone, ma probabilmente ero solo stanca. Dopotutto, dormire come mi aveva proposto Hunter non sembrava più una cattiva idea.

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