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•Capitolo 14•


~•Sky•~

Mi rimiro alla specchiera a terra dalla forma ovale e allungata, per la dodicesima volta.
Non so bene perché lo faccia. Odio guardare troppo spesso il mio riflesso proiettato, poiché se lo avessi guardato solo una volta, avrei aggiudicato un: Sto bene, perfetto.
Ora invece penso solo: Forse hai osato troppo, per la Sky che vuoi apparire ora.
E in effetti é vero. Ho comprato un abito in ciniglia stile sottoveste, con lo scollo impreziosito dal pizzo, in una scollatura morbida e generosa che lascia mostrare le fossette dei seni racchiusi in un push-up, e le bretelle talmente fini da essere impalpabili sulle clavicole.
Mi da forza solo che sfiora le ginocchia, e non sembro puramente indecente.
So dove sono diretta. So che giorno é oggi.
E so anche chi c'è, o meglio da chi sono ospitata.
Non certamente per volere suo, ma di sua madre.
E il fatto che non lo vedo da una settimana, mi fa essere ansiosa, dopo il nostro ultimo Incontro/Scontro avvenuto.
Ed é lì che mi perdo nei pensieri, lasciandomi cadere a sedere sul bordo del letto, con le mani in grembo, le ginocchia serrate dove i talloni fanno dei saltelli sul parquet nella chiara agitazione, e lo sguardo fisso nella parete spoglia.

Una settimana fa.

Ero a mettere le palline colorate intorno ai rami del pino che avevo comprato insieme a Violet.
Stava migliorando e sembrava contenta in mezzo a quegli abeti, scegliendo il più pieno e alto, quanto lo permettesse il soffitto del suo salone.
Avevamo scelto anche le palline, con della neve finta dentro fatta di polistirolo, decorate con i vari simboli del Natale.
Ne stavo infilando una, presa dalla confezione da quaranta, quando sentii il tonfo secco della porta richiudersi, e sobbalzai appena.
Sapevo chi era, non c'era bisogno di chiederlo.
Il suo profumo si sentiva da miglia di distanza, come l'umore nero che aleggiava nell'aria calda di casa.
Mi voltai a metà volto, facendo finta di niente, vedendolo camminare fiacco con la testa china verso le mattonelle, andando dritto verso il freezer.

«Ciao.» Tentai un saluto stiracchiato e quasi appena mormorato, vedendolo afferrare qualcosa e richiudere con uno slancio possente, l'anta del freezer che oscillò appena.

Nessun saluto. Mi aspettavo almeno una risposta. Una delle sue battute di cattivo gusto, se non pessimo.
«Vuoi unirti a noi?» Riprovai più gioviale e arzilla, guardandolo fermarsi appena giunto sul primo scalino, con la testa ancora piegata.
«Potresti aiutarci a mettere la stella cometa sulla punta.» Si, mi rendevo pienamente conto di sembrare ridicola e forse un tantino disperata, nel tentare un approccio pacifico, con il re del mutismo selettivo.

Sentii un distinto sospiro frustrato, abbandonare le sue labbra, che immaginavo serrate in una smorfia contrariata, prima di sbottare con un,
«Potresti aiutarmi...andandotene via.» Secco. Duro come granito, freddo come granita. Un ringhio che mi ferii più per il tono che con le parole, sempre astiose dirette a me, prima di vederlo salire con furia i gradini e la porta della sua stanza fare un eco assordante.
Non avevo neanche avuto il tempo di ribattere alla sua cattiveria gettata come una secchiata di acqua raccolta dai nevai.

Sospirai sconfitta e vidi Violet accarezzare la punta della stella cometa, come una speranza frantumata.
Oh piccola!
Bastardo!

«Torno subito, tu intanto metti intorno tutte le luci colorate, come piace alla mamma.» Le intimai dolcemente, accarezzandole una ciocca ribelle e scura, mentre mi sorrise teneramente. Era così piccola. Così dolce e indifesa, che il comportamento di Jackson non aiutava, anzi incrementava il problema di Violet.

Salii i gradini come se avessi il diavolo alle calcagna, o lo fossi io stessa, e senza neanche bussare o chiedere un cavolo di permesso, spalancai con irruenza la porta di camera, facendola cigolare all'indietro e richiuderla nella stessa maniera.
«Che ci fai, in camera mia? Ti ho forse dato il permesso?» Domandò glaciale e irto, aumentando solo la mia collera.
E poco importava che fosse volto di spalle, verso la vetrata.
La luce che stava per lasciare spazio al buio della sera, illuminare le spalle ampie di Jackson, mentre la schiena nuda rivelava i guizzi dei suoi muscoli contratti. Le fossette tra le scapole rigide, lasciando calare sensualmente su i fianchi, dei pantaloni blu scuro della tuta.

M'inumidii le labbra prima di parlare, o cercare di non essere maleducata come lui.
Mi ripetevo contegno, ma mi era difficile.
Sopratutto il suo «Allora.» Come se aspettava a gloria che avessi girato i tacchi e fossi scomparsa.
Ma non funzionava con me.

«Sai Jackson, quando mi denigri a me, mi sta bene. Ma quando fai rimanere male tua sorella, renditi conto della brutta persona che sei. Che problemi hai? Eh?» Gettai a raffica senza il minimo riguardo, il mio più sincero pensiero su ciò che era Jackson. Un problema. Lui lo era. Lui lo aveva.
E neanche m'interessava di aver utilizzato un tono dispregiativo, quanto il vederlo del tutto composto e non darmi adito, ma continuando a godersi la vista del giardino al di fuori.

«Voltati e guardami.» Ripetei assertiva, mentre notai qualcosa racchiuso nella sua mano, che strinse con forza, prima di girarsi funesto e farmi rimanere ammutolita.

«Che c'é sua Santa castità? Mai visto un livido?» Avvertii la punta di ironia cinica nella sua domanda sarcastica, avanzando come uno sterminatore verso di me, che restai piantata di sasso, vicino alla scrivania laccata di bianco.
Perché si, aveva un livido violaceo con sfumature giallognole e bluastre, sullo zigomo destro, e nella mano teneva un blocchetto di ghiaccio sintetico.

«Come te lo sei fatto?» Gli posi con il tremore che vibrava nelle mie corde vocali, esaminando con gli occhi sbarrati il livido, più in evidenza quando serrava la mascella.
Corrugai le sopracciglia, per tentare di avvicinarmi, ma preferii solo restare al mio posto, e avanzare verso il bordo della scrivania.

«Ha qualche importanza, Sky? Sembri oltraggiata sai. Eppure credevo che a voi verginelle piacessero i cattivi ragazzi. Quelli poco raccomandabili, con un passato oscuro alle spalle e pieni di demoni, come leggete nei libri. Perché poi arrivano quelle come te, le Chierichette, buon samaritane e con la sindrome da crocerossine, pronte a guarire il malato di pazzia delirante.» Ogni sua parola gridava disprezzo. Annientava il lato buono e lo trasformava in liquido velenoso. Corrodeva. Bruciava come una tanica di benzina.
Odio e amarezza, fusi in uno sproloquio insensato.

«Che diavolo dic...» Non riuscii a terminare la mia domanda stralunata e dalla cadenza bassa, che le sua braccia si prostrarono in avanti, bloccando il passaggio del mio corpo al lato dei miei fianchi, mentre schiacciai di più il fondoschiena al bordo duro della scrivania, per non toccare il suo petto chinato in avanti.

«Perchè io Sky, non ho bisogno di nessuno. Ho solo bisogno di sapere che sapore ha...» Si fermò un attimo, facendosi pericolosamente vicino al mio corpo che fremette subitaneo.
Le reazioni che proprio non riuscivo a controllare, si accatastavano nel basso ventre, e lì si muovevano come contorsionisti.
Sollevai deglutendo un fiotto di saliva, lo sguardo, per incontrare le sue fornaci.
Due iridi verdi così scure da perderti in quel bosco, dove la via di fuga era impossibile da trovare. Una palude insidia di ostacoli.
Le sentii squartarmi la pelle, mentre il suo profumo sconvolgeva il mio olfatto, insidiandosi prepotente e senza alcun preavviso.
Il calore del suo corpo sempre più chino verso il mio, dove il petto si alzava e abbassava a ritmo di respiri irregolari, che soffiavo fuori sul suo volto contratto e mortalmente serio.
Il suo sguardo puntare lì, mentre sentii in un secondo i suoi palmi callosi agguantarmi per i fianchi, quasi a stringermi la pelle, ed alzarmi in un movimento brusco, per sbattermi le natiche sulla scrivania, strozzando un verso di stupore.

«Jack...» Il sul dito indice si schiacciò prepotente e suadente, sulle mie labbra dischiuse e a corto di fiato, mentre ero spaesata, eccitata, incapace di intendere e forse di volere di più.
Molto di più.
Ero fredda fuori, ma bollente dentro.
Una sostanza liquida di voglia perlata e dolciastra.

I suoi palmi erano puro fuoco, anche attraverso il maglioncino in poliestere.
I seni gonfi stretti nel reggiseno di pizzo, e il suo pollice carezzarmi il profilo della mascella tesa.
«La dannazione, Sky. Dimmi che sapore ha?» Soffiò intrigante e rovente come il mio lobo, e il suo fiato caldo scivolare sul pendio del mio collo, dove la pelle era più sensibile.

Deglutivo a vuoto, il suo petto ad un millimetro dal mio seno, dove ad ogni respiro teso, si sfioravano facendolo affondare con più prepotenza la mano sul mio fianco.
Il suo corpo tra le mie cosce spalancate.
E se avesse voluto, gli avrei concesso di tutto.
«Dimmelo, Sky. E se non lo sai, fammelo sentire.» Scivolò con le labbra schiuse, sulla mia mascella, arrivando fino all'angolo delle mie labbra che tremarono di aspettative. Di voglia che ti rende folle. Con gli occhi chiusi dal piacere che il suo tono caldo e inebriante mi regalava.
E diamine dovrei odiarlo.
E cavolo lo desidero tanto da star male.
Tanto da pensarlo la notte mentre mi rigiro tra le lenzuola.
Lo sento ovunque, dove lo vorrei. Dove il mio calore si sprigiona e cola come un ruscello.

Ma non posso. Non posso cedere a lui. Non posso farmi male.
I principi non esistono, e io non ho bisogno di un cavaliere errante. Io sono la sola e unica cavaliera che protegge il mio organo sensibile, quando nei paraggi vi é lui.
Quindi tentai l'unica cosa, che potesse farmi prendere la rivincita dopo le sue parole.
Voleva destarmi dal fargli domande. Farmi cadere come un domino.
Sorrisi come una piccola smorfiosa vogliosa, e tirai fuori la punta della lingua, mentre la mia mano silenziosa si allungò, per prendere le forbici nel portapenne in ceramica.

Lo sentii sospirare violento, quando gli leccai sensualmente la fossetta sotto il labbro inferiore, mentre i suoi denti affondarono in quella morbidezza carnosa e rossa.
La mia lingua che formicolava sulla sua pelle calda.
«Lo vuoi sapere?» Mormorai bassa, e con voce eccitata, leccandogli anche la fossetta in mezzo al mento, che mi faceva ammattire, come il suo gemito graffiato.

«Sky, stai giocando con il tipo sbagliato.» Oh, lo so. E tu stai giocando con la tipa sbagliata, caro il mio Jackson.

Poiché con maestria, afferrai i lembi del perizoma, sul fianco, per tirarlo sopra l'orlo del jeans. E mentre i suoi occhi erano chiusi, e la mia lingua seguiva il suo arco di cupido, i suoi gemiti mi fecero bagnare perversamente, tagliando di netto entrambi i lembi.
Sorrisi tronfia facendo fuoriuscire sgraziato il perizoma, e con le dita che tremavano, agguantai l'elastico del suo pantalone, dove lo avvertii digrignare i denti, e come la più abile, lasciai calare il perizoma all'interno.

In un attimo i suoi occhi foresta, si collegarono a me come un magnete.
Leggevo la lussuria che mi contaminava l'anima sporca, e il mio sorrisetto malizioso, fargli capire che avevo vinto.
Poiché in un secondo si staccò e mi rimisi in piedi, avviandomi verso la porta.
Ma prima di girarmi, volli dare l'ultima parola, anche se sapevo che le mie dita tremavano sulla maniglia d'ottone fredda.
«Scommetto che le annuserai, e sarei curiosa di sapere che cosa potresti farci Jackson, con tutta quella dannazione.» Lo sfidai sensuale, e anche se la mia resa era evidente, la sua protuberanza maestosa era la sua.

~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•

Mi ridesto dal ricordo imbarazzante, solo quando sento il fischio e la voce squillante di Caroline, ferma sull'uscio della mia stanza.
«Ragazza di campagna, ti sei proprio agghindata.» Afferma allusiva, alzando e abbassando le sopracciglia, mentre contengo una risatina.

«C'è il tuo fratellino.» Aggiunge il secondo dopo, come lo vedo apparire e sorridermi con la giacca blu sopra la camicia bianca, e un jeans. É perfetto.

«Pronta?» No! Invece annuisco con la testa, e smuovo le onde rosse, alzandomi dal mio posto fedele.

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