Untitled
AUTRICE: kaalyz
Il suo braccio.
La sensazione di quella porzione di pelle sulle sue guance, il calore costante che emana, l'odore famigliare.
Sentiva questo, solo questo.
Occhi chiusi, corpo disteso ed il suo braccio lì, ad imporre la sua maestosa presenza.
Una voce l'aveva incitata a ripercorrere quegli anni, quelle sensazioni, quelle parole sussurrate volate via troppo velocemente, ma che hanno segnato l'era di un inizio. L'inizio di un capitolo che non avrebbe avuto mai fine.
"Sposami, domani."
Troppo giovane lei, troppo maturo lui, entrambi con la consapevolezza che l'avrebbero fatto. Che avrebbero costruito quella capanna, la Loro capanna, che l'avrebbero riempita del loro amore e del suo frutto.
E poi quella sera, occhi negli occhi: "Voglio chiamare mia figlia Grizzly." Lo disse con una emozione che non gli aveva mai visto in volto, e per quanto le sembrasse una pazzia, un nome assurdo, non poté dir di no. Era la prima volta che lo sentiva parlare al femminile, che smentiva quelle frasi da uomo "Solo figli maschi, le femmine mi farebbero preoccupare troppo."
E lì che ha realizzato.
Li amava già. Amava già dei bambini che non avevano ancora messo al mondo. Amava l'idea di crescerli insieme, amava una famiglia che non aveva ancora detto "Si."
E lei non poté far altro che ringraziarlo. Per avergli dato qualcosa che non pensava di poter trovare, per avergli imposto la sua presenza e per essere stato il suo liete fine sin dall'inizio.
Sotto le note di quella canzone, in una palazzetto ricolmo di gente, le ha tacitamente rinnovato quella promessa e non ha avuto bisogno di emettere alcun suono, quella melodia bastava, il loro corpi incollato l'un l'altro bastavano, Loro bastavamo.
"Lasciate andar via il ricordo, piano piano.. respirate, dalla pancia, con calma, ricominciate ad aprire gli occhi e lentamente alzatevi.."
Il suo braccio, stava pian piano scomparendo.
E come la voce aveva sussurrato, lentamente si alzò. Occhi aperti, respiro regolare e consapevolezza.
Si era lasciata andare, si era fatta trasportare dal flusso dei pensieri, ed era riuscita a superare le proprie barriere per far funzionare la terapia.
Quella stanza, ancora leggermente sommersa nella penombra, ospitava 5 fragili corpi dalle anime ora un pò meno pesanti, pronte a condividere quelle nuove sensazioni, quelle piccole vittorie, quelle esperienze di guarigione.
E anche lei era lì, a gambe incrociate con il plaid adesso avvolto sulle spalle, in ascolto delle 4 storie, in attesa del proprio turno, con ancora la sensazione di quel braccio poggiato delicatamente sulla sua guancia.
Ce l'avrebbe fatta. Avrebbe terminato quel percorso e l'avrebbe amato di nuovo, con più consapevolezza e con meno problemi addosso. Gli avrebbe finalmente dato se stessa senza riserve, senza mostri nascosti nella testa, gli avrebbe donato quella famiglia che avevano ardentemente desiderato e che a causa del nero non erano riusciti ancora a realizzare.
E con questa nuova speranza nel petto, varcò la soglia d'uscita del centro, più forte di come ne era entrata e pronta a raggiungerlo nell'immediato futuro.
Sei mesi dopo si ritrovò a calpestare dell'erba colma ancora di rugiada, ed è proprio lì che lo vide. Poggiato sulla ringhiera, con l'inseparabile vino nel calice, stava fermo a guardare il sole sorgere. Era perfetto. E come se lui le avesse sentito i pensieri si voltò, raggiante in volto chiedendole tacitamente di raggiungerlo.
Un dolce bacio sulla fronte prima, un abbraccio dopo, e senza che nessuno dei due se ne rendesse realmente conto, cominciarono ad ondeggiare. Avvinghiati in una danza scoordinata si guardarono colmi di una nuova consapevolezza: lo avevano sconfitto. Il demone di lei li aveva lasciati finalmente andare.
E così, rinati dalle loro stesse ceneri, al termine di un perfetto matrimonio in stile polacco, si guardarono negli occhi, pronti finalmente a ripartire, più leggeri che mai, verso quel percorso che, troppo giovani per un progetto così grande, avevano scritto sui propri cuori un pomeriggio di 6 anni prima.
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