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Capitolo 10

«La palestra é vuota, possiamo parlare.» disse una voce femminile. «Di cosa vuoi parlare? Abbiamo una sola possibilità e se falliamo ci scopriranno inutilmente.» ribatté un'altra voce, maschile stavolta.
La ragazza sospirò «Giove non farà i salti di gioia dopo un fallimento»
«Ehi ascoltami» riprese il ragazzo «Non succederà quello che é successo... Anni fa. Okay? Nessuno verrà pugnalato, sparato, torturato e nessuno morirà, chiaro?»
«Dovevi per forza ricordarmelo?» gli chiese lei.

Il ragazzo batté piano il piede a terra, come un coniglio «Senti: il Campo ha fatto un errore e anche la CIA. Mandare qui l'agente Grace? Ma scherziamo?»
«Il problema é il testimone» disse la ragazza «Quel maledetto testimone. Il fatto che sia un agente non aiuta: non sappiamo la sua identità e non possiamo fare niente. Ha visto già alcuni nostri visi, devi fare attenzione. Siete rimasti in tre»
«Credi che non lo sappia? Per sicurezza non mi hanno detto quando lui agirà: più nascosti di così non si può!»

Cadde il silenzio, poi il ragazzo riprese «Te ne penti mai?»
«No.» la ragazza rispose sicura «Non me ne pento. Ora vivo col terrore di finire male, é vero, ma almeno combatto per ciò in cui credo».
«Be' beata te... Hai idea di com'è rivederlo ogni giorno e non potergli dire niente? Nascondermi dalla sua vista?»
«Senti, se vuoi ritirarti per i sensi di colpa, sappi non servirà a niente. Pensi che ti accoglierebbero a braccia aperte?»
«No ma perlomeno capirebbero che me ne pento!» sbottò il ragazzo.
La ragazza sospirò «Siamo in questo casino ormai. Abbiamo fatto la nostra scelta cinque anni fa: non si torna indietro».

Ci fu di nuovo del silenzio.
Percy era attaccato al muro mentre il sudore gli si asciugava addosso. Respirava poco e silenziosamente, l'unica cosa che si muoveva era il suo torace che andava su e giù.

«So che non posso tornare indietro. Ma vorrei... Vorrei davvero... É stato terribile»
«Molla tutto e scappa, allora!» ribatté la ragazza
«Giove mi troverebbe! E dove dovrei andare? Al Campo? Alla CIA?».
La ragazza sbuffò «E allora non lamentarti».
«Non ti sopporto quando fai così. Da quando é successa quella cosa con lui sei diversa»
«Senti, quel ragazzo era il mio ragazzo, okay? Credi che mi abbia fatto piacere? Credi che mi piaccia tutt'ora? Be' ti dico una cosa: non mi é piaciuto cos'è successo e soprattutto come é successo, ma il passato é passato e io non mi pento di niente. Se vuoi rimanere qui a rimpiangere di aver fatto la scelta sbagliata, a me sta bene, ma non cercare di farmi la ramanzina».

Lui stette in silenzio. Lei sospirò «Andiamo, devi tornare dalla tua ragazza o si insospettirà». Percy immaginò che la ragazza stesse sorridendo. «Promettimi che lei rimarrà fuori da tutto questo» le disse il ragazzo. «Promesso, ma ora andiamo!» Percy rimase immobile finché la porta non si chiuse.
Doveva avvisare Jason.

Frank buttò dentro tutta l'aria gelida, seccando la gola. Quando cominciò a tossire, Jason gli concesse addirittura una piccolissima risata. «Allora... Come va?» Jason scrollò le spalle «Va».
Frank sorrise, divertito «Onesto, onesto. Te lo concedo». Rimasero qualche secondo in silenzio, poi il canadese disse «Posso chiederti una cosa? Non sei costretto a rispondermi».
Jason annuí, Frank riprese «Sei sempre stato così?»
«Così come?»
«Così. Silenzioso, chiuso, mezzo depresso... Hai idea degli sforzi che facciamo per conquistare quei piccoli e rari sorrisi?» Jason scrollò le spalle.

«In realtà no.» Frank poté vedere lo sforzo che stava facendo per aprirsi «Prima ero come te: solare, divertente, sorridevo sempre, ridevo solo. Poi sono successe delle cose...» si bloccò.
«Ehi, non dirmi altro. Mi basta così» Jason gli fece un sorriso timido.

Entrambi si bloccarono quando videro un ragazzo puntargli addosso una pistola. «NON VI MUOVETE!» disse da lontano e furono costretti a obbedire. Jason trattenne l'impulso di prendere la sua pistola nascosta.
Quando l'uomo si avvicinò videro che era vestito completamente di nero, il cappuccio in testa e una maschera nera che gli copriva il viso. Puntò l'arma su Frank, guardando Jason negli occhi. «Sparisci da questo college».
«Perché?» chiese sapendo bene la risposta.
«Perché non voglio premere questo grilletto» lo stupí lo "sconosciuto". Non sapeva il suo nome, la maschera gli modificava la voce, ma sapeva per chi lavorava.

Prese la mira sulla fronte di Frank «Dammi il cubo.»
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«Dammi il cubo o lo faccio secco, Grace. Non sto scherzando »
«Non. So. Di cosa. Tu. Stia. Parlando.» Jason scandì ogni parola facendo stringere le dita dello sconosciuto attorno all'impugnatura.
«Conterò fino a tre e se non canterai, sparerò».

Frank lanciò un'occhiata a Jason, mantenendo una calma assurda.
Jason lo guardò negli occhi, spaventato. Non poteva dire niente, ma Frank non doveva finirci in mezzo.
Il suo cellulare squillò.

«Rispondi. In vivavoce. E non provare a dire niente» Jason obbedì lentamente.
«Ho scoperto delle cose»
«Non sono in un luogo sicuro, non parlare» gli disse
«Jason qualcuno ci attaccherà!»
“Oh ma dai!” avrebbe voluto rispondere «Adesso non posso parlare. Discutiamone dopo».
Percy sbuffò «Va bene» e attaccò la chiamata.
«Stavo dicendo, prima di essere bruscamente interrotto, dimmi dov'è il cubo» riprese l'uomo mascherato puntando al petto di Frank.

Il civile aveva un'espressione strana, non si riusciva a capire cosa stesse provando. Sembrava che cercasse di nascondere un mix di paura e adrenalina. Jason continuò a non parlare, non poteva.
L'uomo si spazientì e guardò negli occhi Frank «Sappi solo che non volevo».

Gli sparò alla gamba.
Il ragazzo urlò di dolore, buttandosi a terra. «Questo é solo un avvertimento, Grace» l'uomo scappò. Jason avrebbe voluto corrergli dietro, ma non sapeva le condizioni di Frank.
Chiamò in fretta e furia Percy, che gli rispose praticamente subito «Vieni in cortile. Adesso. E porta una barella, dopo ti spiego». Il moro attaccò la chiamata, ricevendo il messaggio.
«Chi caspio era?» chiese Frank a denti stretti
«Qualcuno che non ti farà più del male, promesso» gli disse cercando di fermare il sangue.

«Se non ne farà a me, ne farà a te, Jas» Frank strinse i pugni e si sforzò di non urlare «Fa attenzione.»
«Tu pensa a non morire.»
«Si vede che hai passato poco tempo con Will. Ha mirato in un punto che guarirà presto, neanche lontanamente fatale.»
Jason lo guardò «Allora... Che faccio?»
«Sta fermo, aspetta un'ambulanza. Me la caverò» gli disse rosso in viso.

Cercava inutilmente di mascherare il dolore mentre le mani gli si sporcavano di sangue.

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