Roma Termini
Marzia aveva sempre creduto che le stazioni racchiudessero piccoli frammenti di vita qualunque. Se ne poteva trovare traccia in un mozzicone sporco di rossetto, in un bicchiere di carta stropicciato, nelle pagine di giornale abbandonate sulle panchine. La polvere, il fango ed il terriccio che spesso sporcavano le scale ed i pavimenti imprigionavano impronte dalle mille sfaccettature, raccontando ai più attenti visitatori storie di passaggi, di partenze e di rimpatri. Il vento sembrò oscillare appena, incastrandosi in mezzo alla ghiaia e sbattendo contro gli alti muri di pietra bianca.
Roma Termini poteva essere definita una metropoli di anime in fuga. Il cielo pareva esser stato dipinto dalle mani di un pittore incerto, sfumando quasi sempre nel grigio scuro. A Marzia sembrava che quel colore così tetro avesse contaminato non solo l'aria circostante — talmente densa da sembrare nebbia invernale — ma persino i muri e le panchine. Il grigio le si addiceva. Glielo aveva detto sua figlia.
«Buongiorno. È il 34B?» Le spalle della donna parvero irrigidirsi, mentre la schiena si tendeva in una posa più composta e rigida rispetto a quella che aveva adottato fino a pochi minuti prima. L'anziano che le stava davanti le mostrò un cimitero di denti rotti o scheggiati, circondati da carie talmente profonde che per un attimo se ne sentì disgustata.
«Si.» Marzia alzò lo sguardo sull'orologio principale, il più grande che lei avesse mai visto in tutta la sua vita. Le lancette erano sospese tra un minuto ed un altro, come se fossero state incerte sul da farsi. Era bloccata in un eterno mezzogiorno, ma il sole non le bruciava le spalle ed il freddo non penetrava nei suoi muscoli addormentati. Il vento non si infilava nella stoffa bagnata del pigiama, non le scompigliava i capelli. Al suo arrivo si era detta che, se fosse stata cieca, non avrebbe avvertito nemmeno lo scontrarsi della pioggia sui capelli, tanto era poca la percezione che possedeva sul mondo esterno.
Sospesa tra l'illusione di essere ancora viva e la certezza di essere morta.
«Non è troppo giovane per stare qui?» Per un attimo, la donna si sentì infastidita. La presenza dell'anziano non le incuteva timore, ma vi era qualcosa nel suo sguardo adombrato che la metteva in agitazione. Nonostante ciò Marzia non riuscì a non sentirsi in pena nel pensare che il destino fosse stato con lui, così come con lei, crudele. Vi era un motivo se la stazione di Roma Termini era stata divisa in diversi settori e, nonostante lei non potesse provare la sua tesi, era quasi del tutto convinta che chiunque avesse progettato quel luogo si sentisse in apprensione per loro.
Non volevano che si smarrissero o che le loro anime venissero appesantite da avvenimenti più gravi e cruenti di quanti molti potessero sopportare. Per questo ogni binario possedeva una storia, sebbene solo di superficie: una sottospecie di prologo da cui si poteva evincere unicamente la causa del decesso di coloro che condividevano gli stessi metri di cemento.
Il 34B altro non era che la sua cella; una sottospecie di recinto dal quale le era impossibile uscire. Quella di Marzia era stata una morte violenta, di quelle che vengono narrate per giorni ai telegiornali mentre i genitori coprono le orecchie dei figli piccoli, preoccupati, forse, di sconvolgerli. Era diversa dalle altre anime, così come lo erano i suoi treni: i tabelloni — da loro — non sfarfallavano ad intervalli di cinque minuti per indicare i nuovi arrivi, le voci robotiche, decisamente automatizzate, dei macchinisti non avvertivano i viaggiatori di allontanarsi dalla linea gialla, ne rammentavano che da lì a poco sarebbe arrivata la corsa che aspettavano.
Lei, di coincidenza, ne aveva una sola. Forse per la scarsità di casi come il suo, o forse per evitare di affollare un già così piccolo binario di morti. Gli occhi di Marzia si soffermarono per un attimo sulla divisa gialla e blu di un uomo di servizio che, con gli occhi chiusi dal sonno, spazzava per terra a pochi metri da loro.
Persone come loro dovevano rispettare una regola non scritta che, in posti come quelli, andava rispettata: mai avvicinare un'anima. Quelle informazioni le erano fluite alle tempie nel momento stesso in cui aveva riaperto gli occhi su quel paesaggio artificiale, come fosse stata una macchina programmata a cui era stato inculcato il sapere necessario prima che essa potesse iniziare nuovamente a funzionare.
Avrebbero dimenticato tutto; qualcuno avrebbe descritto la stazione come un tunnel, i loro volti come visi conosciuti, le loro voci artifici di Dio. Era il coma, il limbo. Donne, uomini, anziani, adolescenti e bambini a cui veniva dava data una mansione da svolgere durante la loro permanenza lì. C'era chi imbrogliava, cercando di sfidare il luogo. Ragazzi spaventati che, sperando di poter tornare a casa, prendevano una delle corse che ai vivi non spettano.
«Non si è mai troppo anziani per la morte.» Le sopracciglia del vecchio parvero tremolare appena, appesantite dalle sue parole e dal tono con il quale le aveva pronunciate. «Quella sera ho pregato che Dio salvasse me e mia figlia.» Nonostante lui non le avesse chiesto ulteriori spiegazioni Marzia si ritrovò ad aprire nuovamente la bocca. La mano del vecchio le carezzò una spalla, come a volerle dire che non era da sola; non più, almeno.
«Sono morta il dodici settembre. L'acqua dello stagno mi si è insinuata nelle narici, poi, nella bocca. L'ho sentita arrivare ai polmoni con la forza di un'uragano, impedendomi di respirare o di pensare lucidamente. Ho scavato con le unghie nelle sue braccia; l'ho pregato di lasciarmi andare, di lasciarmi vivere, ma le sue dita non hanno ceduto nemmeno per un attimo la presa.» Marzia fece vagare gli occhi scuri sul tabellone della stazione, seguendo con la sguardo quel guizzo arancione che l'avvertiva che, di lì a qualche minuto, sarebbe passato il suo treno. «Ho pregato Dio, l'ho implorato di darmi un'ultima possibilità, ma le mie preghiere non hanno raggiunto le sue orecchie.»
«Mi dispiace.» L'uomo sembrò essere realmente turbato dal suo racconto, e lei si chiese se provasse pena per la sorte che le era toccata.
«Ho pensato al volto sorridente di mia figlia, alle sue mani che, tranquille, mi intrecciavano i capelli prima di dormire. Mi è sembrato di poterle toccare il viso sporco di terra, di sentirla sussurrare una filastrocca della buona notte con la voce impastata di sonno. Non sentirò mai più il calore delle mani di mia madre mentre mi accarezzano le guance, o le labbra fresche di Adele che mi schioccano un bacio sulla fronte. Non potrò mai chiedere scusa a mio padre per tutto quello che è successo, per tutto il dolore che gli ho causato. Ed ora, ora è tutto perso: la mia famiglia, mia figlia, la mia vita.»
Il familiare vapore, misto al fumo dei gas di scarico di un qualche treno merci, le fecero alzare il mento verso il cielo. Su Roma Termini calava la notte, circondandoli di quella pace che solo la morte può regalare. Marzia si chiese come sarebbe stata la sua vita se quella sera suo marito si fosse fermato, se la sua gelosia non fosse sbocciata in quel fiore d'odio che poi l'aveva uccisa. Il giorno dopo avrebbe accompagno sua figlia a scuola, per poi passare a ritirare i capi da stendere dalla lavanderia, o si sarebbe fermata allo studio? Avrebbe finito quel libro che ormai giaceva sul suo comodino da mesi? Cosa avrebbe cucinato? Come si sarebbe vestita?
Quelle domande, seppur frivole ed innocenti, le strinsero il cuore in una morsa talmente dolorosa che per un attimo le sembrò di avvertire del vero dolore fisico. Marzia aveva passato la sua vita a credere che il bene donato le sarebbe, prima o poi, tornato indietro. E allora perché si era vista strappare dalle mani tutto quello che aveva e a cui teneva? Perché aveva dovuto riaprire gli occhi su quella Roma trafficata di anime e storie, aspettando un treno che forse non sarebbe mai arrivato?
«Ai morti è vietato ricordare.» Seppur flebile, la donna avvertì la voce incerta dell'uomo farsi spazio sulla panchina.
«Lo so.» Lo aveva capito nel momento stesso in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli vuoti e confusi delle altre anime. Il legame che sentiva di avere per il mondo terreno l'avrebbe lasciata lì, impedendole di ricominciare
«Non puoi partire, bambina; ma questo tu già lo sai, vero?» La pelle del vecchio sembrò scricchiolare contro l'impetuosità del vento, trascinandosi via ogni parvenza umana. Davanti a lei, Marzia non vide che uno scheletro dagli occhi pieni di una qualche emozione che lei non seppe riconoscere: un miscuglio talmente strano da disgustarla e rincuorarla al tempo stesso.
La Morte ha gli occhi di un cieco e le mani di una madre gentile, si disse.
«I treni raccontano storie di viaggi, di trasferte verso i posti più improbabili del mondo. Eppure, nonostante le mete cambino a seconda dell'individuo, c'è una cosa che accomuna tutte le stazioni ed i suoi visitatori: la voglia di ricominciare. Non puoi tornare alla vita, poiché la tua mente non può e non deve conservare i ricordi di questo corpo. Allo stesso tempo non posso permetterti di cessare la tua esistenza, né di cercare conforto nel mondo dei morti.»
Marzia si specchiò nei finestrini del treno. La locomotiva aveva da poco fatto il suo ingresso tra i binari del 34B, portandosi dietro gli sguardi inquisitori delle altre anime. Per un attimo faticò a riconoscersi: i capelli, che lei ricordava essere di un bel castano chiaro, ora le si appiccicavano alle guance come alghe, intristendole quei lineamenti nordici di cui da giovane era stata tanto fiera. Le spalle ossute sembravano essersi curvate ancora di più, messe in risalto dalla stoffa bagnata del pigiama a scacchi blu e neri.
«Cosa diventerò, quindi?» Il vecchio le prese una mano, stringendola fra le proprie mentre, con fatica, si alzava dalla panchina. Lo vide trascinarsi dietro la valigetta con la quale era arrivato, afferrare poi il bastone ed alzarlo con una maestria che, a quell'età, gli sarebbe stato impossibile avere.
«Voglio farti un regalo. Tornerai nel mondo dei vivi, ma sotto forma di sentimento. La tua storia non sarà sprecata, non ricorderai in vano ciò che ti è successo. Vedi, bambina, a volte il passato può far più male del nulla, ma serve a guidarci verso il presente. Donerai a coloro che ti incontreranno quei ricordi che persero arrivando alla propria stazione, sebbene solo per un attimo.» L'uomo si calò il berretto grigio sulla fronte, dandole le spalle. Il fumo del treno era talmente denso e scuro che per un attimo la bocca della donna si contrasse in un moto di disgusto.
«Ti chiamerò Déjà-Vu.»
The Writer's Space:
Come avrete intuito, si tratta di una storia breve: appena un capitolo. Magari in futuro ne aggiungerò di diversi, ma per ora sono soddisfatta di questo.
Penso, comunque, che una spiegazione vi sia dovuta: la stazione nella quale Marzia si trova non è altro che un limbo, una specie di sala d'attesa per i morti. I binari li dividono, raggruppandoli in base alle cause della loro morte. Il 34B è il padiglione riservato a coloro morti in modo violento.
I treni, l'attesa ed il viaggio non servono che a prepararli alla reincarnazione o, per i credenti, al Paradiso. Lascio a voi libera interpretazione. A Marzia viene tolta la possibilità di raggiungere entrambe le mete in quanto, in seguito al suo arrivo a Roma Termini, ricorda la sua vita precedente. La Morte, che ho voluto dipingere come un vecchio cieco, le da la possibilità di tramutarsi in un sentimento: un déjà-vu.
La donna vagherà quindi per il mondo, "raccontando la sua storia" perché nel momento in cui la si dovesse incontrare i vivi proveranno ciò che ha provato lei: il peso dei ricordi di una vita passata, per quanto flebili. Questa è la mia interpretazione fantasy di un sentimento che trovo bellissimo e che mi affascina da sempre. Grazie per aver letto!
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