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13. Il peso delle responsabilità

SAGE

I tre Sovvertitori mi fissarono circospetti, aspettandosi probabilmente che da un momento all'altro mi rimangiassi la stramba idea che mi era venuta, affermando che si trattasse soltanto di uno scherzo. E invece no.

Ci eravamo spostati in un luogo più appartato, quale il corridoio principale che portava al Borgo, per poter affrontare quel genere di discorso. Ciò significava che, seppur inconcepibile, anche loro stavano cominciando a considerare quell'azzardo possibile. Che altre alternative avevamo?

«Sage...», cominciò Asery, scuotendo la testa e probabilmente cercando un modo delicato per dirmi che avevo perso il senno.

«No, Asery. So che può sembrare un piano strampalato ma è l'unica possibilità che abbiamo per saperne qualcosa di più», mi permisi di interromperla sul nascere, il mio tono di voce che lasciava trapelare tutta la speranza che avevo di convincere i miei superiori.

«Quindi il tuo piano è quello di farci ammazzare tutti? Credi che quell'affare si lascerà prendere tanto facilmente?» Percival prese parola, ovviamente, soltanto per contraddirmi. Quell'uomo mi odiava, ad affermarlo era la sua espressione torva; non riusciva a capire che non avevo niente a che fare con ciò che aveva fatto Victor alla sua famiglia. Lo stesso sangue magico che io e il tiranno condividevamo non ci definiva: erano le nostre azione a farlo.

«Non ho detto che sarà semplice, ho soltanto detto che vale la pena fare un tentativo. Di sicuro non verranno mandati dei soldati allo sbaraglio», spostai poi lo sguardo su Hunter, chiuso nel proprio silenzio. La postura del soldato era rigida; il braccio sinistro era teso in orizzontale contro lo stomaco e sosteneva, facendo da base, il braccio destro, il cui pugno era poggiato contro la sua bocca carnosa e arricciata in un'espressione meditabonda. Mi rivolse soltanto un'occhiata distratta, troppo preso dai propri pensieri. «Credo di sapere già cosa fare.»

A quelle parole, tutti si voltarono a fissarmi, in attesa di ascoltare quanto avevo da dire.

«Vale a dire?» domandò Hunter, non riuscendo a trattenere la curiosità.

Sospirai rumorosamente prima di parlare, incredula di ciò che la mia mente stava ideando. «Hai qualcuno in grado di costruire qualcosa di molto grande e molto pesante nel minor tempo possibile?»

Gli occhi del Sovvertitore si strinsero fino a diventare due fessure, poi si rilassarono mentre lui si faceva scappare un fugace sguardo d'intesa con Asery. Alla fine tornò a guardare me, annuendo. «Sì, abbiamo una squadra.»

«Bene!» esclamai in un soffio tra il sollevato e l'ansioso. «Mettila insieme perché ci serviranno i migliori fabbri che hai per costruire una gabbia. Ne dovranno costruire una in ferro molto spesso.»

Lui assunse un'espressione scoraggiata, portatrice di cattive notizie. «E se ti dicessi che la squadra non sarà reperibile prima di otto giorni?»

«Ti risponderei che per quell'ora, qualsiasi cosa quegli esseri stanno cercando, riusciranno a trovarla e sarà troppo tardi», e non solo per noi, avrei voluto aggiungere, ma per tutte le altre persone che sono là fuori a rischiare la vita. Mi mordicchiai l'interno del labbro, pensierosa e presi a considerare tutte le possibilità. «Dobbiamo farlo noi», conclusi infine, cercando con lo sguardo l'approvazione del trio. «Ci faremo bastare quello che c'è qui, ci adatteremo. Ma sarà meglio sbrigarsi.»

La conversazione terminò con la promessa di rifletterci su e prendere una decisione soltanto l'indomani, dopo una necessaria nottata di sonno. Avevo dato loro ragione e mi ero dileguata nel dormitorio senza neanche aspettare gli altri, troppo occupata a riflettere su ciò che stava avvenendo. All'inizio avevo avuto paura che i miei suggerimenti potessero venir in qualche modo derisi, così come aveva fatto il grosso e arrabbiato Percival, ma quella di Asery ed Hunter era stata una reazione totalmente diversa. Stavano valutando seriamente l'idea e la cosa mi metteva in agitazione, sia perché ci sarebbe stato molto lavoro da fare e soprattutto per la responsabilità che un'idea del genere comportava. Saremmo andati direttamente tra le fauci del lupo sperando di riuscire a scappare prima che chiudesse la sua grossa bocca, imprigionandoci tutti.

Il mattino seguente, l'aria all'interno del rifugio sembrava diversa, come coperta da una coltre di tensione ''benevola'', o probabilmente era solo una mia percezione delle cose, perché in realtà quella inquieta era proprio io. Ma non ebbi troppo tempo per pensarci poiché, subito dopo aver aperto - letteralmente - gli occhi, Salina, seguita poi da Hussain e Travis, mi aveva inchiodata sulla mia stessa branda per inondarmi di domande sulla sera prima.

«Prima di tutto, ci meritiamo un grazie per non averti ancora preso a calci nel sedere dopo essere stati abbandonati ieri notte senza dire una parola», Salina era tremendamente seria, tutta tirata a lucido e già pronta per affrontare un'altra giornata, mentre tutto il dormitorio era ancora mezzo addormentato, compresa me.

«Buongiorno anche a te», replicai, strofinando il dorso della mano su un occhio, nel tentativo di riuscire a intravedere quantomeno le scarpe sparse sul pavimento prima ancora della faccia arrabbiata della mia amica.

«Inoltre», continuò, ignorando completamente il mio sbadiglio, «Hussain ti ha vista parlare sia con Asery che con Hunter, sparendo successivamente insieme ad entrambi. Le loro facce erano tutt'altro che felici! Si può sapere in che guaio ti sei cacciata?»

Rivolsi un falso sguardo di rimprovero a Hussain, che cercò di evitare il contatto visivo in ogni modo possibile, evidentemente a disagio. Avrei voluto dirgli che stavo scherzando e che mai me la sarei presa per così poco, ma una voce femminile chiamò il mio nome a gran voce, così mi sporsi oltre le figure dei miei compagni per vedere meglio Asery, i capelli nuovamente raccolti come di consueto e l'espressione tranquillamente posata. Lei mosse la testa per invitarmi a seguirla e io le rivolsi un segno d'assenso. Il fatto che mi convocassero era un buon segno oppure no? Non avrei saputo dirlo.

Mi sbrigai il più velocemente possibile, domandai scusa ai miei amici giustificandomi con loro e promettendo di aggiornarli in modo completo in seguito, e corsi verso l'uscita dei dormitori. Lei era già a metà corridoio perciò fui costretta ad una fugace corsetta per raggiungerla.

Per l'intero tragitto verso - molto presumibilmente - le stanze di Laryngard, non riuscii a fare altro che sbadigliare in continuazione e passarmi le mani tra i capelli, provando a dar loro un aspetto decente.

«Nottataccia?» domandò Asery senza neanche guardarmi.

«No, sto bene», le dissi. Fortunatamente le sensazioni notturne erano diminuite, e persino quelle giornaliere non mi davano più il tormento. O meglio, succedeva ma riuscivo ad arginare quella sorta di comunicazione tra me e il mondo animale e vegetale. Cominciavo a decidere io quando e cosa ascoltare, come aveva detto Laryngard, e lo facevo così spontaneamente che quasi non faticavo più. Se avessi avuto il tempo di fermarmi a pensare a ciò che stavo diventando, probabilmente avrei pianto dalla commozione. Incredibile, era questa la parola esatta.

Anziché imboccare il corridoio che ci avrebbe condotte dal più anziano dell'Ordine, Asery mi scortò verso la scalinata diretta all'armeria. Ad aspettarci lì, con espressioni meditative e mani poggiate su un grosso tavolo rettangolare posto a destra dell'entrata, c'erano Hunter e Laryngard. La sala era quasi più grande dei dormitori e poco più piccola della palestra; come ricordavo, a fare da padrone erano delle strutture circolari, basi per scudi, spade e lance. Ma vi era molto di più: innumerevoli file di armi su supporti di ferro si estendevano per tutto il perimetro della stanza, mentre sulle pareti vi erano agganciati diversi modelli di archi, e sulle mensole in legno, invece, vi erano le balestre sistemate ordinatamente. E ancora busti per armature, pugnali, per finire a qualcosa su cui non avevo mai posato gli occhi prima di incontrare i Sovvertitori. Strani affari neri, di varia dimensione, - proprio come quelli che Hunter e gli altri avevano usato per uccidere il mostro che li aveva attaccati - si affiancavano contro la parete frontale, seminascosti da tutte le altre armi.

Mi persi per qualche secondo in più a scrutare ogni centimetro di quella stanza che a modo suo aveva un che di affascinante ma macabro. Quell'ambiente era l'emblema della morte, e arrivare a quella consapevolezza mi costava una certa fatica fisica, quasi come se l'istinto mi spingesse a retrocedere.

«Eccola», dichiarò Hunter quando si accorse della mia presenza. La luce estiva del primo mattino che filtrava da una piccola e rettangolare finestrella metteva in risalto i suoi bicipiti, lasciati scoperti dalla maglietta con delle maniche corte, rigorosamente nera. I capelli castani erano leggermente più corti sui lati e pettinati all'insù, senza perdere quell'accenno d'onda che spesso li caratterizzava.

Dopo averli salutati con un cenno del capo, mi avvicinai con calma al tavolo senza sedie in compagnia della Sovvertitrice. Sulla superficie in legno d'acacia era incisa, con mia somma sorpresa, l'intera mappa del territorio: tutto il Terzo Humus era lì su quel piano sotto gli sguardi vagamente turbati dei due vertici del nostro Ordine.

«Abbiamo pensato a ciò che hai proposto ieri sera e ne abbiamo parlato con Laryngard», cominciò a spiegare il soldato dagli occhi ambra. «Così come hai detto, è molto rischioso tentare di catturare viva una creatura come quella, ma non possiamo continuare a guardare passivamente ciò che stanno facendo. Le persone hanno paura ed è giusto intervenire.»

«Sono d'accordo», manifestai tutto il mio appoggio su quanto aveva detto, seppur lui non stesse cercando di convincermi ma di esporre la gravità della situazione senza riserve. Come me, anche Laryngard mosse il capo in un cenno d'assenso, lasciando poi che un fugace sorriso si disegnasse sul suo viso.

«Per cui abbiamo deciso di tentare e seguire il tuo consiglio.»

Tirai un sospiro di sollievo per un istante, tornando prontamente alla mia preoccupazione iniziale. Ciò voleva dire che qualcuno avrebbe messo in gioco la propria vita per l'attuazione di quel pensiero folle.

Mi inumidii le labbra provando a scacciare quella punta di nervosismo che avevo sulla pelle e porgendo una domanda essenziale per tutta quella faccenda: «Avete già un piano?»

«Ci stiamo lavorando», replicò Asery, precedendo il suo compagno. «Non essendo a conoscenza di nessun dettaglio significativo, dobbiamo stimare soltanto il luogo di un nuovo possibile attacco, e noi saremo lì. Aspetteremo che sia a terra per attirarlo nella gabbia e...»

Non riuscii ad ascoltare altro, né ad evitare di storcere il naso in un gesto di disappunto. Di quel passo sarebbero andati incontro a morte certa, quello era un dato di fatto. Per quanto apprezzassi Asery e il suo modo d'agire, fui costretta ad interrompere la spiegazione sul nascere poiché la mancata conoscenza che lei aveva di quell'essere, non avendo avuto la possibilità di esserne a contatto neanche una singola volta, potevano costare caro a chiunque si fosse offerto per quella ardua impresa, ed era per quel motivo che ogni minimo particolare, anche la più banale delle sottigliezze, doveva essere analizzata per buttare giù un piano che potesse donarci almeno il settanta per cento di opportunità di vittoria.

«In questo modo non riuscirete mai a catturarlo», affermai senza troppi giri di parole, con le mani poggiate contro il legno e pentendomi quasi subito di quanto detto per lo scatto del collo che vidi fare alla donna alla mia destra. La sua figura troneggiava su un lato del tavolo e il modo in cui si era voltata a guardarmi mi fece desiderare di mordermi la lingua, la stessa lingua che non si faceva problemi ad essere così schietta, beccandosi poi serie conseguenze.

«Voglio dire, quella cosa non cadrà mai così facilmente nella vostra trappola e sarà stato tutto inutile. Alcuni di noi l'hanno vista agire e posso assicurarti che è troppo furba, dobbiamo prenderla di sorpresa.»

«Stiamo ancora parlando di un animale, giusto?» ironizzò Asery, ma senza sorridere.

«Parli come se avessi già un piano, Sage. Sei qui anche per questo, dopotutto l'idea è tua e potrebbe esserci utile ogni tipo di proposta», s'intromise Hunter, puntando i suoi occhi pieni di speranza su di me.

Trattenni il fiato per una frazione di secondo, nervosa e preoccupata sulla strategia che avevo in mente di usare. Mi sentivo travolta dagli avvenimenti soprattutto perché di più erano le idee che esponevo e di più era la responsabilità che gravava su di me in caso di fallimento. Con un groviglio di dubbi che mi occupavano la testa, mi voltai verso tutte quelle armi e ripensai al modo in cui potevano tornarci utili per quel compito, consigliando a me stessa di seguire prima di tutto l'istinto e poi di mettere in pratica quello che per il momento avevo appreso da quando ero entrata a far parte dei Sovvertitori.

Lo sguardo tornò su Hunter, spostandosi poi su tutti i presenti mentre col capo annuivo debolmente. «Sì, ho pensato a qualcosa. Non so se funzionerà, ma in ogni caso quelle bestie non avranno scampo.»

Mezz'ora più tardi, impiegata ad esporre il piano, ad esaminarlo e migliorarlo nei minimi dettagli, dopo sguardi d'intesa e riflessioni tra i due Sovvertitori attivi e qualche silenzio di troppo da parte di Laryngard, eravamo arrivati ad una conclusione definitiva, fonte di speranza che ci aveva donato un margine di esito positivo non indifferente. Così come avevo detto, in ogni caso, se avessimo seguito il piano così com'era, sarebbe andata bene. E così come aveva detto più volte Hunter, la salvezza di tutti non era opinabile.

«Dunque, ci siamo», disse Hunter in un soffio, dopo aver ripetuto nuovamente i particolari dello schema scelto, vagliandolo meticolosamente. Si distanziò col corpo dal tavolo, poggiando il peso sulla braccia e chinandosi di poco in avanti; anche lui, come noi altri, era spossato dall'incombenza che inevitabilmente, ogni volta, cadeva su di lui. Mi parve, come mai prima di allora, veramente stanco, tanto da arrivare a chiedermi se avesse chiuso occhio almeno per un paio d'ore quella notte. «Ci sarà molto da fare, quindi sarà meglio cominciare immediatamente con i preparativi. Laryngard, ci serve ufficialmente il tuo lascia passare per iniziare.»

L'anziano mantenne l'espressione pensierosa che aveva avuto per tutto il tempo, tamburellando nervosamente un dito sul piano davanti a sé. «Se dovesse andare male?»

«Se dovesse andare male», ripeté l'altro, sollevando finalmente il capo e guardando il volto attempato di Laryngard con una cruda e viva sincerità che gli ardeva negli occhi, «ce la caveremo, come facciamo sempre.»

Hunter, una volta ottenuto il lascia passare, fece convocare le persone più robuste che la fortezza avesse a disposizione, quelle secondo lui più utili alle costruzioni che avevamo in mente di effettuare. Specie Jeffrey che, prima di scegliere di entrare a far parte dell'Ordine dei Sovvertitori, era stato un abile lavoratore del ferro.

Quando arrivò tutta la manodopera necessaria, all'incirca una decina di uomini e donne - lì come caposquadra delle persone che avrebbero lavorato insieme a loro -, lasciai spazio ad Hunter e Asery, affiancando la figura di Laryngard, affinché potessero spiegare il motivo per il quale erano stati convocati.

«Molti di voi si staranno chiedendo il perché della propria presenza qui», Hunter congiunse le mani l'una all'altra e cominciò il suo discorso in tono pacato. «Sarete sicuramente a conoscenza di quanto sta accadendo in questo periodo: le bestie che stanno attaccando i villaggi non possono più essere lasciate libere. La popolazione ha paura e visto che i Custodi non sembrano far nulla per contenere questa minaccia, sta a noi farlo.»

Scrutai in modo attento i volti dei presenti, concentrati e rigidi, notando qualche faccia conosciuta come quella di Percival. Nessuno sembrava troppo contento di dover prendere un impegno simile, ma nessuno avanzò alcun tipo di lamentala o anche una semplice espressione contrariata. Ciò dimostrava che, nonostante i rischi, tutti erano pronti a qualsiasi tipo di pericolo per il bene comune: quegli uomini e quelle donne erano disposti a donare la propria vita per la sicurezza del Terzo Humus. Gli ideali dei Sovvertitori non finivano mai di sorprendermi veramente.

«Queste creature sono qualcosa che va al di fuori dell'ordinario e sono molto difficili da uccidere, è per questo che, prima di attaccare, abbiamo bisogno di studiarle e di capire in che modo poter ucciderle con il minor numero di perdite possibile. Alcuni di voi non sono dei soldati ma sono stati riuniti qui per riuscire a costruire strumenti utili per il piano che abbiamo ideato e che abbiamo intenzione di attuare», si concesse una pausa mentre il silenzio regnava nella sala, tutti in attesa di istruzioni precise. Ma Hunter aveva altro per la mente: si voltò a guardare me e mi fece un cenno che non riuscii ad interpretare ma che capii quando, finalmente, riprese a parlare. «O meglio, che Sage ha ideato. Lei ha avuto un'idea valida che abbiamo appoggiato fermamente, per questo motivo sono sicuro che seguirete fedelmente le sue indicazioni, dato che sarà lei a gestire tutto il lavoro che svolgeremo insieme.»

Quando il significato di ciò che il Sovvertitore aveva detto arrivò alle mie orecchie, sgranai così tanto gli occhi che temetti di poterli sentire balzare via dalle cavità orbitarie.

Lo sconcerto ci colpì tutti indistintamente, perfino Laryngard mi rivolse uno sguardo confuso chiedendosi probabilmente se io fossi stata a conoscenza di quella scelta così azzardata. Non lo ero affatto ed era possibile intuirlo dalla mia reazione; ero completamente senza parole ma, seppur avessi voglia di prendere da parte Hunter e discuterne con lui, non riuscii ad articolare nulla di concreto da poter dire.

La mente era ricolma di quesiti e sul mio volto si disegnava un'espressione di puro stupore misto ad una certa preoccupazione. Come faceva Hunter a pensare che io potessi essere in grado di dirigere una squadra di lavoratori? A malapena riuscivo a controllare tutto ciò che mi accadeva - e certi dettagli della mia vita sembravano esser stati scritti da una mano molto perfida -, figurarsi come avrei potuto caricarmi sulle spalle anche quella responsabilità. Ma l'uomo di fronte a me, apparentemente calmo ma dagli occhi vispi, consapevole del guaio in cui mi aveva cacciato, non lasciò trasparire il minimo tentennamento, al contrario, mi invitò in un gesto silenzioso a farmi avanti per parlare a quelle persone. Ero in un vicolo cieco: non avrei potuto tirarmi indietro per non minare l'autorità e la credibilità degli ordini del Sovvertitore davanti a tutti, per cui l'unica cosa che potevo fare era avanzare goffamente e puntare il mio sguardo sul gruppetto davanti a me.

Deglutii rumorosamente, avvertendo gli occhi di tutti su di me e desiderando per un attimo che il pavimento di marmo mi inghiottisse per sottrarmi a quel momento di profondo imbarazzo.

Le occhiate che Hunter mi lanciava facevano presagire che mi stesse gentilmente esortando a parlare, a spiegare ciò che avevo in mente per contrastare quei mostri. Così riempii d'aria i polmoni e presi parola. «La strategia che abbiamo adottato per fronteggiare questa minaccia è sicuramente pericolosa, perché ci metterà direttamente di fronte alle creature che stanno seminando paura nelle nostre terre, ma è anche complessa nella sua struttura ed è per questo che c'è bisogno di tutto l'aiuto possibile, specie quello di Jeffrey», cercai di essere il più concisa possibile, dal modo in cui molti mi guardavano, capii che non si fidavano affatto delle mie parole. E come dar loro torto? Io ero colei che aveva qualcosa di strano, quella diversa, oltre ad essere quella nuova. Perché fidarsi di me? Hunter mi aveva messa proprio in bel guaio, ma non lasciai che questo mi scoraggiasse e riflettei attentamente sulle parole da utilizzare.

«So bene che molti di voi troveranno insolito il fatto che io sia qui a parlarvi e ad indicarvi cosa fare», mi uscì uno sbuffo sobbalzante prima di confessare: «lo è anche per me.»

Mi soffermai per un attimo sui tratti del viso del mio istruttore, intento a passarsi il pollice sul mento in un moto circolare e con fare pensieroso. «Ma sono conscia dell'importanza che ciò che stiamo per fare comporta e sono disposta a mettere a disposizione tutto ciò che ho da offrire per questo. Oggi non vi chiedo di riporre fiducia in me, ma vi chiedo di ricordare ciò che sta succedendo al di fuori da queste mura e di ricordare che noi abbiamo i mezzi necessari per fare la differenza, per aiutare quelle persone.»

Sulla sala calò uno spesso velo di silenzio; i bisbigli che avevano accompagnato il mio breve discorso erano scomparsi, il che mi fece chiedere se quello fosse un buono o cattivo segno.

Jeffrey, un uomo sui quaranta, bassino ma discretamente robusto e con una folta barba e capigliatura rossiccia, fece un passo avanti e puntò, poco dopo essersi guardato intorno, il suo sguardo su di me. «Che cosa dobbiamo fare? Di' come possiamo essere d'aiuto, e noi lo faremo.»

Mi si gonfiò il petto in un moto di sollievo e soddisfazione; gran parte di quel risultato era da attribuire ad Hunter e alla fedeltà che quelle persone provavano nei suoi confronti, ma forse - un enorme forse - ciò che avevo detto aveva potuto aiutarli a guardarmi con occhi diversi.

Voltai istintivamente il capo verso Hunter, scoprendo che i suoi occhi erano già su di me, nascondendo un muto messaggio: andrà bene.

«Come già detto da Hunter, lo scopo di ciò che stiamo per fare è riuscire a catturare almeno un esemplare, possibilmente vivo, da poter studiare», ottenni dei mormorii di dissenso del tutto comprensibili. «Ed è qui che entra in gioco Jeffrey e noi altri: utilizzeremo ciò che questo rifugio ci mette a disposizione per costruire una gabbia tanto resistente da contenere quell'essere. Ci servirà anche una rete fatta con anelli di ferro per poterlo catturare, poiché se dovessimo utilizzare delle semplici corde, rischieremmo di perdere prima di capire come e perché; quella bestia è troppo forte e troppo furba. Il compito di chi non combatte sarà quello di agevolare l'impresa a chi lo farà, attraverso tutti i mezzi di cui disponiamo e che possiamo creare.»

L'apprensione iniziale si era attenuata, dando spazio al fermento di tutti i presenti in sala messi ormai al corrente di quanto avrebbero dovuto fare. Jeffrey tentava di non ascoltare le domande che gli venivano poste in un borbottio dalla piccola folla, provando a concentrarsi su un punto indefinito di fronte a sé, oltre la mia figura. Era come se, in qualche modo, avessi potuto vedere gli ingranaggi nel cervello di quell'uomo azionarsi e calcolare tutte le probabilità di successo. Al che, quando tornò cosciente, mi avvicinai di qualche passo alla sua figura, scrutandolo intensamente, gli occhi colmi di speranza.

«Si può fare?»

Lui arricciò la bocca sottile e sollevò il mento, dubbioso. Non prometteva nulla di particolarmente buono. «Quasi tutto dipende dal materiale a disposizione che abbiamo qui, dall'attrezzatura per lavorare il ferro, dal tempo stimato per realizzare ciò che hai in mente», il quadro sembrava più critico di quanto pensassi.

In quel momento, il capo guerriero dei Sovvertitori mi si accostò per ascoltare meglio ciò che aveva da dire Jeffrey. Il suo viso era rilassato ma il resto del corpo era rigido, lo percepivo, nonostante lui cercasse di apparire tranquillo ad occhi altrui.

«Lo renderemo possibile», annunciò l'esperto dopo un veloce calcolo mentale, alzando appena la voce per sovrastare e per mettere a tacere il chiacchiericcio, annuendo con convinzione dapprima a me e successivamente ad Hunter.

Qualche ora più tardi, l'armeria brulicava di persone che facevano avanti e indietro, sorvegliate sempre e comunque dalle guardie di turno che controllavano ciò che entrava e ciò che usciva; il fatto che prima fosse inaccessibile a chiunque se non ai Sovvertitori di livello più elevato faceva sorridere, vista la folla che si era creata nel giro di pochissimo.

Ci eravamo divisi in squadre: io facevo parte della progettazione con altre sei persone, Jeffrey compreso che però si alternava tra il nostro gruppo e quello della costruzione, e insieme ci occupavamo di organizzare il tipo più resistente di struttura, buttandone su carta un modello e valutandone la qualità, i punti forti e quelli deboli, modificandoli fino ad ottenere un lavoro ottimale. Non potevamo permetterci sbavature.

Per il momento ci stavamo dedicando al disegno della rete di catene, spiegando come, secondo il mio parere, fosse meglio crearla e cercando consigli utili da tutti gli altri. Il modello sarebbe poi passato alla seconda squadra, quella della costruzione. Tuttavia, quest'ultima era del tutto inutile senza la squadra della ricerca, aiutata dalla supervisione di Hunter: si occupavano di raccogliere oggetti in ferro considerati inutili e li consegnavano al gruppo numero due che, seguendo le indicazioni di Jeffrey, cominciava a lavorarli. Avevo offerto il mio aiuto, d'altronde la manodopera era sempre utile, ma l'uomo dai capelli ramati me l'aveva sconsigliato caldamente, ottenendo l'approvazione totale del Sovvertitore, sempre troppo protettivo nei miei confronti.

Quando io ed Hunter viaggiavamo sulla stessa lunghezza d'onda - molto di rado, c'era da ammetterlo - succedeva qualcosa di particolare; quell'uomo riusciva a sorprendere le persone, in positivo o in negativo che fosse, proprio quando quest'ultime erano convinte di aver capito il suo modo di ragionare, di aver compreso ciò che aveva in mente. E invece no, lui fiutava la prevedibilità che gli altri si aspettavano e stravolgeva qualsiasi pensiero con qualcosa che lasciava tutti di sasso. E anch'io era caduta in quella sorta di ''trappola'', convinta che Hunter fosse una brava persona ma che avesse un lato oscuro - come chiunque altro - più pronunciato, eccessivo, finendo addirittura per paragonarlo erroneamente a Victor e a mio padre. Asery mi aveva aiutato a capire che Hunter conosceva certi limiti e che li avrebbe superati solo in caso di stretta necessità, ma avevo anche compreso che le scelte difficili per le persone come Hunter, per le persone come tutti i Sovvertitori, gravavano sulle spalle e restavano lì ad appesantire il cammino di ognuno di noi. Era proprio questo che giustificava determinate azioni: la consapevolezza di non avere altra scelta, i successivi sensi di colpa, il pentimento. Tutte cose che né mio padre, nonostante si fosse schierato dalla parte dei ''buoni'', né tantomeno Victor avevano mai provato.

Ma Hunter sì. Lui era così, era quel tipo di persona, quella che - incurante del mio sguardo attento e del sorriso sereno stampato sul mio volto - aiutava un uomo attempato con un grosso contenitore carico di pezzi di ferraglia, sempre felice di poterlo fare. E quando si voltò a guardarmi, beccandomi a fissarlo insistentemente, non si corrucciò chiedendosi perché mai lo stessi osservando, ma mi rivolse soltanto un cenno, sollevando l'angolo della bocca, di fin troppo spessore per uno come lui. Alla fine, incapace di sostenere ancora il suo sguardo seppur così lontano, calai il capo e tentai di nascondere anche un certo imbarazzo che mi aveva colorato il volto, ritornando al mio lavoro senza farmi prendere da strane distrazioni.

La sala era immersa nel totale chiacchiericcio sommesso e nel rumore del metallo e del ferro che veniva poggiato sul pavimento. Pian piano, gran parte del rifugio si era recato in armeria per capire cosa stesse succedendo e per dare una mano. Si avvicinavano e chiedevano informazioni di ogni genere e, sotto consiglio di terzi, venivano da me per prendere ''ordini''. E alcuni di loro si dimostrarono anche cordiali con me, strano ma vero.

Ero intenta a mostrare lo schema per la rete di ferro, assicurandomi che Jeff capisse quanta importanza avessero le catene nel nostro piano. «Mi raccomando, devono essere più di quelle che serviranno per la rete, ricordi?»

L'uomo annuì, poi volse il capo altrove, distratto. Imitandolo, mi accorsi dell'arrivo di Hunter e della sua curiosità di sapere come stesse andando l'operato; si posizionò al mio fianco, poggiando la mano sinistra sul piano in legno mentre il suo viso faceva capolino dalla mia spalla.

«Tutto nella norma, capo. Cerchiamo di ridurre al minimo i rischi di fallimento», comunicò Jeffrey, grattandosi il mento e osservando il disegno davanti a sé, assorto.

«Quante volte ti ho detto di non chiamarmi capo? Mia madre mi ha dato un nome per un motivo preciso», scherzò Hunter, lanciando un'occhiata rapida e bonaria al fabbro che si allenava per diventare un Sovvertitore.

«D'accordo, capo... volevo dire Hunter», si corresse subito, suscitando un leggero risolino da parte di tutte le persone attorno al tavolo, compreso il ragazzone accanto a me. «Scendo giù e vedo com'è la situazione lì, dopodiché ti informo, va bene?» mi disse, ricevendo un breve segno d'assenso. Il fatto che si fosse rivolto a me e non ad Hunter mi faceva sempre un certo effetto; io non volevo essere il capo, quello era un ruolo che toccava a chi era lì da prima di me e aveva più esperienza. Avevo solo proposto un'idea che mai mi sarei immaginata di veder concretizzarsi sotto le mie direttive.

«Vedo che ci stai prendendo gusto a dire agli altri cosa fare, non è così?» il Sovvertitore mi schernì, facendo sì che il mio sorriso si schiudesse in una risata spontanea che mi apprestai a nascondere con il dorso della mano. «Comunque, sono qui per informarti che ho intenzione di spostare il tuo primo incontro. Non hai avuto tempo per prepararti perché ti ho affidato tra le mani tutto questo, quindi è il minimo.»

Mi colpii mentalmente il palmo contro la fronte: come avevo potuto dimenticare il combattimento? Avevo perso ogni senso del tempo e delle cose per via della storia di quei dannati mostri.

Scossi energicamente la testa da destra a sinistra, rifiutando qualsiasi trattamento di favore, nonostante fosse lecito in un certo senso. «No, non fa niente. Questo pomeriggio io avrò il mio primo combattimento.»

Hunter si crucciò, in evidentemente disaccordo con me. «Sage, gli altri capiranno. Sarai impegnata qui per un bel po', non hai tempo.»

«Sono seria, Hunter, ce la faccio. Andrà bene», cercai di essere quanto più ottimista mi fosse concesso, malgrado sapessi a cosa andavo incontro.

Il sospiro che susseguì fu arrendevole; il mio istruttore sapeva che nulla mi avrebbe fatto cambiare idea. «Cominci a ragionare sempre di più come una vera Sovvertitrice», esclamò, spiazzandomi. Poco tempo prima non avrei neanche voluto aver a che fare con l'Ordine dei Sovvertitori e qualsiasi altra cosa lo riguardasse, mentre in quel momento mi sentii fiera e soddisfatta di sapere di essere finalmente una di loro. Era una ricompensa a tutti gli sforzi fatti e che ancora mi aspettavano.

E così, proprio come aveva fatto lui, sospirai anch'io; un sospiro liberatorio, un sospiro contento e un sospiro carico di emozioni fin troppo chiare sotto lo sguardo ambra di Hunter Montraei.

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