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If you love someone, you should let them know

AUTRICE: knuttie

"Mamma mi ucciderà." Mormorai aggiustandomi la bandana sugli occhi.

Era scomoda e mi irritava gli occhi, ma almeno aveva il suo profumo.

"Tua madre non scoprirà nulla, tranquilla." Mi disse sicuro il ragazzo al mio fianco.

"Mia madre scopre sempre tutto...ha un radar speciale per i guai che combiniamo." Precisai.

"Non stiamo facendo niente di sbagliato. Rilassati, Eve."

"Hai preso la patente una settimana fa, mi hai prelevata senza il mio consenso da casa di mia nonna, mi hai bendata e chissà dove stiamo andando, Harry. Come faccio a non preoccuparmi?"

"Non ti ho rapita...sono il tuo migliore amico. E sta ferma con queste mani." Si riferiva alla mia gestualità, che diventava esasperata quando ero nervosa. "Mi distrai e non vuoi che mi distragga in autostrada, no?"

"Siamo in autostrada?" chiesi sorpresa e, prima che potessi fargli la ramanzina, lui alzò il volume della radio per coprire la mia voce.

Non lo sopportavo: da quando aveva preso la patente, era più fastidioso del solito e non faceva altro che parlare della Mustang che avrebbe guidato. Cominciavo a pensare che si fosse davvero innamorato di un'automobile. Scossi la testa e incrociai le braccia al petto offesa scommettendo che, invece, lui avesse il suo solito sorriso sghembo sulle labbra.

Mi lamentai per un paio d'ore ininterrottamente cercando di sovrastare la musica diffusa nell'abitacolo del pick-up di sua madre: non voleva dirmi dove eravamo diretti e mi impediva di levarmi quella bandana dagli occhi. Se la avessi avuta tra le mani, lo avrei strozzato volentieri.

Ad un tratto, sentii Harry scendere dall'automobile e raggiungere il mio sportello per aprirlo, percepii la mia mano entrare in contatto con qualcosa di freddo e subito la ritrassi spaventata.

"Sono solo i miei anelli...sono solo io, Eve." mi disse dolcemente cercando di prendere nuovamente la mia mano nella sua.

Mi fece scendere dalla macchina posando l'altra mano sulla mia testa per evitare che la sbattessi contro la carrozzeria, data la mia goffaggine.

"Non possiamo levare la bandana?" chiesi speranzosa mentre cominciavo a sentire un gran vociare intorno a me.

Harry, però, mi ignorò e mi trascinò dietro di sé per pochi passi.

"Ascoltami, Eve: ti leverò la bandana dagli occhi...ma prima devi promettermi di goderti questa serata. Non pensare a nulla...pensa solo a questo momento."

Era ancora davanti a me, le sue mani ancora stringevano e accarezzavano le mie e il suo respiro era regolare, in contrasto con il mio, che stavo trattenendo.

"Harry, mi stai facendo preoccupare..."

"Promettilo, Eve." mi ammonì aumentando la sua presa.

"Sì, Harry. Lo prometto."

Passò qualche secondo prima che lui sciolse la bandana e, finalmente, mi riappropriai della mia vista. Sbattei gli occhi un paio di volte prima di ritrovare il suo viso familiare: i capelli castani scompigliati erano racchiusi dalla solita bandana, il sorriso furbo era reso dolce dalle fossette che lo accompagnavano e gli occhi verdi più vispi del solito erano illuminati dalla luce dei lampioni.

Dovetti distogliere il mio sguardo dal suo perché quegli occhi sarebbero sempre stati il mio punto debole, insieme alle fossette e alle sue labbra. La sua camicia a quadri rossa che spuntava dal giubbetto di jeans mi piaceva un po' troppo per essere un semplice indumento. Mi piacevano persino le converse rovinate e che un tempo erano state bianche. In realtà, amavo tutto di lui.

Mi convinsi a guardarmi intorno: eravamo circondati da macchine e alcune persone si dirigevano verso un cancello in ferro.

Eravamo in un parcheggio? Feci un giro completo su me stessa e quello che riuscii a vedere mi rese ancora più confusa. Eravamo a Sheffield.

Conoscevo quello stadio per i numerosi concerti e le partite di calcio che vi si tenevano, ma non capivo cosa ci facessimo lì in un normale sabato sera. Soprattutto, eravamo a tre ore da casa: mamma mi avrebbe ucciso.

Strinsi gli occhi per focalizzare bene i cartelloni e le locandine che tappezzavano quel parcheggio e le persone che, emozionate, ci passavano accanto custodendo gelosamente tra le mani un pezzo di carta. All'improvviso, realizzai tutto e mi girai nuovamente verso il ragazzo che ancora mi guardava con il sorriso.

"Harry."

"Allora Eve, sei ancora dell'opinione che le sorprese fanno schifo?" si dondolò sui talloni come un bambino con le braccia unite dietro la schiena.

Scossi la testa e mi precipitai ad abbracciarlo per stringerlo forte, nonostante i nostri vestiti facessero da barriera tra me e lui.

"Come hai fatto a trovare i biglietti? Era impossibile..."

"Non ci sono riuscito, infatti." Mi disse mordendosi il labbro inferiore e io rimasi un po' delusa.

"Allora cosa ci facciamo qui?"

"Ho pensato che li avremmo potuti ascoltare da qui..." batté la mano sul retro del pick-up. "Ho una coperta, i cupcakes di Jackson e le previsioni non mettono pioggia stasera. So quanto ci tenevi a vederli e so che non sarà come essere nello stadio...però, sarà più intimo, sarà una cosa solo tra me e te, Eve."

Continuò a mordersi il labbro inferiore e, in quel momento, avrei dato di tutto per esserci io al suo posto. Avrei voluto baciarlo e vedere quanto la realtà superasse ogni mia fantasia, ma, forse, prima avrei dovuto ringraziarlo.

Nessuno si era fatto tre ore di macchina per me, soprattutto per un gruppo che non avremmo neanche visto, ma soltanto ascoltato.

Harry, però, lo aveva fatto. E per quanto fosse buffa la sua proposta, per me era speciale: lui era speciale in tutto ciò che faceva.

"Grazie." Mormorai mentre un sorriso compariva sulle mie labbra e spazzava via la delusione iniziale. "Stiamo davvero per ascoltare dal vivo i Coldplay, Harry?"

"Sì, Scheggia. Stiamo per ascoltare i Coldplay dal retro del mio pick-up e dal parcheggio dello stadio di Sheffield." Ribatté con enfasi mentre si arrampicava sul retro del pick-up e aiutava a salire anche me.

Una volta che ci sistemammo vicini con gli occhi rivolti verso lo stadio, mi passò la coperta sulle spalle: ormai la sera era scesa e il venticello fresco cominciava ad essere fastidioso. Quando le prime note iniziarono a diffondersi dallo stadio, io e Harry ci guardammo emozionati: non importava che fossimo su un pick-up ad ascoltare suoni ovattati, l'importante era che fossimo insieme a cantare a squarciagola e a improvvisare balli imbarazzanti nelle canzoni più movimentate.

Harry era una delle persone più importanti della mia vita, era stata la mia prima cotta ed era il ragazzo di cui mi ero innamorata. Era stato il mio primo amico e anche il mio primo amore, un amore vissuto nel silenzio più totale e che mi consumava ogni giorno perché non trovavo il coraggio per confessare i miei sentimenti. Era un amore fatto di occhiate silenziose, di cose non dette, di carezze rubate. Avrei voluto confessargli tutto fin dal primo momento, ma non ero mai stata una ragazza audace o intraprendente.

Io ero Eve, ero solo Eve.

Harry, però, compieva quei gesti che facevano sentire una ragazzina come me la donna più importante del mondo e la mia mente fantasticava su cosa avrebbe fatto se fossi stata la sua ragazza.

Magari, mi avrebbe augurato il buongiorno con un bel bacio sulle labbra prima di entrare in classe, mi avrebbe stretto a sé e avrei sentito la sua pelle sulla mia finalmente.

Avevo sempre amato fantasticare su quello che avremmo potuto essere.

La fantasia, però, non mi bastava più.

In quel momento, quando le ultime parole di Everglow si diffusero nello stadio arrivando fino a noi due e Harry mi prese la mano, il mio petto venne inondato da uno strano coraggio.

So if you love someone, you should let them know

Ero stanca di aggrapparmi alle mie paure e alle mie insicurezze: volevo condividere quell'amore, anche se tremavo al solo pensiero di quello che sarebbe stato di noi se mi avesse rifiutata. Feci passare una mano tra i miei capelli biondi e mossi a causa dell'umidità e mi voltai a guardarlo.

Nonostante mi stringesse ancora la mano, i suoi occhi verdi erano rivolti verso lo stadio e le luci che venivano proiettate contro il cielo scuro. Mi soffermai sul suo profilo, che più volte avevo sognato di sfiorare con le mie stesse dita: aveva le sopracciglia contratte e le labbra chiuse in una linea sottile. Stava pensando a qualcosa che lo turbava a giudicare dalla sua espressione e, in quel momento, avrei dato di tutto per scoprire cosa fosse.

"Harry, io ti devo dire una cosa..." mormorai.

"Mi hanno preso al college, Eve." Mi interruppe, ma non ebbe il coraggio di guardarmi negli occhi. "Partirò per New York ad agosto."

Rimasi pietrificata alle sue parole: sarebbe andato via tra quattro mesi, non lo avrei più visto ogni giorno al mio fianco e agosto era così vicino. Quelle parole avevano provocato una voragine dentro di me e neanche la sua mano, che si era spostata sulla mia guancia, riusciva a darmi il calore che quella sua affermazione si era portata via.

"Eve..." mosse il pollice sulla pelle chiara e per la prima volta odiai quel gesto. "Dì qualcosa..."

"Da quanto tempo lo sai?"

"Da qualche mese...non trovavo mai il momento giusto per dirtelo. Non volevo ferirti." Ribatté dolcemente.

Non dissi niente perché le lacrime salate che inondarono le mie guance parlarono da sole, così come i singhiozzi che cominciarono a scuotermi il petto. Non esitò a stringermi tra le sue braccia, ad accarezzarmi la schiena e a rilasciarmi baci morbidi su tutto il viso.

Non sapeva quanto male mi facessero le sue attenzioni, i suoi gesti d'affetto e le sue carezze. Non lo sapeva e non lo avrebbe mai saputo.

Che senso aveva confessargli i miei sentimenti quando di lì a qualche mese sarebbe partito? Che senso aveva mettersi in gioco quando il destino e Harry avevano altri piani per me?

Nessuno. Non aveva senso neanche mettersi a piangere come una fontana davanti al mio migliore amico quando, invece, avrei dovuto gioire a quella notizia. Per me, però, non era una bella notizi: rappresentava lo sfumare di tutti i miei sogni e di ogni possibilità di essere felice.

"Mi mancherai...ma sono felice per te." Riuscii a dire dopo aver asciugato le lacrime. "Quando diventerai famoso grazie alle tue foto, ricordati di me."

Scoppiò in una risata spontanea scuotendo la testa, poi mi avvolse un braccio intorno alle spalle e mi attirò al suo fianco. Quella risata fu così bella che convinse anche me a sorridere, anche se avrei voluto soltanto piangere. Anzi, dopo che le sue labbra si soffermarono troppo sulla mia tempia, avrei voluto soltanto morire.

"Cosa volevi dirmi tu?"

"Charlie mi ha chiesto di uscire la scorsa settimana, ma gli ho detto di no." Ripiegai su una sciocchezza.

"E perché? È un mio amico ed è un bravo ragazzo...mi fido di lui."

Lo fissai scettica mentre lui distoglieva il suo sguardo dal mio: non mi aveva mai invogliato ad uscire con i ragazzi della scuola, neanche quando questi ultimi erano suoi amici. Mi diceva sempre che ero troppo brillante e bella per i ragazzini di Framlingham e che avrei dovuto aspirare a qualcosa di meglio. In quel momento, invece, mi spingeva a dare una possibilità a Charlie. Cosa era cambiato in quel breve lasso di tempo?

"Non lo so...non saprei di cosa parlarci."

"Dovresti provarci, Eve."

"Davvero lo pensi?"

"Sì, ti farà bene uscire con qualcuno." Lo disse sicuro mentre poggiava lo sguardo severo sullo stadio davanti a sé e muoveva dolcemente la mano sul mio braccio.

Annuii, ma non alla sua affermazione.

Annuii alla conclusione a cui ero giunta. L'avevo capito e lui l'aveva reso ben chiaro: non gli interessavo da quel punto di vista, non mi voleva. Anzi, mi buttava tra le braccia di un altro.

Avrei voluto disperarmi fino a piangere tutte le mie lacrime in quel momento, ma non lo feci. Sospirai e mi fermai a guardarlo mentre la musica che risuonava nell'aria era diventata soltanto fastidiosa. Giurai a me stessa che sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei guardato in quel modo: non sarebbe stato più il destinatario del mio amore.

In quel momento, vidi tutte le mie fantasie infrangersi contro la cruda realtà e pensai che tra quei cocci avrei trovato anche il mio cuore in mille pezzi.

Me ne sarei fatta una ragione. Mi convinsi a dimenticare le ciglia lunghe che ornavano quelle gemme verdi, la linea affilata della mascella e quelle labbra rosee e morbide.

Gli aggiustai un ricciolo che fuoriusciva dalla bandana e lui si voltò, mi sorrise di nuovo con gli occhi fermi nei miei. Quasi dimenticai quello che avevo realizzato pochi minuti prima a causa di quel misero contatto, sapevo che non sarebbe stato facile lasciarsi tutto alle spalle ma dovevo farlo. Per questo, ritrassi la mano e mi alzai cercando un po' di stabilità sul retro di quel pick-up.

"Andiamo a casa?" gli chiesi.

Non mi importava che il concerto non fosse ancora finito, non importava neanche a lui perché annuì senza lamentarsi.

Non parlammo più, neanche durante il tragitto verso casa. Soltanto quando arrivammo a Framlingham, tre ore più tardi, si sporse per lasciarmi un bacio sulla guancia e sussurrami un semplice buonanotte.

Scesi dal pick-up senza guardarmi indietro, entrai di corsa in casa raggiungendo camera mia e chiusi la porta cercando di non svegliare mia madre.

Con il cuore che batteva contro il mio petto in modo erratico, scivolai contro il legno duro della porta fino ad incontrare il pavimento freddo. Allacciai le braccia alle ginocchia e cominciai a piangere sperando che quella notte durasse il meno possibile.

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