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•Capitolo 7•


~•Sky•~

Guardo Adam che chiama per un ultima volta, il nome "Jackson", lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
Io invece sono ancora rintontita. Non è assolutamente la causa del viaggio, delle poche cose che ho portato nella mia nuova piccola dimora.
Un monolocale condiviso con una scellerata numero uno. Caduta dalla padella alla brace.
È per quel ragazzo. Enigmatico. Misterioso.
Un lupo solitario.
Il suo modo di snobbarmi e al tempo stesso squadrarmi mentre camminavo verso Adam.
Ho sentito i suoi occhi trapassare il reticolo delle lenti, appropriandosi di ogni pezzo della mia pelle.
Di ogni espressione del mio volto, abbagliato dal sole cocente.
E non posso dire che io non abbia fatto lo stesso. È stato più forte di me, il magnetismo che le mie pupille hanno voluto saggiare con brama quel volto dalla mascella volitiva.
Una ricrescita di barba scura e ben definita ad ombreggiarla.
Una pelle dorata come unta di olio per attirare.
Le sopracciglia folte e scure come i riccioli ribelli che si muovevano nel vento, rendendolo sfacciatamente erotico in quei vestiti casual, dove le spalle ampie fasciavano in modo sublime il giubbotto di pelle nero.
Ho potuto cibarmi per un nano secondo del profumo speziato che invadeva i suoi abiti.
Sembrava che fosse una battaglia a chi lasciava prima cadere lo sguardo.
E non posso dire di averla vinta. Perché ho notato un muscolo del suo zigomo vibrare, e ho potuto sentire quasi sulla pelle il suo sguardo tramutarsi in disprezzo, camminando a grandi falcate in quei jeans aderenti, che evidenziavano un signor culo.

«Un tipo loquace, il tuo amico.» Faccio presente ad Adam con grande sarcasmo, che si gratta la nuca confuso.
Certo non mi aspettavo una presentazione in pompa magna, ma almeno una stretta di mano frettolosa, si.

«Non lo definirei un amico, mi ha salvato da una situazione scomoda.» Ammette in disagio, socchiudendo appena un occhio nel suo modo che indica che ha combinato qualche furbata.

Lascio andare un sospiro arreso, prendendo le sue mani, per giocare con i suoi palmi, come quando eravamo piccoli, e leggevamo la linea della vita.
«In che casino ti sei cacciato?» Gli pongo melensa la domanda. Non ho voglia di fargli ramanzine. È un ragazzo adulto ormai, certe cose dovrebbe saperle da se.
Certi uomini vivono un'eterna pubertà.

Sfiora con le dita lunghe, i miei pollici, giocando con i suoi, mentre scuote i capelli rossicci. Nostro segno distintivo.
«Veramente stavolta non c'entro niente. Ho trovato un bilocale con un altro ragazzo. Era uno della Sant Clare University, molto in competizione da anni con la Lions. Abbiamo instaurato un ottimo rapporto in una settimana, finché non mi ha additato come Omosessuale, e gli ho tirato un cazzotto. In conclusione due suoi amici hanno pestato me.» Confessa con voce sprezzante come i tratti del volto che si rabbuiano seppur i raggi ci illuminano, e vedo i suoi occhi perdersi tra le nostre dita intrecciate.

«Adam.» Lo chiamo dolcemente, portando la mia fronte a scontrarsi con la sua, per dargli un bacio all'eschimese che lo fa sorridere seppur debolmente.
«Non permettere a nessuno di credersi migliore. L'orientamento sessuale non cambia chi sei, cosa vuoi fare. E se non altro hai trovato posto nel dormitorio.» Lo rassicuro e risollevo frizzante il morale di mio fratello.
Lui è sempre stato così insicuro. Chiuso in un guscio, per paura di affacciarsi e mostrarsi al mondo, e solo ora si sta aprendo un po' di più.
Solo ora sta anche lui accettando la sua omosessualità, che non cambia niente per me.
Non dovrebbe fare differenza per nessuno.
Ma c'è chi ancora in questa società giudica, perché hanno una vita noiosa.
Perché seguono regole che poi sono i primi ad infrangere.

«Beh...parliamo del tuo lavoro, dai. Di cosa si tratta. Sono così contento che sei qui.» Sembra che l'aria triste di prima sia stata bruciata via, per lasciare di nuovo spazio al mio fratellino di sempre, mentre mi coinvolge in un abbraccio stritolatore, e ci allontaniamo dal Campus.

«Tutrice per bambini affetti da problemi. Sai che è sempre stato quello che volevo fare.» Confesso cristallina, cercando di dare un calcio al passato che vorrebbe riaffacciarsi in questo momento perfetto.
Non ti oserò di rovinarmi, ora.
Non più. Non sotto la luce del giorno.

Adam non sa niente su ciò che il mio patrigno esigeva. È l'unico segreto che ho con lui. E lo custodirò per sempre nel vaso di Pandora.

«Wow, è stupendo Sky.» Esulta gioioso, ed emetto un risolino concordando con un cenno della testa.
Siamo vicini alla mia macchina, e dire che è un catorcio è farle un complimento.
Ma solo io posso definire tale il mio Maggiolino bianco.

«Ti faccio vedere casa mia, andiamo a piedi é a pochi isolati.» Spiego come il gesto della mano, che dirotta verso sinistra, per fargli vedere il tratto di strada, mentre arcua un sopracciglio folto.

«Hai la macchina.» Mi rimbecca con un'occhiata torva, nel vedermi mordere le labbra come a voler estirpare pellicine con i denti.

«Si...ma...ecco, ha qualche problema. Non credo abbia sostenuto il lungo viaggio ed emette scoppietti come un battello a vapore.» Mi copro gli occhi a disagio, ammettendo molle, la dura realtà che padroneggia sul mio povero maggiolino, quando Adam scoppia a ridere gettando indietro la testa.
Apro a poco le dita per spiare tra le fessure il suo beffeggiarmi.

«Non potevi pretendere molto da questo rottame.» Sputacchia tra le risa, il suo sfottò, piazzandogli un debole pugno sull'avambraccio.

«Non toccare il mio gioiellino. Domani la porterò in un'officina a risolvere il problema.» Proclamo altezzosa, come se io e il mio Maggiolino potessimo rivoluzionare il mondo.
Alche è obbligato ad alzare i palmi in segno di resa, e seguirmi nel breve tragitto, che divide l'università da casa mia.

Prego mentalmente che la squinternata della mia vicina non ci sia. Ma so che è un tentativo vano. Rientra sempre la mattina alle 6. Ozia tutto il pomeriggio, girovagando mezza nuda, come se dovesse girare un film porno da un minuto all'altro.
E le mie preghiere se le mangia il vento, poiché appena apro il portone che cigola trascinato, posso sentire già dal pianerottolo abbellito solo da una piantina in fin di vita e giallognola sulle punte, l'impianto stereo invadere i metri quadri.

«Cosa avviene in questa palazzina? Dei rave?» Ridacchia Adam, mentre gli getto un'occhiata di tralice con il volto girato, poiché stiamo salendo le scale in marmo.

«È la mia vicina. Ignorala.» Gli intimo subito dopo, come un comando sostanziale, per riuscire a superare al meglio la giornata con mio fratello.

«Perché mai dovrei?» Povero Adam, non sa con chi mi sono andata ad impelagare, dopo una ricerca accurata per evitare fenomeni da baraccone.
Saliamo gli ultimi gradini, e devo darmi manforte per girare la chiave nella serratura mezza scassinata, e aprire debolmente la porta bianca di casa.

Veniamo subito schiaffati dalla musica che rimbomba tra le pareti acquamarina, mentre la sua voce sovrasta quella della cantante Dua Lipa.
«É Tornata la ragazza di campagna.» La sento urlare euforica dall'ingresso, e vorrei dissolvermi seduta stante.

«Ragazza di campagna?» Ripete stralunato Adam, dietro le mie spalle e scaccio via con la mano come una mosca fastidiosa, quel nomignolo del cavolo.

«Non é molto normale.» Soggiungo scuotendo la testa esasperata, e in tutto ciò vedo la figura di Caroline, palesarsi davanti a noi in un baby-doll di velo rosa che non lascia nulla all'immaginazione.

«Oh lo sono eccome. E questo bocconcino appetitoso?» Indica maliziosa con allusioni sessuali dati dai suoi gesti con il mestolo in mano che si porta alla bocca nude per leccarlo, mio fratello che tossisce fortemente per sopprimere una risata.

«É un bocconcino che ama il mestolo, come te.» Sgonfio tronfia le sue intenzioni, superandola con Adam al seguito, mentre scuote come una bacchetta il mestolo in aria.

«Come ti chiami?» Domanda annoiata, stravaccandosi come un peso morto sul divano, di fianco a lui, mentre spengo questo aggeggio infernale che mi trapana l'udito.

«Adam. Sono suo fratello.» Alza il mento nella mia direzione, dove Caroline sposta i suoi occhi onice da me a lui.

«Tua sorella é una tipa noiosa Adam. Credo tu lo sappia. Basta vedere come si veste.» Vorrei dirle che io sono qui. Che se deve sparlottare di me, almeno lo faccia alle mie spalle, non con mio fratello, e senza la mia presenza.
Ma deduco che il suo quoziente intellettivo non raggiunga certi livelli, e crede di non essere ascoltata dalla sottoscritta che sbuffa e storce le labbra con aria pigra.

Vedo Adam sogghignare debolmente, mordendosi il labbro inferiore, per non iniziare a ridere sguaiatamente con la scellerata.

«Ok, bene!» Stoppo il teatrino, con un'aroma di vaniglia che delizia l'olfatto e le papille gustative. Infatti Caroline si alza come una molla dal divano ad angolo blu, raggiungendo come una gazzella la cucina, battendosi le mani da sola.
Beh, almeno non devono farle i complimenti, si congratula con se stessa.

«É svitata, ma simpatica.» Afferma divertito sottovoce che risulta più un labiale Adam, accomodandosi meglio sul divano.
Le braccia distese lungo lo schienale, e le gambe stese con le caviglie accavallate sul tavolino di legno da caffè, posto sopra un tappeto persiano.

«Già!» Condivido in parte il pensiero di Adam, venendo interrotti dalla voce squillante di Caroline, che ci invita a mangiare il suo dolce.
Forse dovremmo pregare prima, o forse almeno sa essere una brava cuoca.

Ho lasciato Adam sgusciare via dalle grinfie di Caroline, che aveva preso ad imboccarlo come un bambino piccolo.
Nonostante le avessi detto velatamente e poi in modo esplicito che sarebbero potuti andare insieme a potare carote, non sembrava intenzionata a demordere.
Ma il lato positivo lo vedevo.
Una settimana fa avevo fatto le valigie, stravolto la mia vita e chiusa alla rinfusa, mentre ora sentivo il cuore più leggero, anche se la notte mi svegliavo ancora con la sua voce.
Come se sentissi ancora il suo profumo di sigaro bruciato.
I suoi passi pesanti calpestare il parquet.
Nuova città. Nuove opportunità.
Una Sky diversa fuori, ma con gli incubi di sempre dentro.
Non si può cambiare tutto, non si può cancellare niente.

Adam mi ha dato l'indirizzo di un'officina piccola e a prezzi ragionevoli, poiché il mio portafogli ancora non ha una crescita florida.
Arrivo con fatica, sorbendomi anche imprecazioni poiché ad ogni stop o semaforo, si spegneva e per ripartire sembrava un trattore.
Tiro il freno a mano, e sento la macchina rilassarsi con uno sbuffo da locomotiva.
Resto per qualche secondo con le dita avvolte sul volante di pelle, ticchettandole fastidiosamente, finché non mi decido di scendere, notando alcune macchine già posizionate per essere aggiustate.

Chiudo lo sportello con un tonfo debole, calpestando con le suole dei mocassini, il terreno ghiaioso, inoltrandomi dentro la piccola officina dalle pareti rosse, che sembra più un capannone da garage con attrezzature.
Il sole é ancora alto nel cielo, e rischiara appena l'interno ombroso e cupo.
Cerco di sbirciare con gli occhi guardinghi, se c'è qualcuno che può aiutarmi.
Quando sento un tonfo acuto fare quasi eco, mi fermo poco dopo l'uscio, con il cuore che balza in gola e si blocca facendomi restare sospesa in un'apnea.

La stessa posizione che assumevo quando mi portavo le coperte fin sotto le narici, e pregavo che lui non entrasse. Con il fiato che non usciva e comprimeva il petto.
Con il corpo immobile, come se, se avessi potuto muovere un muscolo, lui sarebbe arrivato.
Ma lui arrivava sempre.

«Si é una Chevrolet Camaro SS, ultimo modello.» Sento una voce rauca e spessa, ridestarmi dalle mie tenebre interiori, e sussulto nuovamente, facendo in modo che il cuore ritorni al suo posto per pulsare.

Sposto lentamente gli occhi, sul punto dove proviene la voce, e vedo due gambe toniche darsi slancio da sotto una macchina, fuoriuscendo a poco.
l'addome contratto, fasciato in una t-shirt bianca sporca di grasso, i bicipiti gonfi che si sollevano tenendo in una mano una chiave inglese, e finalmente scopro il suo volto rigido dove una rughetta di espressione contorna le folte sopracciglia nere.
Il bel tenebroso di oggi.

Non posso impedire al mio cuore di emettere due frastuoni che fortunatamente odo solo io,
Mentre si alza nella sua stazza imponente, posando con un tonfo secco, la chiave inglese sulla cassetta rossa aperta.
«Come, prego?» Scuoto la coda in cui dei ciuffi sono ricaduti ad incorniciare il mio ovale, con una voce starnazzante che neanche mi appartiene.

«La macchina che stai fissando da tre ore.» Mi riprende burbero, pulendosi le mani sul lembo della maglia che ha sollevato, lasciando uscire uno squarcio di pelle dorata e tesa, in cui noto gli addominali obliqui appoggiarsi con fierezza sulla cintura dei jeans.

«Io...» Non mi ero resa conto di essere rimasta imbambolata davanti ad una macchina, ma neanche davanti a lui, che ora mi sta squadrando e posso notare il colore dei suoi occhi. Un verde bosco scuro, che si addice alla sua aria tenebrosa, in cui avverto una forte elettricità pervadere il mio corpo. Dalla spina dorsale fino alla nuca che sembra prudere.
«Sei l'amico di Adam.» Snocciolo fuori l'unica informazione che so di lui, se non il suo nome. Jackson, mi sembra di ricordare.

Lo noto a fissare il mio cardigan grigio antracite, con una linea sbieca sulle labbra, come se fosse disgustato più che interessato.
«Senti, saltiamo i convenevoli. Che sei venuta a fare?» Mi domanda secco e annoiato, poggiando un fianco contro la scrivania di metallo dove risiedono i vari attrezzi da lavoro.
Resto inebetita davanti a tanta cafonaggine, innalzando un sopracciglio curato per affrontare questo ragazzo che oltre ad un bel corpo é evidente che non sappia cosa sia l'educazione.

«Mi sembra ovvio.»Ribatto piccata, spiegando una mano verso l'ambiente che ci circonda, dove lui segue lo sguardo.

«Merida non sei il mio tipo, perciò é inutile che tu sia venuta a controllare dove lavoro.»
Che cosa?! Questa é la peggior battuta mai sentita. Dotato di un ego smisurato che si innalza sopra di lui come il re del mondo.
Sul serio?! Riesco solo a ridere, e lo faccio di gusto davanti al suo sguardo ora scettico che punta le mie labbra che gorgogliano ancora di risa, ma si seccano a sentire il suo sguardo divorarle.

«Ascoltami te, quando avrai smesso di flirtare con il tuo ego, c'è il mio Maggiolino parcheggiato fuori. Dagli un'occhiata e recapita ad Adam il problema. Adam riferirà a me, e verrò a saldare il conto, magari con il tuo capo.» Affermo risoluta e sgarbata, girando le spalle per lasciarlo bollire nel suo brodo.
Ma sento i suoi occhi verdi incenerirmi le scapole, scendendo più giù dove forse sto volutamente ancheggiando.
E magari me ne compiaccio, ma non mi volto per appurare la mia tesi, posso sentire da me che non é scivolato come avrei voluto. Mi sta solo bruciando con quelle iridi verde cacciatore, abbellite da un verde foresta dove puoi perdere la strada del ritorno, con lo stesso disprezzo con cui l'ho beffeggiato.

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