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•Capitolo 50•

/Jackson\

Le mie nocche, bruciano sul suo volto latteo, e ammiro affascinato le sue dolci efelidi che si imporporano sotto il mio tocco.
Ancora di più, quando il mio pollice le sfiora l'angolo delle labbra polpose, che si schiudono in un ansimo che vibra tra le corde del mio organismo.

«Voglio che tu ora, chiuda le persiane della portafinestra. Non deve filtrare alcun spiraglio di luce, se non quello necessario per vederci. Esigo che tu rifaccia il letto e ti infili sotto le coperte. E aspetti il mio arrivo.» Le mie labbra toccano con sensualità e adorazione, la pelle sotto il suo orecchio, che serpeggia di brividi per il contatto. Il mio tono é carico di lussuria e imposizione ferrea che non ammette replica, quando mi giunge un suo sussulto strozzato.

«Jack...» Non voglio il mio nome sulle sue labbra, ora. Deve affidarsi ai miei piani.

«Shhh.» L'apostrofo caldo, dandole un leggero morso, che le fa piegare lateralmente la testa, per offrirmi totalmente il suo collo elegante.
Dio, il profumo della sua dannazione, mi consuma ogni giorno di più, e voglio abusarne, perché sono un soggiogato di Sky.

«Dove vai?» La sua domanda traballante, si sporca di paura nel pensiero che io me ne vada via, e stringe maggiormente il collo della mia t-shirt.
Le mie labbra risalgono lente e pragmatiche, sul suo lobo, e lo ricopro come se volessi divorarlo.

«Aspettami e basta.» La informo rauco e con un tono talmente rassicurante, che la fa di nuovo annuire con la testa, staccandoci piano.
Proprio come la prima volta che la vidi, e i nostri sguardi erano combattuti se rimanere inchiodati, sviare subito oppure gustarsi lentamente e poi lasciarsi con flemma.

La sua testa scatta nella mia direzione, e i suoi occhi offuscati da mille emozioni, bersagliano i miei come un mirino dalla mira precisa e infallibile.
La vedo tremare di incertezza, ma le mie iridi le promettono che sarò presto di ritorno, e cerco di farglielo leggere il più possibile, anche se la nebbia ci ricopre, mentre avanzo verso la porta.

Scendo le scale in fretta, per non perdere un minuto in più, e spalanco la porta dell'entrata, per richiuderla con un tonfo sonoro.
Un Ding che scocca, per darle il cenno di fare come le ho detto.

Metto in moto con fretta, il pick-up dove le ruote stridono sulla ghiaia per la potenza con cui accelero subito, e in un secondo sono già a girare per il centro della contea di Lexington.
Sembra di tornare negli anni 50'.
Tutti negozietti e boutique centenarie, che sicuramente si saranno passati di generazione in generazione per continuare le attività familiari.
E tra quelle, scorgo accanto ad una tavola calda, un piccolo negozio di scarpe, che potrebbe fare al caso mio.

Penso e sorrido, mentre sosto la macchina di fianco al marciapiede e osservo la vetrina, che deve essere stato questo il negozio dove la mia Dea, ha acquistato quei mocassini strani, che portava i primi tempi.
E dannazione, anche nella sua stranezza mi aveva già fottuto più di tutta la normalità.

La tendina a perline, crea un lieve rumore plastico, mentre mi inoltro nel negozio, che porta il tipico tanfo di suole e vernice.
Non trovo nessuno dietro al bancone di legno scheggiato, se non degli scaffali di metallo, con prodotti per pulire le scarpe e pannelli con appesi vari tipi di solette.
Giro tra le scatole di scarpe, finché non trovo quello che cerco.

«Arrivo, un secondo solo.» Sento una voce di donna, impacciata e trafelata, inveire contro qualcosa con imprecazioni che mi portano a grattarmi la nuca.

Trasporto la scatola di scarpe fino al bancone, quando da dietro la mia schiena vedo la donna correre, e quasi inciampare su un'appendi abiti che ha affissi solo dei prendisole.

«Eccomi.» Soggiunge cristallina, togliendosi con uno sbuffo delle labbra, una ciocca che le era finita davanti agli occhi. Occhi che ho già visto. Un volto che sicuramente ho visto.
E in un attimo, tutto si collega, con un destino strano.

«Ellie Sparks?» Mi pronuncio, con una domanda che suona più come un'esclamazione, mentre lei mi guarda con le iridi miele che il secondo dopo scintillano di una luce indefinita.

«Kyle? Sei Kyle Thomson?» E al nome di mio fratello, il mio cuore schianta sotto uno strapiombo, dove devo dare affido al signore per non perdere la calma.
Leí era la sua metà che copriva la voragine che aveva dentro.

Chiudo un secondo le palpebre ed esalo un sospiro che fende l'aria.
So bene quanto ci assomigliamo, ma essere scambiato per lui, non so quanto bene e male mi faccia al contempo.
Ma non posso stare a pensare a questo, mentre la Dea ha bisogno di me, quanto io ora ho bisogno di lei.
Bisognosi di noi stessi. Di rifugiarci in ricordi e strapparli per farli apparire più sotto forma di sogni che incubi.

«Sono suo fratello. Kyle é...» Non riesco a finire la frase, perché le sue iridi si scuriscono e annuisce con un lieve cenno della testa.

«Speravo che fossero solo voci.» Ammette con un tono traballante come le sue labbra, e capisco perché Kyle si era perdutamente innamorato di lei.
Deve essere una cosa che contraddistingue le ragazze di Lexington.
Una maledizione/benedizione gettata su i fratelli Thomson.

«Devo pagare le scarpe.» La tolgo dai suoi pensieri, per riportarla al presente e scuote la testa come se si fosse rianimata.

«Tranquillo, erano l'ultimo paio. Offre la bettola.» Sorride di un sorriso contagioso che illumina, e poi come se nulla fosse, fa il giro del bancone per venirmi difronte. Troppo vicino, che non so neanche perché sto ancora qui impalato.
Lo faccio per Kyle?
Mi vedi da lassù fratello?
Guarda come é piccolo il mondo, in confronto al tuo cielo immenso.

Resto immobile, anche quando vedo la sua mano affusolata inalberarsi, e carezzarmi solo con l'indice lo zigomo che vibra tra fastidio, dolore, e altro che non so.
Mi sonda, come fa la mia Dea, e so davvero che era innamorata di Kyle.
Mi vede come vedeva lui. Cerca di aggrapparsi ad una speranza.
E tu dove eri, quando lui aveva bisogno?

E ancor più di sasso ci rimango, quando in uno slancio si spalma contro di me, e mi avvolge le braccia al collo, gettandosi come una disperata sul corpo del fratello del ragazzo che amava.
«Gli somigli così tanto.» Afferma la dura verità, tra dei singhiozzi che mi fanno poggiare la mano sulla sua schiena, come a rassicurarla che va tutto bene.

E vorrei sapere da quando sono diventato così protettivo.
Cazzo!

«Scusami.» Sussurra fievole, staccandosi dopo un minuto, asciugandosi la rima cigliare con le dita.

Ora sono io quello che alza la mano, e le scosta una ciocca di boccoli color cioccolato, dietro l'orecchio impreziosito da un diamantino rosa.
É bellissima. Proprio come mi aveva descritto, Kyle.
«Anche lui ti amava.» Le riempio il cuore con quella verità assoluta, dove un sorriso di gioia le riempie il volto, prima di vedermi sparire.

Ripercorro la strada, con un senso di ansia che mi attanaglia dentro.
Ho paura che scoppi a piangere. Che se ne vada correndo e sfuggendo da me, da noi.
Paura che resterà immobile e bloccata.
O peggio rivivere tutto nel peggiore dei modi, senza darmi modo di farle capire che voglio lavare via quel ricordo e regalargliene uno migliore.

Sosto la macchina sul vialetto ghiaioso, proprio difronte alla staccionata.
Sono ancora agitato e il sudore che mi attacca i riccioli sulla fronte, ne sono una prova inconfutabile.
Sfilo lentamente le mie Nike, per infilarmi gli scarponi antinfortunistici, e so bene che quando entrerò dentro lei sentirà la suola spessa, scricchiolare ad ogni passo.
Si ripeterà nella testa il suo mantra: Non piangere, non mostrarti debole, non gridare e non accadrà nulla.

Salgo la scalinata in muro, prendendo ed esalando respiri talmente profondi, da poter scavare dei fori sulla porta che mi separa dall'interno della casa.
Le chiavi tintinnano tra le mie dita che tremano, e di più quando cerco come un cieco a tentoni, di infilarle nella toppa.
Si inoltra con estrema cauta. La giro con estenuante lungaggine, ma appena il rumore deciso si fa strada sul mio udito, per oscurare i pensieri che ronzano inviperiti, so che devo muovermi.
Emetto un passo indeciso, per richiudere la porta alle mie spalle.
Posso addirittura avvertire se chiudo gli occhi, il sussulto leggiadro, scivolare da quelle labbra che amo divorare e vederle in ogni parte del mio corpo, fare le cose più pudiche alle più porche.

E ora so che sente la suola pesante, calpestare il parquet.
Salgo le scale, annullando l'inquietudine, per giungere alla porta e convincermi che sono pienamente deciso della mia decisione.
Le dita si avviluppano attorno alla maniglia fredda della sua cameretta, e devo darle la prova tangibile che le infonderà sicurezza.
Si lascerà andare. Diverrà malleabile. Creta tra le mie dita, tra i miei ordini e i miei sguardi penetranti.
Si abbassa senza sforzo, e il cigolio accompagna il mio ultimo passo concitato, richiudendo la porta per girarmi e sentire il fiato bloccarsi nella laringe.
Poiché trovo la mia Dea, sotto le coperte azzurre con disegnate piccole margherite.
Le dita affusolate e curate, strette attorno ai lembi del lenzuolo in due pugni così serrati da vederle le nocche ingiallire.
Sembra quasi che non respiri, nemmeno per puro caso o per bisogno vitale.
Noto solo la fronte corrugata e i capelli aperti in un ventaglio scomposto, sbucare da lì sotto.
Le tende e le persiane chiuse, lasciano tutto nella semioscurità, spezzata dai fori della saracinesca che lancia bagliori di luce, che si proiettano come punti incandescenti sul muro bianco.

«So che non stai dormendo, Sky.» Mi sforzo con tutta l'anima di riuscire a cavare fuori quell'affermazione. É come se avessi fumato dieci sigarette di fila, e la gola bruciasse ad ogni sillaba.

Vedo un impercettibile movimento delle sue dita, stringere di più il lenzuolo, e la suola degli scarponi risuona in questo silenzio spettrale.
Mi piazzo davanti al profilo del letto e la mia mano si muove per posarsi sulla sua fronte, scostandole un ciuffo rosso come il fuoco.
Le pieghe che solcano la sua fronte sempre liscia, si contraggono maggiormente, e per lei ora non esisto più.
É annebbiata dalla coltre fittizia dei ricordi deleteri, e le mie dita scivolano a solleticarle le nocche.

«Non puoi fingere, mio adorato cielo. Scopriti.» Il mio ultimo ordine, tuona tempestoso, e la voragine nel mio petto si apre, nel captare un suo singulto smorzato dal tessuto del lenzuolo.

Impongo alle mie gambe di retrocedere, per posizionarmi a gambe divaricate sulla poltrona in cui sedeva quel lurido porco, e attendo che piano piano il lenzuolo scopra la sua innocente figura.
Le palpebre serrate come le labbra contratte in una smorfia sofferente.
Cade lento il lenzuolo, che arriva a toccare le mattonelle, e ancora mi dilanio le corde vocali.

«Alzati.» Sono così burbero, da non credere neanche che sto recitando, e vederla così provata e tremolante, mi strizza il cuore come una pezza.
Dolce Dea, questo cuore batte per te.

E ho paura che lei lo possa sentire, quanto spinge contro la gabbia, per fuoriuscire e fondersi al suo.
Dannato mostro, chiamato amore.
Non so se sia tale, e ho paura di saperlo, ma si estende a macchia d'olio questo sentimento, rendendomi schiavo di lei.

Il corpo di Sky, si alza piano, quasi fluttuando nell'aria e fa un passo distante dal letto.
Lo sguardo piantato a terra, il mento che si infossa appena nella fatica di deglutire.
Le braccia lasciate lungo i fianchi sinuosi, e le mani strette in due pugni.

«Quanto sei bella. Mostrati a me.» Ora la mia voce diviene più bassa e rauca, perché é la perfezione.
Ma sto ancora fingendo. Se non dovessi attenermi a questa recita, ora sarebbe avvolta dalle mie braccia, e piena dei miei baci.
Invece tutto ciò non mi causa effetto sotto la cinta.

Si volta completamente verso di me, e tiene ancora gli occhi puntati sulle mattonelle.
«Calati le mutandine.» Le impartisco in un soffio sensuale, e le sue dita, si inoltrano sotto la sottoveste bianca perla, per spingere delicatamente giù, il perizoma di pizzo, che fa affluire tutto il mio sangue nella zona che diviene problematica.
Non sono un malato sadico. É l'effetto che lei ha su di me, a farmi schizzare l'uccello, anche contro la logica.

Il perizoma cade fiacco a terra, e il ricordo di me che lo stringevo tra le dita, sbattendo forte la carne pulsante, mi manda in cortocircuito.
«Avvicinati.» Sono impastato dall'eccitazione, ma sono ancora conscio che la mia Dea, stia rivivendo situazioni atroci.
Si volta un attimo, verso la foto di lei e Adam, e capisco che era lì che guardava sempre mentre lui la pretendeva.
Il volto di suo fratello, che non poteva giudicarla, ma lei si sentiva sporca.

Non devi. Non devi. Tu non lo sei. Tu sei pura aria per me.

Le sue cosce snelle, muovono passi flemmatici, verso di me, e appena é a due passi, mi sporgo in avanti con la schiena, per attrarla tra le mie cosce divaricate, posizionandole nel mezzo.
Sembra una bambola di pezza. Emette deboli sussulti, e la sua pelle é accapponata.
I miei palmi scivolano sul profilo delle sue cosce, e la fronte ricade sul suo ventre piatto.
La strofino per darci conforto, e le mie labbra le baciano l'ombelico coperto dalla sottoveste.

«Guardami.» Le sussurro intenso e dolce, e mi scosto appena, per vedere i suoi occhi poco a poco rialzarsi, e le sue iridi risplendere nelle mie.

«Venticinque anni, cinque mesi e dieci giorni. E oggi farai l'amore con me.» L'avverto profondo e vibrante e in un attimo le sue pupille si sgranano, tornando nel presente.
Tornando da me, e lasciandosi cullare dalle mie mani dove ora la sua bocca si schiude di piacere.

«Dio, quanto sei bella. Sei il mio cielo.» Sono io in versione Jackson che ora le imprime queste parole.
Non avrà più paura di guardare il cielo.
Non si sentirà più giudicata dall'altissimo.

Mi alzo per sovrastarla con la mia altezza, tenendola ancorata per i fianchi, e il mio viso collide quasi con il suo.
Occhi negli occhi. Iridi Verdi in iridi azzurre.
Pupille che si specchiano magicamente e si dicono tutto.
Salgo rovente sul profilo della sua vita, su i seni che si spingono in avanti per raggiungere il mio torace, sfregando quei deliziosi capezzoli turgidi, sulla stoffa della mia maglia.
Lascio che la sottoveste si arricci ad ogni passaggio e gliela sfilo con un gesto secco, prima di pressare un palmo sulla sua nuca, tra i suoi capelli che scottano le dita, e spingere la mia bocca contro la sua.
Le mie labbra la sfiorano con il respiro, e la lingua disegna il contorno tra le sue dischiuse, prima di concedermi l'assalto che fa smaniare la sua lingua per trovare la mia.
La bacio con foga, mordendoci i rispettivi labbri inferiori e gli ansimi che si elevano diventano indecenti quanto il suo corpo fresco e nudo, che si contorce tra il mio braccio che le stringe la vita.

Cammino in avanti mentre lei retrocede, senza mai staccarci, solo il tempo di vedere le sue dita stringersi sul collo della mia maglia, e sfilarmela smaniosa.
Scende avida sul bottone dei miei jeans, lasciandolo fuoriuscire dall'asola, mentre la spingo sul letto per vederla cadere e sentirla sussultare di piacere che la infuoca.
Le sue iridi sono torbide e muoio a quella vista, di lei che si contorce sul letto per invitarmi a farle di tutto.
Mi offre il profilo delle sue natiche rotonde, si massaggia un seno pieno, mentre succhia l'indice per provocarmi pazzia.
Faccio scivolare irruente i jeans insieme ai boxer, scalciando gli scarponi, e la mia erezione svetta gloriosa, imponente e dura, verso la mia Dea, che socchiude gli occhi persa nel piacere.

Sento l'odore della sua dannazione, schizzarmi in testa e infettarmi i neuroni.
Piego il ginocchio sul letto, per posizionarmi su di lei. Tra le sue cosce che si aprono, e il frutto che ha nel mezzo gocciola di piacere che le imperla le labbra glabre della fica.
Le mie palle gonfie, la solleticano in quel punto dove gemiamo come animali, e ritorno a pretendere la sua bocca con più delicatezza.
«Voglio fare l'amore.» Lo dico veritiero e non mi nascondo. Anche se il sole fuori esiste, oggi sono vero anche sotto quei raggi.

Le sue labbra mi succhiano il labbro inferiore, disperata, e le dita mi tirano i riccioli.
«Insegnami ad amare.» Sussurra bassa e angelica, e quella frase fa si che il mio glande, scivoli senza sforzo tra le sue labbra, riempiendola lentamente.
Centimetro dopo centimetro ci abbandoniamo alla passione che profuma d'amore.
Ci baciamo ma ci guardiamo.
Il cielo che sorveglia la foresta, la illumina e spazza via ogni pericolo, senza nubi ad oscurarla.
Questo siamo noi.
Questo deve capire.

Anche quando le sussurro che é il mio cielo, lei sa che é la Dea scesa sulla terra, per aiutarmi a non affondare se non dentro il suo corpo, dove spingo.
Dove lei mi graffia.
Dove ansimiamo e mi prendo ogni cosa ad ogni stoccata.
Lei si prende tutto ad ogni movimento per venirmi incontro sotto la mia forza che però oggi é dolce.
Sotto i miei baci che le costellano il collo e le spalle.
Sotto il giorno che lascia spazio alla notte, ancora incatenati ad amarci.
Mentre lei si abbandona al suo secondo orgasmo, io esplodo su di lei, per sporcarla solo di me.

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