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Découvrir

Marinette osservò il dorso di Adrien. Era alzato, posizionato in una postura perfetta, che solo un modello come lui poteva vantare, ed era coperto dei soliti indumenti giornalieri, che la ragazza conosceva a memoria. Seguiva un ritmo cadenzato, scandito dal suo respiro, calmo e regolare. La giacca bianca fasciava alla perfezione i muscoli delle spalle, molto sviluppati per un ragazzo della sua età, e le braccia altrettanto irrobustite, tanto da dare l'impressione che l'indumento fosse divenuto ormai inadeguato per il suo corpo. Un sospiro le scappò dalle labbra, mentre appoggiava il capo sulla mano chiusa, con fare sognante. I capelli dorati splendevano grazie alla luce del sole filtrante dalla finestra, e sembravano così soffici che le venne quasi voglia di infilarci la mano dentro e accarezzarli. Nel momento in cui alzò la mano però, si accorse di ciò che evidentemente stava accadendo al di fuori dei suoi pensieri. Subito la ripiegò, rimproverandosi.

C'era una lezione in corso, e come al solito, lei si era lasciata distrarre troppo facilmente dal ragazzo davanti a lei, dimenticandosi totalmente di ascoltare la professoressa. Si rammentò che, se non fosse stato per la sua capacità di memorizzare e comprendere tutto anche senza la spiegazione dell'insegnante, forse i suoi voti sarebbero stati molto più bassi. E, di certo, non se lo sarebbe mai potuto permettere. Con tutti i ritardi e le assenze che aveva accumulato, che fosse per la sua pigrizia o per la seconda vita da supereroina, sarebbero diventati poi molto influenti per la sua condotta.

Si costrinse a prestare attenzione alle parole pronunciate dalla professoressa, seppure fosse molto difficile riprendere ad ascoltare poiché non sapeva dove fosse arrivata. Una volta riuscitaci, si apprestò a prendere appunti, ma la sua intenzione venne soffocata ancora una volta da Adrien, che giratosi perché Nino lo aveva chiamato, aveva mostrato il profilo delicato, che Marinette si ritrovò un'altra volta a fissare. La sua fisionomia era perfetta, i tratti dolci scaldarono il cuore della ragazza, che si domandò com'era possibile che fosse così avvenente.

Un rumore proveniente da fuori la risvegliò di nuovo, e sebbene avesse i sensi ancora ovattati, si decise una volta per tutte a stare attenta, dandosi un piccolo schiaffetto sulla guancia, che provocò un leggero risolino da parte di Alya. Si ripeté che ce la poteva fare, che bastava solo un po' di volontà, e guardò in direzione di Madame Bustier. Alcune volte si domandava se l'insegnante non si fosse accorta della sua disattenzione per davvero, o ignorasse quella consapevolezza per farle un piacere. Se fosse stata quest'ultima, le sarebbe stata molto grata.

Tuttavia, a due minuti dalla fine della lezione la sua concentrazione venne catturata di nuovo da Adrien. Però, non fu a causa del suo fascino, né fu perché Marinette si era lasciata ancora una volta sopraffare dalle sue fantasie. Adrien aveva iniziato a sussurrare sottovoce a Nino che il suo telefono aveva iniziato a vibrare, poiché suo padre lo stava chiamando. Chiese un consiglio all'amico su che fare, poiché non voleva interrompere la lezione, ma Nino non fece in tempo a rispondere, che la campanella suonò, indicando l'inizio della ricreazione.

Immediatamente si alzò, allontanandosi un poco dagli amici, e iniziò a conversare con suo padre in un angolo riservato della classe. Marinette notò però la preoccupazione nei suoi occhi, le sue spalle che si incurvavano, i tratti dolci del viso corrugarsi in un cipiglio, la sua premura nel rispondere. Si morse un labbro: era una cosa molto inusuale che suo padre lo chiamasse durante una lezione, e anzi, forse non l'aveva mai fatto. Che fosse una cosa importante, grave? Sperò in un responso negativo, mentre iniziava a torturarsi le unghie, in preda all'ansia. Quello che le incuteva più timore, era però che ad Adrien venisse negato- di nuovo- il diritto di andare a scuola. Stabilì che non l'avrebbe potuto sopportare, mentre cercava di afferrare qualche parola, senza successo.

Fu un attimo: Adrien, che stava parlando da circa trenta secondi, aveva iniziato ad alzare il tono, ad agitarsi sotto lo sguardo preoccupato dei tre amici- gli unici, per fortuna, che erano rimasti ad aspettarlo, nella classe ormai vuota- e a gesticolare nel tentativo di enfatizzare le proprie parole. Nonostante la voce elevata del ragazzo, e il silenzio tombale che regnava nella stanza, le sole parole udibili per Marinette, a causa dello stato totale di confusione e apprensione che l'aveva colta, furono "Ma papà! No!" che furono seguite da secondi di puro timore, timore che le sue supposizioni fossero diventate realtà.

In seguito, Adrien era schizzato come una saetta fuori dalla classe, dopo che l'uomo aveva riattaccato repentinamente. Marinette potè giurare di aver udito un singhiozzo fuggire dalle sue labbra, e improvvisamente, una nuova consapevolezza la travolse come un uragano.

Adrien era infelice.

Si diede della stupida, era un'illusa, maledizione. Aveva veramente creduto, fino a quel momento, che Adrien si rispecchiasse nelle copertine delle riviste che teneva attaccate sui muri della sua stanza. Aveva veramente creduto che lui fosse il ragazzo perfetto, infallibile e senza difetti. Aveva veramente creduto che fosse una delle poche ad aver superato le apparenze. Aveva veramente creduto di conoscerlo.

Ma in fondo, aveva mai provato davvero a conoscerlo? Aveva mai tentato a superare quelle sue insicurezze, a far cadere quella sua timidezza insensata, da cui spesso si lasciava soggiogare, e avere una normale conversazione con lui? Alcune volte, in passato, ne aveva avuto intenzione, e aveva quasi sfiorato il pensiero di parlarci, ma puntualmente, ogni qualvolta si trovasse davanti a lui, balbettii e rossore delle guance facevano capolino, impedendole immediatamente qualsiasi tipo di contatto. Forse aveva rinunciato, suppose. Ma aveva potuto essere così superficiale? Osservava quel ragazzo ogni giorno, ogni singolo giorno, credeva di conoscere ogni particolare del suo viso, ogni sua movenza, ogni sfaccettatura del suo carattere. Ma forse non era così. Forse si era davvero fermata alla superficie. Forse non lo conosceva così bene come dichiarava. Ma forse avrebbe potuto rimediare.

Percepì il suo cuore battere all'impazzata. Era un'idea matta, forse, ma in quel momento non aveva tempo per ponderarla. La porta che il ragazzo aveva lasciato indietro nella sua corsa era sbattuta violentemente, il rumore risvegliò Marinette, che aveva una voglia nuova nell'anima. Una voglia impetuosa e prorompente, che non voleva attendere.

«Marinette, stai bene?» si preoccupò Alya, che aveva osservato la sua amica rimanere ferma, e quasi affannare dalla preoccupazione verso l'amato. «Mari, non-» pronunciò la ragazza, che però cessò di parlare poiché l'altra si mise a correre, incurante di quello che lei stava dicendo né delle conseguenze della sua azione. Quella nuova scoperta aveva infuso in Marinette il coraggio e la brama di conoscere meglio il ragazzo, così tanto da mandare al diavolo le esitazioni e fare una mossa una volta per tutte. «Marinette!» gridò un'ultima volta Alya, ma sapeva che niente e nessuno avrebbe potuto fermarla. Quando quella ragazza si metteva in testa una cosa, la sua determinazione aveva la meglio. Sospirò, scambiandosi uno sguardo di intesa con Nino, e incamminandosi fuori dalla classe.

La corvina si maledisse mentalmente. Certo, voleva parlare con Adrien, tirargli su l'umore, e scavare a fondo nel suo cuore. Ma prima di fare tutto questo, doveva trovarlo. Non si era pentita di averlo seguito, ma lo avrebbe dovuto fare subito. Senza esitare. Senza aspettare che andasse chissà dove, accidenti. Si costrinse a ragionare. Non sarebbe potuto ritornare a casa, dato che aveva- forse, supponeva- litigato con suo padre, quindi era ancora lì, a scuola. Aveva già ispezionato l'atrio, i bagni dei maschi e le varie classi.

Con le mani alle tempie, scese per gli scalini dell'entrata, chiedendosi dove fosse potuto andare, e iniziando a fare il giro intorno all'enorme edificio. Quasi nessuno andava mai lì dietro, perché molti dei ragazzi che frequentavano quella scuola non avevano neanche mai notato quel posto così appartato. Lei lo aveva scoperto per caso, quando un giorno, con Alya, aveva scorto Adrien camminare verso Nino una volta arrivato a scuola, e la ragazza, entrando nel panico come al solito, aveva trascinato l'amica oltre il muretto dietro il quale si nascondevano di solito, arrivando in una piazzetta che disponeva di alcune scale antincendio. In pratica, stava procedendo verso il retro della scuola, ancora torturandosi e riflettendo.

A quel punto lo vide. Se ne stava proprio lì, nella piazzetta, seduto su un gradino della scala, noncurante del mondo esterno, nei suoi pensieri. Quella vista spezzò il suo cuore in mille pezzettini. Era davvero infelice. Il ragazzo sempre sorridente con tutti ora stava piangendo, singhiozzando ogni tanto, con la testa nelle ginocchia. Quel suono le rimbombò nell'anima, come una stilettata improvvisa. Sapeva che la situazione con suo padre non era delle migliori, ma non credeva fosse così tanto intensa, al punto di farlo piangere. E così quell'uomo non mostrava nessun'affezione nei suoi confronti nemmeno quando erano da soli. Era convinta che, avendo un po' d'intimità col figlio, si aprisse e gli donasse quell'amore di cui forse era stato privato dalla scomparsa della madre. Ma probabilmente si sbagliava. Non negava che il Signor Agreste volesse bene a suo figlio, anzi, quell'amore l'aveva potuto scorgere alcune volte, conclusi i combattimenti, quando l'uomo era rimasto coinvolto, per un motivo o per l'altro, e aveva chiesto di suo figlio. Era certa di affermare che ci fosse sincera apprensione in quegli occhi azzurri, senza ombra di dubbio. Quello che sbagliava, nei confronti del figlio, era il suo atteggiamento. Il modo in cui aveva scandito la sua vita minuto per minuto, le mancate attenzioni, i suoi gesti freddi e quasi formali, che alcune volte facevano rabbrividire anche lei. E ad Adrien non serviva questo. Lui necessitava di un padre affettuoso, che gli avesse potuto fare anche da madre, che almeno gli dimostrasse che a lui teneva. Di calore, affezione, incoraggiamenti e sostegno. Non di quegli occhi freddi e schivi, che, ne era sicura, ogni volta gli sconvolgevano l'anima.

Si ridestò da quelle riflessioni, sconvolta, cercando di fermare quella tempesta formatasi nel suo cuore. Se sconcertava lei, che effetto avrebbe potuto avere sul ragazzo? Chiuse le dita in un pugno, sfogando un po' di quelle sensazioni attraverso le unghie che segnavano la pelle, mentre scacciava quella negatività dal suo animo. Se voleva sollevare Adrien, anche lei avrebbe dovuto essere serena. Col cuore che martellava, si avvicinò a piccoli passi alla postazione dell'altro, quasi intimorita, ma poi si rammentò i suoi propositi e decise che doveva far notare la sua presenza in qualche modo.

Giunta a pochi passi dalle scale, ci provò. «Adrien?» sussurrò a fil di voce, sperando che l'avesse sentita e che non dovesse ripeterlo. Per sua fortuna, il capo del ragazzo si alzò, rivelando i suoi profondi occhi verdi velati di lacrime. Nel vederla si riscosse, asciugandosi con l'avambraccio le lacrime che erano sgorgate. «M-Marinette.» pronunciò con voce tremante e malferma, mentre la ragazza si sedeva accanto a lui.

Perché era lì? E... come aveva fatto a trovarlo? Pensava che lui fosse l'unico a conoscere quel posto, o almeno, non pensava che, se qualcuno fosse andato a cercarlo, sarebbe andato proprio lì. «Stai bene?» parlò, con voce sicura, e lui ne rimase piacevolmente colpito. Di solito faceva quasi fatica a comprendere i suoi sproloqui e balbettii, ma forse si era decisa ad aprirsi un po' e a disfarsi della timidezza che sembrava possedere solo nei suoi confronti. Si stava preoccupando della sua condizione, e lui lo apprezzava più di quanto l'avrebbe dato a vedere, soprattutto conoscendo il suo comportamento molto singolare.

La ragazza vide i suoi occhi aprirsi un po' di più, come fosse stupito di qualcosa, e per un momento desiderò scoprire cosa si aggirasse per quella mente che ancora le era ignota. Sperava non si abbattesse. Sperava che i suoi pensieri non sfiorassero macigni pesanti, di quelli duri da digerire. Sperava che cercasse in lei conforto, che lei gli avrebbe donato senza esitazione. Sperava, sperava, sperava. Ci teneva così tanto a lui. Lo stimava, apprezzava, per tutto il dolore che reggeva ogni giorno, per tutti quegli impegni, che lui non si rifiutava mai di mantenere, solo per fare contento il padre ed esaudire le sue richieste. Era il ragazzo più coraggioso che avesse mai conosciuto.

Ma dopo, come scosso da un nuovo pensiero, una nuova ondata di tristezza lo colpì e nuove lacrime gli solcarono il volto. Appoggiò le mani sul volto per celarsi alla vista della ragazza, mentre scuoteva la testa per rispondere alla sua domanda. Non sopportava di vederlo così, afflitto e rassegnato. Forse, non era mai andata a fondo in quella conoscenza, eppure, la maggior parte dei sorrisi che le dedicava li aveva considerati veri, e la mancanza di uno di essi sul suo viso la faceva rattristare. Si svegliò da quella temporanea stasi, mettendo in pratica quel temperamento un po' più confidente, mentre appoggiava le mani sulle sue spalle, scuotendole un poco. «Adrien.» pronunciò fermamente, accarezzando quel nome con una cadenza francese, e inducendolo a guardarla. Diede uno sguardo più attento al volto dell'amato: il suo naso era arrossato, gli occhi avevano assunto un color cremisi, le labbra sottili erano rosse e tremolanti, lo sguardo insicuro e confuso. La visione era quasi paradisiaca.

Oh, ma cosa andava a pensare! Era così inopportuna. Ecco di nuovo che ammirava la superficie!

Però, era proprio una bella superficie.

Scosse la testa, cercando di ricomporsi e non far notare il rossore ora diffuso sulle sue guance. Non era il momento per pensare a cose di quel genere. Sempre la solita distratta, accidenti.

Si distraeva troppo facilmente, quando c'era di mezzo lui.

Prese un respiro profondo, inalando quanta più aria possibile e ritrovando il contegno. Voleva rassicurarlo, infondergli coraggio, e aveva bisogno di mantenere il tono fermo, e di essere sicura per riuscirci. Fissò gli occhi in quelli di lui, dandogli prova della sua nuova fiducia. «Asciuga queste lacrime.» mormorò sorridendo lievemente, mentre invece lo faceva per lui, passandogli un dito sulle guance morbide. «Non...non so perché tu stia piangendo. E... se non vuoi, non sei costretto a dirmelo. Ma non tollero di vederti così. Scaccia i pensieri negativi, va bene? Tutto andrà per il meglio. Ma adesso... voglio solo che tu sorrida. Non vorrai farti akumizzare, spero!» aveva dichiarato dolcemente Marinette, con le gote un po' imporporate, ma sorridente come non mai.

Il giovane non sapeva come sentirsi. Se da una parte, era davvero scosso da ciò che era appena accaduto, la positività e inedita sicurezza di Marinette lo stavano mettendo con le spalle al muro. Lo aveva stupito, era incredulo, la ragazza gli aveva davvero parlato senza incespicare. In fondo, lo sorprendeva sempre. Gli stava parlando col cuore in mano, se n'era accorto dai suoi occhi cerulei, che brillavano mentre parlava, e dalla dolcezza e premura che trasparivano dalla sua voce. Lo guardava con delicatezza, e lui si sentì quasi affannare dalla profondità di quegli occhi fin troppo familiari, mentre faticava a capire cosa fare. Non seppe, tra l'altro, distinguere la sensazione che provò dopo. Socchiuse le labbra guardandola con meraviglia, mentre la tristezza gli scivolava dalle dita come burro liquido, rimpiazzata da imbarazzo e gratitudine, e il suo cuore batteva all'impazzata, le gambe tremavano violentemente e il respiro diveniva affannoso e rapido. Un calore insperato raggiunse il suo petto, le mani della ragazza, ancora poggiate sulle sue gote, quasi bruciavano al contatto.

Ma non era un'emozione ignota, l'aveva già provata con un'altra ragazza.

Fu colto alla sprovvista dalle braccia della ragazza, che si avvolsero intorno a lui, abbracciandolo affettuosamente, e lasciandolo in un'odiosa immobilità, che cessò quando ricambiò. Fu inondato dal dolce profumo della sua pelle, che non era assolutamente artificiale, ma soltanto l'odore che emanava da sé. Quell'aroma di pane, dolci, calore, che sempre aleggiava nella boulangerie dei genitori. Adrien lo aveva potuto conoscere le poche volte che era andato a visitarla, e lo faceva quasi tranquillizzare, come se fosse un calmante naturale. Inspirò forte, chiudendo lentamente le palpebre.

«So di non averti mai dimostrato quanto ci tenga a te.» riprese la ragazza improvvisamente, quasi col rimpianto di non averlo mai fatto. «Ma voglio che tu lo sappia. Sono distratta e goffa, è per questo che sembro sempre tra le nuvole. Ma sono affezionata a te. Per questo mi fa male vederti triste.» disse con voce rassicurante. Aveva esternato i suoi sentimenti, e quella era la pura verità. Sentì la stretta rafforzarsi quando le mani del ragazzo aumentarono la presa. Faticava ancora a crederci, proprio lei, Marinette Dupain-Cheng, la goffa, buffa ragazza, che inciampava, balbettava, sproloquiava davanti a quel ragazzo ormai "misterioso" per lei, era riuscita addirittura a manifestare le emozioni che le faceva provare, celatamente, certo, ma almeno sapeva che lui ne era a conoscenza. Era come se un folletto avesse schiacciato il pulsante Reset, una volta che aveva raggiunto la consapevolezza di voler scavare in profondità in quell'anima sconosciuta, e avesse cancellato tutti quei ripensamenti, trasformandoli in certezze. Non sentiva più quel senso di tremore, quell'agitazione spropositata che, forse, la facevano apparire come strana. Gli occhi del ragazzo, di quel verde luminoso, avevano avuto tutto l'effetto contrario su di lei, che ora era calma e soddisfatta di sé.

Bel lavoro Marinette!

Un sorriso da ebete incoronava il suo viso, nascosto nell'incavo del collo di Adrien. Il profumo del ragazzo le stava inebriando i sensi, lentamente ma incessantemente, le sue mani, che avevano esitato quando l'aveva abbracciato, ora erano posizionate sulla schiena della ragazza, brucianti. Forse nessuno avrebbe mai potuto descrivere quell'emozione, pensò, e sprofondò su di lui.

Sapeva di sentirsi meglio, grazie alla ragazza che gli stava trasmettendo tutto l'affetto e il calore che poteva, e fruì di quell'abbraccio per calmare il suo cuore impazzito, che stava iniziando a rallentare gradualmente. Le sue parole lo avevano trapassato letteralmente, quasi gli avevano fatto perdere il controllo, aveva percepito il loro legame rafforzarsi in un attimo. La giovane si preoccupava per lui, non l'aveva mai dato a vedere, e si sentiva uno scemo per non averlo capito. L'aveva fraintesa, quasi stranendosi per alcuni suoi gesti, ma teneva tanto a lui, lo si comprendeva dalla sua voce. Sentì il suo cuore esplodere. Gratitudine, affetto, apprezzamento si mescolarono fino a diventare un tutt'uno.

Sentì la felicità scorrergli nelle vene.

«Sappi che su di me potrai sempre contare.» affermò la ragazza nel suo orecchio, riducendo la voce a un sussurro, che mandò brividi e scariche elettriche lungo la schiena di Adrien, il quale trasalì emozionato, staccandosi un poco dalla ragazza. Quest'ultima ridacchiò vedendo le sue guance rosse, e riluttante si staccò dal ragazzo, alzandosi pacatamente appena la campanella suonò di nuovo. L'intervallo s'era concluso.

Porse la mano ad Adrien, che l'accettò con un sorriso. Aveva smesso di piangere già da un po', e voleva esprimere alla ragazza tutte quelle emozioni, per esserci stata in quel momento di sconforto. «Marinette, ti... voglio ringraziare. Non me n'ero reso conto, ma sei molto importante per me. Anch'io sono affezionato a te, credimi. E... mi sento molto meglio adesso.» asserì sorridendo, gli occhi brillavano dalla contentezza.

Un forte calore raggiunse le guance della ragazza, socchiuse la bocca con meraviglia, andò in tilt, completamente. «Marinette?» sventolò una mano davanti alla sua faccia, e lei si riprese. «Si, ci sono! Non c'è di che Adrien.» disse con tono un po' troppo alto, sorridendo, e iniziando a camminare e a scendere i gradini.

Per la disattenzione del momento, inciampò in uno di questi, quasi cadendo rovinosamente. Adrien, grazie ai suoi riflessi riuscì a ghermire una mano della ragazza, ma non a impedirne la caduta, infatti ruzzolò con lei al suolo. Fortunatamente per lei, lui aveva attutito la botta, posizionandosi di sotto ed evitandole di farsi male.

Maledizione! Ma perché doveva capitare tutto a lei? Si era fatto male per caso? E se gli avesse rotto qualcosa? «Scusami tanto Adrien! Non volevo assolutamente! Ti sei fatto male?» si preoccupò la ragazza, facendo fuoriuscire un po' dell'usuale agitazione. Si sbatté una mano in fronte mentalmente. Certo che sapeva proprio come migliorare la situazione.

Cavolo Marinette, sei proprio un'imbecille.

Il ragazzo strinse gli occhi. Aveva messo il benessere dell'amica prima del suo, parandole il colpo grazie ai riflessi sviluppati. L'impatto col pavimento duro gli aveva causato un lieve dolore, tuttavia, sapeva che tornato a casa avrebbe scoperto un ematoma violaceo. Ad ogni modo, c'era abituato. Conducendo una vita da supereroe, era solito trovare continui graffi e lividi per tutto il corpo, perciò non era tanto preoccupato. Si concesse comunque pochi attimi per riprendersi dalla botta, e questo non fece altro che agitare ancor di più la ragazza posizionata sopra di lui, che ormai temeva fosse svenuto, non avendolo visto muoversi, né aprire gli occhi.

Prese a scuoterlo, posandogli una mano calda sulla guancia, e ripetendo più volte il suo appellativo. Forse il ragazzo stava provando gusto a vederla così ansiosa, non era da lui, ma quello scherzo stava prendendo una piega esilarante. «Oddio, e ora che faccio?! È svenuto, accidenti! Sono una cretina! È tutta colpa mia!» iniziò a straparlare, entrando nel panico più totale.

Sentiva il cuore battere forte. La paura di avergli fatto davvero male iniziò a farsi strada dentro il suo cuore, non l'avrebbe potuto tollerare. Ma non poteva stare con le mani in mano, come una stupida, immobilizzata da quel timore. Doveva fare qualcosa, alla svelta. E due scelte aveva davanti a sé: una era portarlo in classe, in braccio, davanti a tutti, cercando l'aiuto di qualcuno. La complicazione sarebbe stata che una ragazza non poteva, in condizioni normali, avere la forza di cui disponeva lei, essendo una supereroina, e tutti si sarebbero posti delle domande. La seconda era, malauguratamente, la respirazione bocca a bocca. Per quanto ne sapeva lei, in casi come questi era indispensabile, e anche se temeva di sbagliarsi doveva procedere.

Erano venti secondi che il ragazzo non sentiva la sua voce, forse stava pensando a che fare. Stava dimostrando quanto detto in precedenza, e lo apprezzava. Tuttavia, non poteva angosciarla ulteriormente: sapeva quanto la ragazza potesse spaventarsi quando ci si metteva, perciò decise che era il momento di farla finita. Aprì gli occhi, curioso di osservare l'espressione della ragazza sopra di lui, ma le sue aspettative furono smorzate.

Trovò la suddetta proprio a pochi centimetri dal suo volto, intenta ad avvicinarsi sempre di più mentre socchiudeva gli occhi. Ma cosa era successo? Non che la sua vicinanza gli causasse fastidio, certo...

Sussultò appena, accorgendosi della situazione, e la ragazza si rese conto che era sveglio, vivo e vegeto, e non le era servito ricorrere a quel mezzo estremo. Anche se sapeva di doverlo fare per svegliarlo, il suo cuore aveva iniziato a battere forte comunque, così come il respiro era diventato più affannato. Si tirò su, con le gote rosse, imbarazzata e timorosa che avesse frainteso. Si mise in piedi, uno sguardo veloce ai suoi occhi era bastato a farle capire che era confuso. Il suo stomaco era in subbuglio, la mente anche di più.

«Non è come sembra.» gesticolò all'improvviso, mentre lui si alzava. «Pensavo fossi svenuto, e volevo svegliarti... io non...» si infilò le mani tra i capelli. Come ne usciva da quella situazione?

«Marinette, non ti agitare. L'ho capito. Volevo solo farti uno scherzo.» Adrien non sapeva se ridere o mortificarsi. Scelse una via di mezzo. Ridacchiò, abbassando lo sguardo.

Si ritrovò le braccia della ragazza intorno al collo. «Non mi fare più spaventare così. È stata una sensazione bruttissima.» lo rimproverò la ragazza, e per farsi perdonare la abbracciò forte. L'aveva davvero impaurita così tanto? Allora era lei esagerata o lui un idiota? Che il suo inconscio volesse provare la veridicità del discorso dell'altra? Ma che modo stupido di farlo.

Sono un idiota.

Subito dopo fu schiaffeggiato dalla stessa ragazza. «Ahi!» esclamò, massaggiandosi la guancia.

Lei si limitò a fare spallucce. «Te lo sei meritato, caro mio.» sogghignò lievemente, nella sua mente il ragazzo convenne con lei. Improvvisamente lei si rese conto che la lezione era iniziata da un pezzo. «Adrien, la lezione! Oh cavolo!» strillò mettendosi a correre.

Quella ragazza. Ah, perdio, un giorno l'avrebbe fatto impazzire. Di brutto. «Aspettami!» gridò di tutta risposta, seguendola.

Ah Marinette, Marinette.

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