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•Capitolo 2•

Wisconsin 3 anni prima.

/Jackson\

«Se mamma sa che ti ho fatto bere, mi costringerà a praticare la scuola militare» Proclamò sarcastico, scuotendo la testa, dove il ciuffo castano scivolò sulla sua fronte.
Stappò una bottiglia di birra con l'accendino, Kyle, per passarmela con un sorriso sornione, che restituii.

  Era la prima volta che bevevo una birra. Il contatto dei miei polpastrelli caldi, contro la bottiglia fresca, mi fece palpitare. Guardai affascinato quella sostanza al luppolo, prima di stringere più forte il collo della bottiglia, e portarmela alle labbra, dando una sorsata, dove il liquido dorato, scivolò lungo il mio esofago, impastandomi la lingua e il palato di quel nuovo sapore.

« Allora? Com'è? » Mi domandò con il solito sorriso, e le sue iridi verde foresta come le mia, guardarmi con il luccichio.
Storsi appena le labbra, come a pensarci su, e ridacchiare.

« Decisamente buona » Affermai limpido, portandoci entrambi la birra sulle labbra, e scolarla.

« E comunque... » Mi stoppai un attimo, per deglutire il sorso fresco,
« Domani compio ventun anni. Direi che ho aspettato anche troppo per una birra, e voglio iniziare ad allenarmi come te. » Deciso, secco e netto. Nessun segno di sarcasmo sul mio volto leggermente squadrato, ricoperto da una lieve barba scura velata e definita.

  Notai Kyle scostare la birra dalle labbra carnose come le mia, sicuro che se avesse preso quel sorso, gli sarebbe andato di traverso. Poiché il secondo dopo si voltò di scatto verso di me, sgranando gli occhi, mentre io innalzai un sopracciglio, gustandomi un'altra sorsata.

« Jason, lo sai. Mamma non approva la boxe, e venire ad allenarti sarebbe un k.o per lei...capisci cosa intendo? » Si fece d'improvviso più severo, ma tenendo quella punta tenue che gli rendeva la voce calda a cui ogni ragazza non sapeva resistere.

« No Kyle, in effetti non capisco. » Ribattei bruciante e scottato, dalla sua affermazione. Non ero più un bambino. Non volevo più essere trattato come tale.
Jackson il fratellino impacciato di Kyle il lottatore sexy.
Logico che non fossi invidioso, ma anzi, fiero. Ero troppo orgoglioso di avere un fratello come Kyle.
Più passavano gli anni, più tentavo di imitarlo. Proprio come i bambini facevano con i loro supereroi preferiti nei cartoni, credendo di avere super poteri e usarli a loro piacimento.
Ecco. Kyle era il mio eroe, e quando entrava imponente nell'arena, circondato da ragazze sensuali in completini succinti, assumeva un'aurea eterea, velata da un'oscurità misteriosa.
Il volto contratto. Le labbra che formavano un ghigno diabolico, che portava la folla a scalpitare. Lo acclamavano. Si dibattevano per ricevere una briciola della sua attenzione, dedicata e incentrata esclusivamente sullo sfidante.
Le bende che tendevano sulle vene del dorso teso.
La vena del collo che pompava frenetica.
Il pomo d'Adamo che saliva e scendeva, in procinto di lottare anche lui tra la troppa salivazione accumulata sotto il palato.
Ma non sapeva che lo spiavo, tra gli spalti messi in ombra.
L'occhio di bue puntato su di lui. La sua pelle sempre dorata e unta di un'olio profumato, che riluccicava.
I pantaloncini rossi e neri, che calavano su i suoi addominali obliqui, scolpiti da tanta palestra e allenamenti estenuanti.
Il suo lavorare come meccanico di giorno. Staccava e andava agli allenamenti, tornando a casa il tempo di un tramezzino.
Un bacio fugace alla nostra sorellina Violet. Una scompigliata dei miei capelli, annessa ad un pugno sul petto, e di nuovo correva via.
Tirava avanti la nostra baracca, un po' mal ridotta.
Kyle aveva avuto modo di conoscere il porco di nostro padre. Non voleva neanche sentir pronunciare il suo nome.
Lo avevo visto dallo spioncino della porta socchiusa, litigare con lui. Puntargli il dito contro con il volto corrucciato e furioso, intimandogli di lasciarci in pace. Mia madre che si faceva scudo con la schiena ampia di Kyle.
Veniva a spillarci i soldi per i suoi vizi. Per tirare avanti la sua famigliola felice, ingenui che lui era un bastardo manipolatore.
Ed è così che Kyle, divenne il mio eroe. Senza paura.
Breavheart come il film. Questo era il suo nome di combattimento.

« Jason... » Si fermò per rilasciare un sospiro, nella frescura notturna. Le braccia conserte, il CD dei Pink Floyd che ancora suonava Breathe dalle casse del pick-up.

Sembrava che il mio nome dalle sue labbra, suonasse triste quanto il testo di quella canzone.
Ancora non capivo quanto. Non potevo saperlo. E neanche lui. Ma il cielo terso lo sapeva, che me lo avrebbe strappato, e mi sarei dovuto prendere cura io delle mie donne.

Mi voltai a metà volto, lasciando sciabordare come un gioco, il liquido quasi terminato, sul fondale della bottiglia.
« Tu credi che io non ti veda tra gli spalti. Ti nascondi, e mimi sempre in un labiale: Vai Kyle.
E neanche sai che tu mi dai forza Jason. Il nostro legame va oltre. I tuoi occhi li riconoscerei tra mille. Sono uguali ai miei. Sei il mio riflesso, e so che da grande farai tante cose. » Si stoppò nuovamente per un lieve secondo, per gustarsi una piccola sorsata di luppolo ormai non più fresco, e chiuse gli occhi, ripetendomi con la sua voce calda e rauca, una strofa della canzone.

« For long you live and high you fly » Elargì un sorriso quasi fiabesco, nel confondere la sua voce, con quella del cantante.

Vivrai a lungo e volerai alto, ripeteva la canzone.
« Non lasciare che il mio esempio, oscuri il tuo futuro. Io sarò sempre fiero di te. Ma il combattimento non é un divertimento Jason. É una conseguenza, di una lotta interiore che non ti lascia mai in pace. Tu non lotti contro il tuo avversario. Lotti contro te stesso. Contro il tuo cervello che scarica adrenalina, e cerca uno sfogo. Non sono l'esempio migliore...credimi. » Terminó pacato e fievole, come se volesse darsi colpe che non aveva.

Cristo! Lui era l'esempio migliore per me.
Non era colpa sua, se avevamo un padre di merda.
Lui ci aveva difeso. Ci aveva rimesso in piedi.
Un leader. Una figura presente. Un fratello maggiore. Un pezzo del mio cuore.

Gettai con uno slancio, la birra dall'altro lato della siepe, che delimitava la strada asfaltata, rotolando liscia e felice, tra quella sterpaglia, per voltarmi totalmente verso mio fratello.

« Kyle. Tu per me sei più di un esempio. E se mai dovessi prendere da qualcuno, tu saresti il migliore. leave but don't leave me » Vattene, ma non lasciarmi. Gli rimandai un pezzo della canzone, e le sue labbra da prima congiunte in una linea, si distesero in un sorriso gioviale.

« Mai, campione. » Mi assicurò, prima di rimetterci in macchina.

Cantavamo ancora a squarciagola, scambiandoci occhiate di pura gioia e divertimento, mentre imitavo una finta chitarra, che fece scoppiare in una fragorosa risata, Kyle.

Lo supplicai di farmi guidare, ricevendo i suoi NO a ripetizione.
Battei le mani sul cruscotto, con dei tonfi secchi, e si aprì in automatico, facendo ruzzolare sul tappetino dei CD e un perizoma nero di pizzo.
Lo sollevai divertito, tra l'indice, innalzando il sopracciglio con malizia.

« Ma guarda cosa trovo, nella macchina del mio fratellone. » Lo beffeggiai tra derisione e benevolenza, e i suoi occhi spaesati, da prima puntati sulla strada, seguirono la traiettoria del mio dito, dove oscillava il perizoma striminzito.

« Jason. » Mi rimbrottò furioso, strappandomelo con un gesto secco dal dito, e nel preciso momento che lo rimise dentro il porta oggetti, successe ciò che decretò la fine del mio mondo. L'inizio del mio tormento. La mia guerra interiore.

La sua schiena ricurva, e appena piegata.
La mano sinistra sul volante.
Una luce forte e accecante, proveniente da sinistra.
Abbagliava come un tunnel avvolto nella luce bruciante.
Le mie pupille che risucchiarono tutto il verde dell'iride.
La paura che deformò i tratti del mio volto.
Un rombo di clacson che tuonò nel cielo, velando la voce roca di Syd Barrett.

« Kyle » Il mio grido lacerante, ancor più forte di quei suoni disconnessi.

Il suo ritirarsi su di scatto. La luce sempre più vicina. Più nitida. Ci illuminava come un fascio di luce. Come una torcia puntata su i nostri volti simili.
Le sue mani forti, che si aggrapparono al volante, come ancora, per sterzare.
Una manovra troppo lenta, al contempo brusca.
Il camion che arrivava dal lato opposto. In mezzo a due fuochi.
Il suo accelerare. L'acceleratore far stridere le ruote, straziandomi i timpani.
Le mie mani sulle orecchie, come a non voler più sentire niente. Le palpebre serrate tra loro, mentre pregavo che tutto cessasse.

Dio aiutaci.
Lo ripetevo.
Mi convincevo di un suo dono.
Dove sei?
Io ti chiamo. Ti reclamo.
Il momento del bisogno, e tu non ci sei.
Dove sei?
Dio.

E poi accadde. Un sobbalzo. Un sussulto. Grida che strappavano la felicità, breve. Vissuta troppo poco.
Una trottola che ruota intorno al suo asse. 
Il camion fermarsi con una frenata al mio lato, senza intaccare, e bloccandoci la strada. Difronte le sbarre, su quel ponte infernale.
E non c'è tempo. Sembra. Ma non c'è.
Il suo nome sulle mie labbra tremolanti. Gli occhi straripanti di lacrime, e una botta che ti fa sbalzare contro il vetro, mentre la mia mano, restò sulla sua, fredda e abbandonata sul cambio.

Breathe, breathe in the air
don't be afraid to care
leave but don't leave me.

Respira, respira nell'aria
non aver timore di prenderti cura di qualcosa
vattene, ma non lasciarmi.

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