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5. Spalle coperte

«Garsiv, che cosa stai facendo?»

Hunter cercava di avvicinarsi all'entrata della casa in cui ci trovavamo. Parlava in modo calmo e muoveva le mani nella nostra direzione; tutto di lui in quel momento, partendo dall'espressione, dalla postura al tono di voce pacato, trasmetteva una tranquillità che non gli avevo mai visto utilizzare prima.

«Non preoccuparti per lei. Non ho intenzione di farle del male, ma mi serve e non voglio dover essere costretto a discutere animatamente con te, perciò va' via e lasciati questa storia alle spalle!» al contrario di Hunter, Boehem era in uno stato di agitazione pazzesco, cosa alquanto destabilizzante dato che aveva tra le mani un coltello puntato direttamente alla mia gola. Ma aveva detto ''mi serve'' oppure l'avevo immaginato? A cosa diavolo potevo servire io ad un guaritore? Sarebbe stato assurdo pensare alla storia dei poteri.

«Serve anche a me, Garsiv. E ti giuro che la mia causa è davvero importante», continuò ad avanzare il soldato biondo, tanto da trovarsi sull'uscio della porta.

«Non fare un altro passo, Hunter! So che ti serve, servirà a tutti quanti al villaggio. Ciò che il Maestro offre è troppo denaro per essere ignorato anche da uno che ha speso la propria vita a salvare quella degli altri», ormai farneticava parole senza senso, parlava così velocemente che mi fu difficile comprenderne il significato. Ma una cosa l'avevo capita perfettamente: Victor aveva messo una taglia sulla mia testa.

«Che cosa?!» esclamammo all'unisono io ed Hunter.

Il guaritore restò in silenzio per qualche secondo, osservando l'uomo di fronte a sé. «Forse... Forse potremmo dividerci la cifra. La consegniamo entrambi a Victor e ci facciamo pagare», dopo quelle parole mi dimenai cercando di liberarmi, ma Boehem strinse la presa su di me. Era robusto, molto più alto di me e quindi più forte.

«Non voglio consegnarla nelle mani di Victor. E' contro di lui la causa che sto portando avanti e lei è un pezzo fondamentale di questo piano. E' l'unico pezzo che abbiamo a disposizione adesso. Ti prego, lascia che io ti spieghi tutto, e sono sicuro che riuscirai a comprendere le mie parole», Hunter era ormai vicinissimo a noi. A quanto pareva, probabilmente, il suo discorso aveva avuto un effetto particolare sulla determinazione già precaria di Boehem; difatti la sua presa era sempre meno forte su di me, e quando mi liberò dalla minaccia del coltello io mi allontanai senza esitare, afferrando in un attimo l'arco e una delle frecce, mirando poi al suo petto. La sua espressione, già intimorita per quanto aveva fatto, si trasformò in una maschera di paura.

«No! Smettila», mi ordinò il Sovvertitore, parandosi davanti a me e premendo il proprio petto contro la cuspide.

«Mi ha minacciata con un coltello e voleva usarmi come merce di scambio per dello schifosissimo denaro! Spostati, Hunter!»

«No. Sono convinto che non fosse sua intenzione farlo per davvero, per cui cerchiamo di darci tutti una calmata qui dentro», guardò me, poi si voltò verso Garsiv che annuì ascoltando le sue parole, e poi ancora tornò con lo sguardo fisso nel mio. Non volevo ucciderlo, volevo soltanto dargli una lezione. Ma più osservavo Boehem e più capivo che era soltanto sconvolto da tutto quel trambusto, dal suo stesso comportamento, addirittura.

Deposi le armi e incrociai le braccia sul petto, restando a distanza di sicurezza da quel folle. Intanto li osservai accomodarsi per la seconda volta intorno al tavolo, dove vi erano ancora le ciotole, i bicchieri e le pietanze che avevamo mangiato poco prima.

Dopo aver spiegato sommariamente la situazione a Boehem - omettendo, per ovvi motivi, la parte in cui spiegava perché io fossi tanto preziosa per la causa -, il guaritore sembrava più confuso e spaesato di prima.

«Quindi lei è la chiave per fermare le atrocità che Lord Victor sta facendo a queste terre? In che modo?» chiese, indicandomi con fare scettico. Faceva bene ad esserlo poiché, anche se i motivi erano più che validi, Hunter, Victor, i Sovvertitori e tutti gli altri si stavano sbagliando nel modo più assoluto.

Hunter mi dava le spalle e, con un braccio poggiato sul tavolo e l'altro sulla propria coscia, annuì e mosse la testa verso sinistra. «Non posso darti troppe informazioni per la tua incolumità, e - onestamente - non è ancora chiaro il come ma sì, lei è la chiave, esatto. O meglio, spero con tutto me stesso che sia così», confessò, voltandosi a guardarmi per un momento con una strana malinconia nello sguardo.

«E come ha intenzione di fermarlo? E' una ragazzina.»

Roteai gli occhi e sospirai forte, stufa di quella stupidissima conversazione. Non potevo semplicemente spiegare a Garsiv, ma soprattutto ad Hunter, che io non avevo intenzione di fermare proprio nessuno?
«Te l'ho detto, stiamo ancora cercando di capirlo, Garsiv. Ma è di vitale importanza che tu non dica a nessuno quanto appena raccontato in queste quattro mura. Ne va del futuro dell'intero Terzo Humus, te ne rendi conto, vero?»

«Un momento», mi intromisi, dando voce ad un dubbio, «come hai saputo della ricompensa che Victor è disposto ad offrire per me?»

Garsiv Boehem estrasse un pezzo di carta dalla tasca dei pantaloni e lo poggiò sul tavolo. Hunter l'afferrò prontamente e l'osservò; mi avvicinai in fretta e restai di sasso. Doveva essere un incubo. No, era anche peggio.

Il pezzo di carta ingiallito recitava: ''Lord Victor emette la seguente sentenza per l'imputata dall'identità ignota: accusata di Alto Tradimento e considerata una minaccia per la corona e per il Terzo Humus stesso, è ricercata per presentarsi dinanzi al Maestro e scontare la pena a lei attribuita: la prigionia. Chiunque tra i popolani riuscisse a scovarla e catturarla, riceverà la cospicua e generosa ricompensa di cinquecentomila nìtee. Si prega di fare molta attenzione, l'allerta è massima.''

Inoltre, sotto l'ordine di cattura, c'era la bozza non molto chiara di un disegno del mio volto.

«Per la Grande Madre, no! Cazzo, no!» scattai a passo svelto fuori dall'abitazione del guaritore, le mani nei capelli scuri e lunghi in un gesto disperato; avrei potuto piangere dalla frustrazione. Non poteva essere vero. Come mi ero cacciata in quel gran pasticcio? E come avrei fatto ad uscirne senza rimetterci le penne?

«Troveremo una soluzione, Laryngard può proteggerti e tu lo sai», disse Hunter con tono piatto, raggiungendomi sotto il sole cocente.

«Oh, davvero? Come può risolvere questo casino il tuo carissimo Laryngard? C'è una taglia sulla mia testa, Hunter! Questo vuol dire che è stata una fortuna che non mi abbiano riconosciuta questa mattina al villaggio. Questo vuol dire che dovrò vivere con la paura costante di essere catturata! Era già difficile sfuggire ai Custodi prima di tutto questo, adesso sarà impossibile», avevo alzato la voce più di quanto fossi intenzionata a fare, ma il soldato non sembrò fare una piega. Probabilmente mi comprendeva ed era disposto ad offrirmi il suo aiuto, ma mettermi nelle sue mani era come consegnarsi a Victor. «Valgo cinquecentomila nìtee, capisci?»

Non riuscii a nascondere la sofferenza che sentivo dentro. Come era possibile? Io ero una persona, un essere umano, e mi avevano attribuito un prezzo come se fossi un animale pronto per il macello.

«Allora, sentimi bene: disperarti non servirà assolutamente a niente. Sei finita in questo casino senza chiederlo, va bene? Puoi prendertela con me, con Victor, con te stessa e addirittura con la Grande Madre, ma indovina? Farlo non cambierà le cose. Vuoi porre fine a tutto questo. Rimboccati le maniche e inizia ad agire d'astuzia, o preferisci continuare a piangerti addosso aspettando che i Custodi o un altro come lui», indicò Boehem senza nemmeno guardarlo, «vengano a prenderti e si dividano l'oro?».

Il tono di voce duro che Hunter aveva usato mi fece dapprima accigliare: ero quasi pronta per rispondergli per le rime, ma più andava avanti con quella sorta di ramanzina e più mi rendevo conto che aveva ragione. A cosa sarebbe servito lamentarsi? Dovevo agire, dovevo fare qualcosa e non starmene con le mani in mano in attesa che arrivassero. Se volevano me, avrebbero dovuto sudare. E avrei dimostrato a tutti che avevano torto sul mio conto!

Restai in silenzio per qualche secondo, dopodiché alzai leggermente il mento e lo fissai negli occhi. «D'accordo. Ma me la caverò da sola.»

Ma ciò che avevo sempre affermato con grande fierezza, fu pronunciato con una nota di insicurezza nella voce. Per la prima volta stavo iniziando a chiedermi se fosse il caso di continuare a stare da sola o lasciarmi proteggere le spalle da qualcuno.

«Aspettate», urlò Garsiv, avvicinandosi a noi, quasi con timidezza. Guardò me, per poi abbassare lo sguardo e guardarmi ancora mentre si sfregava le mani. «Se ti ho fatto del male, me ne scuso. Non sono così, pensavo fossi una fuorilegge e la somma di nìtee mi ha fatto...», scosse la testa; sembrava sinceramente pentito e dispiaciuto.

«Potete fidarvi di me. Lottate per una causa giusta e la porta di casa mia sarà sempre aperta per voi, confido che terrete a mente questo.»

Spostò il suo sguardo su Hunter e lo osservai annuire e porgergli la mano, che Boehem afferrò con forza. Dopo essersi salutati, Hunter prese a camminare senza aspettarmi. Restai ferma per un attimo ed annuii anch'io in risposta al sorriso del guaritore. Poi mi voltai e raggiunsi il Sovvertitore a grandi passi.

Arrivati al villaggio Ynesa, il sole era già calato da un po'. L'oscurità dava un'aria tetra alle strade vuote, illuminate soltanto da qualche candela poggiata accanto alle finestre delle abitazioni o da quelle che vi erano all'interno di lanterne sospese all'entrata delle botteghe. Sembrava la rappresentazione del mio umore.

Non mi piaceva ammetterlo ma per tutto il tempo non avevo fatto altro che rimuginare sul fatto di essere seriamente in pericolo. Victor sembrava disposto a tutto pur di riuscire a mettere le sue mani su di me, e ciò mi fece riflettere sul perché. Era assurdo: in tutta la mia vita, non avevo mai manifestato nulla di surreale come poteri strani. Ero normalissima, doveva sicuramente esserci un errore. Però, la magia esisteva. L'avevo vista negli occhi di Victor, l'aveva vista negli occhi del Custode. Come poteva essere possibile? E se fosse stato tutto vero, se in me ci fosse stato qualcosa di speciale, perché non si era mai manifestato? Non mi erano spuntate coda e corna, né mia madre mi aveva detto di avermi adottata, secondo la logica di tutta quella storia. E di certo non potevo entrare nella mente delle altre persone. Che diavolo! Anche il solo pensarlo era la follia più totale.

«Abbiamo bisogno di un posto in cui dormire, e la foresta è troppo lontana. Con il buio sarà più difficile trovare un rifugio sicuro», esclamò Hunter, mettendo a tacere il chiasso che provocavano i miei pensieri e svoltando a destra, infilandosi poi in un vicolo tra due abitazioni. Avevo alzato il cappuccio sopra la testa; lo facevo abitualmente ma adesso vi era un senso di paura nell'essere riconosciuta che si stava facendo facilmente strada dentro di me.

«Al momento l'unico posto sicuro sarebbe lontano da chiunque, ma hai ragione: ci vorrebbero delle ore. Tuttavia, non possiamo nemmeno entrare in una locanda e prendere una camera. Ti ricordo che la mia faccia è su quei maledettissimi manifesti. Sono una ricercata!»

Hunter mi dedicò una veloce occhiata, continuando a camminare. «Io non ho visto nemmeno un pezzo di carta da quando abbiamo messo piede in questo villaggio. E tu? Devi stare tranquilla, ce la caveremo. Dobbiamo solo superare la nottata e domani ci riuniremo a Laryngard.»

Tornare da Laryngard. No, io non l'avrei fatto. Ero ferma nella mia decisione: non volevo avere niente a che fare con tutta quella storia, anche se adesso sarebbe stato più difficile evitare i Custodi. Forse mi sarei potuta spostare verso i confini, prima degli accampamenti delle guardie di Victor. Avrei trovato una soluzione anche senza Hunter e tutti gli altri Sovvertitori. Sì, poteva essere un'idea. Si sarebbero stancati di cercarmi se mi fossi allontanata e nascosta per un po'.

La locanda che Hunter scelse era praticamente la più popolata e chiassosa di tutte quelle che avevamo adocchiato in quei quindici minuti di ricerca.

Entrare era stato quasi un trauma per me. Mi sentivo gli occhi di tutti i presenti addosso, come se gli uomini che bevevano, giocavano a carte e le donne che servivano si fossero fermati per osservare me. Hunter mi aveva vista in difficoltà e mi aveva fatto cenno di seguirlo. Era così tanta l'ansia che sentivo che non mi ero nemmeno soffermata sull'ambiente circostante; sapevo soltanto che era parecchio illuminato, caldo, l'odore si alternava tra quello di carne bruciacchiata - estremamente invitante per il mio stomaco - e alcolici scadenti. Ma, più di tutti, il fetore dei sigari era quasi insopportabile.

«Andiamo», aveva detto con una certa insistenza Hunter. Non avevo fatto altro che scrutare la sala senza però guardarla per davvero. La sensazione di essere osservata da tutti non si era decisa a lasciarmi andare fin quando non eravamo saliti lungo la rampa di scale che dava accesso alla nostra camera.

«Luogo sicuro, avevi detto? Io mi sento tutt'altro che al sicuro qui dentro», mi tolsi la faretra e l'arco dalle spalle e li gettai sul letto.

«Lo so, si vedeva perfettamente. E se me ne sono accorto io, l'hanno fatto anche gli altri. Devi imparare a controllare le tue sensazioni: se mostri paura, ti mostri vulnerabile e quindi una preda facile», spiegò mentre cercava di sfilare la giacca dal braccio ferito.

«Ed è questo che insegni agli altri come te?» chiesi canzonandolo; odiavo quella sua saccenteria.

«E chi ti dice che io sono quello che insegna loro qualcosa?»

«Io osservo, Hunter. Con attenzione. Non è difficile capire che dopo Laryngard, tu sei quello che più conta qualcosa in quel posto. Tutto di te, anche la tua superbia nel tono della voce, urla che sei di un rango superiore rispetto a tutti gli altri», anch'io avevo assunto un tono sicuro, sia dipeso dal fondo di verità che vi era nelle mie parole e sia dalla voglia di beffeggiarlo quanto bastava.

Hunter fece per dire qualcosa, ma fu interrotto dal suono di colpi pesanti contro la porta. ''Ragazzina viziata'' fu l'unica cosa che gli sentii mormorare prima che aprisse la porta.

Nascosta in parte dalla grossa corporatura di Hunter, vi era la figura di una donna di mezza età bionda, bassa e molto in carne. «Questi sono gli stracci puliti per voi, sono inclusi nel servizio.»

«La ringrazio, gentilissima», e dopo aver raccolto il tessuto dalle mani della donna, Hunter serrò la porta. Gettò sul letto ciò che aveva tra le mani, e poi si portò l'indice alla bocca, intimandomi di fare silenzio. Sollevai un sopracciglio e incrociai le braccia al petto, curiosa di sapere cosa diavolo avesse in mente.

Lui restò dov'era, immobile accanto all'uscio della stanza. Piegò la testa verso la porta, come a voler origliare qualcosa, dopodiché la spalancò e colse di sorpresa - per modo di dire - la donna ancora lì, intenta a captare qualsiasi stralcio di conversazione fosse riuscita ad ascoltare. Il viso di lei si tinse, le guance le divennero rosse e dalla sua espressione era possibile leggere vero e proprio imbarazzo. Arrancò una scusa veloce, informandoci che se avessimo avuto bisogno di qualcosa, avremmo potuto chiedere di Clare al bancone dove venivano serviti vini e birre. Hunter sorrise beffardo, soddisfatto di averle e - soprattutto - di avermi dimostrato quanto il suo intuito non sbagliasse un solo colpo. Si accertò che la donna fosse andata realmente via e chiuse nuovamente la porta in legno alle sue spalle.

«Vedi, non sei l'unica ad essere in grado guardare oltre le apparenze», mi rivolse uno dei suoi soliti sorrisi da sbruffone e si sedette sul pagliericcio. Si sfilò la maglia e continuò a parlare. «Se per te va bene comincio io a lavarmi per primo, in modo tale da lasciarti tutto il tempo che vuoi per fare le tue cose da donna.»

Roteai gli occhi trattenendo un sospiro mentre gli lasciavo spazio. Senza ulteriori parole inutili, uscii dalla stanza e me ne restai poco lontana dall'entrata, in cima alla rampa di scale.

Immediatamente i miei pensieri tornarono a quella strana piega che aveva preso la mia vita, e mi fu impossibile non dannarmi, imprecando in silenzio. In un attimo era tutto cambiato, una frazione di secondo e la mia vita si era trasformata nella vita di qualcun altro. Sembravano passati mesi da quando la mia unica preoccupazione era evitare le persone quanto più possibile e trovare un riparo per la notte, e invece erano passati soltanto due giorni. Ma ormai avevo deciso: mi sarei allontanata e avrei dimenticato tutte quelle eresie. Speravo solo di poterci riuscire e di essere lasciata finalmente in pace.

Pur essendoci un'afa infernale in quel posto, avevo le mani gelide. Le sfregai per provare a riscaldarle e poi le nascosi sotto le braccia. Mossi la testa per scostare i capelli lunghi dal viso e posai lo sguardo su un uomo seduto su uno sgabello accanto al bancone. Beveva da un grosso boccale d'acciaio e guardava nella mia direzione, con insistenza. Forse troppa. Mi accigliai e sostenni il peso del suo sguardo, chiedendomi come mai mi fissasse in quel modo, incuriosito, allarmandomi poi per un secondo. Aveva i capelli lunghi fino alle spalle, il viso esile e un'espressione dura.

«Ora puoi andare», esclamò Hunter, uscendo dalla camera alle mie spalle, e facendomi sobbalzare per lo spavento. Se ne accorse e guardandomi negli occhi mi chiese se ci fosse qualcosa che non andava.

«No, va tutto bene. Ero sovrappensiero e mi hai spaventata, tutto qua», confessai, posando una mano all'altezza della bocca dello stomaco. Hunter spostò lo sguardo verso il basso, proprio dove era seduto l'uomo, e quando io lo imitai mi accorsi che non c'era più nessun uomo. Che l'avessi immaginato? L'angoscia era arrivata a farmi avere anche le allucinazioni. Perfetto!

Tornammo a guardarci negli occhi; Hunter era più alto di me di un bel po', probabilmente quindici centimetri. Era vicino e potevo sentire l'odore di buono e di fresco che emanava, nonostante avesse indossato gli stessi abiti di quel giorno. Aveva i capelli umidi e più scuri. Scuri così come i suoi occhi che, mai come in quel momento, sembravano non riuscir a nascondere una profonda stanchezza.

«Puoi andare», ripeté.

Io annuii e mi diressi in camera, domandando a me stessa se davvero avessi immaginato quell'uomo oppure no.

Quella notte, nonostante fossi ''al sicuro'' sotto una coperta, all'interno di una camera di una locanda in un villaggio abbastanza lontano dalla dimora reale di Lord Victor, mi sentivo comunque scoperta, in qualche modo. Potevo sfruttare quella quiete per riposare e per spegnere la mente, ma i miei pensieri proprio non ne volevano sapere di darmi qualche ora di tregua. Mi misi seduta poggiando la schiena contro la testiera in legno del letto. Alla mia sinistra, la finestra aperta permetteva alla leggera brezza d'inizio estate di entrare, la luce della luna alta nel cielo era l'unica cosa che illuminava parte della stanza. Hunter non era più tornato; dopo aver finito, ero andata ad informarlo ma lui non c'era più.

La solitudine non era mai stata mia nemica, spesso mi trovavo a pensare che fosse la mia più grande compagna di vita, ma talvolta era anche difficile sopportarla: stare sola voleva dire convivere con i demoni presenti nella mia testa, con i fantasmi del passato, e cercare ogni giorno di non far sì che avessero la meglio su di me. Non era facile, ma stare lontano dal mondo mi rigenerava, mi permetteva di trovare una piccola parte di pace interiore e di stare bene con me stessa portandomi poi a stare meglio tra gli altri.

Sentii dei passi proveniente dall'esterno e poi la porta cigolare mentre lentamente veniva aperta. Nella penombra, si materializzò la figura imponente di Hunter. Faceva attenzione a non fare troppo rumore, ma poi si accorse di me, sveglia e seduta sul pagliericcio.

«Mi dispiace averti svegliata», si scusò, passandosi una mano sulla nuca con fare stanco.

«Tranquillo, non dormivo», spiegai e strinsi le ginocchia al petto, posandovi sopra il mento. Mi voltai ad osservare la luce lunare illuminare parti di alcune abitazioni, o la facciata di un forno, o un mendicante che dormiva appoggiato ad un muro.

«Be', dovresti. Ti farebbe bene riposare.»

«E' questo il punto: non riposo. Adesso ho anche paura di chiudere gli occhi per quello che potrei vedere», confessarlo a voce alta non faceva che infastidire tutti i miei nervi. Non avevo un rifugio: anche i miei sogni, come la mia realtà, erano pieni di strani mostri. Riportai lo sguardo su Hunter che adesso era seduto sulla sedia in legno accanto al letto. «Potrei consigliarti lo stesso, comunque. Dormire non ti farebbe affatto male, ma non su quella sedia.»

Lui abbozzò un sorriso e si mise comodo. «Già, probabilmente hai ragione. A me basta poco per riposare e la sedia andrà più che bene, vedrai. Domani avrò soltanto la schiena a pezzi, nulla di grave.»

Scossi la testa e non cercai nemmeno di trattenere un sorriso. Chi l'avrebbe mai detto, pensai, lo scontroso Hunter aveva anche senso dell'umorismo. Era chiaro che fosse molto di più di quello che dava a vedere, e più passavamo del tempo insieme e più me ne dava conferma.

«Hunter», chiamai, esitante.

Il soldato che aveva dapprima gli occhi chiusi, li riaprì prontamente e piegò il viso verso di me, in attesa.

«Ti volevo ringraziare per avermi salvato la vita», pronunciai quelle parole in tono flebile, quasi con imbarazzo, in un soffio. «So che stai eseguendo soltanto degli ordini, in un certo senso, ma grazie. Con il guaritore pazzo e la scorsa notte con i Custodi... non so davvero che fine avrei potuto fare.»

Il ragazzo cambiò posizione, poggiando i gomiti sulle cosce e intrecciando le mani. «Ci siamo salvati a vicenda. E non eseguo semplicemente gli ordini, ma sono mosso da qualcosa di più grande. Volevo aiutarti, e non solo per ciò che credo tu sia. Vedi, è questo che ci differenzia da Victor: a lui non importa di quante vite può stroncare o delle conseguenze dei suoi gesti, per lui conta soltanto raggiungere i suoi scopi», nei suoi occhi balenava pura rabbia e risentimento, «Ed è irrilevante se dietro di sé lascia una lunga e grande scia di sangue.»

Me ne restai in silenzio aspettando che continuasse o magari no, ma gli diedi comunque il tempo di riacquisire la calma necessaria.

Distolse lo sguardo per un momento, sospirò e poi mi guardò ancora. «Uccidere è vile, è meschino ed è sbagliato. Nessuno ha il diritto di decidere quando il tempo di un'altra persona è finito, ma quella lì fuori è la vita vera e la vita vera ti insegna che il più forte schiaccia il più debole. Mangiare o essere mangiato.»

Si era accigliato, spinto dalla veemenza che aveva usato nel parlarmi. Aveva ragione, e mi colpì scoprire che diventare ciò che era doveva essere stato duro per lui. Non lo faceva perché voleva ma perché era necessario. Ed ecco perché era lui la guida dei ragazzi che aveva visto al rifugio oltre la cascata.

«Adesso è meglio dormire, ne abbiamo bisogno entrambi», suggerì, mettendosi nuovamente comodo sulla sedia. Fece un cenno con la testa verso di me, invitandomi ad eseguire i suoi ''ordini''. Sospirai e mi infilai sotto la coperta scura, voltandomi verso la finestra ancora aperta.

«Sage», esclamai decisa, «Il mio nome è Sage.»

Non mi voltai per vedere la sua reazione, né mi domandai se fosse giusto o sbagliato confessarlo in quel momento, l'unica cosa che sapevo era che iniziavo a provare, mio malgrado, fiducia. Minima, insignificante, ma era fiducia.

Lui fece una breve pausa e poi rispose: «Buonanotte, Sage.»


Il sole si era già levato da poco mentre velocemente stavo attraversando la città. Quando avevo lasciato la camera Hunter non c'era; sapevo si fosse diretto al mercato per rifornirci per il viaggio. A passi leggeri, cercavo di non dare nell'occhio anche se le strade erano poco popolate, considerata la metà del villaggio che era ancora mezza addormentata. Si era rivelata una vera fortuna per me: sarebbe stato più facile individuare qualche Custode nel caso si fossero fatti vivi.

Ero riuscita a dormire un po', per mia fortuna senza avere qualche incubo insolito, ma una volta sveglia ero stata colpita da una strana sensazione. Avevo dubitato, esitato; non sapevo più se scappare fosse la cosa giusta da fare. E probabilmente non lo sapevo nemmeno in quel momento, mi limitavo soltanto a camminare. Ma c'era qualcosa, qualcosa che inspiegabilmente mi tirava nella direzione opposta. Non capivo cosa mi stesse prendendo: ora che avevo l'occasione per andare via e di lasciar perdere tutta quella faccenda, mi sentivo in difetto come se stessi sbagliando a darmela a gambe e ad abbandonare tutto il resto? Era assurdo.

In più c'era quel fastidioso dolore allo stomaco, che non faceva che brontolare e chiedeva cibo.

«Va' via, cagnaccio! Sparisci, forza!» si sentì sbraitare dall'altro lato della strada.

Mi voltai, scostando il cappuccio della giacca verdastra che avevo sulla testa. Un uomo basso e grasso invitava un cane ad andare via a suon di calci, che fortunatamente l'animale evitava con agilità. Dapprima mi accigliai per l'infamia a cui stavo assistendo, ma poi mi avvicinai velocemente al banco di frutta di quell'uomo e con scaltrezza, e approfittando della sua distrazione, afferrai una mela continuando a camminare.

La povera bestiola desistette e si allontanò, mentre l'uomo fece dietrofront. «Sacco di pulci», esclamò passandomi accanto.
«Idiota», sussurrai appena, infastidita da cotanta ignoranza.

Fischiai nella direzione del cane che si voltò verso di me e poi si avvicinò, insicuro e timoroso. Aveva due grandi occhi azzurri, lunghe zampe robuste e il pelo color fango. Mi annusò prima di avvicinarsi quasi del tutto e sedersi proprio davanti a me. Alzai una mano per dimostrargli che non volevo fargli del male, dopodiché la portai sul suo capo e lo accarezzai, sorridendo istintivamente.

«Ho una cosa per te», dissi, mostrando la mela che avevo nell'altra mano. La lanciai verso di lui che con un balzo l'afferrò e poi sparì per godersela.

«Ti sarà molto riconoscente», esclamò una voce familiare. Hunter aveva la schiena poggiata contro una parete in pietra bianca e si rigirava tra le mani il proprio pugnale.

Sospirai, scuotendo leggermente il capo. Ma come aveva fatto a trovarmi in così poco tempo? «Cos'è, Hunter? Ora sei passato alle maniere forti? Non pensavo arrivassi a minacciarmi», dissi, accennando all'oggetto affilato che teneva in bella vista.

Lui fece una faccia stupita e poi alzò il metallo. «Questo? Come se bastasse un pezzo di ferraglia per domare questo cavallo pazzo.»

Cercai invano di nascondere un sorriso e risposi: «Sei di buonumore stamattina?»

«Potrei dirti di sì, se solo non fosse per il fatto che ho dovuto correre un bel po' per recuperare una ragazzina confusa», parlò in tono leggero, giocoso, ma non stava affatto giocando. Anzi, aveva fatto centro. Mi si parò davanti e mi costrinse a fermarmi, guardandomi attentamente con quei suoi occhi ambra. «Non volevi davvero scappare. Non mi avresti detto il tuo nome ieri notte se solo avessi voluto andare via. Lo capisco, può essere terrificante finir catapultati in tutto questo contro il proprio volere, ma da sola non riuscirai mai a venirne a capo», si inumidì le labbra e poi continuò a parlare. «Ascolta, ti propongo una sorta di patto: vieni con me e passa del tempo al rifugio, apprendi tutto ciò che Laryngard può insegnarti e poi deciderai cosa fare: se andare via o restare con noi. E poi, non vuoi sapere se c'è davvero qualcosa di speciale in te?»

Mi costava molto ammettere che, quando s'impegnava, Hunter ci sapeva proprio fare con le parole. Ma ancor di più, mi costava ammettere a me stessa che nelle sue parole c'era un fondo davvero profondo di verità; scoprire se i dubbi di Victor e di Laryngard fossero motivati mi metteva in agitazione. Ero fermamente convinta che fossero tutte idiozie, ma era pur vero che c'era più che qualche semplice probabilità che non fosse tutto frutto di menti con una fervida immaginazione. L'esistenza del Thanodor era comunque un fattore preoccupante: testimoniava l'esistenza della magia, era inutile negarlo.

Hunter continuò ad osservarmi, soppesando una mia possibile reazione. «Non volevi davvero andare via», ripeté ancora.

Mi voltai e iniziai a camminare nella direzione opposta, verso la locanda. «Parli troppo, te l'hanno mai detto, soldato?»

Lo sentii seguirmi e affiancarmi. «Sì, qualcuno ha già accennato a questo particolare», rispose, riferendosi alla prima volta in cui gliel'avevo fatto notare.

Il mio stomaco emanò uno strano verso, contorcendosi per la fame. Hunter dovette accorgersene perché mi dedicò una di quelle occhiatacce che si usano con i bambini disobbedienti. «Ti ho vista, sai», disse dopo una breve pausa, «potevi tenere quella mela per te e invece l'hai data a quel randagio.»

Non aveva fatto nessuna domanda, ma io risposi lo stesso, scrollando le spalle. «Ne aveva più bisogno di me.»

Sulla soglia dell'ingresso della locanda, Hunter mi invitò a salire per recuperare le nostre cose mentre lui cercava qualcuno disposto a vendere almeno un cavallo. Annuii e prima di andare gli chiesi come avesse intenzione di pagare il pernottamento, ricevendo un secco e sicuro «mi inventerò qualcosa.»

Attraversai spedita la grande sala, diretta alle scale che mi avrebbero portato alla mia camera. Alla mia destra vi era il resto della locanda; alcuni tavoli erano ridotti a legna da ardere, segno che la sera prima qualcuno avesse alzato troppo il gomito. Sulla mia sinistra, invece, c'era il bancone. La proprietaria Clare puliva con uno straccio dei bicchieri e li lasciava depositare nella dispensa alle proprie spalle da un ragazzino magro, dall'aspetto trasandato e quasi sudicio. I capelli, visibilmente sporchi, gli si erano appiccicati sulla fronte. Entrambi posarono lo sguardo su di me, e strabuzzarono gli occhi per un istante così breve che mi parve di averlo sognato. Mi accigliai, domandandomi il perché di tale reazione. Poi balenò un pensiero orribile nella mia mente: che mi avessero riconosciuta? Mi sbrigai a salire le scale e mi precipitai in camera.

Non riuscii a chiudere la porta alle mie spalle perché la vista del tenente Chase accanto al letto me lo impedii.

«Hunt-», provai a strillare ma fui prontamente bloccata da una mano alle mie spalle. La porta venne chiusa con un colpo e un terzo Custode comparve nella mia visuale, con un fastidioso ghigno sul viso. Chase, invece, era stranamente tranquillo.

«Per favore, ho un tremendo mal di testa questa mattina, per cui non opporre resistenza e tutto filerà liscio», mi consigliò, sbattendo più volte le palpebre e alzando un sopracciglio. Non mi guardava neppure, sembrava addirittura infastidito di essere lì in quel momento.

Non avevo alcuna intenzione di essere ancora una volta fatta prigioniera, per cui, mentre il Custode alle mie spalle mi liberava dall'arco e dalla faretra, gli morsi violentemente la mano con cui mi stava tenendo la bocca. Lui cacciò un urlo e io avvertii il sapore del sangue all'interno della mia bocca. Mollai la presa e non persi tempo: gli diedi una gomitata alta in pieno viso, poi lo affiancai e lo feci inginocchiare premendo furiosamente il piede nell'incavo del suo ginocchio.

Balzai sul letto in direzione della finestra semiaperta ma il tenente Chase mi si parò davanti, impedendomi di proseguire.

«Hunter!» riuscii ad urlare con tutto il fiato che avevo prima di essere braccata da entrambi i Custodi; mi tennero immobilizzata sul pagliericcio e mi sovrastarono. Quello che avevo morso mi colpì con il dorso della mano sul viso, facendomi sanguinare il labbro inferiore. Era a cavalcioni su di me mentre l'altro mi teneva ferma, ma io continuavo a dimenarmi, seppur inutilmente.

«Signore?» si voltò verso il tenente rivolgendogli uno sguardo d'intesa, che fece sospirare l'altro.

«D'accordo, ma fate presto. Abbiamo già perso fin troppo tempo», concluse, muovendo la mano e voltandosi verso la finestra.

Confusa, osservai l'espressione soddisfatta del Custode sopra di me, che intanto stava armeggiando con la cinghia del fodero che conteneva la spada con aria frenetica. Capii le sue intenzioni e mi dimenai con sempre più forza, nella speranza di riuscire a togliermelo di dosso. In quel momento la porta si spalancò con un tonfo, mostrando un Hunter completamente in preda alla furia.

Si scaraventò sul Custode che troneggiava su di me, lo afferrò per la divisa e lo gettò sul pavimento. Chase sguainò la spada mentre l'altro uomo cercò di scavalcarmi per arrivare ad Hunter, ma spinsi le gambe contro i suoi polpacci tanto da fargli perdere l'equilibrio e farlo cadere all'indietro sul letto. Feci per scappare ma il Custode mi afferrò la caviglia, mollando la presa soltanto quando gli donai una generosa pedata sulla faccia. Alzai lo sguardo e vidi Hunter pugnalare l'uomo con cui stava lottando, dopodiché - prima che Chase potesse avvicinarsi - estrasse il metallo dal ventre del soldato per lanciarlo contro il tenente. Il pugnale si conficcò nella spalla di Chase che grugnì di dolore.

«Avanti, avanti!» gridò Hunter, afferrandomi e spingendomi fuori dalla camera; riuscii a malapena a recuperare arco e frecce nella corsa. «Sul retro!» mi ordinò.

Il retro della locanda dava su un grande spiazzato, dove al centro vi era un pozzo. Ad attenderci all'esterno c'erano cinque Custodi che ci accerchiarono senza perdere tempo, minacciandoci con le spade e bloccandoci sulla soglia della locanda. Le persone presenti in quel momenti corsero via, strillando per il timore dello scontro.

Sentii Hunter irrigidirsi accanto a me, teso. «Fatevi sotto!» abbaiò, e il primo soldato lo accontentò subito: gli corse incontro, alzando il braccio armato. Con un gesto rapido, Hunter spezzò la punta di una delle frecce nella faretra, bloccò il braccio del Custode con la mano libera e gli assestò un pugno alla gola con l'altra. Il Custode mollò la presa sulla spada e si portò entrambe le mani al collo; i guanti neri si inondarono di liquido scuro, di tutto il sangue che fuoriusciva dall'apertura della carne provocata dalla cuspide bloccata ancora nella sua gola. Annaspò nel suo sangue, poi crollò, permettendo ad Hunter di impossessarsi della sua spada.

I suoi compagni cacciarono un grido e si scagliarono contro di noi. Hunter agganciò il suo braccio al mio, mi strattonò e mi fece posizionare velocemente dietro di lui, schiena contro schiena. Sentivo lo stridio delle spade mentre entravano in collisione l'una con l'altra e percepivo i muscoli del Sovvertitore tendersi e sforzarsi in modo fin troppo chiaro sulla mia pelle. Volevo aiutarlo ma c'era qualcosa che mi paralizzava; la stessa sensazione di impotenza che avevo sentito nella foresta quando avevo ucciso per la mia prima volta era tornato a farsi vivo e mi teneva prigioniera nel momento meno adatto possibile. In quello stato, ero soltanto un peso per il soldato buono.

Hunter mi stava letteralmente proteggendo con il suo corpo, mettendo a rischio la sua vita, tant'è che se effettuava un movimento, mi costringeva a seguirlo proprio come se fossi la sua ombra.

Da quello che riuscivo a vedere, aveva abbattuto uno dei Custodi, ciò significava che ne restavano soltanto tre. Ma proprio quando iniziavo a pensare che ci sarebbe stato un esito positivo per noi, grazie all'abilità del mio protettore, un Custode parò l'affondo di Hunter e lo colpì prima al viso e poi alle gambe. Lo costrinse ad inginocchiarsi e premette il manico della spada sulla ferita al braccio; Hunter grugnì e lasciò la presa sull'arma. Ed eccolo, il momento esatto in cui mi sentii finalmente libera da quel blocco, come una scarica di adrenalina arrivata per infuocarmi le vene: potevo agire.

Sferrai un calcio violento all'altezza dell'intestino del Custode che indietreggiò rischiando di perdere l'equilibrio. Lo colsi alla sprovvista, non si aspettava che potessi combattere anch'io, e approfittando di quel vantaggio sollevai l'arco con entrambe le mani e lo usai per colpirlo in pieno viso. Perse completamente l'equilibrio e cadde sul lato, atterrando sul terreno, prono.

Spostai con il piede la spada verso Hunter che l'afferrò subito, si alzò e assestò un calcio alla tempia del Custode che io avevo atterrato, facendolo svenire. Eravamo di nuovo nella posizione iniziale, ma adesso non gli ero più d'intralcio. Lui bloccò l'attacco di un altro Custode e intanto io avevo già piantato un ginocchio nel terreno e avevo scoccato una freccia nella coscia dell'altro soldato rimasto. Poi, forti tonfi alle mie spalle mi fecero voltare appena in tempo per accorgermi di Chase e dell'altro Custode. Mirai al petto del tenente che abilmente si spostò verso sinistra, uscendo dal mio campo visivo. In compenso, la freccia colpì il suo compagno, uccidendolo. E mentre osservavo il suo corpo crollare sul legno scuro, alla mia destra la finestra della locanda andò in frantumi, e da essa sbucò quel dannato tenente, atterrando perfettamente e senza un graffio.

«Vediamo di cosa sei capace», sibilò, incazzato.
Lanciai uno sguardo fugace alle mie spalle: Hunter si era allontanato leggermente e si stava occupando degli ultimi Custodi rimasti. Accidenti. Chase cercò di colpirmi con la spada ma io balzai all'indietro, sgranando gli occhi. Mi mancò per pochissimo per altre tre volte, finché la sua pazienza si esaurì e iniziò ad andarci giù pesante. La spada minacciò di abbattersi sul mio capo ma io mi parai con l'arco che all'impatto con il metallo si spezzò in due tra le mie mani. Barcollai all'indietro e Chase avanzò verso di me, chiudendo la sua mano intorno alla mia gola e continuando a farmi indietreggiare. Urtai contro qualcosa di duro e quando mi spinse ancora di più, capii che dietro di me c'era il vuoto: stava cercando di gettarmi all'interno del gran pozzo. Arrancai, tentando di non cadere e di aggrapparmi alla sua uniforme e nel mentre di prendere fiato.

«A Lord Victor servi viva, ma non mi ha detto di riportarti tutta intera», ghignò e mi spinse ancora di più.

Poi un esplosione attirò la sua attenzione. Proprio alle sue spalle, cominciarono a divampare fiamme altissime. Non persi tempo ad osservarle ma le utilizzai a mio vantaggio: premetti il pollice nel foro lasciato dal pugnale e assestai una ginocchiata alle sue parti basse. Lui sgranò gli occhi e lanciò un fugace grido, allentò la presa su di me quel tanto che bastava per darmi la possibilità di liberarmi e tenermi all'arco in ferro sovrastante, evitando di precipitare.

Chase era piegato in avanti, dolorante, con una mano poggiata sulla pietra. Senza pensarci su, digrignai i denti e premetti il piede contro la sua natica; perse l'equilibrio e fece per cadere, ma con agilità si aggrappò alla carrucola e piantò i piedi sul bordo del pozzo, riacquistando stabilità. Balzò giù e iniziò ad avvicinarsi mentre di fretta io afferravo uno dei secchi rovesciati sul terreno e lo tiravo con forza sul suo viso. L'impatto ammaccò il metallo e atterrò il Custode, crollato a terra con un rumore sordo. Non mi accertai che fosse morto, ero già grata alla Grande Madre di essermela cavata e di essere ancora viva, così scappai nell'altra direzione massaggiandomi il collo che pulsava di dolore. Mi sentivo il viso sporco e probabilmente perdevo ancora sangue per colpa del Custode che mi aveva colpita in camera, ma ero troppo occupata ad allontanarmi da lì per preoccuparmene.

Hunter aveva ferito ed ucciso tutti gli altri Custodi e si trovava poco distante dall'entrata della locanda. La parte destra di quest'ultima era ricoperta di fuoco, ma la peggio la stavano avendo le stalle. Nessuno accorreva per sedare il fuoco perché troppo spaventati dallo scontro e dalle guardie del Maestro.

«Stai bene? Stai sanguinando» mi chiese, ansimante. In una mano aveva la spada e nell'altra aveva la cinta alla quale era fissato il fodero dell'arma, entrambe le cose sottratte ad uno dei Custodi.

Annuii, nonostante non ne fossi completamente convinta; avrei fatto più tardi l'inventario dei danni riportati. Mi limitai soltanto a passare il dorso della mano sulle narici, scoprendo che stavano sanguinando proprio come aveva detto il soldato.

«Andiamocene», ordinò, guardandosi ancora intorno per essere certo di non ricevere altre sgradevoli sorprese. Aveva ragione. Probabilmente il tenente Chase era svenuto ma avrebbe potuto alzarsi da un momento all'altro e sia io che Hunter eravamo troppo stremati per poterlo affrontare.

In quel momento, gran parte del tetto della stalla venne giù, sollevando una grossa nuvola di fumo e fiamme. Potevo sentire il nitrito dei cavalli che, spaventati, cercavano una via di fuga.

«Vi prego, aiutatemi! Aiutate i miei cavalli, ve ne prego!» supplicava un uomo poco più che anziano, probabilmente marito della signora Clare. Chiedeva aiuto ai suoi compaesani che si tenevano a debita distanza dai cadaveri dei Custodi. Da noi.

Disperato, l'uomo si avvicinò con cautela. Aveva una ferita aperta sulla fronte ed era sul punto di piangere. «Vi imploro, salvate i miei cavalli. Uno di loro si è liberato ed è tremendamente spaventato, non sono riuscito a calmarlo, è indomabile. Vi prego, aiutatemi a liberarli.»

Io lo fissavo, in pena per lui, e non riuscivo a voltare le spalle e andarmene semplicemente: c'era qualcosa dentro di me che mi spingeva verso la stalla, qualcosa che mi attirava a salvare quei poveri animali. Non potevo lasciarli morire.

«Sage! Non puoi andare, sta crollando tutto!» il Sovvertitore mi afferrò il braccio, fermandomi prima che potessi addentrarmi in quella coltre di fuoco.

«Ci penso io», dissi ad entrambi gli uomini davanti a me, mi liberai dalla stretta di Hunter e, con il braccio contro la bocca per proteggermi dal fumo, entrai. Era difficile poter intravedere qualcosa, si sentiva solo il cigolio del legno che stava per cedere, ormai consumato, e i lamenti delle bestie imprigionate lì dentro.

I cavalli all'interno dei recinti erano nervosi, si dimenavano e cercavano di fuggire; potevo avvertire tutta la loro paura, quasi come se la stessi provando anch'io, e probabilmente era così. Ad uno ad uno, aprivo i recinti e mi scostavo prima che l'animale potesse sbattermi a terra. Dovevo sbrigarmi ad uscire di lì perché respirare si stava rivelando sempre più difficile, e sentivo il fumo che mi ostruiva le vie respiratorie.

«Esci di lì, Sage!» gridò più volte Hunter dall'esterno. Tossii, ignorandolo e continuando ad aprire i recinti.

Ero intenta a liberare l'ultimo cavallo chiuso in quella trappola di fuoco quando avvertii cigolii netti sopra la mia testa. D'istinto balzai a sinistra, più vicina all'uscita, e qualche istante dopo grandi travi piombarono giù, distruggendo quattro recinti ormai vuoti. Sarebbe stato un disastro se non avessi fatto in tempo.

Poi, dalle nuvole di fumo, sbucò il cavallo impazzito di cui aveva parlato l'uomo. Scalciava, spaventato, e fece per travolgermi ma mi tirai indietro, per poi cadere di sedere sul terreno. Si sollevò sulle zampe posteriori continuando a nitrire, e poi atterrò violentemente sul terreno. Rotolai con uno scatto, spostandomi dalla traiettoria delle sue gambe possenti. Eravamo vicinissimi all'uscita, così strisciai velocemente tanto da poter avere più possibilità di movimento e scappare.

Il cavallo continuava a tirare calci a tutto ciò che trovava, diventando aggressivo e pericoloso anche per se stesso.

«Sage!» gridò ancora il Sovvertitore, timoroso.
Io mi poggiai sul un ginocchio con lo sguardo fisso sull'animale, mentre intanto muovevo una mano verso Hunter. «No, stai indietro. Lo spaventerai di più.»

La mia voce attirò l'attenzione del quadrupede, che si avvicinò con fare minaccioso nella mia direzione. Mi accorsi che era una femmina proprio quando stava per risollevarsi e schiacciarmi, ma mi bastò un sussurro netto e deciso per impedirglielo: «Ferma!» ordinai.

La cavalla sembrò ascoltarmi, in qualche modo, e si limitò a muoversi sul posto, nervosa. «Sta' tranquilla, va tutto bene. Buona, buona.»

Con una lentezza estrema, mi rimisi in piedi non smettendo nemmeno per un secondo di sussurrarle parole in tono gentile per calmarla. Ci riuscii quasi del tutto, avvertendo il cambiamento nel suo atteggiamento; ora è più rilassata, si sentiva quasi sicura. E fu palese quando mi permise di accarezzarle il muso, in primo momento, e poi si lasciò toccare e addirittura montare. Era sorpresa e soddisfatta al medesimo tempo.

«Ma come hai fatto? Io non riesco mai a calmarla», esclamò stupito il vecchio, avvicinandosi con cautela, ancora spaventato dal suo stesso animale.

Lo ignorai e fissai Hunter, che aveva uno sguardo strano e fermo su di me. Mi stava soppesando, stava pensando a qualcosa. «Hunter, dobbiamo andarcene per davvero adesso!» guardai oltre la mia spalla in direzione del pozzo, scoprendo che sfortunatamente Chase era cosciente e si stava rialzando.

Il soldato parve ricordarsi del pericolo ancora imminente e pesante sulle nostre spalle, così si affrettò a mettersi in sella ad uno dei cavalli salvati e mi si avvicinò, mentre io spiegavo al proprietario che era importante che ci lasciasse prendere quei cavalli.

«Ma io come faccio? Dovete pagarmeli!»

«Averli salvati tutti è già una gran bella ricompensa. Ora andiamo», tagliò corto Hunter, piantando i talloni nei fianchi della bestia e lanciandolo al galoppo. Lo imitai senza troppi giri di parole, e insieme ci addentrammo - ancora una volta - nella foresta.

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