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•Capitolo 49•

/Jackon\

Lascio che la mano di Sky, mi trascini sopra.
Ho un tumulto nel cuore, perché sento e so per certo che qualcosa la tormenta.
Le solite stanze chiuse, e ci fermiamo proprio davanti ad una che non ha mai aperto.
Avverto anche se mi da la schiena, quanto sia accelerato il suo battito cardiaco.
Quanti respiri esala al secondo.
Quanto rafforza la presa tra le mie dita, e quanto siano sudate le sue.
Si strofina l'altra sul pantaloncino di jeans, per portarla successivamente sulla maniglia d'ottone.

Mi accosto maggiormente alla sua schiena, pervasa da brividi più per ansia che per il mio contatto, infondendole il coraggio per tirarla giù piano e spalancare l'uscio.

Fa un passo indietro, quasi inciampando sulle mie scarpe, e la sua schiena collide con il mio petto arrestando la fuga che premeditava.
Come se avesse visto un fantasma, la sento deglutire, ma se il silenzio ci ha sempre fatti capire, capirà che il mio non pronunciarmi equivale a farla avanzare.

E così lo fa. Lentamente si inoltra e mi trascina con se, nel fascio di luce che sprigiona la stanza. E non una qualsiasi. La sua. Quella di quando era bambina. Un quadro di lei e di Adam sorridenti, posto sul muro di fianco al letto da una piazza.
La portafinestra che da sul terrazzo, viene occultata da una tenda grigio perla e, a contornare il tutto solo un armadio di legno.
L'odore di naftalina accusa appena quello della sua dannazione, e capisco che in questa stanza é parecchio tempo che non la usa.
Ma non sono stupido. Il motivo non é il letto singolo che non potrebbe accogliere le nostre sessioni di sesso in tutte le posizioni possibili per fotterla meglio.
C'è altro.
Me ne rendo conto dal suo restare piantata nel centro, e ispezionare la stanza, come se la vedesse per la prima volta.

Le nostre dita ancora incastrate, che abbandona piano, mi portano a staccarmi da lei e le lascio il tempo di riprendersi, di prepararsi, mentre vado a sedermi sul letto composto solo dal materasso un po' ingiallito dal tempo.

Le doghe si lamentano sotto la mia mole, osservando Sky, avanzare verso un piccolo scrivano di legno ciliegio che non avevo notato, e girare placidamente la piccola chiave su cui oscilla una nappina bordeaux.
Tira il cassettino a se, e noto che all'interno ci sono dei libri impilati perfettamente, un barattolo con dei pennarelli e tra quell'ammucchiata ordinata, le sue dita ne sfiorano uno con incertezza.
La vedo socchiudere le palpebre, ma non accenno a parlare o muovermi.
Capisco che ha bisogno del suo tempo, e non aspetto molto che lo afferra con un tremore che la scuote, e si riverbera nel suo azzurro spento, quasi vitreo, nel medesimo secondo che si gira e avanza verso di me.

Abbassa istintivamente lo sguardo, quando mi porge un quadernino rosa, e so che é la sua muta richiesta di invitarmi a scoprire ciò che contiene al suo interno.
Resta ferma come una statua, mentre sfilo dalle sue dita molli, il quaderno e lo poggio sulle mie gambe.
Tremo anche io, senza sapere il reale motivo, ma é come se vivessi delle sue emozioni.
Come se ciò che attanaglia lei, fa successivamente agitare me.
Siamo due ingranaggi che funzionano perfettamente, e se uno si blocca lo fa anche l'altro, perché non può collaborare senza il pezzo leso.

Si martoria le dita. Se le porta agitata tra le labbra che esalano sospiri tesi e pesanti.
Si graffia la pelle del palmo, ma non si siede.
Resta davanti a me, che svio lo sguardo da lei e mi concentro sul quaderno.
Lo strato spesso e duro che ricopre le pagine, mi fa intuire che é un diario, e divento ancora più agitato senza farglielo notare.
Credo di essere anche io una pozza di sudore e paura, ma non mi fermo.
Inizio a leggere, assorbendo ogni singola parola per imprimerla dentro.

Cara Cherry.

Oggi Margaret ci ha presentato il suo nuovo compagno. Di lui so solo che ha due figli maschi, e spero di conoscerli. Sarebbe bello giocare con qualcuno. A scuola non riesco a fare amicizia, tutti mi prendono in giro per i miei capelli e dicono che le rosse puzzano.
Sono tanto triste, rivoglio il mio papà, non lo voglio questo.

Cara Cherry.

Oggi il nuovo patrigno mi ha portata a vedere un laghetto pieno di oche.
"Tua madre é una di queste." Io l'ho preso come un complimento. La vede bella come un'oca, ma aveva qualcosa nel suo sguardo.
E poi mi ha poggiato la mano sul culino, dandomi una pacca.
Sono triste, Cherry. Tanto triste e sola.

Ho bisogno di fermarmi un secondo, perché so che ciò che leggerò d'ora in poi, non mi piacerà per nulla.
Sento già il bulbo spingere per farmi piangere, e vorrei sapere quanto mi é entrata dentro questa donna. Quante battaglie ha dovuto combattere, e quale grazia mi abbia fatto il signore per poterla avere nella mia vita.

Cerco di sollevare un attimo lo sguardo, ma il suo resta inchiodato tra le fughe delle mattonelle, e comprendo ancora che devo leggere.

Cara Cherry.

Oggi ho compiuto dieci anni. Mamma ha preparato una torta, ma faceva schifo.
Cosí gliel'ho detto e lei mi ha tirato uno schiaffo.
Sono salita senza piangere in camera, e mi sono nascosta nel mio armadio.
Ma Adam mi ha trovata. Ha detto che voleva stare con me. Voglio solo bene a lui.

Cara Cherry.

Non potrei raccontartelo, ma il mio patrigno...lui mi ha dato un bacio a stampo sulle labbra. Cosa vuol dire Cherry?
Oggi ha detto che ho Dieci anni, sette mesi e venti giorni.

Cara Cherry.

É tanto che non ti scrivo. Sai, ho compiuto undici anni. Ho iniziato una nuova scuola, ma non é cambiato nulla.
Il mio patrigno continua a darmi baci con la lingua, e a me fa schifo tutto questo.
Mamma non mi crede, e come sempre mi picchia.

Puttana! Devo fermarmi ancora per dare gli epiteti peggiori a Margaret, anche se é defunta.
Troia! Come ha potuto? Come?
Dio, Sky. Guardami e dimmi che non é peggio di così.
Provo a rintracciare il suo sguardo, ma lei nega con un cenno debole della testa, perché anche se non mi fissa ha avvertito i miei occhi, farle quella domanda.

Cherry.

Dodici anni, tre mesi e sei giorni. Lui mi ha toccata.
Se urlo mi farà del male.
Ha detto che si porterà via la mia purezza.
Dice sempre che sono il suo cielo.
Che sono bella.
Si mette seduto sulla sedia, e mi dice di alzarmi dal letto e calarmi le mutandine, per fargli vedere il paradiso.
Cherry, sono sola.

Cherry.

Tredici anni, otto mesi e un giorno.
Se non lo scrivo a te, a chi lo dico? A chi posso urlare che lui mi ha spinto a leccargli il membro?
Cherry, aiutami. Sto tanto male. Sto vomitando e nessuno se ne accorge.
Nessuno vede il mio dolore.

Pagine vuote. Ancora vuote. Cazzo!
Non ci riesco. Non posso andare avanti.
Sto stringendo con talmente tanta forza queste pagine, da vedere le mie nocche sbiancare.
Ditemi che é morto, perché potrei commettere una follia.
Pedofilo. Schifoso. Maiale. Lurido verme.

Mi alzo dal letto, ma la mano di Sky, mi ferma.
Alza il palmo come una sorta di stop.
«Jackson, perfavore.» Sussurra tristemente, e con la voce talmente afflitta, da sentirmi male.

Mi gira la testa, non riesco più ad andare avanti, ma per lei devo farlo, comprendendo che anche il suo patrigno é morto, o dopo oggi lo sarebbe stato comunque.
Ammazzerei chiunque per lei.

Cherry.

Come é triste la vita vero? I migliori se ne vanno, i peggiori restano.
Sai quanti anni ho?
Sedici anni, due mesi e diciassette giorni.
Sai, ho sempre creduto al principe azzurro.
Avrei conservato la mia purezza per il mio primo amore, come tutte le altre ragazze della mia età.
Ma ho urlato, Cherry.
Non piangere. Non mostrarti debole. Non gridare e non ti succederà nulla.
Credevo fosse vero, ma oggi non sono più pura, Cherry.
Oggi non ho più niente in cui sperare. Niente da scrivere.
Addio, Cherry.

Chiudo con un tonfo violento il diario, e vorrei commettere una strage.
Voglio spaccare tutto, ma non posso.
Alzo gli occhi pieni di ira e lacrime, verso il suo volto.
Lo sguardo appena abbassato ora si solleva, e piano incontra i miei.
Abbiamo entrambi i bulbi arrossati.
Afflitti nell'anima. Due cuori spezzati che sono stati per troppo tempo violentati da eventi diversi ma comunque distruttivi.

«Non dire nulla ad Adam. Anche se ora non mi vorrai più guardare e tocc...» Non le lascio finire la sua stupida frase, priva di senso che mi alzo con uno scatto repentino, e porto il mio palmo a coprirle quelle labbra che amo.

La mía fronte si scontra contro la sua. I respiri affannati come se avessimo corso mille miglia.
Le correrei per inseguirla se dovesse scappare.
Scalerei vette insormontabili per riportarla da me.
Per guardare anche solo un secondo, come adesso, le sue pupille inghiottire le iridi azzurre come un mare in un giorno di pieno sole.
Come aria, che mi serve per vivere.

«Non. Dirlo.» Le intimo autoritario e con la gola arsa, su cui le corde vocali vibrano dallo sforzo immane.

«Ti fidi di me?» Le pongo dolcemente quella domanda, strusciando la punta del naso contro il suo. Il mio palmo ancora tra le sue labbra, che scivola piano verso la sua guancia in una dolce carezza. Una dove chiude un secondo le sue iridi stupende e si poggia per lasciarsi coccolare, abbandonandosi ad un "" con un cenno della testa.

E solo questo mi serve sapere.

«Non abbandonarmi, io non lo farò. Non parlare, ma non smettere di guardarmi.» Questo é il mio di ordine, con voce amorevole, che riservo solo a lei.
Non vuole essere guardata con pietà. I soggetti come noi annientano il dolore, solo rivivendo trasformati gli eventi che ci hanno causato la morte nel cuore.
Ma se sono tornati a funzionare, oggi voglio che lei abbia un ricordo che spazzi via tutto il marcio.
Leí non é un pezzo difettoso, lei é il mio pezzo mancante.

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