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•Capitolo 25•


~•Sky•~

Ci sono giorni che passano in un battibaleno, altri che invece non scorrono mai.
Settimane che volano, altre che sembravo durare all'infinito.
Mesi che passano veloci come un treno sulle rotaie, altri che sembrano congelare il tempo.
Si è congelato al nostro ultimo sguardo.
Quello che non vorresti mai staccare, ma te lo imponi per il tuo benestare.
Un cavo che non vuoi scollegare, ma lo fai comunque. Sai che va staccata la spina nel rischio di far scintille all'arrivo di un temporale.

Sono ancora sospese lì quelle parole.
Tra le pareti del cervello, che suonano come campanelli fastidiosi.
Ho comunque proseguito avanti. Due mesi e mezzo difficili, e poi rivederlo battersi sul Ring.
Forte. Fiero. Enigmatico.
E ogni suo colpo all'avversario era un tonfo netto al mio cuore.
La sua pelle si tendeva, la mia si accapponava.
Il suo sudore scivolava, la mia smania aumentava.
E sono trascorsi altri cinque mesi, in cui non ho più visto Jackson neanche per puro caso.
Non ho chiesto ad Adam. Lui sicuramente non avrà chiesto ad Adam di me.
Avrebbe dovuto? Non credo.
Mi ha scaricato addosso la sua frustrazione, come se io fossi stato il suo sacco da boxe.
Ma io non riesco ad incassare tutti quei colpi, io li rimando indietro come un boomerang.

Non sono uscita con nessun ragazzo.
Non mi serve avere un uomo accanto.
Ho sempre fatto affido su me stessa e continuerò ancora a farlo.
Come tre giorni fa. La chiamata che non ha cambiato la mia vita, ma sicuramente quella di Adam.
L'arduo compito è stato affidato a me, dallo sceriffo Levington, che nostra madre è stata trovata morta nel suo letto matrimoniale -che ha visto molte performance quanto uomini- con una siringa iniettata nel braccio.

In tutto ciò ero appena uscita dall'istituto, camminando a passo di marcia, verso casa.
Il Maggiolino era di nuovo dal meccanico e stavolta non ero andata da Jackson.
Non avevo l'ombrello, e pensavo che l'ultimo giorno prima di andare in ferie -ovvero oziare a casa- non sarebbe venuta una burrasca.

-La Signorina Spencer?- Iniziano sempre così le chiamate più catastrofiche, mentre cerchi una pensilina per ripararti, e i suoni cacofonici emessi dal clacson e lo sfrecciare delle macchine, interagiscono sul tuo udito.

-Si, Chi é?- La voce grossolana dell'uomo in questione, preannunciava ancora meno una lieta notizia.

Seguono sempre degli attimi di pausa. Emette un sospiro lui, ne lasci andare altrettanti te. 
La gente ti passa difronte, ti sbatte contro la tracolla che tieni tra le dita molli come gelatina, perché sanno anche loro che ti piomberà addosso la notizia come una meteorite.

-Sono lo sceriffo Levington. Sua madre Margot Winter, É deceduta ieri notte. É stata trovata stamattina dal Signor Carter, che doveva riscuotere il mancato pagamento arretrato di cinque mesi.- Il tono lineare, nessuna nota inflessibile. Conosceva anche lui mia madre, sapeva che era una poco di buono. Viziata dall'alcol, dall'eroina. Niente ti salva da quel circolo vizioso.
E l'unica cosa che potevo chiedere era come, fosse deceduta. Tra la pioggia che batteva a scrosci ritmici sull'asfalto, inzuppandomi le punte dei mocassini. Tra le macchine in fila ad un semaforo. Eppure il mio cuore non ha cessato battiti. Sono rimasta immobile sul marciapiede, con lo sguardo puntato verso una vetrina di abiti, dall'altro lato della strada.
Tra la gente che ride e se ne frega.

-Stiamo cercando di rintracciare suo fratello, ma sembra irreperibile, se potesse...- E non gli fai continuare la fatidica frase, che come un fardello ti scaricano addosso.

-Gli riferirò io.- Nessun grazie. Nessun saluto. Il telefono che scosti lentamente dall'orecchio e tieni nella mano.

Ed era così che dovevo dirlo. Il suo sorriso gioioso di vedermi davanti alla porta.
Il mio "Ti devo parlare, Adam." Non faceva trasparire il dolore.
Lui leggeva sempre il buono delle frasi.
Il mio portare le mani sudate in grembo.
Più forte il dolore straziante di dirlo, che della notizia.
Non sai mai come cominciare, eppure sai come finire.
Scegli la strada netta, senza ostacoli ad intralciarla. Non esiste un modo, esiste solo tuo fratello immobile sul divano, con lo sguardo vuoto e vitreo.
Esiste il tuo prostrarti in avanti per fare un tutt'uno, e stringerlo forte. Tanto forte.
Lui si sgretola e tu lo tieni compattato.
Gli doni i tuoi infiniti battiti, perché lui non ne ha più.
Gli regali il tuo calore, perché lui avverte freddo.
E consoli un pianto che prima o poi lo scombussolerà, e tu sarai lì pronta ad asciugarlo.

Cosí sono partita subito. Adam sarebbe arrivato direttamente per il funerale.
Caroline si era offerta, ma ho declinato il suo aiuto.
Il lato positivo era il Maggiolino di nuovo funzionante.
Non mi ha lasciato neanche un secondo in un tratto di strada.
Mi ha accompagnato fino al Kentucky.
Fino alla fattoria, vicino quella casa di campagna che mi ha vista nascere. Crescere. Ridere. Piangere. Partire.

Speravo di non rimetterci più piede, e invece il destino gioca con noi.
Lo stesso portico dal legno traballante. La stessa porta cigolante.
Il puzzo stantio di chiuso. Di alcol. Fetido di morte. Di cibo avariato.
Le pile di piatti sporchi nel lavello unto di grasso e olio.
Resti di cibo.
La pattumiera straboccante di cibo, fazzoletti, bottiglie di vetro sparse anche per tutta la sala.
La polvere accumulata sulle credenze.
Alcol versato e appiccicato sulle mattonelle.
I capelli sparpagliati nel lavandino, come resti di dentifricio.
Lo specchio schizzato.
E credo di aver reso l'idea di cosa non avesse fatto mia madre oltre che scopare, bere e drogarsi.

Rientrare in quella camera, dal letto sfatto dove il suo corpo era adagiato due giorni prima.
Lo porteranno domani insieme alla bara.
Ogni singolo centesimo che avevo guadagnato é stato speso per il funerale, e per le bollette e affitto arretrato.

«Brutta stronza, non potevi morire senza lasciare grane.» É questo ciò che mastico sdegnata tra i denti, mentre cambio le lenzuola. Apro le finestre dove i raggi del sole riscaldano l'ambiente, e il vento fa cambiare aria.
Mentre pulisco ogni centimetro quadro della casa, e faccio rifornimento per preparare un cazzo di buffet per chi verrà alla funzione funebre.

~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•

Il prete recita la sua funzione, che non riesco a cogliere.
L'erba incolta e ricca di frattaglie bruciate dal sole.
Il vento mugola in procinto di una tempesta, poiché il cielo ha lasciato spazio ad una coltre di nuvole color cenere.
Leí stessa diventerà cenere, presto o tardi.
Non provo nessuna emozione, come se fossi un robot vuoto, che ha solo bulbi per osservare.
Una ciocca rossa vola leggiadra a solleticarmi lo zigomo, ma non alzo la mano per scostarla dietro l'orecchio impreziosito da una perla, lascio le mani lungo i fianchi.
Il vestito nero lungo fino alle ginocchia, dove l'orlo svolazza appena.
Resto immobile e rigida, a far finta di presenziare.
Il corpo c'è. La mente non so dov'è, o forse lo so ma non lo ammetto.

Ricordo nitidamente il giorno in cui il mio eroe morì. Ero una bambina che credeva ancora ai castelli, fortezze, e che un valoroso cavaliere abbattesse la muraglia per dichiararmi il suo amore eterno.
Mi aveva salutato come ogni mattina, con un bacio sulla guancia.
"A stasera Cherry." La sua voce calda come un focolare, mi riscaldava nel petto.
E sorridevo tra le coperte rosa, stringendo una bambola di pezza sul petto. Anche lei aveva i capelli rossi spessi come corde, e un vestitino a fiori.
Poteva sembrare brutta, con quegli occhi azzurri rotondi e cuciti ad uncinetto, ma per me era la più bella.

Ma quella sera non tornò mai. Non tornò più.
Cercavo conforto dove non vi era. Adam era più piccolo, ma mia madre lo consolava, cullandolo tra le braccia.
Mentre a me con disprezzo e ferocia, dove piangevo sotto le coperte, mi urlò contro che era morto in un' incidente d'auto.

"É morto quel fallito di tuo padre. Morto. E devi accettarlo. Smettila di piangere, stupida." Nessuna bambina dovrebbe subire simili trattamenti. Quel tono gelido di chi non ha un'anima ma solo cattiveria da dispensare.
L'odio nelle sue iridi, e un senso di compiacimento mentre le mie manine lavavano via vecchie lacrime per lasciare spazio alle nuove ancor più brucianti.
La bambola che stringevo, mi venne strappata con violenza dal petto. Buttata e bruciata nel caminetto, come tutti i miei sogni che s'infransero al suolo.

Sento il pianto ininterrotto di Adam, che sta poggiato con la testa, sulla spalla di Jackson.
L'ho visto arrivare bello come un Dio, nel completo nero, insieme ad un Adam distrutto che non ha avuto neanche la forza di salutarmi, ma solo fissare la casa perso nei ricordi.
Ho evitato Jackson ogni volta che ha provato ad avvicinarsi, tenendomi impegnata. 
Cosa é venuto a fare?
A sbellicarsi del dolore?
A ridere della nostra miserabile vita?
Solo questa bara ci divide, come se volesse tenerci lontani.
Ma mi sbaglio.

Sposto lo sguardo verso Adam, che si aggrappa più forte alla giacca nera di Jackson, che gli tende i muscoli delle braccia.
É diventato ancora più bello di ciò che il mio cervello ricordasse.
Osservo ammaliata il suo corpo, anche in un momento così triste per chi non conosceva sul serio Margot Winter, e le mie iridi risalgono verso il suo collo taurino.
La mascella volitiva e contratta, senza barba ad incorniciarla.
La sua bocca carnosa serrata in una linea stirata alla perfezione, da non capire neanche la linea che divide le due parti perfette.
Fino ad incrociare le sue iridi che localizzano lente e predatrici le mie, dove le mie pupille le sento dilatarsi oltre ogni misura.
Corruga le sopracciglia scure e folte, facendo sì che la sua fronte si aggrotti lasciando tra le due sopracciglia una rughetta di espressione inflessibile.

Lo guardo con disprezzo, innalzando appena il mento, con aria austera e irraggiungibile.
Non capirai mai i miei pensieri Jackson.
Non mi leggerai più.
E io invece leggo lui.
-Mi dispiace.-
Mi comunica silenzioso, con quelle iridi foresta, più scuri sotto questo cielo plumbeo.
Non m'interessa il suo dispiacere.
Dove eri prima?
A ricevere applausi di gloria.
A sbatterti donne diverse ogni sera, per un misero appagamento sessuale, che non appagherà mai il vuoto del tuo cuore onice.
E maledetto sia, che dopo cinque mesi é ancora più bello di prima.

Continua a fissarmi intensamente, come se non ci fosse nessuno al di fuori di noi due in mezzo a quel campo.
Il suo palmo calloso, strofina la schiena di Adam, avvolta nella giacca inamidata nera.
Sembra che i suoi occhi mi dicano -Vorrei consolare te così. Vorrei lavarti via il dolore che emanano i tuoi occhi che mi odiano.-
E spero di leggere male, perché non sopporterei questa sua finta gentilezza, che mostra in questo giorno.

Stringo la tracolla nera al fianco, e le mie mani ora si muovono, inforcandomi gli occhiali a lenti nere.
Ecco la mia risposta Death Silent.
Indifferenza totale contro chi ti consola solo per mostrarsi un buon samaritano.
Mi hai denigrata.
"Perché tu per me non sei niente" Risuona ancora nella mia testa. La sua bocca acida incollata ad una che non ero io.
Io chi sono?
Tu...tu chi sei?
Cosa pretendi?

Sposto lo sguardo, che anche attraverso le lenti non sopporta più il peso delle sue iridi che mi squarciano l'anima, e mi costringo a lasciarle piantate sulla bara che calano lentamente nella fossa.
«Cenere siamo, cenere torneremo.» Recita fiero la stessa frase patetica, vista e rivista. É scaduta ma fa sempre fragore a questa gente, che partecipa per uscire dalla loro routine.

Cosa credi Margot? Che sono qui per te?
Per compiangere? Per piangere?
Per addolorarsi? Oh no, Margot, no!
Sono qui per il buffet che li aspetta dentro casa, riempiendosi lo stomaco.
Stasera rideranno. Berranno vino gratuito, fregandosi bellamente del terriccio umido che stanno buttando con una pala sulla tua bara.
Vedi, il mondo é marcio. Tu me l'hai sempre fatto capire, e quindi forse ti ringrazio.

Vedo Adam gridare di dolore, e le ginocchia quasi gli cedono, mentre Jackson lo stringe da dietro, per rialzarlo.
Mi si strappa il cuore a vederlo così.
Lui non può sapere che donna algida era, e non sarò io a distruggere la sua idea.
Io non distruggo i sogni di chi amo, io li proteggo.
Rialzo le palpebre abbassate verso Jackson, che scopro con stupore, che mi cerca ancora con le iridi abbaglianti.
Li sento attraverso la reticola.
Mi attraversano. Trapassano. Viaggiano dentro di me.
Ma stavolta non leggo e non replico niente.
Volto solo le spalle, e faccio spazio agli invitati-indesiderati- di entrare dentro casa.

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