•Capitolo 40•
/Jackson\
Le avevo agguantato quella distesa di fuoco, sussurrandole arrochito e al contempo spaventato da me stesso,
"Mi farai diventare dannato."
E lo credo fermamente anche ora, benché non posso e non voglio accettarlo, in nessuna maniera.
La mia folle gelosia.
Il modo possessivo.
Il cercarla sempre e individuarla tra una folla in delirio.
E vorrei solo allontanarla, non solo come presenza, ma anche dalla mia dannata testa.
E invece anche adesso, mentre trangugio tre bicchieri di succo d'Ananas, il sapore della sua intimità, é ancora appiccicato alla mia lingua insaziabile.
Sento ancora il sangue caldo, scorrere nelle vene.
La dannata smania di sbatterla, come ho fatto con il pugno della mia mano, nella doccia, sporcandomi per quel pensiero.
Mi ha sfidato, provocato, e come sono tornati loro é tornata anche la mia indifferenza.
Vorrei almeno credere un minimo che fosse così, ma non riesco a mascherare bene, ciò che mi causa dentro.
Così dopo la colazione, in cui l'ho ignorata bellamente, ho cercato un diversivo per distrarmi.
Sarei impazzito nel vedere di nuovo uno dei suoi bikini succinti, mentre nuota, scuote la chioma di fuoco, o prende il sole come la regina delle Dee, dove l'unico desiderio é tirarlo fuori e godere intensamente per quelle visioni erotiche.
Quindi mi sono dato da fare nella Dépendance. Non certamente perché me l'ha ordinato qualcuno. Devo allontanare questa ossessione che mi rende schiavo.
Riprendere il totale controllo, e farmela godendo semplicemente del calore del suo corpo, senza azzannare il primo che le posa gli occhi addosso.
Perché questo é solo un fottuto gioco di piacere, e lei non é mia, non la voglio mia.
Mi dirigo a metà giornata, verso la piscina, e con mia somma soddisfazione, non la vedo mettersi in mostra.
Probabilmente sarà a fare altro dentro casa, e certamente non andrò a constatare la mia tesi.
Invece mi accendo una sigaretta, poggiando la spalla al muro a pietre vicino alla ceneriera rialzata.
Godo di questa pace, mentre una Mía in acqua, mi fissa tentatrice, toccandosi volutamente il bordo della fascia, per invitarmi a banchettare sul suo seno pieno.
Le rivolgo un sorrisino, arricciando le labbra da un lato, e probabilmente sarebbe giusto farmela. Me la sarei scopata senza pensarci su un secondo di più, se non fosse che Sky ama troppo circolare nel mio cervello.
Quindi sarebbe inutile, scopare con una e pensare constantemente a lei.
Perché lei la posso avere, ma al tempo stesso vorrei mettere barriere, per non farla oltrepassare.
Ricordo il suo modo quando eravamo a casa mia, di osservarmi dentro il box doccia.
Quelle iridi offuscate dal desiderio, e piene di una speranza, che non sapevo decifrare.
Leí mi guarda, non mi vede e basta, e ciò non é possibile.
«Hey, Fox. Ti stai divertendo?» Mi volto con il viso, verso Samuel che sta camminando nella mia direzione, con le mani infilate nel pantaloncino bianco e una camicia stile Hawaiana aperta sul davanti.
«Molto, Samu. Ti ringrazio per averci ospitato.» Replico cristallino alla sua domanda, mentre tiro una nuova boccata, che crea una nube al mio lato.
«Non dirlo neanche. Mi dispiace solo che ieri sei andato via subito.» A quella constatazione detta con un tono dubbioso, stringo le labbra in una linea dura, mentre lo vedo osservarmi di tralice, con la mano a curva davanti alla bocca, per accendersi il sigaro.
«Non stavo bene.» Mento forse fin troppo grezzo e vigoroso, quanto i muscoli del corpo che si tendono.
«O forse perché la sorella di Adam, era rimasta a casa?» Cazzo! É una domanda che scava per cercare la verità, come le sue iridi che mi sondano, per cogliere una minima espressione facciale, che mi faccia compiere il passo falso e svelare le carte.
Emetto una risatina goliardica e calda, scuotendo i riccioli madidi.
«Sky? Non direi.» Mi sforzo ancora a dire una menzogna, con un tono talmente lineare e pulito, che sarebbe difficile anche per me stesso capire se dico la verità o meno. E accolgo un altro tiro di nicotina, per placare l'agitazione.
Il suo sguardo affilato, mi comunica chiaramente, che non sa se cascarci, o peggio ancora se sappia la verità.
«Fox...ascolta siamo amici. Non andrei comunque a fare la spia come un ragazzino, ma Steve ha palesemente detto a noi della squadra, escluso Adam ovviamente, che lo hai minacciato.» É talmente inebetito e incredulo, mentre lo dice, che immagino stia rivivendo quanto ha detto Steve il coglione.
«Minacciato?» Lo domando più a me stesso che a lui, ridendo in modo brioso, per non scoppiare e andarlo a prendere, sfinendolo di pugni.
«Non lo so, Fox. Te come la definisci una frase: Guardala di nuovo o ti cavo gli occhi con le dita?» Però! Non si é risparmiato nei dettagli il coglione Steve. Stringo fortemente il filtro tra l'indice e il medio, contenendo ancora la rabbia che mi corrode.
Ma non posso proprio sopperire alla ruga che si forma tra le sopracciglia aggrottate.
Preferisco non risponde, ma continuare a fissare impassibile, la piscina e accogliere altra nicotina, per questi due tiri del cazzo che mi rimangono.
«Cosa c'è tra te e Sky?» Ecco la vera domanda Samuel. Potevi subito farmela, invece di girare intorno tre ore tra coglioni e fratture di questi ultimi.
Incurvo le labbra lateralmente, perché sto per sparare goliardico e incolore, un'altra cazzata gigantesca.
«Niente. Non siamo niente.» Innalzo indifferente le spalle, e questa bugia nuoce più del fumo che aggrava i polmoni.
«Niente?» Infierisce maggiormente, per indagare ancor di più.
«Non mi interessa. Potrei scoparmi chi voglio. Non ho bisogno di lei.» Cristo! Fa male, fa malissimo continuare a mentire così, fingendo un tono fermo, quando vorrei sputare rabbia e furia, rompendo gli argini con aggressività.
Si avvicina per tamponare il sigaro, e guardare un secondo nella direzione di Mia.
«Mia ti mangia con gli occhi. Potresti fartela.» É un cazzo di trabocchetto? Peccato che non ci casco a questa domanda invitante.
Mi faccio più vicino, come se dovessi confidargli un segreto di stato, sopprimendo di nuovo la rabbia che mi incendia.
«Forse me la sono già scopata, ma non mi interessa ripetere l'esperienza.» Lo spengo gutturale, come il mozzicone della sigaretta, per rientrare dentro casa e farmi una sacro santa doccia.
Non vedo Sky, neanche a cena. E mi rinfocolo maggiormente quando non risponde al mio messaggio -Dove sei?-
Ne segue un altro -Stai bene?-
Di nuovo dieci fottuti minuti dopo -Sky, mi rispondi?-
E un'ora dopo -Sky...-
Un'ora e cinque minuti del cazzo dopo -Sky, mi sto incazzando.-
Niente. Non visualizza e non risponde. Aumenta solo la mia frustrazione, e il bisogno impellente di vederla.
Noto Adam addormentato profondamente, dato che sono le due di notte, e decido di scendere.
La casa é immersa nel buio e nel silenzio plateale, quando scorgo i faretti che delimitano la piscina, e una figura esile, seduta a bordo piscina.
Spalanco irruente la portafinestra di vetro, notandola sciabordare i piedi in acqua, e uno sbuffo sonoro lasciare quelle labbra polpose, che mi deconcentrano.
«Colei che cerca quiete, dove arriva colui che pace e quiete non da, poiché egli stesso non l'ha.» Cita una frase del cazzo, mentre richiudo la porta finestra, e avanzo nervoso verso di lei.
«Perché non rispondi a quel fottuto cellulare?» Le domando irto e le mani che si serrano in due pugni dove sento le nocche indolenzirsi e la pelle vibrare dallo sforzo.
Un risolino amaro si eleva nella frescura notturna, mentre si passa le dita affusolate, lungo il profilo del collo, nel modo che mi fa dannare. La luce dei faretti incastonati sotto la piscina, le illuminano le cosce snelle e scoperte, lasciando in ombra il volto rigido.
«Non avevo niente, da dirti.» E in quel niente io ci leggo tutto. Come le mie pupille che si dilatano e il cervello si maledice, facendomi socchiudere gli occhi e passarmi tre dita sulla fronte.
«Non sei a scoparti Mia?» Cazzo! Non so neanche cosa ribattere, sembra che la lingua si sia incastrata nel palato e non voglia collaborare, contro il suo tono rabbioso e grintoso.
«Ah già...» Ride di gusto, gettando appena la testa all'indietro.
«Non vuoi replicare l'esperienza.» Mi deride tra lo sdegno e la delusione che le trasforma i tratti del volto dolci, in incattiviti.
«Sky...» Sono un coglione, che sa solo pronunciare il suo nome, con una punta di pentimento e tono incavato.
Si volta fulminea verso di me, e vedo il ripudio nei suoi occhi al vetriolo, ghiaccio come la Norvegia nelle sue iridi.
«Vaffanculo, Jackson.» Sputa aggressiva, alzandosi con un balzo, prima di riuscire a braccarla.
Seguo funesto le sue impronte bagnate, che si perdono sull'erba, mentre continua a camminare a passo spedito.
«Hai origliato tutto.» L'accuso in questa constatazione, con voce pungente, e lei ride ancora, mentre i suoi capelli si scuotono nel vento.
«Ero semplicemente dietro al muro, a prendere in pace il sole, ed é stato un bene, sapere ancora una volta, che per te non sono mai stata niente.» Ribatte energica e irosa, mentre allungo il passo. In uno scatto allungo la mano, per stringere il suo gomito in una morsa, facendola voltare e sbatterla contro il tronco di una palma, dove sussulta di dolore e irritazione per il mio contatto.
«Lo credi sul serio?» Spingo il mio corpo, contro il suo, facendole sfuggire un gemito a labbra serrate, che mi fa svettare il cazzo e pulsare il sangue.
«Lo credi?» Ripeto carezzevole, posando la punta del naso, sul profilo del suo collo elegante, che ha piegato involontariamente, lasciandomi assorbire il profumo della dannazione. Delle ciliegie, del gelsomino, mentre le mie dita si allargano per lasciare la presa sul suo polso, e poggiarsi sul suo fianco scoperto da una maglietta corta.
«Non hai bisogno di me.» Ribatte delusa e sommessa, mentre catturo tra le labbra il suo lobo, sfregando il polpastrello sulla sua pelle di velluto.
«No?» Le pongo intenso, scostando un secondo il bacino, per darle una stoccata contro il basso ventre che ci fa sfuggire degli ansimi rotti e carichi di estasi.
«Non ne ho bisogno, Sky? Davvero? Ho una voglia dannata di scoparti, e venire stritolato dalla tua fica.» Le confesso a corto di fiato, pieno di voglia che annebbia i neuroni e pensi solo a godere e fottere, finché non muori seppellito nella sua fica stretta e succulenta.
Le sue iridi mi inchiodano, leggendo lussuria mista alla delusione che non vuole sparire.
«É questo, Jackson. Tu davanti ai tuoi amici mi tratti come se davvero fossi il niente, e poi quando sei con me, mi fai sentire il tutto.» Ribatte con tono serio, cedendo dolcemente sul tutto, mentre lascio che la mia fronte si scontri contro la sua, e le mie iridi si fondano con le sue.
«Lo faremo nel segreto assoluto. Sono queste le tue parole.» Le riporto leggero, le parole che mi disse quella sera, quando mi aveva fatto perdere il controllo e prenderla come un dono degli Dei ad un demone senza un cuore.
Ma quello ho paura di possederlo quando sono con lei.
Lei che spazza via le intemperie di una vita sgretolata.
Sospira docile, mantenendo il mio sguardo, che non so più di che colore é, ma si incendia dentro il suo.
«Troppe volte ti ho sentito dire, niente.» Rimette di nuovo quella parola, a cui mi altero, e sono di nuovo a stringere nella mia morsa il suo polso, che le fa emettere un verso strozzato.
«Ora ti mostro, quanto sei niente, Dea.» Le sussurro vibrante e sensuale, ad un palmo dalle sue labbra che si schiudono come le pupille che si dilatano esterrefatte, e la trascino via dal tronco, per portarla verso la Dépendance.
Ascolto i suoi lamenti, mentre cerca di togliere le grinfie dal suo polso, ma premo ancor di più, anche se so che le rimarranno i segni delle mie impronte sulla sua pelle diafana.
La faccio stare impacciata al mio passo, camminando velocemente verso l'altra parte del giardino, finché non mi fermo bruscamente, e il suo petto collide con la mia schiena.
«Dove siamo?» Domanda con la voce affannante, mentre spalanco con un cigolio la porta in legno, trainandola dentro.
«Stai zitta.» Sbotto infuriato, per non riuscire mai a farle capire ciò di cui ho bisogno.
«Come scusa?» Mi pungola risentita, mentre il buio ci avvolge e richiudo con il lucchetto la porta, accendendo l'interruttore che sfrigola prima di emettere la luce calda e farci vedere l'interno che ho sistemato.
Poggio la schiena contro la porta, accavallando le caviglie e lascio che la Dea scruti con le iridi luminose, la piccola casetta di legno.
I suoi occhi viaggiano sul comò di legno intarsiato, verso una cassapanca piena di lenzuoli e vecchie coperte di lana, messa ai piedi del letto a baldacchino, senza più le tendine.
Si volta stupita verso di me, arricciando il nasino come le efelidi graziose che si raggruppano, su quel volto sensuale.
«É davvero carino.» Ammette con il suo tono al caramello fuso, passando i polpastrelli sulle sbarre di ferro del letto, stringendo intorno le dita della mano, affacciandosi con la testa piegata lateralmente.
Un sorriso addolcisce i tratti del mio volto, prima contratti e sciolgo la postura, per avanzare verso il suo punto.
«Non avresti detto così, prima di oggi pomeriggio.» Le rivelo caldo, quanto il colore che hanno assunto le sue iridi che si sgranano e boccheggia prima di parlare.
«L'hai sistemato t..tu? Perché?» É la prima volta che la sento balbettare appena, senza pungolarmi saccente, e devo sforzarmi per non strapparle la maglietta e quella cazzo di brasiliana con i laccetti, che mi fanno pulsare il glande nei pantaloncini della tuta nera.
Noto il rossore che le imporpora il volto, e le mie nocche si sollevano, per sfiorare la sua guancia, dove socchiude gli occhi e le labbra, persa nel piacere del mio tocco.
Io sono perso nel piacere di toccare la sua pelle, prelibata.
Capto il fuoco che sprigiona, ora che le sono davanti, e le mie labbra si aprono sul suo lobo, facendola vibrare come me.
«Ho bisogno di spingermi dentro la tua dannazione, e farla tutta quanta mia, in ogni centimetro.» Le sussurro suadente e inebriante, e ora volteggiamo leggiadri tra mille sensazioni, mentre un mio palmo si posa possessivo sul suo fianco, e la mia mano da prima sul suo viso, si attorciglia ai suoi capelli.
La tiro leggermente, dove mugola, e la mia lingua scivola smaniosa contro la sua gola che deglutisce a vuoto.
I suoi occhi si allacciano ai miei, e non ho bisogno che mi parli, per sapere che la sua risposta é: Sono tua.
I palmi fremono, quando agguanto l'orlo della sua maglietta bianca.
Il sospiro si fa più teso, dell'aspettativa, di una notte e due corpi che non vogliono più aspettare.
La sollevo piano, scoprendole il ventre piatto.
Il piccolo ombelico, che sfioro con il pollice, mentre si morde il labbro inferiore, incitandomi con quelle iridi del colore del mare aperto dove sto annegando, di farla salire più su.
Il suo seno si gonfia contro lo strato della maglietta, e rivelo i solchi tondeggianti, per inerpicarmi oltre, dove ora l'orlo sfiora i suoi capezzoli rossi e turgidi, facendomi azzerare la salivazione.
É perfetta. Una Dea stupenda, ed é mia per stanotte.
Le braccia si innalzano meccaniche e impongo ai miei occhi, di spostarsi dal seno, fino a tirarla completamente su.
Un secondo in cui nascondo il suo viso con il tessuto, e il minuto dopo cade a terra come le nostre armature.
Questo é il bello del nostro silenzio.
Dirci tutto con gli occhi, che si promettono di tutto.
Lascia ricadere le mani, e ora resta celata solo la sua intimità, dove le cosce snelle di stringono per fare attrito ad un bisogno spasmodico, di venire onorata, lappata, e riempita, solo da me.
Occulto un sorriso di soddisfazione, poiché sono troppo concentrato ad ammirare ogni sua linea perfetta.
La vedo restare accanto al profilo della struttura del letto, e faccio un giro che le fa trattenere il respiro, posandomi dietro di lei.
I polpastrelli stringono la carne tenera dei suoi fianchi, massaggiandole con i pollici, le fossette di venere leggermente accentuate, sulla schiena che si curva e si ricopre di brividi ad ogni passaggio delle mie mani, che si posano sulle sue clavicole sporgenti.
Con il mento sposto i capelli su una spalla, e il suo ansimo caldo, si deposita sul mio sterno, mentre le mie labbra sul suo collo che si offre totalmente.
Sento la sua mano afferrarmi la nuca, e graffiarla leggermente, per tenermi ancorato all'incavo dove roteo la lingua infuocata dal sapore salino che possiede.
«Jackson.» Le lascio ansimare il mio nome completo, senza interromperla, perché il suo tono rosso passione, alimenta la bestia che risiede dentro di me.
Mi slancio di più sulla sua schiena, facendole avvertite il cazzo che mi esplode sotto il tessuto, e le sue natiche si muovono sensuali, dove emetto un grugnito.
La sua testa si reclina all'indietro, sotto la mia spalla, osservandomi come una pantera misteriosa, mentre i miei occhi la scrutano affamati come gli animali che riempiono il bosco.
Porta anche l'altra mano indietro, muovendosi sinuosa con i fianchi, dove si spinge di più per sentire tutta l'asta turgida.
Mi incatena completamente la nuca, e con un gemito vibrante, arpiono con i palmi i suoi seni sodi, che stringo e possiedo nella mia morsa, sfiorandole più volte i capezzoli per farla impazzire totalmente e guizzare contro il mio corpo come un serpente.
Non so di preciso cosa accade, ormai ottenebrato e assuefatto da lei. Ma ad un certo punto i suoi palmi si spostano sull'elastico dei miei pantaloncini, strattonandoli con urgenza verso il basso, liberando L'Aquila che si sporge ed erge fiera, puntando dura contro la spaccatura prelibata e morbida delle sue natiche.
«Ah, sì.» Gusto all'udito il suo verso pieno di estasi, sfregiandosi come una dannata contro la mia cappella sporca di liquido, e non posso attendere oltre, se non voglio scoppiare, con le palle piene e pesanti.
In uno scatto, agguanto nuovamente i suoi fianchi e la giro contro di me.
«Mi fai diventare pazzo.» Devo dare voce al pensiero che mi martella il cervello, da quando l'ho vista la prima volta attraversare il campus, con un tono graffiato che mi raschia la gola arsa.
Mi chino su di lei, per appiattire la mia lingua che ruota attorno ad entrambe le areole pigmentate dei suoi capezzoli succulenti, che mordo e succhio come un dannato disperato, e le sue mani graffiano di nuovo la mia nuca, spingendomi famelica più in basso.
La ruoto attorno all'ombelico, mi assaporo il basso ventre, fino a giungere in ginocchio, davanti al suo monte di venere coperto.
É lì che si deposita il mio più dolce bacio, sopra la stoffa, mentre sento già l'odore paradisiaco della sua fica, infiltrarsi prepotente nelle mie narici e farmi pulsare ancor di più il cazzo dolente.
I suoi ansimi e parole sconnesse, sono una melodia che mi aggrava cuore, palle e udito.
Stavolta sono io che sfilo con entrambi i pollici e indici i fiocchi al lato dei suoi fianchi, per scioglierli e lasciare che la brasiliana cada fiacca sulle doghe in finto legno.
Alzo un secondo le iridi, verso le sue velate e quel labbro imprigionato dai denti, che tra poco verrà martoriato, prima di procedere e affondare con il viso tra le sue pieghe.
Mi sento su di giri, cazzo, e le allargo le gambe, per permettermi di passare meglio la lingua tra quelle labbra umide, gonfie, che si aprono sotto i colpi della mia lingua, facendomi raccogliere gli umori densi che si sono adagiati all'interno.
«Oh, Dio...oh si.» Si lamenta in un piagnucolio troppo intenso da ignorare, spingendomi la fica contro la faccia.
Le stringo le natiche con ardore, e voglio che le rimangano impresse le mie impronte indelebili, e le voglio dare il colpo di grazia quando le prendo il clitoride tra le labbra per succhiarlo, e infilo un dito nel suo ano, prendendola alla sprovvista dove sobbalza ancor prima di contrarsi tutta e schizzarmi in bocca il suo nettare divino.
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