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Un Tempo Fu Conte

Fame
La sente
Lo dilania
È un ferro
rovente
Un filo
Spinato
Un artiglio
Scava
È la fame
Lo sguardo sale
Verso l'alto
Percorre le scale
E si ferma
A quella porta in cima
Che mai più si aprirà
I figli
Fiori sbocciati presto
E già appassiti
Morti
La fame li ha presi
E viene a prendere anche lui
Un tempo fu Conte
Ora è accecato
Affamato
La sua mente torna
A quelle parole
Misericordiose
Ai figli
Che gli hanno offerto la loro carne
E la fame
Gli grida
Di dargli ascolto
E così avviene
Un tempo fu Conte
Ora è un Cannibale
Della sua stessa carne
E ancora non sa
Quale terribile pena lo aspetta
Divorando per l'eternità
Immerso nell'acqua gelida
Il cuoio capelluto
Di una testa.


Il conte Ugolino è stato il personaggio che più mi ha colpita durante la lettura de la divina commedia, così tanto che ne avevo letto una versione modernizzata scritta da una giovanissima e talentuosa ragazza italiana. Dante colloca Ugolino nel nono cerchio e lo condanna a rosicchiare per l'eternità la testa dell'Arcivescovo Ruggieri con cui in passato aveva avuto numerosi attriti. Prima di morire, il Conte fu rinchiuso insieme a figli e nipoti, i quali prima di morire di fame, lo pregarono di cibarsi delle loro carne, cosa che forse Ugolino fece oppure no. Gli storici propendono per il no ma, essendo una raccolta horror, ho deciso di portare l'altra versione.

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