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Un incontro inaspettato

Dopo quel giorno, Sebastian, sembra aver preso un po' le distanze. Sono dieci giorni che ci parliamo solo la mattina perché, appena suona la campanella, lui scappa via per andarsi a allenare. 'Sarà vero?'. Chissà cosa c'era scritto in quel messaggio che gli ha completato ribaltato l'umore; appena lo lesse, mi afferrò il braccio e si sbrigò per uscire da lì. Andò così veloce sul G.R.A. che pensai di spiccare il volo di lì a poco. Mi dovetti tenere aggrappata alla sua giacca tutto il tempo. Dopo che mi lasciò a casa, mi sentii in colpa per non aver fatto nulla, per non essere riuscita ad aggiustare quel momento di rottura in lui. Avrei voluto calmarlo, proprio come lui fa con me, ma, come al solito, sono stata inutile.

La campanella suona e mi desta dai miei pensieri: anche oggi, Sebastian, si sbriga ad alzarsi dalla sedia. Ma ora non ho intenzione di far finta di nulla, oggi voglio capire cos'è successo a quella persona che, in così poco tempo, mi ha regalato i momenti più felici della mia vita.

-Sebastian- lo chiamo, prendendolo per il polso, mentre finisce di inserire le ultime cose nello zaino. Lui mi guarda, sorpreso quasi quanto me per questo gesto audace.

-Possiamo parlare? So che parliamo già ogni mattina, prima di entrare qui. Ma vorrei parlare davvero- continuo, con non so quale coraggio.

-Ho gli allenamenti, Iris- cerca di liquidarmi lui.

-Ti aspetterò, qui- aggiungo. Non è giusto quello che fa: chiede a me di non mentire, chiede a me di parlare, di essere aperta, di non ascoltare le voci nella mia testa. Ma lui... Lui non vuole mai mostrarsi. Non sono così ingenua come crede: lo vedo quando elude le mie domande, mi accorgo quando svia un discorso pur di non mentirmi. Ma stavolta, Sebastian, non farò finta di niente, non mi limiterò a guardare come ho sempre fatto.

-Farò tardi- cerca di liquidarmi in fretta, per poi sparire dalla classe a tutta velocità. Ma, se c'è una cosa che, Sebastian, non ha ancora imparato di me, è che quando mi metto in testa qualcosa, nessuno può farmi cambiare idea.

Scendo le scale pian piano e, prima di uscire, decido di andare al bagno; appena entro, sento un rumore a me familiare: vomito. Sgrano gli occhi e, pochi istanti dopo, sento tirare lo scarico. La porta si apre e vedo Eris uscire da lì: i suoi occhi sono gonfi di lacrime, la bocca è rossa e, istintivamente, i miei occhi guizzano sulle sue dita che, inaspettatamente, trovo segnate. Allora... Anche lei lo fa.

-Che ci fai qui, mucca?- domanda in tono aspro. Questa volta non mi scompongo, questa volta quelle parole non mi colpiscono come un pugno in pieno volto. Eris è proprio come me. E lei lo nota: nota che sono immobile, nota che non tremo, non piango, non scappo, non mi nascondo. È così nuovo per me e così nuovo per lei: ci guardiamo negli occhi, per la prima volta. È sorpresa e non sa come comportarsi, glielo si legge negli occhi.

-Perché lo fai?-. Esce dalla mia bocca senza che me ne renda conto. La vedo sussultare, sorpresa e anche imbarazzata per essere stata scoperta. Mi avvicino a lei e, istintivamente, le prendo la mano che ha usato per procurarsi il vomito e la guardo meglio: i segni dei denti sono incisi sopra come a ricordare che è l'unica cosa giusta da fare. La ragazza resta immobile per qualche secondo, sorpresa quanto me dal mio gesto, poi ritrae velocemente la mano e mi guarda in cagnesco.

-E a te che interessa?-. Si volta e si dirige al lavabo, apre l'acqua e ne infila un po' in bocca, sicuramente per eliminare qualche pezzetto di cibo rimasto sulla lingua e, se fortunata, attutire un po' il gusto acido del vomito. Dallo zaino estraggo un pacchetto di gomme al mentolo che, almeno a me, aiuta sempre, e gliele porgo.

-Prendi, ti aiuterà a togliere il gusto e a calmare il bruciore in gola-. Eris mi guarda allibita e confusa ma, senza dire nulla, prende una chewing-gum e se la infila in bocca. Metto a posto il pacchetto, sostituendolo con quello delle sigarette, mi volto ed esco.

-Iris!- sento gridare alle mie spalle. So già cosa vuole dirmi:

-Tranquilla, non lo dirò a nessuno-. Non ho bisogno di voltarmi per sapere che mi sta ringraziando. So cosa vuol dire essere scoperti, so la paura che si prova quando qualcuno scopre quel segreto. Come so bene che potrei sfruttarlo a mio favore, distruggendo la sua vita come lei ha fatto con la mia: ma io non sono Eris. Io non so essere cattiva, io non so essere vendicativa. Varco la soglia del cancello di scuola e mi dirigo al solito posto dove, con Sebastian, ci vediamo ogni mattina. Mi siedo sulla panchina di roccia, una volta bianca, che oramai è ricoperta di scritte e disegni.

Prendo una sigaretta, l'accendo e inspiro: il fumo, assieme all'aria gelida, bruciano le narici e i polmoni. Guardo l'ora sul telefono che segna le 14:26. 'Sarà una lunga giornata' penso. Ma non importa: se dovessero servire anche otto, dieci, venti ore per poter parlare con Sebastian, lo farò. Mi stendo sulla panchina fredda, infilo le cuffie, attacco il Powerbank e ascolto alcuni podcast di Eli in Crimeland e di Elisa true crime: i crimini e i serial killer mi hanno sempre affascinata. Mi affascina la loro mente contorta, il loro saper mascherare ogni emozione, sensazione, desiderio, natura che hanno, sempre che la abbiano.

Guardo il cielo sopra di me cambiare pian piano colore mentre, oramai, il quinto podcast mi riempie le orecchie. Guardo l'ora e segna le 19:48. 'Sono qui da più di cinque ore' e le mie gambe, ormai congelate dal freddo, iniziano a farmi male. Anche il naso è congelato e le labbra quasi interamente screpolate. Ha ragione Teresa a dire che un balsamo per le labbra deve essere sempre messo in borsa, perché non sai mai in quale situazione puoi ritrovarti. Sullo schermo noto l'icona di una chiamata persa: 'Gino'. Alzo un sopracciglio, sapendo che è preoccupato perché non sono ancora rientrata. Mi appresto a inviargli un messaggio: non ho voglia di parlare con lui al telefono e sorbirmi le sue paranoie. A volte sembra essere lui mio padre. Scrivo che va tutto bene e che tornerò a casa più tardi, non specificando l'ora. Blocco il telefono e mi accendo un'altra sigaretta, l'ottava del pomeriggio. Credo di non aver mai fumato così tanto.

-Che ci fai qui?- sento domandare alle mie spalle. Senza girarmi, sorrido: lui è qui. Dopo qualche attimo mi volto e lo vedo: tiene stretto in mano il casco. La tuta grigia fascia perfettamente le gambe toniche e il Napapijri risulta aderente sulle spalle. Lo guardo in volto e sembra essere preoccupato: il petto fa su e giù, come se avesse corso una maratona. 'È agitato'.

-Te lo avevo detto che ti avrei aspettato- rispondo io, sorridendo. Non ha idea di quanto possa essere testarda quando mi metto in testa qualcosa.

-E perché non mi hai mandato un messaggio? Perché sei rimasta al freddo per tutte queste ore?- grida, visibilmente arrabbiato. Inclino la testa a destra e lo guardo confusa: quella reazione mi sembra esagerata.

-Non volevo disturbarti durante l'allenamento- rispondo sincera, mentre mi alzo in piedi.

-E se non fossi tornato? E se qualcuno si fosse avvicinato a te, e ti avesse fatto del male?- urla ancora più forte, mentre avanza. In effetti non ci avevo pensato: guardandomi attorno, solo ora mi rendo conto di quanto questo posto sia buio e desolato, nonostante a qualche metro il traffico non accenna a estinguersi.

-Io lo sapevo. Sapevo che saresti venuto- ammetto. Anche se ingenuamente, dico la verità. Me lo sentivo che Sebastian sarebbe venuto. Sapevo che, per qualche motivo, avrei avuto modo di parlare con lui.

-Iris, ci hai fatto preoccupare!-. Mi tira in un abbraccio, uno di quelli che sa di paura, di ansia, di disperazione. Uno di quelli che dicono 'meno male'. Inspiro profondamente il suo odore che, ormai, è diventato il mio profumo preferito, quello che indosserei ogni giorno per sentirmi felice. Però, la sua frase, mi fa pensare:

-Sebastian, a chi ho fatto preoccupare?- domando. 'Perché ha parlato al plurale?'. Lo sento deglutire: non è un buon segno.

-Beh, immagino che anche i tuoi genitori siano preoccupati- prova a giustificarsi lui, ma non me la bevo.

-Sebastian, sei stato tu a dire che odi le persone che mentono. Allora perché lo stai facendo?-. 'Sarò stata troppo diretta?'. Forse non dovrei forzarlo a parlare, ma non riesco a non preoccuparmi del repentino cambiamento di questo ragazzo.

-Broccolo-. Sgrano gli occhi e lo guardo incredula. Ha usato la parola safe: 'Deve essere qualcosa che scotta' fa capolino la mia coscienza. Annuisco e non insisto: lo ha fatto lui così tante volte che non posso fare altro che mollare la presa.

-Allora... Ti va di fumarci una sigaretta? Poi me ne vado a casa- dico. Lui annuisce e solo ora si stacca da me: ci sediamo su quella panchina che mi ha fatto compagnia tutto il pomeriggio, lui prende un paio di cilindri dal pacchetto e me ne porge uno. Gli passo l'accendino e, in un primo silenzio, iniziamo a fumare.

-Sei testarda, eh?- chiede lui, interrompendo il silenzio. Guardo i piedi che dondolano un po', prendendomi del tempo per rispondere:

-Piuttosto direi che mi preoccupo-.

-Di cosa?- chiede incuriosito. Lo sento che in questo momento mi sta guardando, sento i suoi occhi addosso.

-Di chi è la domanda giusta-. Mi volto e gli sorrido. Sebastian mi guarda attonito, mentre i tuoi occhi guizzano sui miei. Sta cercando di capire e, appena lo fa, sul suo volto appare una mezzaluna, che lascia intravedere la dentatura perfetta.

-Iris, posso farti una domanda?- chiede, per poi inspirare un po' di fumo. Faccio un cenno di assenso ed eccolo lì:

-Perché sembra che tu ci tenga a me?-. Mi irrigidisco a quella domanda: vorrei dirgli la verità, ma non vorrei neanche sembrare una stupida disperata. Eppure, mentire, non mi ha mai portato a nulla di buono. Quindi tanto vale rischiare, no?

-Sebastian, tu sei l'unica persona che, in diciassette anni, mi ha regalato dei momenti di felicità- ammetto, arrossendo e abbassando lo sguardo. Mi sento così scema, così vulnerabile, così fragile. Mi sto aprendo con qualcuno di cui non so nulla, ma che, per qualche motivo, sento che merita la mia fiducia. La sua mano tocca la mia guancia, accarezzandola dolcemente:

-Quanto vorrei non essere così sbagliato- dice lui, cogliendomi totalmente di sorpresa, sia per il gesto che per le parole.

-Perché pensi di esserlo?- domando, totalmente confusa. 'Cosa dovrebbe avere di sbagliato?'.

-Perché lo sono. Io...- toglie la mano e abbassa lo sguardo. Non ho mai visto Sebastian guardare altrove, è sempre stato sicuro di sé.

-Purtroppo, non posso dirti tante cose, non ora. Ma so che, una come te, con uno come me, non può fare altro che distruggersi. Sono come un buco nero nel quale è inevitabile essere risucchiato. Iris, non ti innamorare mai di me-. Mi gelo.


Angolo autrice

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