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14. Tenere alta la concentrazione

HUNTER

La caparbietà era sempre stato un tratto distintivo che caratterizzava qualsiasi individuo che fosse intenzionato ad entrare a far parte dell'Ordine dei Sovvertitori. Nella maggior parte dei casi era facile modellarla, forgiarle e incanalarla verso la giusta direzione, evitando di farla maturare in una forma di egocentrismo, ma quando s'incontrava un tipo di tenacia pari alla mia, a quella di Percival o a quella di Sage, insistere e tentare di persuadere a cambiare idea, si otteneva soltanto l'effetto contrario. L'unica cosa possibile era indirizzarla con una certa furbizia, senza lasciarlo capire all'altro, affinché non finisse in qualche vicolo cieco.

Ero conscio di star soltanto sprecando tempo e fiato provando a convincere quella ragazzina a spostare il suo primo allenamento; era una follia rischiare di finire male, specie se la colpa ricadeva interamente su di me. Sage era minuta e sarebbe stato difficile per lei uscire vincitrice da un primo scontro con una persona molto più grossa di lei quale era Hussain, e aggiungere il mancato allenamento che per prestare aiuto al sottoscritto aveva saltato, non mi faceva stare tranquillo. Almeno tra quelle mura, io avevo il sacro dovere di proteggere quei ragazzi, anche da loro stessi se necessario.

L'idea di Sage era stata una doccia gelata per l'intensità, la scaltrezza e l'ingegno che una giovane donna come lei aveva avuto: ci aveva spiazzati tutti. Ed io avevo fatto altrettanto, affidando la gestione delle costruzioni e del piano tattico interamente a lei con - per ovvi motivi - la mia totale supervisione.

L'espressione di Asery a quella notizia mi aveva fatto credere che stesse per avere un mancamento; era rimasta ferma a fissarmi per tutto il discorso tenuto dalla ragazza dai lunghi capelli castani, senza emettere un fiato e senza prestar neanche troppa attenzione. Lo stesso valeva per Laryngard che, a differenza della mia collega, mi aveva domandato se fossi sicuro di ciò che stavo facendo. Come se non lo avesse saputo, io ero sempre sicuro di ciò che facevo.

Quando poi tutti si erano messi a lavoro secondo le direttive di Sage, Asery mi aveva chiesto un momento per parlare e io gliel'avevo concesso, pur sapendo cos'è che mi aspettava.

«Hunter...», aveva cominciato, il che non era affatto un buon inizio. «Io ti stimo tantissimo come persona e non credo ci sia qualcuno di più qualificato di te qui dentro, ma devo proprio chiederti se il sole ti abbia bruciato qualche ingranaggio nel cervello, questa mattina!»

Con Asery era sempre così, lei era una persona straordinaria perché rispettosa e con una classe e un portamento d'altri tempi, ma era altrettanto schietta e non aveva mezze misure, per cui ciò che pensava veniva fuori dalla sua bocca senza alcun tipo di filtro, apparendo proprio per ciò che lei intendeva. Insomma, non addolciva un boccone amaro.

«Voglio dire», aveva continuato, senza darmi modo di replicare, «questo è un rischio davvero troppo grande. Noi non siamo Victor, ma qui abbiamo una gerarchia che va rispettata, e mettendo lei al potere, anche solo per un momento, mini la tua stessa autorità agli occhi degli altri.»

Ciò che diceva era del tutto comprensibile, ero poi riuscito a spiegarle, ma avevo preso quella scelta per una serie di fattori che sarebbero andati a vantaggio dell'intero rifugio. Inutile nascondere che, come prima cosa, ciò aiutava la reputazione di Sage: essere a contatto con gli altri, dimostrar loro ciò che era in grado di fare, non con i suoi poteri ma con il suo intelletto, poteva aiutare tutti a non avere più paura di lei e a considerarla come una persona normale, semplice, una di loro. Porre Sage al comando di quella missione, tra l'altro ideata proprio da lei fin nei minimi dettagli, metteva alla prova anche se stessa e la sua tempra; seppur uguale a tutti gli altri, quella ragazza aveva un carico ben più pesante sulle proprie spalle e, con o senza il suo volere, doveva diventare un simbolo per tutti. Non ero un ingenuo, sapevo perfettamente che prima o poi lo scontro più arduo sarebbe sopraggiunto, esponendo l'Ordine dei Sovvertitori al giudizio del popolo. Laryngard poteva essere colui che li avrebbe rassicurati, io quello che li avrebbe protetti a costo della vita, ma Sage... Sage doveva ispirarli, doveva spronarli ed aiutarli a capire che meritavano una vita migliore di quella a cui erano stati destinati a vivere, ad avere il coraggio di ribellarsi dando loro un valido motivo per farlo. Lei sarebbe stata una leader, anche se ancora non lo sapeva, e per farlo doveva uscire dal suo guscio protettivo e affrontare le prime responsabilità. Mi sentivo terribilmente in difetto a sfruttare una ragazza, a malapena ventenne, e a caricarla di tutte quelle aspettative e quegli obblighi. Avrei dovuto stare attento, non potevo lasciare che si perdesse, dovevo condurla nel suo cammino e passeggiare accanto a lei, a debita distanza ma non troppo lontano da non riuscire a sorreggerla nel caso fosse crollata.

Non era mai successo, nessun Sovvertitore di livello inferiore poteva permettersi un trattamento del genere, figurarsi un allievo; tuttavia, mai nessuno si era dimostrato tanto audace da mettere in discussione i piani di Asery, e anche i miei. Io mi fidavo delle intenzioni di quella ragazza.

Asery, alla fine, aveva capito e, sebbene non condividesse affatto la mia decisione, troppo rischiosa secondo lei, aveva riposto la sua totale fiducia e il suo assoluto appoggio in me, come sempre.

Vedere la figlia della Grande Madre all'opera, successivamente, aveva rafforzato la mia idea iniziale. Impartiva ordini con un sorriso sincero e li trasformava quasi in consigli, e ringraziava sempre chiunque avesse di fronte per l'aiuto. Era gentile, ed era innocente a tal punto da farmi trovare ingiusto che un piccolo esserino come lei, avesse avuto la sfortuna di avere sangue mistico all'interno delle proprie vene. Sorrisi tra me e me pensando che, se Laryngard avesse potuto ascoltare quei pensieri, mi avrebbe accusato sicuramente di blasfemia con un cipiglio adirato sul volto segnato dagli anni. Avrebbe sicuramente concordato con me nell'affermare che un destino simile ad una ragazza che pareva potersi spezzare con una folata di vento più intensa, era una vera crudeltà; soprattutto perché, tra le tante cose, il suo grande potere comportava anche un grandissimo dovere nei confronti del prossimo e del suo popolo.

Un ragazzino mi schizzò davanti e corse verso Sage, allegro ed incurante di ciò che ci stava aiutando a costruire e per cosa. Mostrò l'oggetto abbastanza pesante che aveva tra le mani e, dopo le istruzioni ricevute, ricevette un generoso sorriso da parte dell'altra, poco dopo avergli scompigliato i capelli scuri. Restai ad osservarla, rassicurando me stesso e pensando di aver fatto assolutamente la scelta giusta.

«Per la miseria!» esclamò una voce familiare alle mia spalle, facendomi voltare per incontrare i suoi occhi felini. Irina aveva un'espressione stupita e ammirata in volto, mentre Zenda, a braccia conserte al suo fianco, osservava l'ambiente con un certo distacco.

«Chi avrebbe mai detto che quella mocciosetta sarebbe riuscita a coinvolgere tutte queste persone in questa folle impresa», continuò, canzonando Sage e sfiorando il braccio dell'altra con il proprio gomito.

Zenda, i capelli lunghi che le incorniciavano il viso, rise di gusto per la battuta dell'amica, rincarando poi la dose. «Almeno vi siete ricordati di costruire anche un guinzaglio? Immagino che porterete a spasso quella bestia dopo averla catturata!»

Presero a ridere così tanto che tutta la sala riuscì a sentirle, probabilmente la stessa Sage era riuscita a sentirle e ad immaginare per quale motivo stessero starnazzando così tanto. Tirai un sospiro profondo per poter mantenere il controllo e non cedere a quelle infantili provocazioni, e diedi loro le spalle, parlando poi in modo pacato ma tremendamente serio: «Se non avete intenzione di dare una mano, potete anche togliere il disturbo, risparmiandoci la vostra ironia non richiesta.»

Una delle due fischiò dopo qualche attimo, dopodiché fu Zenda ad affiancarmi mentre dividevo gli oggetti utili da quelli inutili davanti a me. «Puoi prendertela quanto vuoi, ma ciò che volete fare è da pazzi e lo sai anche tu. Questo piano è una cazzata!»

Mi voltai di scatto, puntando i miei occhi increduli su di lei. «Zenda, tu neanche lo conosci il piano!»

«No, ma so che avete voglia di giocare a fare le esche di una creatura che stava per uccidermi, Hunter, nel caso l'avessi dimenticato!»

«Ed è proprio per questo motivo che non farai parte di questa squadra operativa. Ho deciso di lasciarti qui», dissi di getto, pentendomi il secondo dopo. Conoscevo Zenda meglio di quanto conoscessi me stesso e sapevo che avrebbe fatto una scenata: lei odiava essere tagliata fuori.

Difatti, esclamò con sorpresa un sonoro ''cosa?'', afferrandomi la manica della giacca e costringendomi a guardarla in viso, controvoglia. «Non esiste, Hunter! Non sei mai andato a combattere senza la tua partner, che sarei ancora io, nonostante tutto», la voce le tremava impercettibilmente per il nervoso che provava, ma avrebbe dovuto farsene una ragione perché non avrei cambiato idea per nessuna ragione al mondo.

Feci affidamento a tutto l'autocontrollo che avevo e cercai di essere il più chiaro possibile, spiegando che la mia decisione era ormai presa: «Lo ricordo molto bene, ma - sebbene tu l'abbia denigrata qualche minuto fa - so che questa è un'impresa pericolosa e io non voglio rischiare la tua vita. Stavo già per perderti una volta ed è bastata, Zenda», la pausa che susseguì fu dovuta alla sua espressione addolcita, mutata ancora una volta nell'arco di poco. «Spero ti sia chiaro che potrai disperarti quanto vorrai, ma non cambierò idea.»

Zenda Correia era rinomata per la sua spiccata loquacità, ma in quel momento era chiusa ermeticamente nell'assoluto silenzio, gli occhi nocciola fissi nei miei; non aveva bisogno di parole con me, il suo sguardo bastava ogni singola volta. Così, tornai a rivolgere la mia attenzione ai pezzi di ferraglia davanti a me, non sorprendendomi affatto quando lei mi porse il suo aiuto. Da lì a poco, sarebbe arrivata anche qualche battuta sarcastica.

«Quindi, da quando prendiamo ordini da una ragazzina?» chiese, facendomi essere in errore per la prima volta; certo, la battuta era arrivata, ma era stata destinata a me. Quell'astio nei confronti di una giovane ragazza non ero ancora riuscito a spiegarmelo. A parte l'antipatia iniziale e i diversi battibecchi, non vi erano stati grandi motivi per arrivare a parlarne in tono così dispregiativo. Del resto, Sage aveva sempre cercato di essere educata e si limitava soltanto a rispondere alle provocazioni gratuite di Zenda. Che fosse solo questione di gelosia per ciò che io e la mia partner avevamo condiviso, era da escludere; la Sovvertitrice spesso si faceva prendere la mano, ma non avrebbe mai potuto trattare in modo diverso una sua allieva soltanto per una questione di cuore, nonostante - a detta di Irina - fosse innamorata di me. Non poteva essere gelosa, specie di qualcuno per cui io non provavo assolutamente nulla.

Volsi lo sguardo, quasi impercettibilmente, verso la ragazza minuta, intenta a sorridere ad uno degli aiutanti. Stava dimostrando di avere una grande forza di volontà, un grande spirito e un senso combattivo; a stento sembrava la stessa Sage che poco tempo prima si era rifiutata categoricamente di seguirmi, di credermi.

Mi venne quasi da sorridere, ma riuscii a focalizzarmi soltanto sulle parole di Zenda, celando qualsiasi istinto dietro la maschera di ferro che portavo.

«Io ero poco più grande di lei quando ho cominciato a contare qualcosa qui dentro, e lo sai benissimo. Inoltre, lei non dà ordini, è semplicemente il suo piano, per cui smettila di lamentarti e, se proprio ci tieni, limitati a dare una mano. C'è Asery ad occuparsi dell'addestramento dei ragazzi?» non avevo finto né nascosto alcunché, il tono di voce glaciale che avevo usato era del tutto spontaneo; non sopportavo le scenate di Zenda, come non tolleravo i sotterfugi che aveva provato ad usare per arrivare ai suoi scopi. Tenevo moltissimo a lei, ma il comportamento che aveva adottato nell'ultimo periodo era stato determinante per la fine della nostra relazione prettamente fisica, durata anni. Non volevo farle del male, ma lei non era più la stessa e, unito alla mancanza di sentimento, troncare tutto era stata l'unica soluzione possibile.

La udii sbuffare, mentre i suoi occhi scuri cercavano i miei. «Smettila di tenermi il muso, Hunter. Non hai bisogno di essere distante da me, ho capito il senso del nostro discorso ed hai ragione. E' solo che mi manca il mio compagno, il mio braccio destro», pronunciò le ultime due parole con un accenno di sorriso, scherzandoci su mentre lasciava dei colpetti sul mio bicipite e mi provocava un accenno di sorriso involontario.

«E' che mi piacerebbe che il nostro rapporto tornasse quello di un tempo», mi confessò, mentre i tratti del suo volto tornavano seri. «Ciò che provo è innegabile, ma lo è anche lo spessore del nostro legame.»

Qualsiasi forma d'ilarità scomparve, lasciando spazio soltanto alla serietà della questione. Non mi andava di giocare con i sentimenti di Zenda, ragion per cui volevo che le mie intenzioni fossero più che chiare, ancora una volta. «Siamo cresciuti insieme, conosco le basi solide del nostro rapporto, ma adesso abbiamo entrambi bisogno di concentrarci su questo e su nient'altro, soprattutto perché c'è molto altro a cui pensare», le dissi, allargando le braccia e indicando la sala gremita di persone.

Lei annuì, abbozzando poi un sorriso, e mi fece capire di aver afferrato il concetto. Sperai con tutto me stesso di non dover avere ancora scontri simili a quelli che avevamo avuto, di non dover badare a quelle piccolezze in un momento delicato come quello. La mia concentrazione era interamente focalizzata sull'impresa che mi aspettava.

Con l'arrivo del pomeriggio, anche il primo combattimento di Sage sarebbe sopraggiunto. Non si era presentata a pranzo, ormai troppo concentrata per prendersi una pausa come quasi tutti avevano fatto. Si era fermata soltanto quando Salina - sotto mio comando - si era recata dall'amica per informarla che il momento era giunto: il suo combattimento stava per cominciare. Ero discretamente nervoso all'idea che Sage avesse scelto di affrontare quella prova nonostante gli impegni presi, che le avevano impedito di prepararsi anche psicologicamente a ciò che l'attendeva; preferivo di gran lunga che scegliesse di spostare l'incontro a un momento più consono, perché non volevo che rischiasse di ferirsi seriamente e di restare in panchina per un bel po' di tempo. Non potevamo permettercelo, e gliel'avevo detto, ma la sua cocciutaggine non conosceva eguali e le mie si erano tramutate in semplici parole al vento.

Hussain, lo sfidante di Sage, qualche centimetro più alto di me e con una massiccia dose di muscoli sviluppati grazie all'allenamento dei Sovvertitori, era poco lontano dalla piattaforma leggermente rialzata nel centro della sala. Lì avevano luogo anche tutte le prove finali nel Cerchio, che determinava e assegnava un ruolo preciso ad ogni Sovvertitore. Mi avvicinai al ragazzo, a braccia conserte, e gli feci un cenno quando si voltò a guardarmi. Sembrava nervoso, cercava di sciogliere la tensione dovuta al suo primo combattimento spostando il peso da un piede all'altro e muovendo le braccia in modo scoordinato.

«Sei pronto?» gli chiesi, tentando di assumere un'espressione tranquilla, per trasmetterla a lui. Non sembrò funzionare granché.

Lui annuì, in silenzio, eseguendo degli esercizi di riscaldamento, cosa che cominciò a fare Sage, dopo aver fatto il suo ingresso nella sala d'addestramento. Osservai la sua postura mentre si dirigeva spedita verso il lato opposto della piattaforma, al suo "angolo''. Non sembrava affatto tesa, preoccupata... tutt'altro, pareva desiderosa di voler sbrigare quella faccenda quanto prima.

«Mi raccomando, non dimenticare ciò di cui abbiamo parlato. Dai del tuo meglio», gli augurai buona fortuna e mi diressi dall'altra parte della sala, puntando dritto verso Sage.

Neanche mi vide arrivare, troppo presa a sciogliere i muscoli con una strana frenesia che caratterizzava i suoi movimenti; lo sguardo era perso altrove, lei a malapena ascoltava quanto le stava sussurrando Salina. Sembrava aver fretta di concludere.

«Sage? Come ti senti?» chiesi, parandomi di fronte a lei per essere certo di aver catturato la sua completa attenzione.

Lei portò i suoi luminosi occhi verdi su di me, vedendomi solo dopo qualche istante, annuendo poi col capo. «Sto bene. Spero solo che non ci voglia troppo tempo.»

Il significato delle sue parole mi sorprese tanto da farmi crucciare leggermente, dubbioso. Quindi aveva davvero fretta di sbrigarsi, ma il vero quesito era scoprire se lo fosse per l'agitazione dovuta al suo primo combattimento, proprio come per Hussain, oppure se fossero altre faccende a non lasciare spazio per il resto. In entrambi i casi, avrebbe dovuto concentrarsi per non mettersi in un bel guaio.

«Sage, ascoltami. Quando sei lì, cerca di concentrarti al massimo: focalizza tutta la tua attenzione sul tuo avversario, sul combattimento. Tieni sempre a mente le cose che qui hai appreso, il modo in cui devi poggiare i piedi e il modo in cui...»

«Hunter, sul serio», mi bloccò lei, quasi stufa di dover essere costretta a sentirmi blaterare. «Non devi preoccuparti, andrà benone.»

«No, Sage, non hai capito. Non mi serve che tu salga su quella piattaforma e tiri qualche pugno ad un tuo compagno; non mi serve il tuo corpo lì, mi serve la tua mente. Se non hai ancora capito che è quella la tua arma più potente in uno scontro, allora il periodo che hai passato qui è stato del tutto inutile», solo dopo quel momento mi parve di esser riuscito a riportarla alla realtà. «Se non sei concentrata, rischi di farti male e non sarà possibile renderti operativa né sul campo né qui, per l'attacco che stai preparando.»

Distolse lo sguardo con una certa colpevolezza negli occhi, poi lo riportò su di me e annuì debolmente, facendomi comprendere che le fosse finalmente tutto chiaro.

«Non dimenticare i miei consigli: ricorda i punti deboli da colpire ma non lasciare mai la guardia scoperta, non dargli un bersaglio e cerca di usare la tua agilità per stancarlo», le raccomandai, ricevendo un'occhiata furtiva da parte di Salina che era lì accanto.

«D'accordo, ce la faccio.»

Era una cosa che speravo, nonostante non fossi abituato a scegliere uno dei miei allievi: erano tutti uguali, ma Sage era speciale e non solo per le sue abilità. Aveva dimostrato di avere qualità strategiche molto rare da scovare in un novizio. Doveva preservarsi da inutili rischi e andava protetta ad ogni costo.

Poco prima dell'inizio dell'esercizio, mi affiancai ad Asery, chiusa nel suo silenzio, lo sguardo perso ad osservare i nostri ragazzi.

«A cosa stai pensando?»

«Lo sai.»

Certo che lo sapevo. Tutte quelle persone avevano votato la propria vita ad una guerra, consapevoli - o quantomeno considerando quella probabilità - di poter non far più ritorno a casa. Molto spesso, Asery si lasciava andare ad un lungo sospiro ogni volta che li osservava gioire, ballare, bere insieme al Borgo. Per lei era ingiusto che ragazzi così giovani, con tutta la vita davanti, fossero addestrati e trasformati in soldati che conoscevano soltanto la guerra. Seppur ogni ingresso fosse richiesto, lei non poteva fare a meno di considerarsi complice della loro morte. Nessuno osava darle della matta, nessuno affermava che ci fosse speranza; tutti eravamo consci di poter perdere e pagare il prezzo con le nostre stesse vite. La parte peggiore, tuttavia, sarebbe stata guardare cadere quei ragazzi, quegli uomini e donne, uno dopo l'altro e non poter far niente per evitarlo. Non saremmo riusciti a proteggerli tutti.

Le poggiai gentilmente una mano sulla spalla scoperta e diedi una piccola stretta. Cercai di rassicurarla per quanto potessi. Lei annuì, sebbene non fosse uscito alcun suono dalla mia bocca. Aveva capito.

«Sbaglio o sei stranamente agitato?» mi chiese poi, colmando il silenzio significativo sceso su di noi.

Le regalai dapprima un'occhiataccia di rimprovero, poi mi voltai a guardare Sage per l'ennesima volta. «E' distratta, non riesce a smettere di pensare alla missione che le abbiamo affidato. Temo che possa farsi male seriamente.»

Asery emise uno sbuffo di scherno, alzando gli occhi al cielo e portandoli poi su di me, le braccia conserte. «E da quando ti interessa così tanto della salute dei tuoi allievi?»

«Da quando lei è fondamentale sotto tutti i punti di vista per noi!»

«Non l'hai ancora vista in azione, questo puoi dirlo soltanto dopo...»

«Asery», la interruppi. «La sua forza fisica può crescere, ma hai visto il modo in cui ragiona sul campo? Pensa come un condottiero dovrebbe fare. Tu sei nata con la strategia dell'esercito nelle vene, quindi puoi comprendere benissimo ciò che ti sto dicendo. E' raro trovare qualcuno che ne disponga come una dote innata; generalmente le tempistiche sono molto più lunghe di quanto si creda per acquisirne anche in minima parte, più della metà del nostro esercito ce lo dimostra chiaramente. Guarda Zenda, lei non riesce a pensare come un capo e a non escludere le sue emozioni.»

Asery rifletté per qualche istante, arricciando le labbra in una smorfia pensierosa. «Sì, ma sai perfettamente quale sia la debolezza di Zenda», mi ricordò, facendomi sentire colpevole per qualche istante. Il suo sguardo tornò sui ragazzi, la postura si irrigidì e le mani si congiunsero: tutti segni evidenti di una ramanzina in arrivo.

«Hunter, ho notato il modo in cui Sage ti guarda. La sua è molto più di semplice ammirazione, e ho visto anche il modo in cui tu la guardi quando credi che nessuno ti stia osservando.»

«Per la Grande Madre, Zenda non ti avrà convinto di questa stronzata?» il mio tono era basso, l'idea che la mia collega fosse tornata all'attacco con quella storia mi faceva vedere rosso.

«Lei non c'entra nulla, e tu non stai ascoltando ciò che ti sto dicendo. Non mi interessa se ti sei preso una sbandata per quella ragazza e se lei non riesce a non cedere al tuo fascino, ma se tieni alla sua incolumità così tanto e speri che lei possa aiutarci, vedi di limitarti ad istruirla per la guerra. Non darle una debolezza, Hunter.»

Il discorso di Asery era chiaro: non fare casini, tieni a bada le emozioni. Il che poteva farmi ridere, poiché non vi era alcun tipo di sentimento in me per Sage che non fosse stima e affetto; proprio non mi spiegavo i motivi che avevano spinto già tre donne a supporre un'ipotesi del genere. Ma per qualche ragione a me sconosciuta, non ebbi la forza di replicare e di farle presente che i suoi pensieri fossero errati.

«Siamo pronti», esclamò poi a gran voce, affinché tutti potessero udirla. «E' il momento, recatevi sulla piattaforma.»

Sage e Hussain si diressero simultaneamente nel centro della sala, scambiandosi uno sguardo fugace e poi voltandosi verso di me ed Asery.

«Ci sarà un cambiamento d'ora in avanti nelle regole per il combattimento: si lotta sul serio, per cui se non volete farvi male, vi consiglio di non farvi colpire.»

Sgranai gli occhi e feci appello a tutto l'autocontrollo di cui disponevo per non sbraitare contro la mia compagna e chiederle se fosse improvvisamente ammattita.

«Posizione di guardia!», gridò, mentre i due sfidanti eseguivano, l'uno di fronte all'altro. «Ricordate che ne varrà del vostro posto in questo esercito. Potete cominciare.»

Serrai i pugni per contenere la rabbia che provavo e nel frattempo osservavo i miei allievi, con i pugni chiusi che proteggevano il viso, che giravano intorno, scrutandosi a vicenda.

«Che cosa diavolo stai facendo?» ringhiai a denti stretti.

«Il necessario per rendere queste persone degli assassini. Se continuano a giocare, una volta fuori di qui verranno sbranati da ciò che ci aspetta, e lo sai anche tu.»

Avrei potuto far cadere l'ordine dato con una semplice parola, ma essere in disaccordo tra noi davanti agli altri e così apertamente ci avrebbe indeboliti; non era una tirannia, eravamo uniti e prendevamo le decisioni migliori per tutte le persone che dovevamo proteggere. Sapevo che Asery aveva ragione, ma non potevo evitare di essere in collera con lei, poiché aveva capito quanto mi preoccupassi per Sage.

Hussain avanzò, caricando un gancio verso il volto della ragazza che lei riuscì prontamente a schivare, spostandosi verso sinistra.

«Un duello all'ultimo sangue, eh?» scherzò Zenda, posizionandosi di fianco a me. «E' stata una tua idea?»

«Assolutamente no», tagliai corto, concentrato sul colpo che Sage parò sollevando il gomito, proteggendo il viso.

«Hussain ha tanta forza», commentò ancora lei, mentre il ragazzo caricava diversi ganci, tutti schivati in modi diversi. Stavano mettendo sul campo tutto ciò che avevano imparato, e la cosa era gratificante per noi istruttori, ma vi era comunque qualcosa che mi turbava, mi preoccupava.

«Lei non ha provato neanche a colpirlo... Lui diventerà un buon guerriero, guarda i suoi movimenti», le parole incessanti di Zenda non facevano altro che innervosirmi di più, incrementando la tensione riportata sulle mie spalle. Restai comunque in silenzio, non replicando perché sapevo ciò che Sage stava facendo: lo stava stancando, proprio come le avevo suggerito di fare.

Hussain tentò ancora di colpirla, ma lei si scansò in uscita e sferrò un montante sinistro, discretamente forte, al fianco che il ragazzo aveva lasciato scoperto. Hussian sferrò un pugno dall'alto che Sage parò con l'avambraccio; in questo modo, però, lui poté colpirla all'addome con il piede, facendola barcollare all'indietro. Sage avanzò e - emettendo un gemito per lo sforzo - tirò un calcio al suo avversario, che, proprio come aveva fatto lei, lo parò con l'avambraccio sinistro, per poi caricare un gancio che la ragazza riuscì ad evitare per un soffio. Lei ne approfittò ancora una volta, e tirò una gomitata alle costole del suo compagno.

Espirai rumorosamente, fiero di ciò che stavo guardando ma comunque agitato, tanto da desiderare di arrivare alla fine del combattimento.

Come fomentata dal momentaneo vantaggio, lei tentò di colpire Hussain con un gancio destro. Lui lo vide arrivare prima e alzò la guardia, bloccandolo, e sferrando un altro colpo allo stomaco di Sage. Dopodiché, successivamente al pugno sferrato al volto di lei, si agganciò al suo braccio e glielo torse all'indietro in una leva, fino a farla piegare in avanti per il dolore. Per finire, l'atterrò con una spazzata che le provocò la perdita di equilibrio e la fece schiantare di schiena al suolo.

Sage si contorse per il dolore per un momento, perché quello dopo era impegnata a rotolare sul pavimento per evitare i calci di Hussain. Si sollevò, poggiando il peso su un ginocchio e parò con entrambe le mani il piede del suo avversario, diretto al proprio viso.

Finalmente si issò velocemente, caricando un pugno all'indietro, dettato dalla ferocia. Grave errore.

Hussain li schivò tutti e fermò l'ultimo, colpendola poi violentemente alla base della schiena; Sage barcollò, visibilmente, dolorosamente, e ricevette un'ultima, potente gomitata al naso, che prese a sanguinare, macchiandole gran parte del viso. Il calcio di Hussain la spedì nuovamente al tappeto, mentre lei prese ad annaspare nel suo stesso sangue, provando a poggiare il peso sui gomiti. Era finita.

Il giovane guerriero le diede le spalle, guardando me e le altre due Sovvertitrici che mi erano accanto, in attesa di essere nominato vincitore di quello scontro.

«Ehi», ringhiò Sage, carponi, affaticata e sanguinante. «Io non ho ancora finito!»

Serrai la mascella, incuriosito, infuriato e al contempo sorpreso da quella reazione: non si stava arrendendo, nonostante avesse perso e fosse troppo debole per continuare il combattimento.

Hussain guardò Asery, come per cercare di capire se avesse dovuto assecondare la sua compagna o considerare la sfida conclusa. Asery sollevò le mani, invogliando i due a continuare.

Era incredibile, non potevano essere tutti così irresponsabili. Così, feci un passo avanti e dichiarai a gran voce: «La sfida è finita, e Hussain ne è uscito vincitore», esclami secco, assumendo un falso distacco. «Per oggi può bastare, ragazzi.»

Sage, ancora ansimante e stanca, mi fulminò con lo sguardo e poi crollò al suolo, sopraffatta dallo sforzo. Travis corse in suo aiuto, e nel frattempo Hussain si accertò che la ragazza stesse bene, scusandosi più volte per averla colpita tanto forte da farla sanguinare.

Diedi loro le spalle per avviarmi verso l'altra parte della sala, dove i Sovvertitori esperti si allenavano in modo sporadico, ma decisamente più intenso, quando fui bloccato dalla mano di Asery, poggiata sul mio petto. Lei era rimasta lì mentre gran parte delle persone erano uscite, Zenda compresa.

Aveva la mascella tesa e gli occhi di ghiaccio, e non solo perché quello era il loro colore naturale. «Io ti voglio bene come si vuol bene ad un fratello, e so che sei tu ad avere il potere decisionale su questo esercito», assunse un tono che mai avevo sentito prima, e quando mi guardò, i suoi occhi bruciavano di un fuoco bianco, «ma non azzardarti mai più a contestare un mio ordine diretto, Hunter. Non te lo ripeterò una seconda volta.»

Me ne restai chiuso nel mio silenzio, sorpreso di quanto le mie orecchie avessero appena udito. Io ed Asery, sin dagli inizi, non avevamo mai avuto screzi, battibecchi, discussioni di qualsiasi tipo. Quella era la prima volta, e il modo in cui era scattata, la rabbia che leggevo nelle sue iridi, mi fece supporre che qualcosa non andava: non si trattava di minare la sua autorità, ma c'era in ballo qualcosa di più grosso. Asery mi aveva scrutato in modo diverso, come se vedesse un me diverso.

Alla fine, troppo scosso e pensieroso, avanzai senza emettere un fiato, deciso a spossarmi con un lungo e duro allenamento pomeridiano.

Al termine dei miei esercizi, dopo una lunga e attenta riflessione, avevo deciso di far prevalere quel lato di me che mi invogliava ad accertarmi delle condizioni di Sage. In un certo senso, in seguito al discorso di Asery, unito alle parole di Zenda e Irina di qualche tempo prima, mi sentivo quasi in difetto a preoccuparmi così tanto per la ragazza dalle particolari abilità; era come se sentissi ogni mia azione sotto un perenne giudizio, tanto pesante da rischiare di cambiare anche il mio modo di vedere le cose, trasformando una preoccupazione innocente in qualcosa di più. Ma ero sempre stato indifferente a qualsiasi tipo di critica, se quest'ultima fosse basata sul nulla, per cui ricordai a me stesso che il modo in cui mi vedevano gli altri era un problema fino ad un certo punto. In poche parole, se Asery, Zenda o chiunque altro avessero avuto voglia di vedere qualcosa che non esisteva, era esclusivamente una loro preoccupazione, non mia. Così, senza temere nulla e indossando una maschera imperturbabile d'impassibilità, mi diressi nell'infermeria, luogo in cui Sage si trovava.

Al capezzale della compagna, distesa su una delle brande, vi era Salina, che tamponava le ferite che rovinavano il giovane volto di Sage. La ragazza portava evidenti ferite al labbro e al sopracciglio; l'occhio destro era livido, tinto di un colore violaceo, lo stesso che macchiava gran parte delle braccia di lei, e probabilmente il costato. Il naso non era rotto.

Entrambe si voltarono a guardarmi: una abbozzò un sorriso nella mia direzione, l'altra distolse lo sguardo, puntellandosi a fatica per sistemarsi sul giaciglio, mettendosi poi seduta.

«Salina, puoi andare. Ci penso io a lei», affermai, avanzando e procurandomi l'occorrente per ripulire le ferite della ragazzina che si ostinava a non guardarmi.

Una volta soli, mi accomodai accanto a Sage, proprio dove un attimo prima vi era l'amica, e immersi una garza pulita nel recipiente tondo di acqua calda, posto sul tavolo accanto. L'infermeria non era molto grande, era perlopiù uno spazio angusto interrato nell'ultimo livello della fortezza, incastonata nella montagna. Disponeva soltanto di qualche branda, un paio di tavoli in metallo per ogni evenienza, e qualche strumento medico in caso di necessità.

«Se non ti conoscessi bene, direi che sei davvero entusiasta di vedermi», provai a smorzare la tensione che pesava nell'aria, già fin troppo soffocante lì sotto, e soprattutto per non dover affrontare l'ennesimo scontro con quell'impertinente.

«Mi conosci meglio di quanto credi, allora», replicò, volgendo il capo verso di me solo quando cominciai a tamponare il tessuto sulla sua fronte, e poi sul sopracciglio. Sobbalzò leggermente, tenendosi il fianco che doveva dolerle parecchio.

«Scommetto che sei in collera con me per aver anticipato la fine del combattimento, perché avevi tutto sotto controllo...», la canzonai, e lei dovette accorgersene perché mi riservò un'occhiataccia. Mi provocò un accenno di sorriso, che tentai di nascondere abbassando la testa.

«Voglio soltanto il trattamento che hanno gli altri, non voglio favoritismi solo perché sono diversa, in un certo senso, te l'avevo già chiesto tempo addietro», e mentre parlava, mi parve una bambina desiderosa di crescere e di essere guardata come un'adulta.

«Ed è ciò che ho fatto, Sage. Credi io abbia fermato lo scontro per non vederti in condizioni peggiori di queste? Certo, non mi piace quel che sto vedendo in questo momento, ma il vero motivo che mi ha spinto a concludere la sfida è stato il tuo sguardo», ammisi, sincero. «Ti stavi facendo prendere dalla frenesia e dalla rabbia: stavi cominciando a combattere fomentata dal fatto di aver avuto la meglio su Hussain, e quando ti ha sbattuta a terra, ti sei infuriata. E non provare a negarlo.»

Sage sollevò appena le sopracciglia, storcendo la bocca in una smorfia che scomparì dopo poco: avevo ragione, e lei lo stava ammettendo tacitamente.

«Sei stata irresponsabile, ti sei fatta prendere dalla rabbia e non hai pensato alla posizione di svantaggio netto in cui eri, esponendoti ad un rischio inutile», rincarai la dose, in modo tale che il concetto arrivasse ben chiaro alla ragazza malconcia di fronte a me. «Ti sei fatta governare dalle emozioni, ma non ti sei mai arresa, il che potrebbe essere un punto a tuo vantaggio», le dissi, e poi mi bloccai.

Mi parve di rivivere un momento che avevo già affrontato, affrontando lo stesso discorso ma con una persona diversa. Forse Asery aveva ragione: se Sage era così propensa a farsi trascinare dalle sue emozioni, sarebbe stato facile per lei affezionarsi a qualcuno e agire in funzione delle sue sensazioni. Non volevo finisse come Zenda, e dovevo aiutarla a capire come eliminare quella debolezza.

Ma la risposta che sopraggiunse mi fece capire che non sarebbe stata un'impresa facile.

«Ho passato tutta la vita a seguire le mie emozioni e sensazioni, non mi hanno mai tradita», confessò, guardandomi come se non fossi in grado di comprendere ciò che lei realmente intendesse.

Mi lasciai scappare un guizzo alle labbra prima di parlare: «Probabilmente è stato così in passato», convenni con lei, facendole cenno di voltarsi per poterle controllare il fianco che le doleva, «ma saranno proprio quelle ad ucciderti se non provi a controllarle.»

«Tu ci riesci molto bene», mormorò lei senza guardarmi.

La mano che era intenta a tamponare su una piccola ferita aperta sul fianco, poco visibile perché circondata da un unico grande ematoma, si bloccò per qualche istante. «Forse hai ragione», ammisi con un sorriso amaro. «E' nella mia natura farlo, ma ne sono in grado anche a causa delle cose che mi sono lasciato alle spalle. Ho fatto e visto tante, troppe cose brutte... tu non dovresti vederle mai», mi feci sfuggire dalla labbra, probabilmente pentendomi l'attimo dopo per essere stato così sincero e spontaneo. Il mio passato era così pieno di incognite, di sbagli e di conseguenze disastrose che nessuno avrebbe dovuto affrontare, men che meno una giovane ragazza, il cui peso sulle proprie spalle era già bello grosso.

«Tu non sai che cosa ho visto, le cose che ho subìto, i momenti difficili che ho attraversato e che mi hanno segnata per sempre.»

Convenni silenziosamente con lei; ero a conoscenza della perdita di sua madre avvenuta pochi mesi prima, per non parlare dello sconcerto nello scoprire chi realmente fosse. E il resto, chissà cos'altro, era chiuso a chiave dentro di lei. Le calai il tessuto della maglietta, indugiando con le dita sulla sua pelle liscia e morbida, e l'aiutai a rimettersi dritta.

«Allora perché tenersi questo peso dentro, quando hai qualcuno con cui condividerlo?» mi stupii di me stesso, perché - per la prima volta da molto tempo - non era l'istruttore che stava parlando e offrendo il proprio aiuto ad una sua allieva, ma era Hunter, sinceramente preoccupato di chi aveva di fronte. «Perché non condividerlo con me?»

Lei soppesò le mie parole, scrutandomi con i suoi grandi occhi cerulei, probabilmente per capire dove fosse l'inganno. Alla fine, con uno sguardo intenso, parlò sicura e diretta. «Per lo stesso motivo per il quale non lo fai neanche tu.»

Fiducia. Come poter darle torto.

Non potei non rivolgerle un ulteriore sorriso colpevole, perché lei aveva mirato e colpito il nervo giusto. «A quanto pare, io e te abbiamo molte più cose in comune di quanto potessi mai immaginare», lo pensavo sul serio, e per la prima volta ebbi la netta sensazione di aver davanti a me qualcuno in grado di potermi comprendere come mai nessuno era riuscito a fare prima di allora. Era stranissimo per molteplici motivazioni, come la differenza d'età tra me e quella ragazzina, o semplicemente il fatto che nessuno dei due conoscesse a fondo l'altro, eppure eravamo lì a domandarci se provare a fidarsi vicendevolmente fosse la scelta più giusta. Lessi un profondo senso di solitudine negli occhi di quella giovane, in cui non solo mi rispecchiai, ma vidi un me stesso diverso da quello che potevo apparire agli altri. Riuscii a vedere quella parte di me che non lasciavo conoscere a nessuno. Fu la cosa più incredibile ed inspiegabile che avessi mai provato, e ne avevo viste di cose surreali.

Mi accorsi che una ciocca dei suoi capelli castani era macchiata da un po' di sangue, così mi adoperai per ripulirla, passando le dita umide sulla sua chioma setosa. Lei non prestò attenzione a ciò che le mie mani stavano facendo, il suo sguardo era posato sul mio viso e non aveva intenzione di distoglierlo per guardare altrove. E così feci anch'io, senza esitazioni.

Avevamo già avuto un momento simile in quella giornata, e averne un altro così intenso, così ricolmo di cose non dette, che io stesso ignoravo, mi fece porre qualche domanda. Ma promisi a me stesso di non farmi condizionare da nulla, né tantomeno dalle ''voci di corridoio'', sebbene provenissero da persone vicine a me. Asery vedeva sicuramente quella somiglianza tra me e Sage, era quello il motivo che la spingeva a credere che ci fosse di più sotto.

«Scusatemi, disturbo? Volevo far visita a Sage...», la voce di Hussain arrivò più forte del normale, visti i pensieri rumorosi che occupavano la mia mente, e probabilmente anche quella della ragazza, poiché entrambi ci voltammo di scatto verso l'entrata dell'infermeria, sorpresi dalla presenza del nuovo arrivato.

Ripresi l'occorrente utilizzato per alleviare i gonfiori delle ferite di Sage e mi alzai dalla branda, spostandomi verso il tavolo da lavoro. «Entra pure, Hussain, ma non andarci giù pesante, ha bisogno di riposo.»

«Io sto benissimo», brontolò lei. «E non posso riposarmi a lungo, devo alzarmi da questo letto e controllare che i preparativi per l'incursione.»

Le rivolsi uno sguardo di fuoco, convinto che potesse bastare per farle capire che su quel punto non si discuteva: almeno fino al giorno seguente, lei doveva rimanere a riposo. E non aveva nulla di cui preoccuparsi, Jeffrey se la cavava bene così come la costruzione di ciò che lei aveva chiesto. Il tutto si svolgeva nelle gallerie segrete sotterranee di cui pochi conoscevano l'esistenza, e ancor meno avevano il permesso per accedervi.

«Sono qui proprio per questo, volevo scusarmi con te per aver esagerato», il ragazzo avanzò fino alla dimora della sua compagna e le afferrò una mano con fare gentile. Pensare che molte delle persone che vivevano con noi avessero smesso di temere Sage, mi rendeva più tranquillo sui suoi sviluppi.

Mi allontanai leggermente per lasciare un po' di privacy ai miei allievi, ma non così tanto da non riuscire ad origliare le loro parole. «Va tutto bene, Hussain. Non devi assolutamente preoccuparti», tentò di rassicurarlo lei, con scarsi risultati.

«Credo di dover imparare a controllare la forza durante gli allenamenti, guarda come ti ho ridotta...»

«Tranquillo, sul serio. Le ossa rotte si risanano sempre... se siamo fortunati, anche più forti di prima», si prodigò a rassicurarlo lei, con una tranquillità strabiliante nella voce e nel viso. Era piena di lividi, di dolori, aveva appena ricevuto una strigliata non indifferente dal sottoscritto, e ciononostante non smetteva di sorridere, di rassicurare gli altri e di preoccuparsi per tutto, all'infuori di se stessa. Più la guardavo e più mi convincevo del fatto che ci fosse davvero qualcosa di simile a me dentro di lei, qualcosa che non avevo trovato in nessuno, nemmeno in Zenda, e che mi faceva sentire compreso, seppur non ne avessi mai avvertito il bisogno. Sage, così piccola ma così forte, aveva portato novità non solo strategiche, ma anche umane. Era una ventata di freschezza.

A distanza di quasi un intero ciclo lunare dall'arrivo di Sage all'interno dell'Ordine dei Sovvertitori, era possibile notare dei lievi ma rilevanti cambiamenti nella ragazza dagli occhi del colore dell'oro. Il fisico era diventato più tonico, le braccia più forti, i riflessi sviluppati e le gambe scattanti, veloci. Anche il suo potere andava a perfezionarsi: ora Sage era in grado, seppur con una certa fatica, di usare la sua abilità anche sul campo di battaglia. Insieme avevamo concordato una strategia che potesse esserle utile, così gli allenamenti erano stati mescolati tra loro, diventando un tutt'uno e permettendo a lei di continuare a migliorare su tutti i punti di vista.

Era partita dallo star male per le sensazioni che avvertiva intorno a sé, a detta di Laryngard, che le toglievano il sonno e la distraevano, a sfruttare quelle medesime percezioni per un proprio utilizzo personale, e questo aveva già dell'incredibile. La ragazza affermava di sentire la natura - concetto quasi assurdo ed inconcepibile per me - come se quest'ultima potesse parlarle nel vero senso della parola, e grazie alle informazioni ricevute, le avevo consigliato di aiutarsi proprio con quel vantaggio durante gli esercizi. Ovviamente, da cocciuta quale era, si era rifiutata senza batter ciglio, considerando quell'ultimo un privilegio scorretto da sfruttare contro i propri compagni che si spezzavano la schiena ogni giorno quanto lei. Alla fine, con l'aiuto di Laryngard che tentava di fare da mediatore tra noi, avevamo deciso che nel tempo dedicato allo sviluppo delle sue capacità, avrebbe lottato contro di me, e ci saremmo preparati insieme. Lei aveva accettato di buon grado; ''non sono così dispiaciuta di essere scorretta con lui'', aveva affermato con un sorrisetto sornione sul viso, contraccambiato dal mio. Ed era da quel momento che avevamo deciso di unire i due diversi tipi di allenamento, combattendo ed utilizzando anche i suoi poteri.

Soprattutto nei giorni successivi al suo primo scontro con Hussain, aveva fatto dei passi avanti da gigante nell'arco di pochissimo tempo, motivata da qualcosa a me sconosciuto ma che avrei volentieri ringraziato.

C'era stato un miglioramento anche in tutto l'Ordine, nelle persone che lei aveva conquistato con il suo carattere e soprattutto in tutti i Sovvertitori che avevano la funzione di comando; fino a poco tempo prima, parte di questi ultimi la vedeva come un piccolo scricciolo senza utilità vantaggiosa per noi, un peso, un cucciolo in cerca di protezione perché incapace di poterlo fare da solo, ma io, che avevo visto sia il lato selvaggio di Sage che quello umano, ero molto fiero di guardarla crescere, perfezionarsi giorno dopo giorno. Ero molto orgoglioso del lavoro che insieme stavamo facendo, tutto possibile alla sua grande tenacia. Sage mi aveva dimostrato che arrendersi non era un'opzione per lei, non faceva parte dei suoi vocaboli.

I cambiamenti erano stati tutti graduali: tra i più significativi vi era sicuramente quello avuto cinque giorni prima, quando la ragazza era riuscita - finalmente - a controllare la crescita delle piante; aveva velocizzato la crescita di profumati boccioli rosa su un albero da fiori. Leggermente a fatica, ma ci era riuscita. Cominciava a capirne di più, mentre io mi meravigliavo di quel legame stretto che lei sentiva con la terra.

Eppure era parecchio divertente metterla alla prova durante l'allenamento privato, così come accadeva in quel tardo pomeriggio, mentre io mi acquattavo tra i cespugli, senza mai perdere d'occhio la sua figura poco più lontana tra gli alberi.

Quel giorno avevamo scelto di allenarci sulle montagne, quasi verso il confine con il Secondo Humus; avevamo considerato il rischio d'imbatterci in un Quarto, ponderando l'eventualità di abbandonare l'idea e rimanere nel nostro perimetro sicuro, ma alla fine avevamo scelto di sfidare la sorte.

L'impugnatura sulla spada era salda quanto la mia, così come le avevo detto, e il braccio teso lungo il busto e pronto a scattare nel caso fosse riuscita ad avvertire la minima percezione della mia presenza alle sua spalle.

Introdurre i ragazzi alle armi da taglio era stata un'impresa, ma tutti si erano mostrati pronti ad apprendere ogni tecnica: erano ancora acerbi, ma sarebbero migliorati velocemente, di questo ne ero certo.

Sage era pressoché immobile, i movimenti del capo erano quasi impercettibili: era in ascolto, proprio come l'ultima volta. Avanzai, felino, attento ad emettere meno rumori possibili per riuscire a coglierla di sorpresa, e quando fui abbastanza vicino, balzai alle sue spalle, stringendo un braccio intorno alle sue piccole spalle e tentando di minacciarla con la lama contro la gola. Lei però me lo impedì, anticipando la mia mossa e sollevando la sua spada, parando così il mio tentativo: era stata attenta, ma non abbastanza.

Il mio braccio avvolse velocemente il suo collo, facendo una lieve pressione. «Molto bene, ma non così tanto da impedirmi di strangolarti. Devi stare più attenta», la rimproverai, continuando a tenerla stretta.

Lei emise uno sbuffo di riso, come se la cosa fosse divertente. «Ne sei così sicuro? Credo tu debba parlare di meno e concentrarti di più.»

Avvertii una leggera pressione al lato sinistro del ventre, e quando calai il capo mi accorsi di uno stiletto rivolto verso l'alto che minacciava direttamente la milza. Non potei che sfoggiare un sorriso sorpreso e soddisfatto al contempo; era riuscita a prendermi alla sprovvista, cosa che non succedeva praticamente mai, ed ero contento di sapere che usava la furbizia in uno scontro, e non soltanto il suo corpo.

«Chi ti ha insegnato a giocare sporco, ragazzina?» le chiesi, lasciandola andare e guardandola mentre mi si parava davanti in posizione di guardia.

«Tu mi hai detto di sembrare prevedibile, per poi dimostrare il contrario», girò contro di me le mie stesse parole, con un ghigno compiaciuto e sornione.

Lasciai che la lama roteasse tra le mie mani, un po' per confondere lei, non permettendole di capire che tipo di mossa avrei eseguito, un po' per mero divertimento personale.

Avanzai velocemente, mentre lei attaccava per prima con una stoccata; la mia spada balzò nella mano sinistra e parò prontamente il colpo, spostando la lama dalla sua traiettoria, che però rimase tesa contro la mia, nel cosiddetto legamento. Lei tentò allora di colpirmi con il pugnale, ma le intrappolai il polso in una stretta salda, sul quale poi effettuai una leva, riuscendo così a farle perdere la presa sulla piccola arma da taglio. Sogghignai, colpendola con l'avambraccio all'addome per farla arretrare, mettendo distanza tra noi.

Il nostro allenamento andava avanti, e intanto il sole morente filtrava dagli alberi, cadendo in fasci di luce su di noi, e colorando la foresta di un caldo arancione, prima di scomparire dietro una delle montagne. Non erano le più grandi e alte del territorio, ma erano sicuramente le più pericolose. Dividevano il Terzo Humus dalla costa, proteggendoci tutti dalle bestie marine; i racconti non si limitavano a spaventare i bambini: la catena montuosa situata a Sud-Est era la più temuta perché controllata, a quanto pareva, da un mostro gigante, che riposava sulla sommità della montagna più alta. Era lui a respingere i nemici marini, impedendo loro di arrivare a noi. E mentre Sage finiva a terra, la spada che le volava dalle mani, pensai che quelle fossero soltanto stupide dicerie.

«Io ti odio veramente», sospirò, mente afferrava la mano che le avevo offerto per tirarsi su.

«Almeno sei riuscita a provocarmi questo graffietto», la derisi giocosamente, osservando la piccolissima ferita che mi aveva lasciato sul petto nudo. Il caldo estivo unito alla fatica di un combattimento intenso non era il massimo.

«Vuoi che chiami Asery per aiutarti a guarire oppure preferisci che chiami Laryngard per asciugarti le lacrime?»

«Credo proprio che sia grande abbastanza per asciugarsele da solo», Laryngard, che era rimasto in disparte ad osservarci, comparve in quel momento e replicò alla provocazione di Sage senza mai perdere quell'aria allegra.

«Che dici, Laryngard, dovrei andarci più pesante con lei? Magari dovrei trovare un modo per mettere a tacere la sua insolenza», dissi, ma senza guardare il mio interlocutore; indossai la maglietta verde e continuai a tenere lo sguardo su Sage, che ricambiò, sollevando a malapena l'angolo della bocca.

«Non ti divertiresti così come accade, se lo facessi. E poi sarà proprio quella che le salverà la vita», congiunse le mani dietro la schiena e ci scrutò, un luccichio divertito negli occhi chiari.

«Eppure Hunter dice sempre il contrario», ribatté lei, riponendo le armi nelle rispettive guaine.

«Dovresti sapere che Laryngard ha una visione del mondo fin troppo diversa dalla mia: lui vede il bianco dove io vedo il nero», esclamai, serio. «Sarà meglio andare prima che la luminosità vada via del tutto. Mancano solo due giorni alla missione e dobbiamo rivedere alcuni particolari del piano», guardai Sage che annuì decisa, mentre Laryngard mi rivolse un'occhiata preoccupata.

«Forse tu dovresti restare, potrebbe rivelarsi tutto più complesso di quanto immaginiamo», il tono della sua voce era basso, flebile, ma l'espressione era dura.

«Non ho intenzione di lasciare i miei uomini da soli, soprattutto per la difficoltà dell'impresa», fui totalmente irremovibile su quel punto, non ero certo il tipo d'uomo che si tirava indietro di fronte alle avversità, lasciando che altri prendessero il mio posto.

«Dico solo che se dovesse succederti qualcosa, sarebbe un grave danno per tutti noi...», incalzò, provocandomi un cipiglio. Laryngard tendeva sempre a preoccuparsi troppo, probabilmente perché non era mai stato veramente sul campo di battaglia.

«Guiderò io l'azione, Laryngard, e non cambierò idea, quindi gradirei che non ci provassi nemmeno», gli comunicai, la voce sicura e il tono duro e fermo, affinché capisse che dicevo sul serio. Poi, gli posai una mano sulla spalla con fare rassicurante; dopotutto, ci conoscevamo da quasi tutta la vita, non me la sentivo di essere troppo severo con la sua premura. «Andrà tutto bene, non ti devi preoccupare. Preparo i Grifoni, torno subito.»

Mi allontanai, attraversando un piccolo tratto di sentiero per arrivare dai due animali, in attesa, le redini legate intorno al tronco di un albero.

«E' ora di andare, ragazzi», dissi loro, assicurandomi che le cinghie delle selle fossero ben unite tra loro. Vunari, ad un tratto, drizzò le orecchie a punta, e mi parve stranamente nervosa. Mi guardai intorno, cercando di scorgere qualche animale che potesse aver innervosito i Grifoni, o la presenza di guardie, un rumore, un odore diverso. Portai la mano all'elsa della spada agganciata al mio fianco, pronto ad estrarla se qualche stranezza mi fosse balzata all'occhio. L'unica cosa che notai fu la totale assenza di suoni: gli uccelli avevano smesso di cantare da un po', ma gli animali della notte erano stranamente silenziosi. L'istinto mi disse di andare via nell'immediato, come se qualcosa non andasse. Mi sentii leggermente ansioso, e sperai che quelle mie sensazioni fossero soltanto delle paranoie; incontrare un Quarto in quel punto, significava avere una grande sfortuna.

Tornai velocemente dal capo e dalla promessa del nostro Ordine, e li trovai a parlottare tra loro. Non persi tempo e arrivai dritto al sodo, il petto che si abbassava e si alzava in modo irregolare. «Andiamo via, adesso!»

«Che succede?» domandò Sage, curiosa.

«Non lo so, ma è meglio tornare subito indietro».

Spronai la coppia a seguirmi, facendo avanzare Laryngard e tenendo una mano sulla sua spalla; in caso di scontro, lui sarebbe stato un bersaglio fin troppo semplice.

Un grosso fruscio, seguito da rumori secchi del legno che si spezzava sotto il peso di qualcosa di molto grosso, fece voltare tutti, gli sguardi puntati sul punto in cui pochi istanti prima io e Sage ci stavamo allenando.

«Laryngard, corri, vai», lo spinsi poco gentilmente verso i Grifoni. Una volta in sella, saremmo stati finalmente salvi.

Sage era dietro di me, ma troppo lontana per poter afferrarla e trascinarla via. «Sage, sbrigati», le gridai, ma lei era troppo presa da ciò che si nascondeva tra il fogliame degli alberi altissimi. 

E da lì, con un grido spaventoso, sbucò fuori la bestia più grossa che io avessi mai visto, della quale ignoravo addirittura l'esistenza. La leggenda che raccontavano ai bambini era davanti a me, minacciosa. Il suo ruggito era tanto forte da riuscire a squarciare il cielo come un fulmine e a far tremare la terra come un sisma. Le squame che rivestivano tutto il suo immenso corpo, la testa, le possenti quattro zampe, erano interamente di rosso, un rosso amaranto. Le fauci spalancate in una smorfia spaventosa avevano due fila di denti affilati come rasoi e lunghi quanto dei pugnali, e la testa era ricoperta da aculei grigi, situati proprio nel centro del capo e ai lati della mascella, che sotto la luce del tramonto parvero brillare; le minacciose corna che fuoriuscivano dal suo cranio sembravano durissime, e gli donavano un tono ancora più raccapricciante. La lunga schiena era ricoperta da altre affilatissime spine che scendevano fino ad arrivare all'estremità della coda, anch'essa lunghissima, che serpeggiava sinuosamente a destra e a sinistra, abbattendo qualche malcapitato albero. Ma le ali... Le ali erano così grandi e ampie da poter coprire l'intero orizzonte di fronte a noi, se aperte. Enorme, possente come i muscoli lungo le sue zampe, aveva attraversato e distrutto la vegetazione ed era atterrata al suolo, ringhiando, e - probabilmente - difendendo il suo territorio.

Ciò che pensai, in quel preciso istante, fu ciò che si raccontava di quella bestia: se ciò che si diceva era vero, quella cosa era in grado di incenerirci con un soffio, grazie al suo respiro infuocato. Saremmo morti tutti quanti.

«Scappate!» tuonai, sovrastando i sussulti dei due che era con me. Laryngard tentò di avanzare velocemente, nonostante l'età, e io lo imitai solo dopo essermi accertato che anche Sage ci venisse dietro, con la bestia alle sue spalle, che faceva vibrare il terreno ad ogni passo svelto che effettuava.

Poi si avvertì un tonfo seguito da un gemito, e quando mi voltai, trovai la ragazza distesa a terra, prona. Feci per soccorrerla ma Laryngard me lo impedì, mentre l'essere si scagliava su di lei, posizionandosi sul suo corpo esile, gli artigli piantati nel terreno ai lati della testa di lei.

«Sage!» fui incapace di controllare la paura di vederla lì, rivolta ormai verso il viso della bestia, il braccio sollevato come a voler difendersi, e con intensi occhi gialli addosso che la fissavano famelici.

Gli occhi di un Drago.

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