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19. Nessun posto come casa

SAGE

Il caos dilagava tra le pareti antiche che ospitavano tutto l'Ordine dei Sovvertitori, le stesse che, di lì a poco, sarebbero state prese di mira dal nemico che stava arrivando.

Il via vai frenetico si divideva tra coloro che fuggivano dal pericolo mettendosi in salvo e i soldati pronti a difendere la propria casa. Mi feci strada tra i bambini che correvano via dalla mensa, spaventati, in cerca dei loro genitori o di qualcuno che dicesse loro dove andare, cercando di scovare con lo sguardo la stazza di Percival o i capelli scuri di Kenneth. Non comparvero nessuno dei due, ma in compenso notai la figura snella di Irina avanzare dal fondo del corridoio insieme ad altre persone, mentre aiutava gli altri dicendo loro dove dirigersi e cosa fare, nel modo più svelto possibile, e mi bloccai sul posto, poco più avanti dell'armeria.

«Irina», chiamai, fermando la sua veloce falcata con la mano posata sul suo braccio scoperto.

«Non adesso, togliti dalla mia strada», tagliò corto lei, tentando poi di proseguire prima che la ostacolassi col mio corpo davanti al suo.

«Ascoltami, non ho tempo per le tue rimostranze sul mio conto in questo momento. Hunter è impegnato con una faccenda spinosa e sono io a dover riferirgli quello che sta avvenendo qui, per cui dammi informazioni per un tuo dannato superiore.»

«Credo che dovrà occuparsi della sua "faccenda spinosa" più tardi, perché abbiamo dieci esemplari delle bestie della foresta attaccate al culo», fece Kenneth, arrivando alle mie spalle dal corridoio ovest, in apparente tranquillità.

«Cosa?» esclamai, di sasso. Stentavo a credere che quelle creature potessero attaccare un luogo semi nascosto, e le tempistiche non mi tornavano affatto. Non era tutta una coincidenza, non poteva esserlo.

«La vedetta ha ricevuto un segnale inequivocabile dai ragazzi all'esterno: stanno arrivando, ben presto saranno qui», inespressività sul volto di Doghly mi avrebbe fatta infuriare in un altro momento, ma avevo problemi ben più gravi a cui far fronte.

«Devo avvertire Hunter», parlai a voce alta senza rivolgermi per davvero ai due Sovvertitori che mi stavano accanto, e m'incamminai velocemente - dolori in tutto il corpo dopo averle prese da Zenda permettendo - verso l'armeria per munirmi di spada e una pistola mitragliatrice.

«Sì, digli di concederci l'onore della sua presenza in questo momento, se non gli è di troppo disturbo!» mi gridò Kenneth, al quale concessi l'onore del mio dito medio sollevato.

«Porta queste persone al sicuro e arma chiunque sia capace di combattere invece di startene lì impalato», gridai di rimando, svoltando a sinistra ed evitando con agilità le spallate di uomini e donne, che si spingevano l'un l'altro come bestiame per entrare ed uscire, per far rifornimento di armi come una vera Sovvertitrice.

Quando arrivai di fretta e furia ai dormitori, Hunter aveva sul viso un'espressione incredula del tutto rivolta ad Asery. Gli occhi sgranati, infatti, si spostavano dalla sua figura a quella del mostro disteso sul tavolo, le membra spalancate dalle quali fuoriusciva una puzza tremenda. Chiese, inorridito, che tipo di animale potesse avere quell'aspetto, rendendo ancora più dura la notizia che avrei dovuto portargli.

«Hunter!» chiamai decisa per attirare la sua attenzione, la spada che penzolava dalla cintura avvolta in vita e che pungolava il polpaccio sinistro. Una volta ottenuta, lo informai di ciò che stava per accadere senza giri di parole, ma anziché chiedere ulteriori informazioni sulla situazione, il capo dei Sovvertitori tornò a fissare Asery, lì accanto a lui. Non ci furono parole, eppure sapevo che in qualche modo stavano comunicando. Che cosa si stessero dicendo, però, era un totale mistero per me.

«E' stato difficile combattere contro due di loro. Come faremo contro dieci esemplari?» stava dicendo sottovoce, forse per non far sì che mi arrendessi prima di aver provare a combattere. Ma non l'avrei fatto, non se avevo il potere di fermare le cose con un semplice pensiero.

«So io cosa fare», annunciai per poi dirigermi velocemente alla sala in cui erano i Grifoni.

Li trovai agitati, in ansia e spaventati, potevo sentire le loro emozioni come se fossero le mie, il che non mi aiutava a mantenere la calma e la concentrazione come avrei dovuto fare. Cercai per un breve attimo di trasmettere loro un velo di sicurezza, poi volsi lo sguardo alla balconata illuminata dall'arancione fioco del sole morente, nascosto per tutto il giorno dalle nuvole; conoscevo a memoria quell'immagine bella e pacifica, quasi magica. Ora, invece, quella stessa immagine era macchiata da figure scure agghiaccianti e minacciose che volavano intorno alla nostra dimora. L'aria si era fatta pesante, più densa, come se quelle creature avessero portato con sé un'aria macabra e oscura, come se le ombre del Circolo Infernale delle Anime fossero arrivate tra i vivi.

Una volta sulla terrazza, trovai la sentinella riversa sul pavimento, sventrata. Deglutii faticosamente, trattenendo il malessere provocato dalle viscere dell'uomo di guardia sparse per terra. Ma se avevano attaccato lui, per quale motivo non erano entrati facendo strage di Grifoni com'erano soliti fare? Mi resi conto che il presentimento, l'avvertimento che la natura mi aveva dato mentre mi scontravo con Zenda era esattamente quello: l'attacco imminente di nemici del genere. Avrei comunque messo fine a quel rischio così come a tutti gli altri. Erano animali, seppur dalle fattezze strambe, ed io potevo entrare nelle loro menti con la dovuta concentrazione e ordinar loro di cessare l'attacco. Dovevo, per il bene comune.

Sollevai le mani al cielo, simulando il tocco di cui necessitavo, avendo prima bisogno di un primo contatto fisico per stabilire quello mentale, e concentrai ogni fibra del mio corpo verso l'obiettivo. Isolai la mente come avevo imparato grazie a Laryngard, restai in ascolto della natura viva circostante e l'ascoltai parlare: sentii timore, un così forte timore da esser capace di soffocare anche me. Una paura troppo simile a quella che avevo provato durante lo scontro con Zenda e che avevo avvertito poco prima di parlare con Hunter quel pomeriggio per essere una mera coincidenza. Quello che avevo percepito non era la preoccupazione che stesse accadendo qualcosa alla squadra di Hunter, ma che altro di molto più pericoloso stava arrivando, un male oscuro annidato da qualche parte nel cuore del Terzo Humus. Capii, così, che era stata la natura stessa ad avermi avvertita di quello che stava accadendo.

Eppure, tra quelle mille sensazioni e voci, lontane e vicine, non riuscivo a distinguerne neanche una che provenisse da quelle strane e mostruose creature. Era già difficoltoso provare a controllarle in quel modo, figurarsi se poi non riuscivo a distinguere un suono, un profumo, un odore che me le facesse isolare da tutto il resto.

Il vento forte che stava portando con sé nuvole più scure, lasciando poco spazio alla poesia del tramonto di qualche istante prima, mi graffiava il viso concentrato, contratto per lo sforzo immane a cui tutto il mio corpo si stava sottoponendo; gli occhi rivolti in alto sulle bestie nere che gridavano e volavano intorno alla montagna. Ad un tratto persi l'equilibrio a causa di una scossa fortissima che fece tremare il pavimento, e una seconda susseguì la prima così velocemente che mi fece crollare sulle ginocchia, la mano poggiata sul parapetto. Ma che cosa diavolo stava succedendo? Perché la terra stava cominciando a tremare?

Mi rimisi in piedi, le armi che pesavano sulla mia schiena e un sudore freddo dovuto allo sforzo fisico e mentale m'imperlava il volto, riportando le mie braccia verso il cielo e riacquisendo la concentrazione necessaria.

«Avanti, avanti» dissi a denti stretti, puntando gli occhi su un esemplare che volava alto, che piegò a sinistra e si lanciò in picchiata proprio di fronte a me. Eccola, l'occasione che avrei dovuto sfruttare a tutti i costi: il piede sinistro indietreggiò, permettendomi di sporgermi in avanti e tendere ancora di più le mani verso la creatura che aveva stretto le ali e stava gridando, emettendo il consueto verso della sua razza, minacciosa. S'avvicinava velocemente, bruciando la distanza tra noi, era sempre più vicina. Tanto più il mio sforzo per entrarle nella mente e controllarla aumentava, più sentivo un intorpidimento in tutto il corpo, una forte morsa, un muro troppo spesso da poter abbattere.

Ringhiai, arricciando il naso, decisa a non arrendermi. Ma quando mi resi conto che la bestia stava per avventarsi su di me, realizzai di essere a mani vuote e di averla ad un soffio - considerata la sua rapidità - da me. Tutto prese a scorrere lentamente, sia la mia mano che scendeva verso il fianco alla ricerca dell'elsa da impugnare, sia le fauci di un teschio spaventoso che si allargavano insieme alle ali robuste, le sue zampe munite di artigli affilatissimi che si distendevano verso il mio corpo. Il tempo parve fermarsi, facendomi desiderare di poterlo riavvolgere per rimediare alla mia grande stupidità ed arroganza, all'aver sopravvalutato i miei stessi poteri.

E poi tutto riprese a scorrere in modo fulmineo, mentre una figura indistinta piombava impavida sul mio assalitore, spingendolo oltre la balconata e precipitando insieme a lui. Dovetti chinarmi rapidamente, proteggendo il volto col braccio destro, per schivare la scia di un'ala che aveva minacciato di trascinarmi giù con sé nella caduta.

Il cuore mi batteva all'impazzata, la respirazione era ridotta a zero per il forte spavento. Avevo creduto di morire, ne ero stata certa come lo era un'antilope di fronte ad un leone, sentendomi inerme e indifesa come mai prima di allora.

Mi sporsi dal parapetto il tempo necessario per veder saettare una scia nera proprio davanti al mio naso, la stessa che si librava sempre più in alto nel cielo, che si dimenava e gridava per poter liberarsi del mio salvatore, ancora sulle sue spalle. Misi a fuoco abbastanza da realizzare che il Sovvertitore sulla schiena di quella bestia fosse proprio Hunter, munito di spada e la sola forza muscolare che ancora riusciva a fargli tenere la presa sul collo di quella cosa e di non precipitare. Dal canto suo, l'essere dai denti aguzzi stava tentando qualsiasi manovra per scrollarselo di dosso, e quando scese in picchiata verso gli alberi credetti di perdere un battito, o forse di più.«Hunter!» urlai a squarciagola, come se con la mia sola voce fossi capace di salvargli la vita e di impedire all'alato di scaraventarlo contro i rami dei numerosi alberi sottostanti alla loggia.Hunter si rese conto del rischio e capì di essere spacciato comunque, qualsiasi fosse stata la sua mossa successiva. Così scelse di sacrificarsi ma nel modo in cui soltanto un vero soldato poteva fare: eliminando la minaccia anche a discapito della sua vita.

Distese la gamba sinistra sull'ala del mostro per tenersi in equilibrio, impugnò l'elsa della spada a due mani, la sollevò più che poté verso l'alto e poi la fece scivolare giù, dritta nel cranio liscio della bestia. La rapidità della caduta non rallentò neanche mentre la vita abbandonava il suo corpo.

«Hunter!» gridai ancora, tendendo il braccio oltre il marmo, protendendomi inutilmente verso il basso. Il volto mi si corrugò in un'espressione di paura quando Hunter volse il suo verso di me, attirato dal suono del suo nome. Non lessi né colsi alcuna sensazione da parte sua, soltanto rassegnazione ma senza pentimento.

La sua figura sparì nel fitto del fogliame degli alberi e fu allora che avvertii dapprima un formicolio al braccio, poi una vera e propria scarica d'energia attraversarmi l'arto per poi esplodere nel mio palmo. Non avvenne alcunché, fu solo una percezione sensoriale tanto forte da farmi venire le vertigini. No, ma quelle non erano vertigini. La terra sottostante aveva preso a scuotersi, sebbene questa volta in modo diverso. Il suono secco e legnoso che stava accompagnando quella scossa si concretizzò quando, in maniera snaturata e irregolare, un enorme ramo, cinque volte più grosso di diametro e lunghezza, si sollevava dallo stesso punto in cui poco prima Hunter era precipitato: e proprio lì, il Sovvertitore, e se ne stava carponi per tenersi in equilibrio, il volto corrugato da stupore, sconcerto e meraviglia. Le stesse emozioni dipinte sul mio volto, del resto.

In un gesto istintivo, mi portai il palmo davanti al viso e incredula ne scrutai le lineature, forse per scovarvi qualche diversità che avesse determinato quell'evento. Ero davvero riuscita a fare una cosa del genere? Ne ero stata realmente capace? Per un momento lunghissimo me ne restai a bocca aperta, il respiro affannoso per lo spavento e la sorpresa, a contemplare lo strabiliante potere che scorreva nelle mie vene, qualcosa che fino a qualche tempo prima non avrei neanche creduto potesse esistere ma che in realtà era in mano mia, disponibile a mio totale piacimento. Hunter guardò crescere ed innalzarsi sotto di sé quello strano spettacolo, il motivo per il quale era ancora vivo e vegeto, poi fissò me, tanto distante da lui da riuscir a malapena a vedere un sorriso genuino spuntargli sulle labbra, rivolto soltanto a me. Il processo magico si arrestò e lui riuscì a mettersi in piedi, sollevando poi le braccia e lanciando un grido d'esultazione. Una reazione del genere sarebbe rimasta impressa nella mia mente a lungo, insieme alla scoperta fatta.

L'adrenalina defluì nelle vene più velocemente quando, in seguito al suo, altre grida rimbombarono nel cielo. Non avevamo ancora finito.

D'istinto, naturale come respirare, con il solo pensiero chiamai a me Vunari e al contempo, senza neanche guardarmi alle spalle, balzai in avanti con la mano distesa: come due pezzi di un unico disegno, il corpo possente di Vunari aderì perfettamente al mio, dopo avermi preso in groppa. Volò spedita oltre la balconata e dritta verso Hunter, seguendo i miei ordini alla lettera. Una volta vicini, io e il Sovvertitore ci scambiammo un sorrisetto soddisfatto e furbo.

«Mi devi un gran bel favore», mi burlai di lui, cedendogli la mia spada per compensare la perdita della sua nella caduta.

Lui strinse l'elsa sfiorandomi le dita, poi se la face roteare più volte nel palmo. «Non siamo pari? Ma non importa. Ammazziamo quei bastardi e poi ti offrirò da bere il tuo peso in liquore, ragazzina.»

Senza perdere altro tempo, salimmo sul dorso di Vunari che, in risposta al mio silenzioso comando, manifestato soltanto da un verso d'incitamento, balzò in volo scattando in alto. Hunter era dietro di me, aggrappato alla mia vita con un solo braccio. Il suono provocato dal battito d'ali unito al forte vento che stava nuovamente portando via quello sprazzo di sole, coperto nuovamente da nuvole scure, riuscivano ad ovattare persino le grida delle bestie nere che stava assediando il nostro rifugio, per cui il mio istruttore dovette avvicinarsi al mio orecchio e alzare il tono di voce per far sì che comprendessi gli ordini: «Passa tra gli alberi, aggira la montagna, voglio vedere in che modo attaccano e in che condizioni siamo!»

Annuii, guardandolo per un fugace momento da sopra la spalla, e poi indirizzai Vunari col pensiero, la quale cominciò a volare basso e ad addentrarsi tra il fitto manto degli alberi, volteggiando e scansando abilmente gli ostacoli che le si presentavano davanti; era abile e svelta anche senza il mio aiuto, era un soldato per la guerra e si fidava ciecamente di Hunter, prima ancora di fidarsi di me per via del mio potere. Lui l'aveva addestrata al meglio e lei ricambiava con la sua fedeltà.

Lontani abbastanza dallo scontro, Vunari uscì allo scoperto e si voltò, dandoci la possibilità di posare gli occhi su uno scenario apocalittico. Il nostro rifugio, un castello incastonato nella montagna, la quale celava soltanto un lato di esso, completamente bersagliato da nemici. La parte visibile era maestosa, lo era ancor di più con lo spesso strato di roccia che andava a diminuire sul retro. La balconata, le torri e torrette, l'aspetto elegante e antico rendeva quella dimora a cinque piani casa nostra. Una casa che stava cadendo in pezzi.

Dalla vedetta partivano colpi ripetuti d'armi da fuoco, tanto lontani da sembrare solo dei zampilli luminosi che colpivano senza uccidere, così come invece avrebbero dovuto fare, il nemico. Lo stesso nemico che aveva creato enormi fori nella pietra con la forza del proprio corpo, che aveva di per sé qualcosa di completamente assurdo. Se alcuni si stavano occupando dei soldati di guardia, se altri stavano lottando contro i Grifoni e i loro cavalieri armati di mitra, gli altri volavano in direzione del castello soltanto per scagliarcisi contro, creando più danni di quanto si potesse immaginare. E più vittime del dicibile. Ogni mattone che crollava e parete che si sbriciolava, ogni grido e lamento lontano era come un affondo di spada nel centro del cuore. «Si stanno suicidando...», le parole vennero fuori in un sussurro strozzato, il nodo alla gola e i brividi lungo la schiena avevano impedito alla mia voce di nascondere il dolore.

«Di questo passo faranno crollare tutto, li dobbiamo fermare prima che ciò avvenga», Hunter ci mise un po' per riuscire a parlare, per assumere l'atteggiamento da capo e non da ragazzo i cui occhi stavano guardando, impotenti, la propria casa distrutta e la propria famiglia venir decimata.

Non dovette impartire altri ordini, poiché Vunari era già scattata in avanti, le spesse ali che fendevano l'aria e le possenti zampe che sembravano cavalcarla. La sofferenza provata qualche istante prima si era tramutata in rabbia, una furia letale che aveva un solo canale di sfogo: uccidere.

«Sage, ce la fai a fare un altro dei tuoi trucchetti?»

«Posso provarci, ma non ho idea di come io ci sia riuscita prima...»

«Immagino che io debba fidarmi... ma prima, voglio che tu stia con Vunari lontana da quegli affari, ma abbastanza vicina da coprirmi le spalle», gridò per farsi sentire, e il secondo dopo si era tuffato nell'aria, scuotendo il cielo con un un ruggito da battaglia.

«Hunter!» urlai, tendendo nuovamente il braccio verso il vuoto, ma era già troppo tardi: mentre Hunter precipitava ancora una volta, una familiare energia mi attraversava il corpo e l'arto, e nello stesso istante cresceva un massiccio nuovo ramo sul quale il Sovvertitore atterrò con abilità. Neanche il tempo di toccare il legno duro che stava già correndo su di esso, indicandomi in alto nel cielo il suo bersaglio.

Allargai il palmo della mano destra, digrignando i denti e chiamando a me tutta la forza che non sapevo di avere. Avvertii un calore, una scossa vibrarmi nel petto e la terra venir mossa dalla stessa. Ed eccola spuntare, violenta come una furia, una radice spessa quanto il tronco di una quercia dal terreno. Si levò in alto - facendo piovere una valanga di fango e distruggendo qualche albero - proprio accanto alla superficie che teneva in piedi Hunter, e permise a quest'ultimo di aggrapparvisi. Roteai la mano abbastanza da farle assumere una posizione orizzontale, facendola poi proseguire verso il mostro indicatomi.

All'altezza giusta, Hunter balzò da un'innaturale forma ad un'altra, e prima ancora di poggiarvisi i piedi, trapassò il cranio della creatura con la spada affilata. La vita l'abbandonò e fece per precipitare mentre il Sovvertitore, svelto come un felino, si diede lo slancio grazie alla carcassa e tornò salvo. Restai a bocca asciutta per ciò a cui avevo appena assistito, le abilità di Hunter erano strabilianti.

Colsi una macchia, una luce diversa nel cielo, e alzai lo sguardo: tre creature si stavano fiondando a tutta velocità nel punto in cui il loro simile era stato falciato. Non restai neanche a rifletterci, non abbastanza, perché il mio pensiero era corso ancor più spedito, a malapena formulato, alla mente di Vunari. Ogni colpo d'ali ci avvicinava, attraversammo il cielo in un batter d'occhio ma l'angoscia di non arrivare in tempo stava facendo esplodere il cuore nelle mie orecchie.

Alla distanza giusta, quando ero a tanto così dall'essere tra Hunter e quegli esseri, liberai l'arma dalla sicura e la impugnai come mi era stato insegnato, puntandola verso il cielo. L'indice fece pressione sul grilletto e una scarica di proiettili s'infranse contro il nero delle carni degli aggressori con zanne e artigli.

Quegli istanti parvero rallentare mentre pioveva sulla foresta una cascata infinita di bossoli, gli scoppi si aggiungevano al frastuono causato dall'attacco e tingevano il cielo di colori caldi, gli stessi che divampavano nei miei occhi, negli occhi di tutti gli altri Sovvertitori che in quel momento stavano difendendo il proprio rifugio.

I fori nelle ali dall'estremità acuminate mi donavano una speranza in più: se i colpi non riuscivano ad ucciderli ma solo ad indebolirli, toglier loro la capacità di volare era sicuramente una strategia vantaggiosa. Uno di loro, difatti, perse l'equilibrio e crollò oltre me, sull'abnorme ramo che avevo risvegliato e chiamato sotto il mio comando. Gli altri due si sparpagliarono e, feriti, volteggiarono nell'aria soltanto per tornare alla carica. Fu allora che, cessati i rumori assordanti degli spari, riuscii ad udire le grida di Hunter: «Sage, vai, corri!» non faceva che dirmi, spronandomi a scappare.

Come qualche istante prima, a Vunari fu sufficiente un breve impulso dettato dal mio volere per cominciare a cavalcare il vento.

La velocità con la quale il Grifone stava fuggendo rendeva più fredde le sferzate d'aria sul mio volto, ma l'adrenalina per la fuga m'incendiava la pelle come fuoco rovente tanto da avvertirle a malapena. Le bestie alle mie spalle erano fulmini, ma Vunari dava loro filo da torcere, sebbene non avrebbe retto ancora a lungo. Potevo sentire la sua tenacia mista a paura: sapeva bene che quelle erano creature pericolose.

Eravamo troppo in alto, troppo esposte, così la indirizzai verso il fitto della foresta. Lei era abituata a volare tra gli alberi, quegli esseri no di certo. Ma la mia era solo una teoria che ben presto sarebbe stata smontata: l'ibrido stava sfoggiando il meglio di sé, consapevole di essere un animale da battaglia, ma anche i nostri inseguitori - per assurdo - riuscivano a schivare rami e tronchi che, con preavviso, si paravano davanti a loro. Non avevo mai visto niente del genere. Dovevo, ad ogni modo, liberarmi di quelle cose che avevo alle calcagna. Hunter era da solo senza un vantaggio, ormai, per quel mio gesto eroico. Mi voltai di spalle e premetti il grilletto, ma era difficile guidare il Grifone e centrare il bersaglio.

Pensa, Sage, pensa. Sbarazzatene con una delle tue idee stravaganti.

E quasi come per magia, un albero biforcuto, il cui divario tra i due tronchi - seppur non troppo spessi - era abbastanza ampio, catturò la mia attenzione e mi diede lo spunto per un'idea che, se messa a segno con precisione, mi avrebbe finalmente tolto dai piedi la minaccia. Non persi tempo a spronai Vunari per raggiungere l'obiettivo, preparando l'arma e respirando a fondo. Non posso sbagliare, non devo sbagliare. Speravo solo che il legno non fosse troppo scivoloso.

Scansavamo gli ostacoli che ci si presentavano davanti con agilità, sebbene questi ci oscurassero la visuale per fugaci ma ripetuti attimi, addirittura bagnandoci perché reduci da piogge intense. Tutto ciò aveva rilevanza misurata, perché, inspiegabilmente, i miei occhi riuscivano comunque a vedere, o meglio a percepire, la meta sulla sinistra. L'animale sotto di me batté possentemente le ali, avvicinandosi sempre più.
C'eravamo quasi, c'eravamo quasi... ancora uno sforzo!

Un grido improvviso di una delle bestie che mi braccava mi assordò, e mi voltai in tempo per scorgerla scomparire in alto, su nel cielo. Fu lì che volsi il mio sguardo, tentando di capire dove fosse quella cosa prima che mi piombasse sulla testa, ma il fogliame fitto m'impediva di localizzarla in un punto esatto. Non c'era tempo da perdere, e il piano non era cambiato.

«Cerca di non sbagliare, o siamo entrambe morte!» dissi a Vunari, ma in realtà era me stessa che stavo avvertendo. Non sbagliare.

A tutta velocità, l'albero ci si parò sul lato ed io distesi prontamente il braccio sinistro mentre Vunari si preparava a piegare sullo stesso lato. Udii un rumore minaccioso sopra di me, poi un grido e infine uno sbalzo d'aria, ma con la sola forza del mio corpo e l'aiuto di Vunari e le sue zampe, per metà d'aquila e per metà leonessa, che diedero la spinta giusta, riuscimmo a voltarci completamente per poter tornare indietro, impedendo così alla bestia che aveva tentato di acciuffarmi dall'alto di uccidermi. Come una scena a rallentatore, occupate in quella manovra complicata e non solo, il braccio destro aveva premuto il grilletto e aveva scaricato svariati proiettili contro l'essere che mi era rimasto attaccato al sedere. Mi ero mossa troppo in fretta per far sì che riuscisse ad imitare le mie gesta, e così la pallottola arrivata alla sua tempia gli risultò fatale.

Vunari stava ripercorrendo la foresta a ritroso, sebbene lo scenario non fosse cambiato di molto: avevamo ancora una delle due bestie alle spalle, che tentai di uccidere finché non rimasi a secco, ma alla vista del castello, dei larghi fori che i suicidi stavano provocando, mi balenò in mente un'idea estremamente rischiosa per tentare l'impossibile.

Ancora una volta l'abilità del Grifone sotto di me fu messa alla prova, superando a pieni voti anche l'ultimo degli esami. Il tratto che ci separava dalla fortezza era breve, eppure a me parve immenso: stavamo accorciando la distanza ad una velocità spaventosa, ma il più recondito dei miei desideri era non arrivare alla meta. Se il mio piano fosse andato in fumo, non avrei solo fatto del male a me stessa ma anche a Vunari.

Scacciai quei pensieri per non trasmettere angoscia al mio destriero. Dovevamo essere concentrate come lo eravamo state qualche istante prima, attuando una delle prime manovre pericolose della giornata.

«Coraggio, bellezza. Fidati di me, ce la facciamo... ce la facciamo...» continuavo a sussurrare, mentre la parete di pietra di casa mia diveniva sempre più grande e sempre più vicina. Scelsi un punto che consideravo sicuro, dietro il quale - secondo i miei calcoli - non avrebbe dovuto esserci nessuno. Il cuore cominciò a martellarmi nel petto tanto forte che temetti di vederlo schizzare fuori dalla gabbia toracica, tale era l'adrenalina mista ad ansia che avvertivo ad ogni colpo d'ala.

La parete era sempre più vicina, ma non osai ordinare a Vunari di virare in un'altra direzione. Dovevamo essere abbastanza vicine da non concedere al mostro dietro di noi la possibilità di fare lo stesso.

Quando il castello ci si parò ad una manciata di centimetri, tirai il piumaggio di Vunari e la costrinsi a puntare verso l'alto. Le zampe posteriori cavalcavano la pietra che tremò quando il nemico ci si schiantò contro. Loro volevano suicidarsi, così ne avevo aiutato uno nell'impresa. La soddisfazione si mescolò al gaudio, liberandosi in un grido d'esultanza. Inaspettatamente, e con la protezione della Grande Madre, ero riuscita in quell'assurda mossa e mi ero finalmente liberata.

Feci tornare Vunari in equilibrio nel cielo e il primo pensiero fu Hunter. Lo cercai con lo sguardo, trovandolo nello stesso punto in cui l'avevo lasciato. Anche lui stava guardando nella mia direzione, e dopo qualche istante lo vidi sollevare la spada verso il cielo ed esultare così come avevo fatto io. Da qualche parte, si udirono altre grida guerresche, di vittoria, di incitamento.
Inclinai il capo per osservare poche macchie scure che cominciavano a volare verso la foresta, battendo in ritirata. La vista di quegli esseri ancora sconosciuti che se la davano a gambe mi fece corrucciare: non riuscivo ad immaginare una possibile opzione che li avesse spinti a scappare. Non tenevano abbastanza alla propria vita da suicidarsi, eppure ora stavano scappando per qualche assurdo motivo.

Avevo intenzione di metter su delle teorie con Hunter, ma quando tornai da lui restai di stucco: era ricoperto da testa a piedi di liquido melmoso e nero, la mano ancora stretta intorno all'elsa come se fosse un prolungamento del suo stesso braccio. Il viso sporco dava, paradossalmente, ancor più risalto ai suoi occhi luminosi che mi osservavano con curioso stupore.

«Non so se essere arrabbiato con te oppure ammirare la tua ultima genialata folle», confessò, il respiro leggermente affannoso. Se il suo aspetto avesse potuto parlare, avrebbe sicuramente chiesto riposo e un lungo bagno nell'acqua bollente per tentare di levare quel fetore che si stava impregnando sui vestiti e suoi capelli chiari. Provai ad intercettare qualche ferita grave, oltre quelle già riportate il pomeriggio prima, ma non ne trovai granché.

«E' merito di Vunari, non incolpare me», sghignazzai per scampare ad una probabile imminente ramanzina. «Vorrei chiederti il come ed il perché, ma ho sinceramente paura della risposta visto il tuo stato...»

Comparve un accenno di sorriso che gli sollevò l'angolo della bocca carnosa, sotto tutto quel muco. «Malgrado la tentazione di ucciderti per avermi disobbedito per la centesima volta, sono felice che tu stia bene tanto quanto ti sono grato di aver salvato la mia vita. Di nuovo.»

Avevo avuto il piacere di imbattermi in quel lato di Hunter prima di quel momento, eppure mi risultava particolarmente difficile abituarmi a quella sincera gentilezza. Era come se mi celasse un lato di lui che, con i miei modi di fare, veniva fuori contro la sua stessa volontà. Era strano a me così come lo era a lui, però era piacevole. E molto.

Al nostro ritorno trovammo la devastazione del nostro rifugio e della nostra gente. L'orrido spettacolo mi mozzò il fiato per qualche momento: parte della struttura era in fiamme, parte di quella in cui eravamo atterrati invece era crollata lasciando dei grossi fori nelle pareti esterne ed interne, i detriti erano riversi sul pavimento. E non solo. Grossi massi erano crollati e schiacciavano corpi feriti o addirittura cadaveri.

«Grande Madre Eritrea», soffiai, immobile accanto ad un Hunter raggelato. Anche parlare in quel momento mi stava facendo male quanto la vista di quel disastro.

Chi era in forze stava aiutando a tirare fuori i propri compagni dalle macerie, altri aiutavano i feriti a spostarsi. Asery aveva solo delle abrasioni evidenti sul volto e sul braccia, per fortuna, e stava sostenendo il peso di un ragazzo che faticava a stare in piedi quando si accorse di noi. Si bloccò, chiudendo poi le palpebre e sospirando profondamente.

«Grazie alla Grande Madre state bene...» disse prima di lasciare il ragazzo alle cure di due Sovvertitori, indicando loro la palestra come nuova infermeria. Poi tornò a guardare noi, una maschera di stanchezza e sofferenza che gli calcava i tratti del volto. «Hunter... è tutto distrutto, è un disastro», mormorò, quasi sul punto di sfogarsi in un pianto liberatorio. La consapevolezza di quel momento mi fece capire quanto fosse seria e grave la faccenda, se anche una come Asery, che congelava le emozioni dietro i suoi occhi chiari, stava per crollare.

Il Sovvertitore al mio fianco si liberò dell'indumento che indossava e lo usò per ripulirsi il viso, le braccia nude e le mani. «Resta concentrata, Asery. Risolveremo tutto. Dimmi cosa devo fare. Laryngard è stato messo in salvo?»

«Cosa dobbiamo fare», lo corressi, intenzionata a dare tutto l'aiuto possibile.

Asery annuì per rassicurarlo e poi inspirò profondamente, come se stesse riprendendo il controllo delle sue stesse emozioni; successivamente tornò a fissarci con fare stanco ma imponente e fiero. «Ho bisogno di aiutanti per le suture, tra cui Salina, Zenda e Irina, e qualcuno che porti i feriti da me. Se io sono qui, coloro che sono nella palestra non hanno nessuno a proteggerli dalla morte», ci spiegò, prendendosi una breve pausa pronunciando l'ultima frase. «Ci sono ancora persone sotto i massi che aspettano di essere tirate fuori.»

Mi posizionai il mitra in spalla ed esclami convinta: «Ci penso io, Asery.»

Senza intrattenermi oltre, aiutai una donna che stava sorreggendo un giovane ferito superficialmente alla gamba e lo condussi verso Percival, impegnato ad aiutare due sovvertitrici. Mi guardò con un certo astio nello sguardo, ma afferrò il ragazzo posizionandosi il braccio di quest'ultimo intorno al collo. I nostri rapporti erano ancora pari a zero, lui odiava ancora tutto ciò che ero.

Mi spostai verso un altro ferito il cui viso era coperto da polvere, svenuto, e solo quando mi avvicinai abbastanza mi resi conto che si trattava di Travis. Mi si bloccò il fiato e mi adoperai subito per tentare di rianimarlo, di fargli aprire gli occhi.

«Travis, Travis...», chiamai. Gli controllai il corpo nella speranza che non ci fossero fratture o gravi ferite, trovandone soltanto una superficiale alla testa che però ancora colava sangue. Quando aprì gli occhi, tirai un sospiro di sollievo decisamente troppo forte. «Grazie alla Grande Madre. Travis, mi senti? Stai bene?»

Il ragazzo mugolò e annuì, si sistemò a sedere e strinse la mia mano. «Mi ero da poco diviso con Salina e Hussain per portare alcuni di loro al sicuro quando una di quelle cose ci è piombata addosso senza che ce ne accorgessimo», mi spiegò, visibilmente provato. Il suo primo pensiero fu la preoccupazione per gli altri e non per se stesso.

«Non è colpa tua... Dimmi che stai bene, per favore. Dove ti fa male? Dove sono Salina e Hussain?»

«Sto bene, sto bene. Erano andati ad aiutare la vedetta l'ultima volta che li ho visti...»

Asery gridò di dividere i feriti gravi da quelli superficiali su due lati diversi della zona dedicata alle lezioni, e la stessa donna che avevo aiutato, gridò poi a sua volta. «C'è qualcuno sotto le macerie!»

«Vai...» fece Travis quando mi voltai a guardarlo per assicurarmi che stesse davvero bene. Vidi Hunter scattare nel centro del corridoio, proprio dove si era creata una voragine del pavimento, e affiancarmi mentre mi inginocchiavo di fronte all'ammasso di pietre da cui spuntava un piede. Arrivò in nostro aiuto un altro Sovvertitore e, con calma ed estrema attenzione, rimuovemmo un gran numero di massi dal corpo di quello che si rivelò un uomo comune. Non era un guerriero, non aveva armi accanto a sé, ma era piegato su un fianco e nascondeva qualcosa al proprio petto con un braccio, mentre l'altro era sul proprio capo, a volersi proteggere dalla cascata che l'aveva inondato.

Aprì gli occhi a fatica per guardare nella mia direzione, e sorrise. Feci per ricambiare ma lui sembrava troppo stanco e dolorante, così li richiuse senza aggiungere una parola. La mia mano corse sotto la sua guancia e volse il capo pesante verso la piccola folla che si era creata tutt'intorno. «Ehi, ascoltami. Resta sveglio, okay? Come ti chiami? Ti tireremo fuori da qui, tieni soltanto duro...»

«Sage...» esclamò Hunter in un sussurro.

Il corpo dell'uomo disteso al suolo, dal colorito scuro, era ricoperto da escoriazioni e tagli, il braccio probabilmente era rotto o fratturato, ma ciò che preoccupava di più era lo spesso tubo di ferro, crollato dal soffitto, che gli usciva dal fianco.

Il mio sguardo inorridito, impaurito e impotente tornò su Hunter, come se nel farlo avessi potuto salvare la vita di quell'uomo.

«Ci sono dei cadaveri qui sotto», disse qualcuno, sporto per guardare oltre il grosso buco nel pavimento.

«Sage...» mugolò l'uomo, alla ricerca di un volto.

«Sono io, sono qui.»

A quel punto, lui allargò più che poté il braccio stretto al petto. Nascondeva un fagotto di tessuto da cui spuntava la testa di un neonato.

Dei sussurri esterrefatti si fecero sempre più intensi alle mie spalle, manifestando ciò che anch'io stavo provando in quell'istante. Mi calai abbastanza da riuscire a liberarlo da quella stretta rivelatasi cruciale per la sua salvezza e lo afferrai con le mani sporche del sangue del suo salvatore.

«E' tuo figlio? Sua madre?» domandò Hunter con un filo di voce. In risposta ricevette prima un gesto di diniego col capo, poi uno con gli occhi, mentre voltava a malapena lo sguardo verso sinistra, in direzione della voragine. Capii nell'immediato e un brivido intenso e triste mi attraversò l'epidermide.

Vidi Hunter annuire e sistemare il proprio peso sulle ginocchia proprio di fronte al corpo quasi inerme, esausto e affaticato.

«L'hai salvato, non è vero?» fu ancora Hunter a parlare, e il suo tono cambiò ulteriormente, divenendo più caldo, addirittura fraterno. Vi fu un altro cenno brevissimo col capo seguito da un rantolo.

«Padre!» si udì gridare dal retro del piccolo gruppo che si era creato intorno al moribondo, un urlo sofferente e carico di dolore. Hussain, frenetico, si fece spazio prepotentemente per arrivare da quello che si era rivelato essere suo padre.

Strinsi le labbra tanto forte da avvertire i denti ferirmi la carne, ma era un dolore sopportabile rispetto a quello che stavo provando nel guardare uno dei miei più cari amici inginocchiato al capezzale del suo genitore. Le immagini che nella mia mente cominciarono a susseguirsi peggiorarono soltanto la situazione, riportandomi a sette mesi prima, mentre dicevo addio a mia madre. Fu tutto troppo, mi sentii sopraffare dalle emozioni e dovetti alzarmi, con l'aiuto dei Sovvertitori alle mie spalle, il bambino ancora tra le mie braccia, inspiegabilmente calmo e sereno.

Hunter mi imitò, posando prima una mano sulla spalla del suo allievo in segno di vicinanza, poi si posizionò al mio fianco.

«Padre, no!» sussurrò, la voce rotta dal pianto imprigionato nei suoi occhi scuri. «Resisti, padre, ti prego», supplicò poi, cercando di fermare il sangue che copiosamente usciva dalla ferita.

Salina e Travis, un po' ammaccato, comparvero alla mia sinistra, entrambi sconvolti e addolorati quanto me. Tutti e tre eravamo a conoscenza del burrascoso rapporto tra padre e figlio, ma tutto si azzerava di fronte ad una situazione del genere.

«Vardio...», Salina pronunciò quel nome con cautela.

Quando la mano dell'uomo, a fatica, tentò di sfiorare il viso di suo figlio, il cuore mi si frantumò in mille pezzi. «Sono... fiero... di te..», si sforzò di sussurrargli, ormai stremato.

Scacciai via l'unica lacrima che non ero riuscita a trattenere, e raccolsi tutte le forze rimaste per tentare di calmarmi. Poi avvertii un sostegno, un aiuto in quell'impresa e una vicinanza profonda: Hunter mi strinse la mano e avvolse le dita intorno alle mie. Gliele strinsi a mia volta quando Vardio spirò e Hussain si lasciò sfuggire un grido di dolore.

Il contatto con Hunter mi sostenne impedendomi la resa. Fu inaspettato ma necessario per infondermi calma, intimo ma naturale come respirare. Il palmo prese a formicolarmi per la sensazione suscitata, eppure non avrei rotto quel contatto per niente al mondo. Era la mia àncora di salvezza.

«Cavalca veloce il vento oltre la tempesta», iniziò a recitare il Sovvertitore al mio fianco, seguito poi dal coro tutt'intorno. «E attraversa il fiume per trovare la tua pace nel ventre della Grande Madre, fratello.»

Dopo momenti interminabili passati a pregare per l'anima del padre di Hussain, il capo dei Sovvertitori ruppe quel silenzio assordante con una singola e semplice frase: «Soccorriamo i feriti e raccogliamo le nostre cose, dobbiamo lasciare casa nostra immediatamente.»

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