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21. Al centro della terra

SAGE

Stava accadendo veramente.

Pian piano, l'unico luogo che era riuscito a farmi sentire a casa dopo la morte di mia madre, si stava svuotando a scaglioni. Essere l'ultima arrivata mi rendeva le cose un po' meno difficili, ma il distacco si stava rivelando comunque dolorosissimo.

Avevamo perso molto più di quanto ci piacesse ammettere: i nostri amici, i nostri ricordi, la nostra dimora. Quel rifugio, che mi ero così fortemente rifiutata di conoscere all'inizio, era molto più di un luogo in cui la resistenza locale si nascondeva. Non eravamo codardi, eravamo soldati, ed eravamo diventati una famiglia. In quelle mura avevano trovato un posto sicuro così tante persone da non poter essere neanche quantificate. C'era chi si era sentito salvo, chi aveva trovato il vero se stesso, chi era nato e cresciuto proprio sotto quel tetto che ormai, per metà, stava bruciando.

Era tutto distrutto. Anche le nostre speranze, oltre che il pavimento sotto i nostri piedi. I volti di chi partiva, dopo un ultimo sguardo, non nascondevano il dolore: sotto i graffi e le ferite, il sangue incrostato e la pelle sporca di terra e fumo, c'era una pura sofferenza, spesso manifestata con le lacrime. Tutti si erano emozionati, dal più anziano al più giovane, e molti tentavano di consolarsi ed aiutarsi a vicenda. In un certo senso, quella stoccata maledetta ci stava unendo di più.

Istintivamente, quel pensiero mi portò al brutto momento passato poco prima, e al fatto che fosse bastato un gesto da parte di Hunter a farmi sentire al sicuro. Avevo quasi paura di tradurre quelle sensazioni in parole, soprattutto perché una volta fatto sarei stata costretta a fare i conti con una realtà magari troppo scomoda, o irrealizzabile. 

Non era un buon momento per pensarci, seppur la vicinanza ''forzata'' fosse un vero e proprio monito a farlo per la sottoscritta. Ero una risorsa importante per l'Ordine e per lui, ma mi piaceva pensare di esser divenuta importante anche a prescindere dal potere che mi scorreva nelle vene. Non che ci fosse qualcosa in più, non osavo spingermi così oltre, ma per il legame affettivo che speravo si fosse creato. Forse era stato quello a motivarlo a dirmi: «Resta al mio fianco.»

Così avevo fatto, anche quando si era ricongiunto con Zenda ed Irina, alle quali aveva riservato un abbraccio sincero e sollevato. Gli ero rimasta accanto anche quando aveva parlato davanti a tutti, rassicurando i feriti e non, comunicando loro con la voce rotta di dover lasciare la struttura che ormai ci stava crollando addosso, il puzzo di bruciato che si espandeva in ogni zona del rifugio.


Laryngard era sparito, ma dalla tranquillità di Hunter supponevo che fosse già al sicuro, nel luogo che avrebbe protetto anche noi, per ora ancora sconosciuto.

«Ci siamo quasi, questo è l'ultimo gruppo», comunicò il Sovvertitore mentre aiutava un uomo di mezza età ad entrare nel foro nel pavimento.

«E' assurdo che stia accadendo davvero. Come ti senti?»

«Sono felice che ci siano meno morti di quanto pensassi», fu breve, secco, come se avesse sollevato una barriera tra gli altri è ciò che realmente sentiva.

«Sai cosa intendo...»

«Sì, lo so, è che non voglio pensarci. Ho passato quasi tutta la mia vita tra queste mura, pensavo che mi avrebbero protetto ancora a lungo...», Hunter smise di sistemarsi la sacca contenente il minimo indispensabile per il viaggio sulle spalle e si prese un momento per guardarsi intorno. Sotto tutto il fetore e lo sporco che la battaglia gli aveva lasciato addosso, sotto quella forza necessaria per affrontare quella situazione, c'era un ragazzo profondamente ferito, che aveva dedicato tutto di sé per quel luogo e che adesso era obbligato ad abbandonare.

«Questo posto è nato per salvare vite, è sempre stato questo il suo scopo, e ciò che conta sono quelle vite che siamo riusciti a tutelare oggi. In fin dei conti, sono solo pietre...», chiuse le palpebre e indugiò qualche istante, assumendo l'espressione di chi stava tentando di convincersi ma senza troppo successo. Pronunciare quelle parole gli provocava un dolore che non osò lasciarmi vedere quando si voltò nella mia direzione, ma che io percepii ugualmente.

Strinsi le labbra, avvertendo una punta di fastidio per i tagli al volto che ancora dolevano, prima di tirare un profondo sospiro. «Lo so che non lo sono, non per te... e non è un peccato ammetterlo. Hai dato tutto di te per queste pietre

Si soffermò per un breve istante sui tratti del mio volto, poi annuì e l'angolo della bocca ebbe un guizzo fulmineo. Era come se quell'empatia mostrata l'avesse colpito: ero riuscita a leggergli dentro anche senza superflue parole.

«Hai preso tutto? Dubito che torneremo ancora qui.»

«Quelle poche cose che avevo...», sorrisi, accarezzando il vero prolungamento del mio corpo: l'arco a tracolla, prelevato direttamente dall'armeria, e la faretra in spalla. Da semplice orfana che viveva nella foresta, mi ero evoluta in una sorta di guerriera abile anche con la spada, la quale riposava agganciata alla cintura sul mio fianco, e con la pistola, riposta nella fondina, stretta intorno alla mia coscia. Si poteva dire, dunque, che avessi con me più armi che vestiti puliti, gettati alla rinfusa nella borsa.

Ora somigliavo proprio ad una vera Sovvertitrice.

Hunter sogghignò con fare stanco. «So che non deve essere facile neanche per te.»«Ho cambiato fin troppi villaggi insieme a mia madre da quando...», d'un tratto mi bloccai, consapevole di ciò che avrebbe comportato un ricordo del genere. «Ho cambiato troppi villaggi per poter poi affezionarmi realmente a qualcosa. Eppure... eppure questo posto, nella sua complessità, è stata la cosa che più mi ha ricordato casa.»

Il Sovvertitore annuì, pensieroso, il labbro inferiore in evidenza per il broncio che la mia confessione aveva portato. Sapevo che erano i medesimi sentimenti che stava provando. E me lo dimostrò senza alcuna parola, ma con un sospiro profondo, un cenno col capo, e il movimento lento della mano che mi spostava i capelli umidi dalla fronte. L'ennesimo gesto intimo, capace di disorientare, ma rassicurante e sempre più necessario per me, che non avrei mai immaginato di poter agognare tanto ardentemente il tocco di qualcuno.

Ne ero spaventata, tremendamente spaventata, ma non potevo fare a meno di immaginare come sarebbe stato fare un passo in più, superare quella linea sottile davanti alla quale mi ero ritrovata senza possibilità di tornare indietro, senza possibilità di proseguire per il timore dell'ignoto. Le mie relazioni con le persone, specie con gli uomini, erano pari quasi a zero, e quelle sensazioni, formicolii, brividi che sentivo ogni volta che i palmi di Hunter entravano in contatto con la mia pelle non riuscivo proprio a spiegarmeli se non con una fatale e impronunciabile risposta.

Forse fu per l'espressione che mi aveva imprigionato il viso, forse per lo sguardo fisso su di lui, forse l'aria che ad un tratto era diventata più densa intorno a noi, ma qualcosa spinse Hunter ad avvicinarsi tanto da arrivarmi ad un respiro.

La sua vicinanza mi permise di avvertire un certo nervosismo, quasi palpabile sotto la sua pelle, nel ritmo svelto del suo petto che si gonfiava e si ritraeva all'altezza del mio mento, e in quell'agitazione vi trovai uno spiraglio, una piccolissima sfumatura che colorava anche i miei pensieri, tutti riconducibili a quel momento.

Il cuore e la testa erano in fiamme, e continuarono ad esserlo anche quando lui depositò un prolungato bacio sulla mia fronte, lasciando che il contatto non cessasse, come se fosse impossibile per lui permetterlo ma, allo stesso tempo, impensabile estenderlo fino alle mie labbra, le quali stavano letteralmente bruciando. Era tutto al di fuori del mio controllo.

«Non so come avrei reagito a tutto questo senza la tua presenza qui», si lasciò sfuggire in un sussurro timido, il posto delle labbra che veniva rubato dalla fronte, e per la prima volta assistetti alla versione più vulnerabile di Hunter. Quella che più mi stava facendo battere il cuore.

«Non voglio più scappare», replicai con tutta la sincerità di cui ero munita.

Lui sorrise, poi strinse le palpebre con delicatezza, ed io insieme a lui. In quell'eterno istante, non esisteva più la fuga, il disastro, i mostri e Victor.

Entrambi stavamo riassemblando i pezzi che avevamo perso.

Hunter fu il primo a sciogliere quella stretta mentale, ricordandomi che l'ora era giunta e che non potevamo più rimandare. Così, col cuore diviso a metà, rivolsi un ultimo lungo sguardo alla palestra, teatro di ricordi belli e brutti, di risate, di litigi. Il mio istruttore aveva ragione: non avremmo più messo piede lì dentro.

Mi infilai senza esitare nel buco presente nel pavimento e faticai per poggiare per bene il piede nell'oscurità sulla sbarra di ferro che fungeva da scala.

Il buio mi circondò per qualche istante, poi una luce fioca cominciò a intravedersi e ad illuminare l'ambiente angusto e roccioso.

Percival comparve con due fiaccole tra le mani, il consueto cipiglio sotto la luce arancio del fuoco. Hunter balzò giù dalla scala proprio alle mie spalle dopo aver chiuso sopra la propria testa e ringraziò il grosso Sovvertitore.

Sostenne la luce col braccio teso verso l'alto, permettendomi di vedere al meglio la galleria. Roccia e terreno, nient'altro che questo, e un insistente odoraccio  di muffa e umidità che riempiva le narici tanto da spingere a respirare con la bocca.

«Odio questo posto con tutto me stesso», confessò, cominciando ad avanzare insieme a me.

«Ho per caso scoperto una delle tue paure?» domandai col tono scherzoso, più per smorzare la sua tensione che per scovare realmente nel fondo dei suoi timori.

«No, non è una mia paura, ma stare qui sotto equivale a nascondersi come ratti mentre lì fuori ogni tipo di pericolo imperversa senza argini», spiegò, sempre concreto e vigile quando si trattava del suo popolo.

Hunter era il più dedito alla causa di tutti, anche di Laryngard stesso. Non esitava a sacrificarsi per gli altri, non esitava a proteggere il suolo che calpestava e le persone a lui più care. Capivo perché Laryngard fosse così contrario all'idea di confessargli il suo segreto: conosceva suo figlio, sapeva che Hunter poneva già gli altri prima di se stesso, e se avesse saputo che colui da proteggere condivideva con lui lo stesso sangue, si sarebbe buttato nel fuoco per non far sì che a suo padre fosse inferto un graffio.

«Hunter Montraei, il grande guerriero del Terzo Humus...», sorrisi, calciando i sassolini sotto i miei piedi con la punta degli stivali leggeri. «Posso farti una domanda?»

«A patto che tu non sia ancora intenzionata a burlarti di me, forse...» rispose, seguendo il percorso e "svoltando" a sinistra.

«Farò del mio meglio, ma non posso promettere nulla», esclamai, inumidendomi le labbra con la punta della lingua per trattenere un sorrisetto furbo, lo stesso di un bambino a cui è impossibile chiedere di non fare i dispetti. «Come sei finito a fare ciò che fai?»

Sul volto scarno di Hunter comparve un sorriso genuino che non aveva nulla a che vedere con quelli carichi di nostalgia e tristezza sfoggiati fino a poco prima.

«Suppongo che il mio innato senso di giustizia abbia scelto per me prima ancora che Laryngard mi mostrasse questo modo di vivere», fece una pausa, per poi affermare: «Il mio primo vero salvataggio è stato nei confronti di Zenda.»

«Mi hai accennato che la vostra conoscenza risale a molto tempo fa, giusto? Sin da giovanissimi.»Il mio interlocutore annuì distrattamente, perso per un attimo in pensieri lontani. «La giovane Zenda attirava più problemi di quanto non ne attiri oggi, ma non è stata completamente colpa sua. E' cresciuta in una famiglia sbagliata.»

Colse la mia aria confusa e sospirò, forse chiedendosi se fosse il caso o meno aprire quel determinato capitolo duro anche per lui. «Zenda è cresciuta in una famiglia di soli uomini il cui pensiero della figura femminile equivaleva al possesso di un oggetto. E la usavano e trattavano come tale, l'hanno fatto fin quando Laryngard e io non l'abbiamo portata via.»

Il racconto, sunto di una parte di vita più profonda e dolorosa, mi attraversò con sorpresa e mi lasciò un velo di tristezza addosso. Capivo, sebbene non lo giustificassi, il comportamento adottato da Zenda, la sua insicurezza e l'attaccamento che aveva nei confronti di Hunter, ben prima del mio arrivo. Era una donna spezzata all'interno, anche più di quanto la metà delle donne nel rifugio fossero.

«Mi dispiace seriamente per lei, nonostante tutto... Ti deve la vita che sta vivendo, Hunter. Non sarà felice, ma di certo è più semplice di quella che l'aspettava», espressi i miei pensieri a voce alta, ottenendo così il suo parziale appoggio. Convinto di averla salvata dal peggio, non era poi così sicuro di averle donato una serenità totale.

«Dubito mi si possa attribuire il merito di averle donato una vita più semplice...», mormorò, e nonostante questo la sua voce riecheggiò tra le mura rocciose dei sotterranei.

Chiedergli perché fosse di quell'opinione sarebbe stato sciocco, sapevo che probabilmente si riferiva al loro rapporto ormai giunto al termine. «Non ha preso bene la vostra rottura? O desideravi per lei una vita tranquilla?»

«Desidero per ogni singolo soldato una vita tranquilla. Ma non possiamo ottenere la pace senza combattere per essa, non nella situazione in cui ci troviamo. Per quanto riguarda me e Zenda, invece... la nostra non è stata una vera e propria relazione», sospirò, leggermente imbarazzato. «Prendevamo dall'altro ciò che ci veniva offerto, forse io ho preso fin troppo e ho dato troppo poco...», aggiunse, tenendo alta la fiaccola sulla sua testa.

Provai a riflettere e ad immaginare cosa volessero dire esattamente le sue parole. Analizzando il comportamento di Zenda nei suoi confronti, era abbastanza palese che, seppur la storia - a detta di Hunter - fosse ormai conclusa, lei avesse ancora un attaccamento sentimentale, nel senso più profondo del termine, mentre lui non l'aveva neanche sviluppato per davvero. Ma la mia era soltanto un'ipotesi.

«In un rapporto non si dà mai troppo o troppo poco, secondo me, si dona soltanto ciò che si ha per quella persona», forse stavo semplicemente riflettendo ad alta voce, ma con la coda dell'occhio notai lo sguardo di Hunter fisso di fronte a sé, come se stesse rimuginando su quanto ascoltato. «Ma cosa vuoi che ne sappia io, che ho passato gran parte della mia vita lontana da tutti.»

«Pensi che tua madre ti tenesse eccessivamente protetta perché sapesse?»

La domanda mi fece incespicare nel terreno. Credere che mia madre fosse stata capace di mantenere quel segreto persino in punto di morte, lasciandomi così alla mercé del mondo senza la possibilità di conoscere davvero me stessa, mi feriva peggio di un diretto di Zenda in pieno viso. Scossi la testa, gesto seguito poi da una scrollata di spalle.

Hunter capì, e mi salvò dai miei stessi pensieri cambiando del tutto argomento. «Scommetto che non hai passato in ogni caso la tua vita lontano dalla civiltà. Avrai avuto degli amici, anche poco raccomandibili, un ragazzo...»

Sgranai gli occhi quasi inconsapevolmente, sperando che la semi oscurità e la distrazione del Sovvertitore giocassero a mio favore, aiutandomi a non far trapelare ulteriormente un imbarazzo sopraggiunto con sorpresa.

«Da bambina, poco prima di lasciare il mio villaggio natale», precisai, sperando che non indagasse oltre. Non ero ancora pronta a raccontare certi particolari della mia storia.

Fui grata quando, grazie - o a causa - di Percival che era tornato indietro per informarlo che altri due membri della nostra famiglia non ce l'avevano fatta, Hunter lasciò cadere l'argomento, e fu in quel momento che, colta dal dispiacere, tentai in tutti i modi di focalizzare la mia attenzione altrove, sulle ombre presenti e persistenti contro le pareti. Chiesi di che cosa si trattasse, e quando Hunter illuminò la parte indicata riuscii a scorgere dei fili tesi e lunghissimi, tanto argentei da riflettere la luce calda della fiaccola.

«Che cos'è quello?» chiesi, indicando il punto desiderato con l'indice. Mi guardai alle spalle, accorgendomi di come quei cavi percorressero tutta la parete di roccia, probabilmente fino all'entrata dei sotterranei. E proseguivano oltre il mio campo visivo, proprio di fronte a me.

Gli occhi ambra di Hunter volsero verso l'alto, scrutando l'oggetto della mia curiosità, e poi un accenno di sorriso comparve sul suo volto magro. «Lo vedrai», disse soltanto.

«Da quando in qua trai piacere nel tenermi sulle spine?»

«Sto rivalutando molte delle mie abitudini da quando ti conosco, Sage.»

Il tempo passato lì sotto cominciava ad apparirmi ignoto: non riuscivo a rendermi conto se fosse passata un'ora o un giorno intero. Le gambe cominciavano a diventare pesanti sotto le falcate insistenti e ripetute, così come la schiena considerato il peso che stava reggendo e la totale assenza di un momento di riposo per acquietarne la stanchezza. Gli argomenti di conversazione con Hunter erano stati molti di più di quanto mi fossi aspettata; ci stavamo vicendevolmente facendo addentrare nelle più intime parti del nostro animo, nella speranza che non fosse un errore. Ad un certo punto mi chiesi se fosse così, se avesse questo genere di legame con altre persone. Quel contatto poco prima di lasciare la nostra base... Grande Madre, se mi bruciava ancora sulla pelle, come se quel bacio sulla fronte avesse lasciato un solco invisibile che desideravo colmare con tutto il mio essere. Mi posi un altro quesito e mi domandai se anche lui provasse lo stesso. Non potevo aver frainteso.

Non so come avrei reagito a tutto questo senza la tua presenza qui.

No, non era un affetto fraterno, era di più. Lo sentivo scorrere nel sangue. Avrei mai potuto sbagliarmi così tanto?

Non sapevo neanche se fosse lecito fare quel genere di pensieri nel momento in cui mi trovavo. In fuga, senza una casa, ammaccata e col cuore in pezzi per le perdite subite. Ma in fiamme perché Hunter era stato capace di accendermi. Niente o nessuno ci era mai riuscito prima.

«Sei diventata stranamente silenziosa, pensi sia il caso di preoccuparmi?» chiese Hunter, riscuotendomi dalla mia meditazione.

Abbozzai un sorriso nel tentivo di occultargli un imbarazzo immotivato, visto che non poteva neanche immaginare dove andassero a parare certe mie fantasie, e mi sistemai delle ciocche ancora umidicce dietro l'orecchio. «Da quando mi sono unita a voi c'è ben poco spazio libero per coltivare i pensieri, dammi tregua...»

«Ciò che riesce a zittirti mi provoca ammirazione oppure una profonda paura», mi prese in giro, mentre in sottofondo si facevano sempre più evidenti le voci degli altri - ormai - sopravvissuti.

Era un controsenso ben definito quel suo tono bisognoso di strapparmi una risata su uno sfondo oscuro quale era la nostra situazione attuale, ma la semplicità delle sue buone intenzioni stava proprio lì, nel tentativo di alleggerire almeno a me il peso che lui stesso stava portando e sotto il quale si sentiva schiacciare. Chiunque l'avesse visto in volto avrebbe invidiato la sua calma, ma chi lo conosceva discretamente bene quanto me sapeva perfettamente cosa si stesse celando dietro quelle rughe che gli si erano create in mezzo alle sopracciglia chiare.

«Niente di così grave, mi chiedevo quanto tempo ci volesse ancora per arrivare a destinazione, e se i cavalieri dei Grifoni e dei cavalli fossero già lì», il mio tono di voce era parso strano persino a me, così serioso e preoccupato.

«Il fatto che tu stia diventando sempre di più simile a me e al modo di pensare di un vero Sovvertitore mi rincuora. In ogni caso, non darti troppo crucci: so che sei preoccupata, ma staranno benone. E a breve anche noi saremo fuori di qui», terminò di parlare solo per allungare il braccio destro all'indietro, il palmo che si posò sul mio ventre il tempo necessario per far sì che mi fermassi sul posto. Lui avanzò di qualche passo, allungò il collo per vedere l'andamento del gruppo di chiusura e torno a guardarmi. «Non vorrei che i bambini vedessero quello che sto per mostrare a te.»

Con l'aria confusa e incuriosita, l'osservai posizionarsi di fronte ad una parete di roccia che tastò insistentemente con le mani, fino a spingerla verso l'interno e aprirsi un varco segreto dentro le mura. Ammirata, non riuscii a trattenere un sorrisetto contento: l'addestramento da Sovvertitrice aveva anche risvegliato in me una passione per l'avventura, per la scoperta... e la fievole luce azzurrina che fuoriusciva dall'anfratto e che illuminava metà del volto di Hunter gridava mistero e intrigo a gran voce.

«Ci siamo. Te ne resti lì impalata oppure hai intenzione di seguirmi?» domandò guardandomi da sopra la sua spalla e beandosi del mio stupore bambinesco.

Attraversammo l'entrata di pietra e seguimmo la scia di luce per qualche metro prima di svoltare a destra, in una rientranza. Non avrei saputo dire con esattezza che cosa mi fossi aspettata, ma ciò che mi si parò davanti doveva esser ritenuto fuori da qualsiasi tipo di immaginazione.

La forma era quella di un grosso barile ma di metallo, avente spesse protuberanze che uscivano da esso... o probabilmente ci entravano. La luce, invece, proveniva dal centro e dai lati; alcune erano fisse, altre lampeggiavano in maniera lenta.

Per quanto fosse affascinante posare gli occhi su un congegno simile, mai visto prima sul territorio, non avevo la minima idea di che cosa fosse. Se Hunter me lo mostra con questo entusiasmo, pensai, non può che essere qualcosa di buono.

D'un tratto, quella cosa si mosse emettendo uno sbuffo, e quasi parve prendere vita propria. Neanche la presenza di Hunter e il fatto che avesse sollevato il palmo per assicurarmi che non ci fosse alcun pericolo mi fermò dal correre all'elsa e alla fondina posizionata intorno alla coscia.

«Calmati, guerriera in erba, non c'è pericolo qui», mi prese in giro col sorriso, accennando al gesto fatto d'istinto; la presa su un'arma era ormai diventata un prolungamento del braccio stesso.

Ricambiai il suo sorriso sornione. «C'è un istruttore che pretende il massimo, e comincia a diventare isterico se non si soddisfano i suoi criteri...»

«Ah, quindi sarei isterico?»

Ridacchiai e nel farlo riempii l'ambiente angusto rendendolo quasi più confortevole, ma tornai prontamente seria poiché la curiosità ebbe la meglio. «Che cos'è?»

«Questo è il cuore del nostro rifugio. E' ciò che ci permette di avere l'elettricità... la luce nei contenitori nel soffitto, per citare qualcuno, ciò che ci permette di avere acqua corrente», mi spiegò, ammirato ma non del tutto sicuro nel tono della voce, come se non fosse completamente certo dell'argomento. «Insomma, è tutto ciò che di nuovo hai incontrato fino ad oggi. I gemelli hanno risistemato questo aggeggio, saranno capaci di darti più spiegazioni di quante te ne possa dare io», fece con un sorriso quasi imbarazzato.

Non era la prima volta che sentivo nominare questi rinomati gemelli, ma non mi dilungai a domandare a me stessa o ad Hunter chi fossero, perché ero troppo ipnotizzata dalle lucine lampeggianti sullo stranissimo oggetto.

«E' così... bizzarro, ma allo stesso tempo è affascinante», ammisi, rapita. Rivolsi un'occhiata al viso di Hunter, illuminato dal blu, poi dal rosso e dal bianco, e lui ricambiò con uno sguardo più che eloquente. Nei suoi occhi lessi una soddisfazione chiara, sapeva che mi sarebbe piaciuto e la mia reazione non aveva deluso le aspettative.

«Io e i ragazzi abbiamo parlato moltissime volte di questo, delle stramberie che venivano fatte passare per normalità, ma nessuno di loro si è mai dato una vera e propria risposta. Da dov'è che viene tutto questo?»

Lo sguardo di Hunter si illuminò, e le emozioni che avevo intravisto si fecero ancor più chiare. Sollevò l'angolo della bocca, poi parlò: «Sono dei regali da un passato futuro, e non vedo l'ora di mostrarti l'origine di questi doni.»

Quando i piedi cominciarono a farmi male davvero s'avvertì il fischio del vento leggero nelle gallerie, insieme ad una luminosità crescente man mano che si proseguiva. Per quanto fosse sicuro restarsene lì sotto, non mi andava particolarmente a genio assumere la figura del ratto che si nascondeva dal pericolo. Per non parlare del fatto che di ratti, lì sotto, ne avevo visti a sufficienza, così come ragni e scarafaggi. Uno spasso. Ero legata alla natura e a tutte le sue creature nel sangue, per nascita, ma anch'io avevo delle preferenze al riguardo.

Fui grata quando Hunter mi fece un cenno per farmi intendere che c'eravamo quasi, che ben presto avrei respirato nuovamente aria pulita, come stavano facendo ormai molti degli apri fila. Mi chiedevo se fossero al sicuro, se le terre in cui ci stavamo addentrando non fossero ricolme di Custodi pronti a falciarci. O peggio, di mostri mezzi umani e mezze bestie che si suicidavano per chissà quale assurdo motivo. Hunter mi aveva spiegato la scoperta fatta con Asery, ma entrambi non eravamo riusciti a dare un senso logico o quantomeno plausibile alla creazione di quegli esseri alati, per non parlare delle loro stesse intenzioni. Perché, per assurdo, sembrava proprio questo: che prendessero vere e proprie decisioni e che non agissero per mero istinto.

Tutta quella situazione era fin troppo strana. E poi, come avevano fatto a scovare il nostro rifugio? Non ci erano riusciti neanche i Custodi, e quella fortezza esisteva da ben prima che arrivassi io. Era inspiegabile, c'erano fin troppi punti che non tornavano.

Durante il viaggio sotto terra, in qualche momento di riflessione silenziosa, mi ero anche incolpata di aver causato tutto quel dolore. Era come se una volta messo piede tra i Sovvertitori, questi fossero stati investiti da una valanga di eventi tragici. Se avessi manifestato quei pensieri ad Hunter sicuramente mi sarei beccata una leggera lavata di capo con il solo scopo di farmi comprendere che non dovevo caricarmi il peso di tutto il mondo sulle spalle, come avrebbe detto lui. Non aveva tutti i torti: alla fine, superate le difficoltà iniziali, ero riuscita ad integrarmi parecchio e in maniera significativa, sia come Sage che come figlia della Grande Madre. Era innegabile, però, che molte delle mie decisioni, azioni, o semplicemente il bisogno di proteggermi a qualsiasi costo avesse provocato danni e vittime ad un livello improponibile. Non volevo essere quel genere di persona, non volevo scappare, non volevo essere trattata come se fossi stata fatta di vetro.

«Appena fuori dalle gallerie ci sarà un po' di roccia da scavalcare, se sei troppo dolorante per farlo non esitare a dirmelo» esclamò Hunter, rivolgendomi un'occhiata di sbieco.

Annuii, ricordando in quel momento che effettivamente il mio fisico non era al suo meglio. L'adrenalina del combattimento mi aveva fatto dimenticare i danni accusati dopo lo scontro con Zenda, ma il viso faceva ancora male, come un po' tutto il corpo. Mi sfiorai la zona perioculare, sperando che non fosse ancora impresentabile.

«L'occhio è ancora livido ma il gonfiare sembra star scomparendo del tutto», disse dopo averlo notato.

All'arrivo del piccolo cumulo di pietre, io e Hunter ci aiutammo a vicenda, provocandoci una risata quando un masso si spostò leggermente sotto il suo piede e rischiò di farlo scivolare. E finalmente fuori, inalammo profondamente l'aria che, leggera, ci sferzava le gote.

Eravamo nuovamente immersi nella natura, il profumo di terriccio umido che mi riempì le narici quasi con piacevole violenza, un gufo bubolava forte... davanti a noi un sentiero che ci condusse fuori dal fitto di quella che doveva essere la Foresta di Avorsel. Avrei dovuto attendere un'altura per scorgere qualche luogo conosciuto, per orientarmi e immaginare in che territorio fossimo. Il buio nel quale eravamo immersi di certo non aiutava, era chiaro, ma agevolava una fuga sicura a quasi un centinaio di persone. Il fatto che fossimo divisi in gruppi aiutava, nel caso non avrebbe destato troppi sospetti, e sperai che la gran parte di essi fosse già arrivata a destinazione da un pezzo, sana e salva.

Ero fortemente eccitata all'idea di addentrarmi in un luogo sconosciuto, di vedere che tipo di sorprese avessero ancora in serbo per me i Sovvertitori, ma mai sarei stata in grado di immaginare che potessero condurmi lì.

Abbandonata la vegetazione, il terreno aveva preso ad esser cosparso da sassolini che avanzando divenivano sempre più grossi, fino a sostituirlo completamente con una superficie dalla consistenza dura e scura. Gli alberi erano spariti, così come i cespugli, il verso degli animali notturni, e al loro posto delle carcasse in ferro arrugginito, alcune in uno stato tale da sembrar resti di un furente incendio. All'orizzonte, una quantità impossibile da definire di edifici altissimi, fatiscenti, distrutti, sulle cui vetrate però la luna rifletteva in tutta la sua maestosa pienezza. Mi bloccai di colpo, affascinata da quello spettacolo tetro ma anche terrorizzata dalla consapevolezza di aver violato la prima vera regola che veniva impartita sin da bambini: mai superare i confini che dividevano il Terzo Humus dagli altri Territori.

Mi voltai di scatto, l'angoscia che mi assaliva, e sollevai lo sguardo verso l'alto, aspettandomi di vedere i Custodi dall'alto delle loro torrette, ma non riuscii a scorgere nulla.

«Tranquilla, i Custodi non possono scoprirci», disse Hunter, facendomi trasalire e riportandomi alla realtà. «Gli alberi sono troppo alti, rendendo questo un punto cieco perfetto, e la notte è una fantastica alleata.»

«Abbiamo viaggiato per un giorno e mezzo?»

Il Sovvertitore annuì, e solo in quel momento mi accorsi della lieve stanchezza sul suo volto, probabilmente la stessa che era presente sul mio. Non potevo credere di aver retto così a lungo.Tornai a guardare di fronte a me, ancora incapace di avanzare di un passo, ammirata. «Non ci posso credere», esclamai soltanto.

Hunter ridacchiò, annuendo ancora nella penombra. «Già, fa questo effetto a tutti», ammise, per poi aggiungere con tono fiero: «Benvenuta nel Secondo Humus, Sage.»

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