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•Capitolo 21•


~•Sky•~

Sapevo che prima o poi sarebbe giunta quest'ora.
L'ora della Santa Inquisizione.
L'ho scampata per ben tre settimane, in cui io e Jackson abbiamo fatto di tutto.

Ci siamo dilettati a preparare biscotti e la farina più che sull'impasto é finita in mezzo ad una lotta tra i nostri corpi, che si sono ritrovati accavallati sul pavimento.

Mi ha insegnato a tirare i ganci, mettendosi dei Pad mentre io ho infilato i guantoni, colpendolo più volte in saltelli imbarazzanti stile: Gazzella affetta da sclerosi.
E il suo ridere a crepapelle, quasi sull'orlo di un'asma, ha fatto sì che il mio ginocchio fosse più infallibile di qualsiasi mossa, mettendo k.o i suoi gioielli.

L'ho aiutato a studiare arte, in cui si é lamentato poiché secondo lui, per scienze motorie non servirà a niente.

Mi sono allenata a correre con lui, e devo dire che per un insulso attimo ho creduto di andare più veloce.
La verità é che appena mi sono girata ho notato lui che fissava il mio culo fasciato in dei leggings.
"Non riesci a stare al mio passo, Thomson?" L'ho sbeffeggiato maliziosa e lui con il suo solito sorriso arrogante e sciogli umori, ha aumentato il passo, affiancata e sussurrata,
"E perdermi lo spettacolo delle tue natiche che si muovono invitanti? Non credo proprio." E accompagnato dalla sua voce calda e tentatrice ho accolto anche la sua pacca forzuta, che ha sferzato sulle mia natica destra, superandomi.

Ora sono seduta al tavolo di legno, in cucina, facendo finta di girare i granelli di zucchero di canna, che ormai si sono sciolti dentro al caffelatte.
Osservo da sotto le ciglia prive di mascara, una Caroline con le braccia congiunte dall'altra parte del tavolo.
«Dunque...» Parte sempre così un interrogatorio, dove sono la vittima sotto torchio o sotto gli occhi attenti della detective bionda.

Faccio ancora finta di girare, e forse ormai sarà un ghiacciolo questa bevanda, ma devo pur distrarmi.
«Cosa c'è tra te e Jackson?» Ecco la sua domanda sparata a mille all'ora, senza neanche darmi il tempo di prendere almeno un sorso. E forse è meglio così, ho evitato di farmelo andare di traverso o peggio sputarglielo in faccia.

Sgrano gli occhi esterrefatta, quasi fosse oltraggio farmi quella domanda, che invece è più che lecita.
«Niente, siamo amici.» Mi affretto a ribattere con falsa tranquillità, e ora i girasoli che costellano la tovaglia in pvc sono davvero interessantissimi.

«Amici...» Ripete dubbiosa la mia affermazione, girovagando con le iridi verso la cucina, per poi puntarli contro le mie azzurre, come una torcia.
«Amici amici o...amici con benefici?» E alla sua domanda curiosa, io spalanco la bocca in una "O" dove qualche mosca potrebbe trovare rifugio.

Tossisco come se avessi qualcosa incastrato in gola, ma non la incanta il mio finto malessere.
«Non mi freghi, Furbetta di campagna. Non guardarmi con quell'aria da Heidi mancata.» Oh Gesù, ora inizia con i paragoni dei cartoni, gesticolando.
«Hai già provato la posizione di fiocco di neve, con PeterOh santo beato creatore!
Vedo le sue sopracciglia muoversi in su e giù in una chiara allusione al sesso, e le mie guance si trasformano proprio come quelle di Heidi.

«Caroline.» La redarguisco allibita, guardandomi intorno come se potessero esserci delle cimici, a riprendere questa conversazione imbarazzante.

Inarca un sopracciglio, serrando le labbra, e so che aspetta una mia risposta, che non tarda ad arrivare.
«Amici amici.» Mi costringo di rispondere con la gola serrata e voce stentata.

Ora è lei quella che dilata le pupille, schiudendo le labbra in shock.
«Vuoi dirmi che ancora non sei saltata addosso, al bel tenebroso?» Innalza la voce di un'ottava rendendola squillante come il suono di una campana.

Mi porto una mano sulla fronte che scotta, abbandonando il cucchiaino con un tonfo cozzato contro la ceramica della tazza a cuori rosa e blu.
Se solo sapesse Caroline lo sforzo che ogni volta impiego per non lasciarmi andare tra quelle braccia muscolose e forti.
Lo sforzo immane di non assaggiare quelle labbra carnose, che mi invitano al peccato delle tenebre.
«Avrei dovuto?» Domando invece semplicemente, come se fosse ovvio dal mio tono leggero, che è una cosa normale non fare il salto sull'asta.

«Vedi...» Si piega in avanti con il busto, puntellando i gomiti sul tavolo e congiungendo i polpastrelli delle dieci dita tra loro.
«C'è una legge naturale che spiega che se due persone si attraggono, hanno chimica, prima o poi finiranno per fondersi.» Filosofa sicura e vivace, inducendomi a carpire tale significato della sua spiegazione sulla fusione di due corpi che come magneti si attraggono.
Solo che ancora non abbiamo trovato una superficie che ci faccia restare attaccati.

Abbasso lo sguardo verso la tovaglia, soffermandomi sul disegno del polline all'interno del fiore, mordendomi l'interno guancia morbido e caldo con i denti.
«Non accadrà mai con, Jackson.» Sussurro limacciosa-poiché termino il suo nome con una caduta di tono che rende la mia voce avvolta da una nube e sfrangiata- Più a me stessa che a Caroline che ticchetta le unghie smaltate e fresche di gel, sulla superficie del tavolo.
Non ci crede. Non ne è sicura, neanche lei. Ma io m'impongo di esserlo per il mio bene.
Per il mio cuore che troppe volte ha sofferto, e ora resta imbalsamato nello sterno, solo per farmi restare su questa terra.

«Siete inconsci dell'alchimia, cara ragazza di campagna.» E detto ciò, con un tono lezioso, si alza dalla sedia dove le gambe strusciano deboli sulle mattonelle, lasciandomi a pensare. Penso che l'unica cosa di cui siamo consci, è il restare in territorio sicuro.
Percorrere solo quel sentiero dove sappiamo camminare, poiché andando oltre potremmo perderci e non ritrovarci.

Mi rianimo quando sento il battente della porta chiudersi, e mi alzo anche io per versare il caffelatte neanche assaggiato, nel lavello in acciaio.
«È permesso? Mi hanno detto che qui abita una Dea, che si è beccata la febbre.» Sussulto spaventata, nel sentire una voce distorta poco dietro la mia schiena che rabbrividisce, finché non mi volto e vedo un costume da orso rosa riempito dal corpo di una certa persona.

«Avrò anche la febbre, ma così hai rischiato di attentare alla mia vita.» Lo accuso tra il sarcastico e il truce come l'occhiata che gli lancio.
Lo noto sfilarsi con le mani libere, l'unica cosa che non ha coperta, la testa di orso con tanto di orecchie pelose e naso nero, portandosela sotto braccio.
Posso subito rimanere ammaliata dal suo sorrisetto laterale con l'angolo destro innalzato. Le iridi palude più limpidi e festosi, gettando con uno slancio del braccio, un pacco di caramelle, Haribo gommose a forma di orsetti sul tavolo.

Si è vestito così per farmi sorridere?!
È pazzo.
Totalmente svitato.
È fantastico.
E odio il mio cuore che emette un "Crack".

«Stai davvero bene. Anzi, stavi meglio prima con la testa pelosa.» Lo stuzzico subito birichina e ridente, mordendomi il labbro inferiore con malizia solo per notare i suoi occhi magnetici tramutarsi in fame di me.

«Mi stai prendendo per il culo?» Domanda guardingo, osservandomi con un sopracciglio innalzato.

Devo ammettere che anche travestito da orso rosa, é terribilmente accattivante.
«Può...darsi» Lo beffeggio fintamente innocua ma sfacciata.

Si avvicina lentamente verso di me, che cerco di non ridere.
Il suo corpo ad un palmo dal mio.
Inizio ad entrare in combustione.
Mi aziono e vedo le sue labbra sporgersi sul mio lobo.
Vorrei piegare la testa di lato, per sentire quelle labbra succulente, leccarmi il profilo del collo.
Ma cerco di preservare il contegno.
«E se ti ci prendessi io?» Formula bollente e seducente, facendomi disconnettere completamente. Non capisco e non apprendo.
Neanche rispondo, persa nel piacere di sentire il suo fiato accarezzarmi.
Annuisco. Senza ragione logica. Senza niente.
Zero armi, abbattute barriere.

In un attimo vedo il suo volto illuminarsi.
Le iridi verdi lasciare spazio ad un brillio malizioso.
Le labbra carnose incurvarsi in modo seducente, e con una mossa fulminea vengo sollevata e ribaltata con l'addome sulla sua spalla possente.

Mi dibatto con dei pugni forti sulla sua schiena ampia, e il suo risolino percuote il suo corpo e scuote il mio.
Non solo all'esterno purtroppo.
Sento le farfalle vibrare intensamente dentro di me, come un filo elettrico che non si esaurisce mai.
Tocca punti così sensibili da farmi star male, sul serio.

«Mollami subito, demente.» Respiro in affanno, cercando di gridare e scalciare furiosa le gambe, dove arpiona le caviglie per farmi smettere di scalciare come una puledra furiosa.
Capto il tocco delle sue dita infuocare la pelle scoperta delle caviglie, e socchiudo gli occhi, reprimendo con i denti affondati nel labbro inferiore, un ansimo arrendevole.
Mi sento molle. I capelli mi ostruiscano la visuale, e sento solo i suoi muscoli muoversi ad ogni passo lento e misurato, avvertendo il pelo del costume sotto le mie dita.

«Mai.» Il tono caldo, un sussurro che mi tramortisce e fa surriscaldare il basso ventre.
Sento le sue dita forti e calde, salire su.
Mi sciolgo sotto i suoi polpastrelli bollenti.
Mi accarezzano le gambe con ardore, e vorrei solo che mi buttasse giù.
Tornare con i piedi per terra, perché sto volteggiando dentro.
Il sangue al cervello non é un problema, benché con Jackson la mia materia grigia viene risucchiata in un vortice di mille emozioni e pensieri contrastanti.

Le percepisco così vicine al solco delle natiche, poiché il pantaloncino di jeans si é alzato appena.
Vorrei sapere cosa vede. Come mi vede così.
«Buttami giù.» Lo prego mestamente, seppur il mio corpo che si ricopre di pelle d'oca riveli ben altro.

E poi le sento. Le sento così roventi, accarezzarmi la natica destra, e istintivamente allargo di poco le cosce.
Le mie labbra si lasciano scoprire con un dolce gemito, che gli da la sicurezza in più, di accarezzarmi il bordo del tanga, che racchiude il fulcro bisognoso.
Ho paura che senta quanto sono umida per lui.
Il desiderio liquido che scorre impetuoso.
E adesso mi lascerei fare di tutto.
Lo pregherei anche di penetrarmi.
«Sky.» Il mio nome dalle sue labbra é sempre un pugno ben assestato. É come morire e risorgere.
Sibilla nel silenzio e assorda il frastuono che emette il mio cuore.

Finché non sento più il suo tocco che brucia, mi abbandona di poco dal suo calore, sento il corpo venir trascinato giù lentamente, e ancora sospesa e attaccata al suo corpo definito e caldo, scivolo lenta.
I suoi palmi forti i callosi castigano i miei fianchi.
Sento i polpastrelli stringere la carne tenera, e avverto da sotto lo strato fine della maglietta il bollore dei palmi.
S'infiltra senza consenso. Mi ottura l'olfatto fatto solo del suo odore speziato.
Sento ogni linea. Ogni muscolo pulsare.
Il mio palmo si apre sul suo petto, e sento anche attraverso la tuta imbottita, quanto batte quel punto.
Batte incessante come il mio. Fa eco sul mio palmo.
Le sue mani risalgono, lente e seducenti sul mio corpo pervaso da brividi intensi, dove rassodo l'interno cosce per sopprimere al bisogno che cola languido. Sgorga come un ruscello.
Accarezzano docili il profilo dei seni che si gonfiano, e i capezzoli svettano gloriosi.
Sulle spalle che tremano per lui.
E poi racchiude a coppa il mio volto, tanto da tenerlo imprigionato in quella morsa, incastrandomi a quel contatto che scotta ovunque.
Gli occhi si incontrano, così vicini da non distinguere il colore delle nostre iridi, dove esistono solo le pupille in cui ci specchiamo.
La punta del sul naso si schiaccia sul mio.
Respiriamo in affanno con le labbra spalancate senza staccare gli sguardi.
Sento il suo respiro pesante. Il suo sapore di tabacco e luppolo inquinarmi l'anima.
Sembriamo due animali disperati di abbeverarsi l'uno dell'altro.
Chiudiamo un istante le palpebre in simbiosi.
Ci scambiamo i fiati pieni di voglia.
La sento ovunque, inquinare la stanza dei nostri odori.
Così vicini, sempre di più.

"Ridammi l'ossigeno, Jackson." Lo sto pregando mortalmente nella mia testa.
Ho bisogno di lasciarmi andare a questo folle desiderio che mi fa agonizzare.
Voglio le sue labbra che si scontrano furiose sulle mie.
Cade lì la sua foresta che mi brucia, mi brucia tra le cosce. Ovunque.
Mi carbonizza.

E poi la magia si spezza del tutto.
Le mie suole toccano del tutto terra, e mi riportano alla realtà.

Il mio palmo é ancora fermo sul suo organo color onice. Quello che credeva di aver perso sotto mille leghe, é lì in superficie.
Abbassa un secondo lo sguardo sul mio palmo, e vedo il suo volto contrarsi in una smorfia sofferente.
«Jack...» Non termino il suo nome, che sembra un richiamo disperato, poiché
lui si gira e sparisce lasciando per la prima volta me senza niente da ribattere.
Senza armi con cui combattere.

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