•Capitolo 16•
/Jackson\
Respiro.
"Vorrei dirti che mi dispiace, ma non é cosi. Non ti scoperò stasera, e sicuramente in un futuro prossimo."
Colpisco.
"Adam hai visto, Sky?"
Grugnisco.
"Era a ballare con te, l'ultima volta."
Inspiro.
"Cosa sta succedendo, tra te e mia sorella?"
Colpisco ancora con più forza, digrignando i denti.
"Niente."
Agisco di nuovo, consapevole della bugia.
"Il niente a volte contiene il tutto. Jackson non mi piace, non mi piace come vi evitate. Come vi guardate. Sono gay ma non sono stupido,andiamo."
Maledico il sacco che oscilla pesante, sotto le mie sferzate interminabili. Piovono come raffiche. Aveva fottutamente ragione.
"Adam, ascolta..."
le nocche bruciano. Il sangue sfrigola nelle vene. La pelle del dorso si tende sotto le fasce.
Colpisco a denti stretti.
"No, Jackson, ascoltami tu. Sky é mia sorella, e per quanto tu sia mio amico, non é la ragazza per te. Lasciala in pace. Hai almeno idea del perché cazzo sia andata via?".
Si maledizione! Si, lo sapevo. Cazzo!
Impreco a mezza bocca, carico il pugno, stoccata.
"No...non lo so, Forse..."
Un bastardo che mastica parole, in un cervello arrovellato da colpe.
Sferzo un nuovo pugno.
"Forse? No o si? Perché un sentore l'ho Jack, e non mi piace. E non mi importa delle vostre occhiatacce, finché non l'aggiungerai alla tacca della testiera. Perché non ci finirà, e questo lo sai, vero?".
Lo so!
Espiro. Non vedo niente se non le immagini della serata di Natale.
Il suo volto contratto in una smorfia di disapprovazione. Combattuto tra due tipi di bene.
Il mio sgusciare tra la folla, in cerca di quella chioma rossa come il fuoco che mi brucia le vene.
Mi fa eccitare il suo modo di controbattere, e mettermi k.o.
Il suo profumo di ciliegia e gelsomino.
Il suo essere fintamente innocente, trasudando sensualità con quelle iridi oceaniche.
Colpisco. Colpisco. Sferro. Carico. Ancora. Di nuovo. Imperterrito. Non incalano più ossigeno. La gola emette suoni rauchi nel silenzio interrotto dalle cinghie che cigolano.
Dal sacco che oscilla pesante e ritorna da me, pronto per essere di nuovo colpito.
E lo faccio. Sono insaziabile.
La sua delusione. La maschera di freddezza indossata.
Le mie improvvise comparse per vederla a casa con Violet. Il suo ignorarmi mentre la cercavo, la pregavo con gli occhi di alzare quelle iridi. Avrebbe potuto anche trafiggermi, se avesse voluto. Gridarmi contro.
Ma la sua indifferente compostezza, mi ha annientato.
E allora fanculo, mia Dea Alata.
Io non rincorro. Io al massimo ti fotto.
Io non supplico. Al massimo ti istigo.
Io non ho bisogno di nessuno, ma inconsciamente, bastardamente e forse anche egoisticamente, al massimo ho bisogno di te.
Colpisco ancora con violenza. Sento la pelle strapparsi in due e frizzare.
Ma non accenno a diminuire. Non vedo il sacco nero e rosso. Io vedo le scene.
Finché non colpisco nel vuoto assoluto. Nell'aria nefasta mista di sudore, cuoio e di chiuso.
«Che cazzo, stai facendo?» La voce possente e decisa di Tyler mi riprende.
Inabisso la testa verso il linoleum verde bottiglia, perdendomi a fissare alcun briciole di polvere illuminate dai primi raggi solari.
«Mi alleno.» Caccio fuori a fatica, e gemo in cerca di fiato che comprime lo sterno.
Stille di sudore imperlano la fronte, colando come lacrime sul mio viso, ricalcando ogni mia linea, tra il setto nasale, le labbra arse.
«No, Jackson. Non ti voglio allenare per vederti spaccare le nocche e macchiarmi di sangue il sacco da boxe. Non puoi venire qui all'alba a sfogare la tua rabbia repressa, ferendoti.» Lo ascolto in silenzio, la sua ramanzina cruda e assertiva, mentre mi tampono con la salvietta tenuta dietro al collo, il sudore e getto un'occhiata alle nocche scrostate dove del sangue fresco di un rosso vivo e liquido, oscilla tra i contorni della sbucciatura.
«Non é per questo che sono venuto? Per sfogare la mia rabbia?» Lo schernisco circa le sue parole di un mese fa. Di quando mi presentai davanti al portone di metallo della palestra chiusa, alle 6 del mattino.
"Hai preso la scelta fatta con la testa o con il cuore?" Mi aveva salutato subito così, lasciando trasparire una goccia di orgoglio, nel vedermi lì, nella mia postura inflessibile.
"Sono qui, e questo é quanto c'è da sapere." Gli avevo risposto asciutto, poiché le mie magagne e fisime, le lasciavo per me.
Mi ridesto al sua prossima domanda, più pacata.
«cosa hai visto? Cosa avevi davanti a te?» Che cazzo fa? Mi psicanalizza? É una sottospecie di psicologo pompato?
«Un sacco da Boxe.» Mi passo l'indice sotto le narici che prudono, per mascherare il sorriso da canaglia, che ho stampato sul volto.
E non credo che l'abbia presa bene, perché lo noto provato.
«Sotto la superficie, chi avevi davanti a te, Jackson? Non ti sto riprendendo perché tu sei qui alle 7 del mattino a sfogare la tua rabbia. Ma per il modo in cui lo stavi facendo. Quando salirai su quel ring -Mi indica con il dito il quadrato dietro le sue spalle larghe- devi mantenere il controllo, non gettare pugni come dei cazzo di coriandoli. Combatti contro ciò che vuoi distruggere, ma non devi scordarti che hai un avversario davanti, che non aspetterà che tu ripiombi sulla terra ferma, per contrattaccare, e metterti k.o, lasciando a lui un upset.» Mi sprona a centrare il punto cruciale, del perché mi abbia sbraitato contro poco prima. E lo so, cavolo!
Il suo timbro forte ma pregno di riguardo, per farmi assimilare il concetto, fa sì che io possa aprirmi, in parte.
«Ho visto me stesso. Ho rivissuto scene, e parole. E ho perso il controllo.» Ammetto sconfitto e deluso dal demone della rabbia, che non mi fa più ragionare sulle azioni, tirandomi indietro i ciuffi riccioli e madidi.
«Vatti a medicare, e la prossima volta voglio vedere i guanti Jackson.» Mi lascia così, girandosi di spalle e restando come un coglione. Perché lo sono. Lo so bene. E non posso farne a meno.
Mi faccio una doccia negli spogliatoi, e un armadietto di metallo sbattere con un tonfo deciso.
«Ci sarai stasera al Tower? Siamo tutti lì.» La voce di faccia di virgola, trapassa le mie spalle, mentre fisso le mattonelle, sciacquandomi via di dosso il sapone che ricopre il mio addome, colando giù sul piatto di ceramica.
«Cos'è una specie di locale, dove poi ci sfidiamo?» Voglio essere sarcastico, ma so bene che in realtà ho preso in pieno, la cosa.
«Alcuni si sfidano, ma solo se ti metti in lista.» Mi informa cristallino, e mi volto, notandolo allacciarsi le scarpe.
«Bisogna prenotarsi?» Sono incuriosito. Ma so bene di avere le nocche spaccate a metà, il che andrebbe a mio sfavore.
Alza lo sguardo dalle stringe verdi a me, gettandomi con divertimento un asciugamano.
«Copriti cazzo! E comunque si, ma te lo sconsiglio come prima volta, Fox.» Ormai é il mio soprannome, come io ho affibbiato uno a lui. Ed ecco la sua virgola che si forma, mentre chiudo con un colpo di palmo il getto d'acqua.
«Sarà divertente assistere.» Scrollo le spalle, avvolgendomi l'asciugamano intorno al bacino, e il suo sguardo di raccomandazione.
No! Non stasera. E poi ho la sensazione che Tyler non sappia di questo locale.
Lo capisco da come samuel porta l'indice e il pollice attaccati sulla bocca facendoli scorrere a cerniera.
Non sarò certo io a fare la spia, ma il mio intento é rivendicare la vittoria di Kyle.
E magari assistendo potrei conoscere gli avversari che dovrò affrontare, prima di raggiungere la meta, ambita.
"É come giocare a poker. Devi capire le prossime mosse, e lasciarlo sorpreso dalla tua. Devi guardarlo dritto negli occhi, metterti nella posizione in cui lui capirà come agirai, e mentre agisce, devi cambiare all'ultimo secondo per dargli l'effetto sorpresa." La prima lezione di Kyle, circa la boxe. Poche volte ho sfiorato in sua presenza il sacco che aveva appeso al mollettone in camera sua.
Spesso sentivo come cigolava e mi cullavo con quel suono.
Spesso lo miravo.
Almeno tanto quanto voglio ricordare la sua voce, con la paura che un giorno la sua figura e la sua voce ora nitida, restino un pallido ricordo, del suo timbro roco ma pieno di vita.
Perché purtroppo la sua immagine la vedo ogni giorno allo specchio. Sono la sua fotocopia, con le iridi cupe che amano il buio, odiano il sole.
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Vorrei comprendere il motivo, che mi spinge a curiosare la sua vita privata, come se fossi un fottuto stalker.
Il problema di fondo, è che di lei non mi frega assolutamente niente.
Non dopo i miei inutili tentativi di scusarmi, e il suo ignorarmi.
Siamo tornati agli albori, e forse mi sta bastardamente bene così.
E ancor più problematico sono io, che mi contraddico su ciò che dico e su ciò che invece faccio.
Ma maledetto me, se dovessi ammettere qualcosa, a cui non so neanche dare una definizione.
Mi districo tra la folla. I corpi compressi come sardine in una latta. Emettono lo stesso fetore graveolente, che mi porta a storcere il naso e ogni tratto del volto, con il voltastomaco.
Ancora non sono iniziati gli incontri, e capisci bene che quelli avvengono dopo la mezzanotte, quando il mondo vero si accende di pericolo.
Per adesso si confondono tra vari corpi, ballando e bevendo.
É un locale normale almeno all'apparenza, ma Samuel mi ha spiegato che ad un certo punto, spengono le luci lasciando dei led, delle nubi di fumo artificiale annebbiare l'intero locale, e un rialzo in mezzo dove ora ballano, si eleva dal pavimento, divenendo una specie di quadrato senza corde a delimitarlo.
«Jackson. Cazzo, bello! Dove cazzo vai?» Mi giró a metà volto, verso un mio compagno di palestra. Il sorriso sghembo, e gli occhi a palla, dove le iridi sono più lucide. Le pupille dilatate. Il bulbo arrossato e le borse violacee che solcano la rima cigliare. Segno che ha alzato schifosamente il gomito, e che avrà ancora residui di farina sotto le narici.
«Dove cazzo voglio.» Taglio corto, con voce risoluta e fredda, mentre Carter scoppia in una fragorosa risata, annuendo con la testa, come se gli avessi detto una barzelletta di quartiere.
Supero un'altra calca di persone, che si strusciano sul mio corpo. Ragazze strette in top, che fasciano il seno in modo sublime.
E Cristo! Potrei scoparmene una, due, anche più e anche contemporaneamente.
Invece le ignoro, e finalmente raggiungo l'uscita, dove il buttafuori si scansa per lasciarmi passare.
Vengo accolto da un refolo fresco di vento, che mi ridona il respiro, rinvigorendomi, e il ciuffo pece svolazza appena, solleticandomi la fronte madida.
Volto la testa a destra e a sinistra, che gira come una trottola che non trova fine.
I lampioni soffusi. Gli alberi che delimitano la strada. Nessuna macchina che circola nei dintorni. E la musica del locale che mi arriva ovattata ora.
Mi porto le dita piene di anelli, tra le ciocche di capelli, rilasciando uno sbuffo.
Forse dovrei smetterla davvero.
Forse dovrei andare sul serio a scopare.
Lasciarla perdere.
Ma proprio quando formulo questo pensiero, la vedo.
Mi soffermo come uno stoccafisso, ad ammirarla.
La schiena poggiata al tronco di un albero. Si sposta con un gesto frustrato della mano, i capelli dietro le spalle esili, come ributta il cellulare nella borsetta a tracolla, imprecando qualcosa che non riesco a captare.
Mi domando perché é qui. Ma non le porrò tale domanda.
Mi chiedo con chi sia venuta? Ma non le farò neanche questa.
É palese che non é con Adam, perché Adam aveva un appuntamento.
E forse, mi piace pensare che Adam le abbia spifferato dove andavo.
Di più mi alletta l'idea che sia stata lei a chiederglielo.
Poiché sono tornato ad ignorarla sistematicamente.
E sappiamo bene che quando ignori una donna, quella inizia a farsi le pellicole cinematografiche.
Ti maledice.
Perché sicuramente qualche maledizione me l'avrà lanciata, per far sì di averla avvistata in mezzo a duecento persone.
Per far sì che io abbia goduto nel vedere il suo collo elegante a cigno, distendersi dopo aver bevuto uno shot.
Incurvo le labbra in un sorrisetto bastardo e ammaliante, nella più assoluta convinzione che non mi abbia visto, e che non senta neanche che mi sto avvicinando.
É troppo presa a fissare la suola delle sue converse.
Ed é questo che mi stupisce di lei.
Non si veste mai appariscente. Non si mostra mai. É snervante. Insignificante. Insipida.
Sensuale senza esserlo.
Casta fuori e sicuramente porca dentro.
Non mi attira. Mi attizza. Non la voglio intorno a me. La voglio avere nel mio letto.
Eppure adoro stuzzicarla.
Allora sono un gran coglione bastardo, attacca brighe.
«Deve essere bello parlare con chi ti capisce. Cioè te stessa. Perché il resto del mondo ti ignora.» Non si accorge della mia presenza, finché non le sussurro beffardo ma con tono caldo e rauco, queste parole e un dolce alito di vento, le smuove le lunghe onde rosse, assalendomi le narici con il suo profumo fresco e floreale.
Resto immobile, e la sento sobbalzare, sospirare tra lo stupore e lo scocciato, per non riuscire a lasciarla in pace.
Io lo so Sky, che quando ti cerco, ti senti desiderata.
Che quando ti ignoro, la tua testolina parte, e ti logori.
Che quando non ci sono, mi cerchi attraverso terzi.
Ti chiedi cosa faccio. Con chi sono. Se ti penso.
E la risposta mia piccola Dea stronza, non ti piacerebbe. Ma sono un malato sadico, e mi compiaccio nell'idea che mi pensi.
Mi fai sentire importante. E ti posso schiacciare.
La noto di tralice, mordersi il labbro inferiore con foga, imprigionandolo tra quei denti bianchi, con il rischio di tumefarlo.
«Che vuoi Jackson?» La sua voce é un sussurro mesto e arreso, mentre continua a tenere lo sguardo in avanti, verso un boschetto velato dall'oscuritá della notte.
In ombra come la sua figura. Ma ti ho trovata comunque, piccola Dea.
Faccio il giro del tronco, per pararmi al suo fianco, estraendo dalla tasca del chiodo in pelle nero, il pacchetto di sigarette, sfilandone successivamente una.
«Nessuno che allieti la tua triste serata?» Rincaro con derisione la dose, mentre il filtro scivola tra le mie labbra, sbuffando una nube bianca e densa, che accarezza il suo profilo.
Un profilo elegante. Lei lo é. Non si nasconde tra quintali di trucco. Non ama essere appariscente. E ti ammiro Sky. Io ti osservo, e tu neanche lo sai.
Emette una risata amarognola come lei, ma contenuta il più possibile, per girarsi il secondo dopo, fulminea, con i capelli indomiti che svolazzano al suo gesto, verso il mio volto impassibile, che continua ad accogliere la nicotina marcia.
«Nessuna che abbia voglia di controllare, il cotone che ti gonfia i Boxer di topolino?» Woooh piccola stronza, tiri fuori gli artigli da gatta, quando meno me lo aspetto.
E vorrei sempre vederti così. Perché amo questo scontro. E potrei scontrare nello stesso modo il tuo corpo, contro questo fottuto tronco, e fotterti come meriteresti.
Ma ho del cotone nei boxer di topolino, eh?
Peccato che questo cazzo di rigonfiamento che mi tende la patta, sia colpa del profumo di questa stronza irritante.
Sollevo un angolo delle labbra, gettando la sigaretta a terra tra il medio e il pollice, avvicinandomi di più al suo fianco.
La sento irrigidirsi piacevolmente, e mi beo dell'effetto che le faccio, come la pelle d'oca che riveste le sue braccia.
Allungo il collo, per sfiorare il suo lobo con le mie labbra, e un dolce ansimo, abbandona la sua bocca piccola ma a cuore.
Quante cose sai fare, Sky? Oltre a parlare? Dimmelo. Mostramelo.
«Vuoi controllare per caso? Potresti rimanerci male, o bene. Dipende dai punti di vista, Dea.» Replico lascivo e intenso, con un tono volutamente più basso, tali parole, e uso il nomignolo che le ho affibbiato, respirando ancora il suo profumo fresco.
«Non ho una lente d'ingrandimento con me...Spia...» Non lascio terminare la sua ennesima battuta, dove colpisce il mio ego, che mi volto, e presso il mio corpo sul suo, schiacciando maggiormente la sua schiena al tronco.
Un lamento roco, le spezza il fiato in gola, e le comprime lo sterno a corto di respiro.
I miei palmi poggiati contro il tronco ruvido, quasi a volerlo sradicare.
Imprigionata tra il mio corpo e il mio alito, che le soffia sul suo volto, dipinto da stupore.
Ma noto affascinato le sue iridi, risplendere nel buio terso, come piccole stelle, che vuole donarmi.
E lo senti ora il cotone Sky?
Cosa senti, piccola stronza?
Rimangiati le parole, come io vorrei mangiare il tuo corpo.
Ma non te lo dirò mai. Perché amo battagliare, e tu sei una valida partner, per il mio ego da sadico.
Elimino un altro scorcio di distanza, che mi divide dal suo volto. Ha riassunto l'espressione fiera. Il mento innalzato come una guerriera.
«Ne sei sicura, Sky? Non fare finta...io lo so...-Mi avvicino maggiormente, quasi a toccare la sua fronte fresca, contro la mia rovente- Che mi pensi, sempre.» Il mio tono bollente, sembra avvolgerci come un manto. Percepisco il suo respiro divenire irregolare. I battiti del suo cuore aumentare a dismisura.
Le sue labbra aprirsi per incanalare ossigeno, che io rubo inspirando forte il suo odore.
Non puoi soggiogarmi Sky.
Io non te lo permetto. Io ti stendo.
E vorrei sapere se ha scartato il mio regalo.
Ma potrebbe prenderlo come un mio cenno di curiosità, e interesse.
Lo sono, ma preferisco continuare la battaglia.
Vorrei lasciarmi andare e dirle le cose più indicibili. Baciarle il collo. Sussurrarle che é sexy da far male anche così.
Che la desidero.
Ma mi ricordo di Adam, e continuo solo a stuzzicarla.
Chiude per una frazione di secondo, quegli occhi da gatta ammaliatrice, per riaprirli e notare le sue iridi incendiarsi come fiamme che ti bruciano vivo.
Sguardo dopo sguardo ti riducono cenere.
Spengono come acqua ogni tua fottuta convinzione.
E proprio quando penso, che molli la presa, getti la spugna, sventoli la bandiera bianca, lei attacca.
Nel momento in cui sono perso nei pensieri, avverto il suo corpo pressarsi con ancor più violenza sul mio.
I capezzoli turgidi, nascosti dalla stoffa del top rosso, si sfregano sul mio torace imponente, come sassolini.
E cristo se la odio.
Poiché mentre chiudo le mie palpebre per imprecare ogni fottuto santo, le sue labbra a cuore, sfiorano il mio lobo, facendomi azzerare la salivazione e tirare ancor di più, il membro castigato nei boxer.
«Ficcatelo bene in testa, Jackson. Tu...non sei il centro dei miei pensieri.» E mi ha fottuto. Seducente ma ispida mi ha attonito.
La vedo sgusciare via, e dirigersi verso l'entrata, dove saluta una Caroline raggiante.
Allora si che il castello crolla. Non era qui per me.
Dea bastarda!
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