parte 2
15 Ottobre 1889, Londra
Era plausibile che io non sapessi neanche spiegare a parole cosa fosse l'amore, non avevo mai pensato di essere predisposto ad amare eppure sostenevo di esserlo.
Si poteva amare di tutto nel mondo ma per me quella strana sensazione che mi impediva di respirare aveva un solo nome: Charles Lemaire.
Codesta dedizione appassionata ed assai esclusiva non era ciò che rispecchiava la mia situazione, era unicamente un mio capriccio, un pianto generato per non creare alcuna emozione all'occhio umano.
Avevo fin troppo da fare e niente allo stesso tempo, mi vestì del mio frac e poi uscì dalla mia abitazione a testa alta, solo per nascondere la mia paura nell'essere scoperto, perché lo sguardo della gente era una lama pronta a trafiggere la pelle.
"Joseph, fermo" mi bloccai all'istante, se prima i miei passi erano moderati ora erano lenti, pronti a essere fermati. Mi girai con disinvoltura e feci un cenno del capo per intendere un saluto.
"Mi dica Charles"
"Serio Joseph? Sono forse l'ultimo a cui potresti mai dare del lei" si assicurò che nessuno ci stesse guardando, anzi che fossimo completamente soli e mi avvicinò a lui afferrando in pugni saldi il tessuto del mio gilè.
"Ti devo forse ricordare di quello successo neanche un mese fa?"
"Avevo bevuto troppo, non ero lucido"
"Sereno, che io lo ero."
Quel momento avrei voluto con tutto me stesso reprimerlo dalla mia mente, era stata tutta colpa mia e della vista di quei dannati capelli mossi dalle stesse onde del mare; era bastato un istante prima che il mio tocco imaginario sulla sua pelle potesse diventare realtà. D'allora non ero stato più paragonabile alla figura di una donna, la quale non era concesso provare piacere perché considerato peccaminoso e sconveniente. Ero anzi, un vero e proprio peccatore, perché se dio puniva li omosessuali io era ormai già stato ferito a sangue.
"Credi davvero sia un peccato amare? Se è così desidero anzi voglio, essere un peccatore." Me lo disse in un ampio sussurrò che colsi all'istante.
Lui era consapevole di ogni medesima cosa e condivideva i miei pensieri, se io mi inginocchiavo per pregare lui lo faceva assieme a me, accompagnandomi in questa ipocrisia senza fine, la mia anima era affine alla sua, danzavano assieme ma non si toccavano mai l'un l'altra.
Portai così il mio sguardo a osservare il terreno, non volevo guardare Charles, non avrei mai voluto essere lì, con lui sì. Ma non in quel posto, non in quel periodo. Lui lo capì subito, si stacco da me senza troppo riguardo, ed al cuore già pieno di crepe se ne aggiunse un'altra, era ormai prossimo a rompersi, ed insieme al suo si sarebbe rotto pure il mio, un cuore unico diviso per generare un amore proibito.
20 Ottobre 1889, Londra
Non c'era un tempo preciso per indicare da quanto io stessi camminando per le strade di Londra, sapevo solo che in un attimo sfuggente il mio cuore aveva dapprima smesso di battere per poi continuare a farlo. Era stato tutto così estremamente rapido e privo di senso all'interno della mia testa. Eppure nonostante ciò esso era ancora impresso nella mia mente come lo ero mentre stavo leggendo quel dannato giornale pochi momenti prima.
All'uomo non era concesso essere sé stesso, e io lo sapevo bene, ero costretto a essere comune in questa mia caparbia ostilità.
Alcune volte ero certo che non fosse Dio a punirci ma noi stessi, un a iosa inumanità nascosta da una finta umanità. "Non era normale", ormai se ne era a conoscenza dai tempi che Berta filava ma ognuno doveva ancora perdere la speranza, viva come fiamma ma prossima a spegnersi.
Le mie mani erano impegnate a tenere saldo il giornale cui i miei occhi basiti stavano leggendo un articolo che era stato capace di attirare subito la mia attenzione. A caratteri cubitali privilegiava la scritta "lo scandalo di Cleveland street", era stato scoperto la casa di tolleranza maschile e omosessuale nella via omonima, nel distretto di Fitzrovia della stessa Londra, esso era stato perquisito dalla polizia dopo aver scoperto che i ragazzi del telegrafo avevano lavorato lì come prostitute in affitto. Quale sarebbe stato dunque il destino di quei ragazzi? Di certo non gioioso, perché il vento soffiava sì, ma non a loro favore.
Per la strada mi fermai solo per comprare una nuova boccetta d'inchiostro visto che la mia era quasi finita, continuai poi a camminare fino a ritornare verso la mia casa, protezione assoluta per me e unica a non etichettarmi come peccaminoso ed eretico. Le foglie cadevano a gruppi ricavando dai loro colori, un vero e proprio tappeto autunnale che quasi mi dispiaceva di rovinare, ma lo feci. In fondo la bellezza del mondo era fatta, alcune volte per essere danneggiata, in modo positivo.
"Non temere, l'autunno è fatto per dare il suo addio in modo teatrale" ed eccola lì quella voce che tanto mi scalfiva, colpendomi da dentro per poi farmi risorgere. Se non faceva le sue solite entrate ad effetto non era contento, Charles mi parlava costantemente con quel suo tono pacato che tanto desideravo sentir sussurrare il mio nome. Quel tono integro di un corpo che ispirava la mia scrittura.
"L'autunno è pronto, l'arte però continuerà a rinnegare questo suo addio ai monti"
"L'arte è in ogni cosa e sa ogni cosa, non verserà le sue lacrime per un addio se ne dovrà dire tanti altri."
C'era qualcosa di quelle frasi che sentivo essere rivolte a noi, ci stavamo paragonando a l'autunno e l'arte, eppure nessuno dei due sembrava volerlo ammettere. Eravamo complici di un segreto. Due bugiardi senza ritegno. Le sue parole si prosciugarono come la mia anima, era di ciò che avevo terrore più di ogni altra cosa, il silenzio. Quante verità si nascondeva dietro a un silenzio totale.
Ma non ero nemmeno pronto a sentire la verità, perché se io mentivo, Charles non ne era in grado, non con me.
"Joseph...?"
Dimmi"
Il nulla, ciò che Charles desiderava dirmi non era possibile farlo giungere alle mie orecchie.
"Joseph..." ci riprovò. Lo guardai confidando che continuasse quella frase, volevo sapere, volevo sentirla. Mi sistemai i polsini della giacca e rimasi lì, immobile ad aspettare le sue parole.
"Niente."
Niente, sentì l'eco di quella parola all'interno delle mie orecchie.
24 Ottobre 1889, Londra
"Non ci posso credere, perciò Clara è andata in Francia?" Logan Carter era un uragano sul procinto di creare disastri, non si poteva mai sapere quello che sarebbe uscito dalla sua bocca, eppure ogni qual volta era sempre l'ennesima frivolezza. Il suo tono era perennemente esaltato e il suo volto, stanziato su un sorriso sembrava sempre pronto a scoppiare a ridere. Ovviamente era notevole se dicevo di tollerarlo, perché tra quel fastidioso rumore di denti che masticano e di parole soffocate dal cibo, non facevo nemmeno quello. Logan ERA l'aristocrazia, pur non sembrandone minimamente. Continuò a sorseggiare il suo caffè e una volta finito lo rimise sopra il piattino con completa nonchalance, il tempo scorreva, solo lui però sembrava non essersene accorto.
"con discreta sincerità non mi interessa affatto dove Clara decide di andare o meno, è libera di andare dove vuole." Risposi seccato.
"però ti importerà quando ritornerà, dico bene?"
Rimasi in silenzio. Appena partita, Clara mi aveva confidato che il suo amatissimo padre stava già organizzando le nostre nozze, quella domanda fu capace di riportarmi dal mondo del cielo. Cosa sarebbe successo una volta che Clara sarebbe ritornata? Avrei ancora continuato a restare in bilico tra il desiderio di mentire e quello di mostrare l'alta faccia della luna? Non volevo nascondermi, non volevo essere considerato vigliacco, ma non volevo nemmeno interrompere quel brusio generato dalla vita stessa. Bramavo solo sentire la mia vita riscaldarsi nelle mie mani
"È inutile che menti, non lo devi fare. Non con me"
Lo aveva sul serio capito?
"So che hai una amante"
Ecco non aveva capito un bel niente, meglio per me.
"Si. Giusto" risposi con tono dispiaciuto abbassando pure, di poco, la nuca per rendere il tutto ancora più teatrale.
"Non devi vergognarti, quasi ogni uomo sul procinto di sposarsi ne ha una." Potevo notare come Logan cercasse in tutti i modi di "consolarmi", ma non potevo crederci, era davvero così sciocco da pensare ciò? La fortuna voleva che io avessi come amico un emerito idiota.
"Tale disonore mi porterà a passare il resto della mia vita sorvegliato dal diavolo"
Erano già passate due ore da quando, senza un motivo specifico ero andata a casa di Charles per trattare di quello successo poco tempo prima con Logan. Lui mi aveva invitato ad entrare immediatamente una volta visto sul suo uscio di casa e io d'altronde ero entrato in fretta e furia per non farmi vedere da nessuno. Perciò tra una tazza di tè e qualche sorrisino fugace a seguirsi, cominciammo finalmente a ridere per qualcosa di sensato.
"Oh no, Sir Bennet. La prego di non starmi vicino, non vorrei mai che il diavolo mi vedesse con lei"
"Ma il diavolo già ci osserva, il suo sguardo è più ostile di quello di dio."
"Allora credo proprio che il mio destino sia già segnato, o quale somma sventura incombe."
Stava andando così ormai da un'ora, io parlavo e Charles mi assecondava. I nostri toni erano teatrali e al quanto esagerati, nessuno dei due era serio, entrambi stavamo scherzando. Perché ad entrambi serviva quel briciolo di spensieratezza che molte volte veniva tolta agli uomini con brutalità. Avrei desiderato restare in quel momento per sempre senza mai girare pagina, ma non tutto era fattibile e le pagine erano costrette a essere girate per iniziare un nuovo capitolo.
Charles mi rimirò con quei suoi occhi verdi colmi di sé stesso, non disse niente, le parole erano di troppo, ci pensarono invece i gesti a prendere suono all'interno del suo corpo, celere e affrettato ma di certo non irresoluto. Ebbene fu così che senza troppi dubbi si avvicinò a me per cogliere le mie labbra in un bacio, era semplicemente quello niente di più, ma ogni qualvolta che sentivo il suo respiro dentro di me rinascevo. Non mi opposi in nessun modo, non potevo. Le sue mani cingevano le mie guance e dopotutto anche se ne avessi avuto il modo non mi sarei ritirato comunque.
"Credo tu sia l'unico motivo per la quale io potrei dire di credere nel destino, Joseph." Mi sussurrò.
Da quel momento il mio cuore aveva ripreso a battere dopo tanto tempo.
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