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San Pietro e Paolo

Mi alzo alla solita ora e, come ogni mattina, sento il cuore in gola prima di posare i piedi sulla mia migliore amica, nonché peggior giudice di me stessa: miss Billy, la mia bilancia. Sono talmente sola che ho dato un nome a un oggetto. Sospiro sconfitta, come ogni giorno della mia vita, da sempre. Inspiro profondamente e poi lascio uscire quanta più aria possibile dal mio corpo: chiudo gli occhi stretti, come quando vedi arrivarti in faccia un pugno. Tremando, salgo su quella superficie fredda, spoglia di ogni vestito che possa anche solo aggiungere un grammo a quella cifra sullo schermo. Inspiro nuovamente e butto fuori finché i miei polmoni non contengono nemmeno più un briciolo d'aria; spalanco gli occhi, deglutisco e guardo giù: sullo schermo luminoso vedo segnato quarantuno chili e ottocento grammi. Sorrido. 

Scendo velocemente da miss Billy, prendo la chiave che si trova dietro la specchiera e corro ad afferrare il diario. Lo apro e finalmente posso segnare un altro traguardo; manca poco e arriverò al punto di non ritorno, ma stavolta nessuno mi salverà. Perché stavolta non cederò prima, stavolta sarò così forte da resistere fino all'ultimo secondo, fino all'istante in cui cadrò a terra dopo aver esalato l'ultimo respiro. Ripongo il diario nel doppio fondo e la chiave dietro la specchiera prima di correre in bagno a prepararmi. Arrivo davanti allo specchio rettangolare grande, illuminato dai led, poso le mani sul lavandino in marmo e guardo il riflesso di me che arriva all'ombelico: i zigomi sono ben pronunciati, le occhiaie troppo scavate e visibili. Lo sterno si vede perfettamente, così tanto bene che vedo limpidamente la giuntura con le clavicole. 

Sono uno scheletro a cui è stata attaccata della pelle rosa pallido per non farlo sembrare vuoto anche se, vuota lo sono. Vuota come la scatola di biscotti di latta che trovi a casa della nonna. Vuota come la testa di chi non pensa mai. Vuota come un'anima che si è arresa alla vita, la mia.

Poi guardo bene i tatuaggi fatti di nascosto da quel ragazzo in riva al Tevere: niente di più sporco, sudicio e sbagliato. Ma il dolore... quello l'ho amato così tanto da non poterne fare più a meno. Ho sempre trovato difficoltà ad auto procurarmi del male proprio perché sono una codarda. Ma nel momento in cui l'ago s'infilzava sotto la mia pelle, i miei pensieri sparivano completamente. Ci misi interi mesi a convincerlo a tatuarmi perché ancora minorenne, ma tutti hanno un prezzo e per me, i soldi, non sono mai stati un problema. Ma nemmeno una fonte di felicità.

Una piccola luna sulla clavicola mi ricorda che il mio unico obiettivo è quello di eclissarmi, per non risorgere più. E poi, sulla bocca dello stomaco, quel numero scritto tra due grandi falci, in grande: 71,8 . Quello è il peso da cui sono partita e che mai più vorrò rivedere su uno schermo che parli di me. Sorrido appena me ne rendo conto: trenta chili di meno. Questo pensiero farà sì che oggi niente potrà rovinare la mia giornata. Indosso l'intimo nero e, solo in quel momento, rivedo la ferita che mi sono procurata il giorno prima.

-Merda!- impreco. Solo ora ne sento il dolore e il bruciore. Ero troppo concentrata a far caso al mio peso per sentire il calore e il male provenire dalla mia coscia. Mi precipito in camera da letto e dall'armadio di fronte ad esso tiro fuori un pantalone della tuta oversize della Kappa, quelle con i bottoni di lato, di colore bordeaux, insieme a una felpa larga nera col cappuccio e le Air Force bianche. 'Oggi sono fin troppo colorata' penso, prima di tornare in bagno a prendere dell'acqua ossigenata assieme al cotone e a una garza. Dirigendomi nuovamente in camera, mi siedo sulla sedia della scrivania, a sinistra della grande finestra da dove entra la luce mattutina, pronta ad illuminare totalmente la mia stanza. Disinfetto quel disastro mentre mia madre inizia ad urlare dal piano inferiore di sbrigarmi. Faccio il più velocemente possibile: indosso i pantaloni con cura e delicatezza, infilo a casaccio i piedi nelle scarpe, sapendo che me le sarei sistemata in macchina, afferro lo zaino e la felpa e corro giù per le scale, mentre cerco di indossare quest'ultima. 

-Finalmente!- impreca mia madre, roteando i grandi occhi verdi al cielo. Si volta sui tacchi dodici neri, mentre il tailleur crema di una taglia più piccola implora di non avere a che fare con le sue forme longilinee ma pronunciate. I lunghi capelli di una tonalità di biondo più chiaro rispetto a quella del giorno prima, le accarezzano le spalle. Mia madre si è trasformata nella segretaria che mio padre si scopa. Ricordo ancora quando li ho beccati sul bancone della cucina mentre mia madre era in Turchia a rifarsi qualcosa. Aprii la porta di casa dopo il mio solito allenamento, mi voltai a destra e vidi mio padre sopra la bionda venticinquenne, che se la sbatteva sul ripiano di granito sul quale mangiava assieme alla sua famiglia. Sarebbe stato un trauma per chiunque, ma non per me. A dire la verità, mi ha fatto un favore: da quel momento avevo un motivo più che valido per non consumare un pasto in loro presenza. Non che gli fosse mai importato di cosa mangiassi e quanto mangiassi, ma da quell'episodio, le cene in cucina svanirono magicamente.

Afferro una tazza di latte e caffè che Carol, la colf, gentilmente mi porge. Corro verso la macchina, entro e saluto Gino come al solito. Però oggi Gino non mi sorride; sembra pensieroso, angosciato.

-Che succede?- domando preoccupata. Non è da lui non sorridermi. Non risponde: il suo sguardo è fisso su un punto, come se la sua mente fosse occupata da qualcosa che lo isola in una bolla. -Gino...- provo a richiamarlo, toccandogli la spalla. Mi guarda dallo specchietto: sguardo deciso, impassibile. 

-Una giornata no signorina Iris- risponde, con un sorriso forzato. Non voglio insistere: so come ci si sente quando qualcuno vuole farti parlare contro la tua volontà perciò, semplicemente, poggio la schiena sulla pelle fredda dell'auto che, nonostante la felpa calda, riesce a farmi sentire la sua temperatura. Trasalisco per un attimo ma subito mi abituo al fresco del tessuto. Cerco le cuffie nel mio zaino ma non le trovo: 'Cazzo! Devo averle lasciate sulla cassettiera a caricare' mi maledico, prima di sbuffare e guardare il paesaggio scorrere fuori dal finestrino. La mia mente vaga mentre guarda attentamente la gente per strada: chi corre frettolosamente al lavoro, evidentemente in ritardo. Chi invece, con calma, si reca a scuola con lo zaino in spalla e chi, sclerotica, impreca contro i figli piccoli di sbrigarsi, in modo da potersene liberare per qualche ora: Roma ti regala tutto ciò e anche di più. Bevo velocemente il mio latte e caffè e poi, in mezzo al traffico, vedo lei:

-Oggi mi puoi lasciare davanti la basilica di San Pietro e Paolo?- domando a Gino, cogliendolo di sorpresa. Ho sempre amato quella chiesa dell'Eur. Così imponente, dall'alto della scalinata di marmo, contornata da alte siepi sempre perfettamente curate, ti fa sentire così insignificante. E le rare sere in cui avevo il coraggio di uscire di casa, mi dirigevo lì, alla fine della via che incontrava il primo scalino e la guardavo: guardavo quella chiesa illuminata da così tante luci che sembrava quasi un'apparizione. 

'Chissà se qualcuno provava le mie stesse sensazioni quando guardava la facciata bianca da sotto. Chissà se qualcuno prova un senso inquisitorio sotto gli occhi di quelle due statue poste ai lati della basilica. Sembra che ti guardino, pronte a giudicarti. Sembrano due sentinelle poste all'entrata di un grande tesoro'. Ma una delle cose che amo di più è l'incontro tra il moderno e l'antico: lo stradone trafficato dell'Eur, quello alla base della scalinata, accoglie centinaia di macchine e, poche decine di metri sopra, regna la quiete dell'antico, del sacro.

-Sicura? Dovrà fare molta più strada per raggiungere la scuola- dice Gino, quasi preoccupato. Semplicemente annuisco e lui mi asseconda. Mia madre, seduta di fianco a me, non si accorge nemmeno che scendo in un posto diverso dal solito e tantomeno si degna di salutarmi. Appena chiudo lo sportello, mi volto e ammiro quel monumento che mi ha sempre trasmesso tranquillità. Sento il freddo mattutino di Ottobre gelarmi il naso e posso vedere la condensa del mio respiro formarsi davanti ai miei occhi. Solo questo mi ricorda di essere ancora viva: respirare. Le nocche delle mani si intorpidiscono, le gambe tremano un po' e l'aria che passa al di sotto della felpa, mi fa venire la pelle d'oca. Amo questo posto anche perché ti fa essere invisibile: le persone che passano per di qua, sono così impegnate che a stento guardano la strada per non essere investiti. Figuriamoci se guardano le persone. Guardo ancora una volta la basilica: se penso che tra qualche tempo non potrò più vedere una città come questa, la mia città, quasi mi dispiace.

A interrompere i miei pensieri ci pensa quella sensazione provata il giorno prima: sento lo stesso brivido percorrermi la schiena e non parlo di un brivido di freddo. Mi sento osservata e, pochi istanti dopo, sento il rombo di una moto alle mie spalle. Balzo all'indietro dallo spavento e mi volto: dall'altra parte della strada c'è un ragazzo in sella alla sua moto. Indossa un jeans nero strappato, un paio di stivali neri di pelle e... 'Quel giacchetto!'. Alzo lo sguardo e il casco integrale oscurato copre completamente il suo volto ma posso esserne certa: è Sebastian! Sgrano gli occhi e, in un attimo, il gelo di quella mattina non lo sento più. 

                                                             Angolo autrice

Nuovo capitolo fuori! Alloraaaaaaa... questa è solo una prima parte e vi dico... preparatevi psicologicamente perché ora la storia inizierà ad entrare nel vivo. Conosceremo moooooolto meglio Sebastian (spero che vi piacerà perché è 'leggermente' particolare). Se volete potete seguirmi su instagram (trovate il link sul profilo), dove posterò degli estratti, annuncerò l'uscita dei capitoli, farò dei reel di Iris e Sebastian e... darò delle anticipazioni sui capitoli in uscita. In più, vorrei scegliere un altro giorno di pubblicazione oltre al sabato. In più volevo ringraziare tutti coloro che seguono la mia storia. Alcuni commenti mi fanno davvero sorridere e vi ringrazio per il sostegno. Vi adoro <3 A prestoooo

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